Ossessione, no passione
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Anteprima del libro
Ossessione, no passione - Marina Macaluso
633/1941.
1
The End
The Doors
Si avverte la presenza di una persona nella stanza.
Sdraiata sulla poltrona, si sta per svegliare.
Apre gli occhi e si guarda in giro.
Non conosce il divano.
La casa non è la sua.
Si alza e si avvia verso un enorme specchio.
Si guarda dentro agli occhi. L’iride è colorata di rosso.
Si guarda intorno e si accorge delle macchie rosse che si trovano dappertutto.
Liquido rosso ovunque.
Pomodoro? Tinta? No, è sangue. Tanto sangue ovunque.
C’è una luce verde che si accende e si spegne sullo stereo. Il led luminoso è del tasto "pause" che ha un’impronta rossa stampata.
Sembra fresca.
Preme il pulsante.
Parte una canzone messa in pausa al minuto 2:13. Una musica dal vivo ad alto volume riempie la stanza.
La mano si posa sul suo ventre e un sorriso si stampa sul suo volto.
È il momento di lasciare quel luogo per sempre.
La mano nuda si chiude la porta alle spalle.
Per strada i suoi passi diventano sempre più frettolosi.
Le prime urla escono dalla sua bocca e chiedono aiuto.
Le luci delle finestre circostanti si accendono. Il primo vicino esce per strada mentre si aggancia la cintura dei pantaloni.
Il sangue raggiunge la sua mente sempre più con difficoltà, la vista inizia ad annebbiarsi.
Tra i vari singhiozzi riesce a dire:
- È tutto rosso, aiuto! Vi prego aiutatemi!
Poi il buio e il calore dell’asfalto grigio accolgono la sua figura come un abbraccio tra due corpi che si amano reciprocamente…
2
It’s Probably Me
Sting
Luana si trovava sulla sedia con lo schienale comprata proprio per l’occasione.
Sapeva di dover passare molto tempo davanti al PC e preferiva preservare la schiena per un futuro migliore.
Il cellulare si trovava al suo posto ed era spento.
Era stata la psicologa a consigliarle di dedicare del tempo a scrivere i suoi pensieri su di un quaderno. Lei diceva che così facendo avrebbe avuto modo di distrarsi e di non pensare alla brutta situazione che la circondava.
- Siamo nel 2006, ma quale quaderno? Io apro un blog anonimo su Internet!
Sperava veramente di riuscire a trovare un po’ di serenità grazie a quel trucco.
Si augurava anche di poter scoprire il motivo che l’aveva portata a vivere sempre con l’ansia cucita sopra la sua pelle. Non appena sul display apparve la pagina bianca di Word, le sue dita iniziarono a premere i tasti e apparvero subito delle frasi di senso compiuto.
"Sono nata a Viareggio trent’anni fa. Era estate e le spiagge erano già affollate di turisti mentre mia mamma soffriva le pene dell’inferno per darmi alla luce. Il sole splendeva alto in cielo. Era proprio una bella giornata. Io però non posso ricordare.
Sono stata una neonata tranquilla che dormiva, mangiava e cresceva. Non credo di aver dato troppi problemi ai miei, anzi, direi che semmai sono stati loro a darli a me. Mio padre era malato ed è scomparso quando ero molto piccola. L’immagine di lui che conservo nella mente lo ritrae sdraiato a letto con una fascia bianca bagnata in testa. Ancora oggi non so quale malattia lo abbia portato via. Mi sono fatta un’idea. Secondo me soffriva di depressione cronica. Un giorno, quando avevo circa sei anni, mia mamma aveva le lacrime agli occhi e mi ordinò di andare in camera del babbo a dargli un bacio in fronte. Aggiunse che non dovevo preoccuparmi se dormiva. Dovevo farlo e basta. Solitamente era proibito entrare in quella stanza sempre buia. Trovavo assurda quella richiesta ma feci come mi avevano ordinato. Ero così intimorita quando entrai e cercai di fare meno rumore possibile mentre mi avvicinavo a lui. Era come al solito sdraiato e, come aveva previsto la mamma, stava dormendo. Aveva qualche filo grigio tra i capelli. Finalmente potevo vederli. La fascia bianca non c’era. L’atmosfera era cupa e sembrava fosse in corso una lotta tra il sole che voleva entrare e le imposte della finestra che invece volevano farlo rimanere fuori. Notai, inoltre, un odore insolito che mi sembrò simile a quello che c’era nella chiesa che frequentavamo la domenica. Un miscuglio tra quello di fiori secchi e candele accese da troppi giorni e lasciate morire dal tempo. Ero vicina al volto di mio padre. Avevano cambiato da poco le lenzuola, anzi sembravano appena state messe. Erano dorate e quel colore risplendeva sul suo volto pallido. Di solito c’era un macchinario accanto al letto che veniva utilizzato da un’infermiera che prestava le cure al babbo.
Non c’era più.
C’era un silenzio innaturale. Non riuscivo neanche a sentire gli uccellini che cantavano fuori dalla finestra. Avvertii una spiacevole sensazione e non volli baciare mio padre. Mi sembrava di fare qualcosa di brutto e poi rischiavo di svegliarlo.
Per la prima volta mi sembrava di scorgere un sorriso sul suo volto.
Decisi allora di pregare e chiesi a Gesù Bambino di fare in modo che mio padre potesse continuare ad essere così sorridente per tutta la vita.
Dopo gli accarezzai la fronte e lasciai la stanza senza mai guardarmi alle spalle. Dovetti passare i giorni seguenti a casa di mia zia e quando tornai in casa di mio padre non c’era neanche l’ombra.
Non era rimasto niente di quella malattia disordinata, di medicine sparse in ogni piano e c’era silenzio. Nessun ticchettio di nessun macchinario bianco.
Qualche anno più tardi fu mio fratello Roberto, più grande di me di due anni, ad occupare quelle quattro pareti. Il mio eroe. Adoravo mio fratello e tutt’ora provo per lui un sentimento che va oltre l’amore. Per me è stato come una madre e soprattutto non mi ha mai fatto mancare una