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E-book200 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Quel mattino, quando siamo arrivate a scuola, io e Lan non potevamo credere ai nostri occhi: un enorme murale ricopriva un lato della nostra scuola. Chi poteva mai essere il colpevole? Uno sconosciuto che si era divertito a giocare coi colori oppure un nostro compagno che aveva voluto fare un dispetto? E poi... perché un gesto del genere?
Purtroppo io sono la figlia del capo della polizia, per cui sarebbe meglio che me ne stessi per i fatti miei, senza giocare all'investigatore e rischiare di mettermi nei guai, magari addirittura essere tacciata come spia. Ecco, il mio gradimento a scuola non ne trarrebbe vantaggio!
Per fortuna in questo momento la mia mente è tutta presa da altro, da Eli per la precisione, il ragazzo più carino che abbia mai visto. Lui lavora con me al caffè e io adoro sentirlo vicino, ascoltare la sua voce... Insomma, Eli sta diventando tutto il mio mondo... finché il mio mondo all'improvviso si sgretola, a causa di una bomboletta di spray.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2017
ISBN9788858966457
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    Anteprima del libro

    Indelebile (eLit) - Mara Purnhagen

    successivo.

    1

    Quella fredda mattina di gennaio, quando scesi dall'autobus e misi piede nel parcheggio, l'unica cosa che riuscii a vedere era una folla di studenti accalcati davanti al muro est della nostra scuola. Sembrava di essere a un concerto rock, solo che la gente, invece di far ondeggiare gli accendini sulle note di una ballad con la chitarra elettrica, scattava foto con il cellulare e pian piano avanzava, nel bel mezzo di un brusio generale.

    Mi aspettavo di trovare i soliti seicento zombie che, in silenzio e ancora mezzi addormentati, si trascinavano verso l'entrata con gli zaini sgualciti e il muso lungo fino ai piedi perché erano dovuti tornare nei corridoi del Liceo Cleary, dopo due settimane di vacanza. E invece non erano né intontiti né amareggiati, anzi erano pieni di un'energia strana, contagiosa. Per un attimo pensai che l'intera scuola fosse andata da Caffè al Volo e avesse ordinato un caffè triplo. Era l'unica spiegazione plausibile a quei sorrisi e a quei gridolini che si sentivano.

    Provai a cercare Lan, la mia migliore amica, ma era praticamente impossibile trovarla in mezzo a quella ressa. Erano tutti ammassati nello stesso punto, tra le macchine parcheggiate e le siepi di tuia. Mi suonò il cellulare, appoggiai lo zaino per terra e lo tirai fuori.

    «Kate, dove sei?» era Lan.

    «Sono appena arrivata. Non ti vedo.»

    «Guarda verso le porte sul retro.»

    Mi girai e vidi una mano che mi salutava da dietro un gruppo di teste con il cappello. «Arrivo.»

    Pian piano e a fatica mi feci strada tra la folla. Erano tutti fermi immobili. Alcuni parlavano al telefono, altri si tiravano su a vicenda per guardare verso il muro. Un ragazzo provò a salire sul tetto di una macchina e fece scattare l'allarme, il suono era assordante.

    «Speriamo che ne valga la pena, almeno» borbottai. Tutte le volte che mi ritrovavo in mezzo a così tante persone, mi sembrava di far parte di una mandria di mucche. La cosa positiva, però, era che potevo mimetizzarmi.

    «Kate! Sono qui!»

    Finalmente raggiunsi Lan. Riuscivo sempre a trovarla in mezzo a tanta gente. Era la sola ragazza vietnamita della scuola (e, se è per questo, anche di tutta Cleary, in South Carolina) ed era molto carina: aveva i capelli lunghi, di un nero splendente, e li teneva sempre legati in una grossa treccia che le scendeva lungo la schiena. La verità è che Lan aveva uno stile che la rendeva speciale. Aveva anche il nome interessante. Significava orchidea in vietnamita e per essere sicura che la gente lo sapesse, Lan collezionava tutte le cose a forma di orchidea: dalle spille gioiello fatte da lei, molto carine e che portava sempre, alle orchidee che teneva nei vasetti di ceramica in camera sua, tutte di colori diversi.

    Lan, a differenza di me, era stravagante di natura; io ero una ragazza come tante altre, non avevo niente di speciale. Capelli castani, occhi marrone. Avevo persino il nome come tanti altri. A volte desideravo avere un po' della personalità unica di Lan, ma la verità era che preferivo rimanere in disparte. Mi piaceva stare dietro le quinte a guardare le persone da lontano. Forse è per questo che io e Lan eravamo migliori amiche: ci compensavamo.

    La abbracciai. «Che bello vederti.»

    Mi abbracciò anche lei. «Mi sei mancata» disse.

    Non ci vedevamo da quando era iniziata la pausa invernale. Lan era andata in Florida con suo padre e io ero rimasta stravaccata sul divano a farmi una maratona di reality e a sfondarmi di carboidrati. Ci mandavamo e-mail e sms, ma non pensavo che la mia migliore amica mi sarebbe mancata così tanto.

    Mi misi in punta di piedi per cercare di vedere il muro. «Cosa dobbiamo guardare?»

    Mi sorrise con aria misteriosa. «Vedrai.»

    «C'è troppa gente» mi lamentai.

    All'improvviso la folla si aprì e finalmente riuscii a capire il motivo di tutta quell'eccitazione. Quando lo vidi, mi uscì un mezzo sorriso. Poi cercai mio padre con lo sguardo. Non appena lo avesse scoperto, si sarebbe fiondato qui a sirene spiegate. Ma non lo vedevo e quindi tornai a guardare il muro. Sul cemento scolorito qualcuno aveva disegnato sei enormi gorilla neri.

    «Sono bellissimi, vero? A Carter verrà un colpo.»

    Sì, anche secondo me al preside Carter sarebbe venuto un colpo. Non erano i soliti graffiti appena abbozzati. Questi gorilla sembravano veri, erano ombreggiati e avevano lo sguardo serio. Erano seduti e ci guardavano con i loro enormi occhi pallidi. Ogni gorilla era alto poco più di un metro e quello in mezzo aveva una nuvoletta sopra la testa che diceva: Benvenuti nella giungla.

    «Ci saranno volute ore per farlo» dissi. «Chi è stato?»

    Era una domanda stupida. Lo sapevano già tutti.

    Lan mi fece un cenno con la testa. «Indovina un po'.»

    Mi girai e vidi Trent, in disparte, che filmava le persone e sorrideva. Era facile riconoscerlo, perché era il più alto della scuola. Trent Adams, la star dell'ultimo anno e il numero uno degli scherzi. All'inizio del primo anno aveva liberato venti polli dentro la mensa in segno di protesta contro i nuggets. Al secondo anno era entrato a scuola di nascosto e aveva portato fuori tutti i mobili dall'ufficio del preside. Aveva preso la scrivania, gli schedari, le sedie e le piante, li aveva portati in mezzo al parcheggio, ridisponendoli nello stesso modo. Quello scherzo era passato alla storia, ne avevano parlato sia alla TV locale sia sui giornali. Al terzo anno, aveva smesso di parlare e aveva iniziato a dire qualsiasi cosa cantando. Poche persone al mondo sono in grado di rimanere i più fichi della scuola pur passando le loro giornate a cantare, ma Trent ci era riuscito senza problemi.

    Un gruppetto di ragazzi si era riunito intorno a Trent. Li conoscevo quasi tutti: Brady Barber ed Eli James, per esempio. Loro non passavano inosservati. Giravano insieme e si vestivano anche nello stesso modo: pantaloni larghi, neri, maglietta bianca con il colletto, felpa nera col cappuccio. C'era anche Reva Alcott vicino a Trent, era vestita con degli abiti aderenti e aveva l'aria annoiata.

    «Cioè, volevo dire, come ha fatto Trent a farli?» I disegni erano impeccabili, come se li avesse fatti un professionista. Erano talmente perfetti che sembravano disegnati con il laser. Anzi, era come se avessero fatto sei copie dello stesso gorilla, perché erano tutti identici. Di certo non l'avevano fatto a mano libera, pensai. Ma non era neanche possibile che Trent si fosse procurato tutta l'attrezzatura tecnica che, secondo me, serviva per fare una cosa del genere.

    «È un genio» disse Lan. «Non lo so come ha fatto.» Lo cercò con lo sguardo in mezzo alle altre persone. A Lan era sempre piaciuto Trent. Ogni tanto ci aveva anche provato, ma poi la cosa era sempre finita lì.

    Tirai fuori dallo zaino la macchina fotografica che i miei genitori mi avevano regalato per Natale. La accesi e iniziai a fare più foto che potevo, consapevole che in alcune, oltre al muro, avrei preso anche le teste delle persone.

    «Forse è meglio se andiamo, adesso» disse Lan a bassa voce.

    Nel parcheggio si era fermata una macchina della polizia. Uscirono due agenti e i ragazzi iniziarono subito ad allontanarsi. Uno dei due mi vide, sorrise e fece un cenno con la testa. Io gli risposi, poi Lan mi spinse verso l'entrata.

    Mancava ancora qualche minuto al suono della campanella, ma eravamo già nella sala comune quindi potevamo prendercela con calma. Quando avevamo letto il nuovo orario, io e Lan eravamo felicissime di fare storia insieme. Eravamo migliori amiche sin dal primo anno e non avevamo mai avuto lezione insieme, quindi dovevamo festeggiare. E, come se non bastasse, storia era la mia materia preferita. Il professor Gildea aveva un modo di insegnare molto divertente e poi, con gli occhi castani e quel sorriso ironico, non era proprio niente male.

    «Mi darai una mano, vero?» mi chiese Lan mentre ci sedevamo in due banchi in mezzo alla classe. Lei odiava storia. Io la aiutavo sempre con le ricerche e lei, in cambio, mi dava una mano durante i laboratori di scienze.

    «Sarà un corso bellissimo» le dissi. «Ce l'ho avuto l'anno scorso, Gildea. È fantastico.»

    «Hai detto la stessa cosa di francese, ti ricordi?» borbottò Lan.

    «Non ho usato la parola fantastico.»

    «No, hai detto très magnifique. E non era vero. Alla fine ho anche preso C.»

    Cercai una penna nello zaino e in automatico ne presi una anche per Lan, visto che se la dimenticava sempre.

    «Oh, bene, guarda un po' chi ci degna della sua presenza» disse Lan, a voce bassa. Alzai lo sguardo e vidi Tiffany Werner che faceva la sua entrata trionfale in classe, parlava al telefono che aveva una cover ricoperta di brillantini.

    «Coprono tutto il muro» diceva. «Non si vede più. Non verrà più via, figuriamoci. Be', certo. Sì.»

    Tiffany Werner era la ragazza più viziata che avessi mai conosciuto. Ogni scusa era buona per vestirsi di azzurro Tiffany, il suo colore preferito. I suoi genitori l'avevano chiamata così in onore del famoso gioielliere, e a lei piaceva moltissimo farlo notare alla gente, cosa che per me era molto strana. Se i miei genitori mi avessero dato il nome di un negozio, anche di lusso, non sarei di certo andata in giro a vantarmene. Aveva un anello Tiffany con i diamanti e quindi, automaticamente, credeva di essere un'esperta di gioielli. Non si faceva problemi a prendere il polso di qualcuno per ispezionare un braccialetto, un anello o un orologio e poi scoppiare a ridere dicendo che era falso. Una volta lo fece anche con una professoressa. Tiffany aveva il potere di conquistare un'intera classe e di essere sempre al centro dell'attenzione, era una cosa che odiavo.

    Si sedette in prima fila, consapevole che la stavamo ascoltando tutti. «La polizia è già arrivata» disse, e subito vidi che qualcuno si girò verso di me. Feci finta di guardare il mio quaderno, ancora intonso. «Trent è in presidenza, lo stanno interrogando.»

    Dopo questa frase i miei compagni iniziarono a mormorare tra di loro. Suonò la campanella e Tiffany chiuse la telefonata in fretta, prima che entrasse il professor Gildea. Era uno dei pochi insegnanti che non ci pensava due volte a ritirare un telefono. Girava voce che l'ultimo cassetto della sua scrivania fosse pieno zeppo di cellulari, io non ci credevo. In ogni caso nessuno voleva rischiare.

    «Buongiorno» disse avvicinandosi al leggio. «Tutto bene nella giungla, stamattina?»

    Scoppiammo a ridere. Il professor Gildea riusciva a essere divertente, forse perché era ancora giovane. Aveva sempre dei pantaloni cachi e la cravatta di colori accesi. Questa volta era verde a righine arancioni.

    «Professore, Trent verrà espulso per aver danneggiato la proprietà scolastica?»

    Tutti spostarono lo sguardo da Tiffany, l'autrice della domanda, a Gildea, che stava guardando il foglio delle presenze.

    «Un attimo, signorina Werner.» Ci passò in rassegna e, dopo aver controllato l'elenco, mise giù la penna.

    «Mi dica, qual era la sua domanda?»

    Tiffany fece un sospiro e la ripeté.

    «Non lo so» disse, «ma sono certo che prima di mezzogiorno ci arriverà qualche voce di corridoio.»

    «Non possono sospenderlo» disse Brady Barber. Era stravaccato all'ultimo banco, in fondo alla classe. «Non hanno le prove.»

    «Ma smettila» disse Tiffany. «Lo sappiamo benissimo che è stato lui.»

    «E allora?» Brady si era tirato su. «Non sto dicendo che sia stato lui, ma anche se fosse? È arte. Non si sospende una persona solo perché ha usato l'arte per esprimersi.»

    «Questa non è arte. Questo si chiama danneggiamento della proprietà pubblica, ed è un reato.»

    «Quel muro era già rovinato, te lo ricordi? È un anno che è pieno di strisce di catrame, da quando hanno rifatto il tetto.»

    Tiffany sospirò. «Quello è stato un incidente, Brady. Non un atto vandalico.»

    «Era comunque brutto.»

    «Anche i gorilla lo sono.»

    Il professor Gildea alzò la mano. «Mi sembra di capire che ci sono opinioni diverse» disse con un sorrisino. A lui piacevano le discussioni costruttive. «Avete entrambi le vostre ragioni. Esiste una linea che divide l'arte dai vandalismi?»

    Ci disse che gli archeologi avevano scoperto i primi graffiti in mezzo alle rovine romane e che quindi, in un certo senso, erano tra le prime forme di arte mai conosciute. Tiffany pensava che Gildea fosse dalla parte di Brady.

    «L'arte appartiene ai musei, non imbratta i muri» disse con voce seria. Tutta la classe iniziò a discutere e io ero contenta che quasi nessuno fosse d'accordo con lei. Avrei voluto partecipare e dire la mia, ma non mi veniva in mente niente di sensato. Non ero come Tiffany, lei riusciva a sintetizzare in una frase tutto quello che pensava. E non ero neanche come Brady, che riusciva sempre a tirar fuori quell'idea a cui nessuno aveva ancora pensato. Una parte di me avrebbe voluto essere brava in queste cose, ma l'altra parte sapeva che dire la mia opinione a voce alta mi avrebbe senz'altro sottoposto al giudizio degli altri, e potevo tranquillamente farne a meno.

    Il professor Gildea li lasciò discutere per un po', poi ci distribuì i libri.

    «Credo che una lezione non basti per arrivare a una conclusione» disse appena prima che suonasse la campanella. «Ne riparleremo domani. Il compito di oggi è semplice: date una definizione di arte. Trecento parole.»

    Tutti si lamentarono e Tiffany sbuffò: «Ma non c'entra niente con storia».

    Il professor Gildea sorrise. «Al contrario. L'arte è il riflesso della storia. E la classe oggi deve ringraziare lei, signorina Werner. Non avevo in programma di darvi compiti, ma siccome ha sollevato una questione interessante, mi sembra giusto portarla avanti.»

    Quasi tutti i miei compagni si girarono verso Tiffany, io invece sghignazzai e Lan mi diede una bottarella con il gomito. Se Tiffany aveva pensato di tenere la lezione al posto del professor Gildea, si era sbagliata di grosso.

    La campanella suonò e io presi le mie cose. Mentre passavo tra i banchi, inciampai sul piede di Tiffany.

    «Guarda dove vai» ringhiò, fulminandomi con lo sguardo.

    «Scusa» farfugliai, ma subito dopo mi sentii stupida. Perché mi stavo scusando? Era lei che aveva le gambe in mezzo.

    Il resto della giornata filò liscio. L'intera scuola parlava dei gorilla. Trent non si vide a pranzo e tutti pensavano che l'avessero sospeso.

    «Che strano» disse Lan quando ci ritrovammo davanti ai nostri armadietti, prima di uscire. «Nessuno sa cosa sta succedendo. Nessuno.»

    Mi infilai la giacca. «Ci penso io.»

    «Lo chiedi a tuo padre?»

    «Farò di meglio» dissi. «Lo chiedo

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