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Alzheimer - L'Epidemia Silenziosa: Come prevenire e curare la demenza
Alzheimer - L'Epidemia Silenziosa: Come prevenire e curare la demenza
Alzheimer - L'Epidemia Silenziosa: Come prevenire e curare la demenza
E-book248 pagine2 ore

Alzheimer - L'Epidemia Silenziosa: Come prevenire e curare la demenza

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Info su questo ebook

Il cervello è l’organo più enigmatico e complesso dell’universo, e forse proprio per questo, è l’unico del corpo umano il cui funzionamento ancora sfugge alla nostra comprensione.

Le cifre che lo descrivono sono a dir poco astronomiche: in un volume di 1.500 centimetri cubi, si racchiudono 100.000 milioni di neuroni che utilizzano fino a 19.000 dei 30.000 geni che compongono il genoma umano. I neuroni si collegano tra loro formando un miliardo di connessioni per ogni millimetro cubo di corteccia cerebrale. Per non parlare delle cellule gliali di supporto che sono addirittura dieci volte tanto.

Eppure questa splendida macchina può andare incontro a declino cognitivo e demenza, tra cui il morbo di Alzheimer, la più diffusa patologia sopra una certa età.

I malati di Alzheimer al mondo sono 47 milioni e questa cifra è destinata a raddoppiare ogni 20 anni.

Quali sono le cause di questa subdola malattia che lentamente cancella la coscienza? È possibile prevenirla e/o curarla? A rispondere a queste domande, una quindicina tra medici e ricercatori, che oltre a dare la loro interpretazione, propongono interessanti strumenti di intervento e percorsi terapeutici.

Con questo libro scoprirai:
  • Quali potrebbero essere le cause scatenanti della demenza?
  • Come poter intervenire preventivamente I più interessanti percorsi terapeutici naturali
  • E molto altro ancora...
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita12 lug 2021
ISBN9788833800684
Alzheimer - L'Epidemia Silenziosa: Come prevenire e curare la demenza

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    Anteprima del libro

    Alzheimer - L'Epidemia Silenziosa - Marcello Pamio

    coveralz.png

    Marcello Pamio

    ISBN 979-12-5528-112-2

    ©2022 One Books

    Prima edizione: Ottobre 2019

    Tutti i diritti sono riservati

    Ogni riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo, deve essere preventivamente autorizzata dall’Editore.

    Copertina: Monica Farinella

    Realizzazione versione e-book: Rosso China servizi editoriali

    Editing: Andrea Cogerino, Davide Barberis 

    Per essere informato sulle novità

    di Uno Editori visita:

    www.onebooks.it

    o scrivi a:

    info@onebooks.it

    Marcello Pamio

    Alzheimer

    L’Epidemia silenziosa

    COME PREVENIRE E CURARE LA DEMENZA

    Dedico questo libro a mia mamma Miranda,

    nella speranza che il vuoto rimasto

    dopo il passaggio del tornado chiamato Alzheimer non sia stato invano, ma, anzi, venga riempito

    da meravigliose storie di guarigione!

    Prima parte

    Prefazione

    di Ivano Spano

    La perdita di memoria (ovvero parlare dell’Alzheimer senza parlare di Alzheimer)

    L’Alzheimer, più che una patologia, potrebbe essere interpretato come una sorta di meccanismo – seppur drammatico – di difesa.

    Questo, non riducendo l’analisi del problema alla sola descrizione della sua sintomatologia e delle sue manifestazioni, quanto recuperando i significati che si celano in esso.

    Riflessioni sulla situazione attuale

    L’attuale sviluppo della società e le rapide trasformazioni in atto a tutti i livelli hanno come risultato una modificazione sostanziale del dato demografico caratterizzato da un contenimento delle nascite a fronte di un considerevole e stabile incremento della popolazione anziana.

    Le esperienze di vita che caratterizzavano le diverse anzianità si stanno progressivamente riducendo.

    L’anziano con più di 75 anni, nato tra le due grandi guerre del secolo scorso, presenta una storia di vita che volge, ormai, al tramonto. Queste sono persone che hanno vissuto una guerra mondiale, la crisi economica e la ricostruzione, l’immigrazione o il duro lavoro che ha caratterizzato tutta la loro esistenza, hanno goduto poco della crescita economica e di nuovi bisogni sociali quali la scolarizzazione superiore e lo sviluppo di bisogni culturali, hanno fatto di alcuni valori il loro caposaldo (lavoro, risparmio, famiglia, figli).

    Quelli nati durante o subito dopo la seconda guerra mondiale hanno potuto usufruire in maniera più soddisfacente della crescita economica, dello sviluppo dei consumi sociali (compresi quelli culturali), hanno partecipato come protagonisti alle modificazioni istituzionali e pubbliche, hanno raggiunto livelli discreti di istruzione e, così pure, discrete e buone condizioni economiche godendo maggiormente dei benefici del loro lavoro e anche della riduzione del tempo di lavoro stesso, soddisfacendo nuovi bisogni sociali, culturali e del tempo libero in contesti relazionali, raggiungendo, in generale, un buono stato di salute. Non a caso questi anziani sono tuttora esponenti della classe che detiene le leve del governo pubblico e dell’impresa privata.

    Gli anziani, quelli dei primi due decenni del duemila, hanno, fin qui, goduto di condizioni socio-economiche variabili, con un aumento del benessere ma anche della precarietà, con l’estensione di processi di insicurezza sociale e personale in contesti di disagio diffuso (perdita di identità, comportamenti di fuga, massificazione, globalizzazione, perdita dei legami sociali…). Hanno vissuto, quindi, un arretramento della società del benessere, crisi istituzionali ripetute, politiche radicali, nonché l’internazionalizzazione di fenomeni di destabilizzazione.

    Ora, l’incremento della qualità della vita è caratterizzato da un aumento del benessere psico-fisico e materiale, da un aumento dei livelli di istruzione ma anche da una grande mobilità in ambito lavorativo, da una pesante e persistente precarietà, dall’insicurezza del dopo lavoro grazie all’involuzione del sistema pensionistico, dall’impoverimento dei valori della famiglia, della genitorialità, delle pubbliche istituzioni con una caduta del sentimento pubblico, con l’aumento della solitudine del cosiddetto uomo globale, la perdita dei significati della comunità nonché, a livello fisico, delle difese immunitarie con l’esposizione a tutti i possibili virus.

    D’altra parte il processo biologico di invecchiamento è un processo lungo che permette, attraverso la dinamica evolutiva, di mettere a punto meccanismi di equilibri rispetto a quelle modificazioni ambientali interpretabili come insidie capaci di limitare la vita.

    Parlare di invecchiamento biologico può dare l’impressione che ci si occupi di aspetti non solo inevitabili ma anche immodificabili nella storia psicofisica dei diversi soggetti: una commedia il cui copione è stato scritto una volta per tutte nel cuore della cellula.

    Questa visione deterministica della vecchiaia è il riflesso del sentimento di rifiuto della vecchiaia stessa e di una sua valutazione negativa.

    Così, gli anziani non guariscono, i decadimenti non sono prevedibili, le disabilità non riabilitabili e le patologie, inevitabilmente, si cronicizzano.

    L’assistenza fagocita la cura e l’esistenza. Abbiamo, in definitiva, medicalizzato la vita.

    Così, la biografia è ridotta a biologia.

    Il tentativo attuale della medicina di far fronte alla complessità della vita sembra ancora quello di indulgere all’obbiettivo di spiegare tutto, negando la complessità stessa di ciò che c’è da spiegare. Di fatto, quello che la medicina non riesce a spiegare sembra non venir considerato come problema. Le individualità, le differenze, le anomalie vengono considerate come patologie da ricondurre alla normalità.

    Così, il vecchio non è una creazione originale del rapporto fra biologia e tempo, ma finisce per essere considerato un malato e per ricevere risposte esclusivamente assistenziali.

    Di contro, l’invecchiamento non deve essere concepito come un processo che porta con traiettoria lineare verso la morte ma come un processo ricco di tendenze costruttive e ricostruttive. Non a caso i vecchi sono i più disponibili al cambiamento.

    Si rende necessario, quindi, uscire da una visione riduzionista, biomedica della vecchiaia (organo-funzione) e valutare ogni modificazione in relazione a tutto l’ambiente di riferimento. In altre parole è necessario recuperare l’unità psico-fisica del soggetto, nonché tutte le sue capacità e attività espressive.

    Un anziano, quindi, non passivo-dipendente ma attivo, autopoietico sensibile alla qualità dell’esistenza, alla qualità della vita, mosso da sentimenti di appartenenza, di condivisione, nella convinzione di avere la possibilità di costruire realmente la propria esistenza.

    Questo rappresenta il cammino che porta alla stessa idea costruttivista della salute.

    Oggi, l’organizzazione della salute significa la possibilità – necessità di creare il sentimento di benessere, dove ognuno è autore, co-autore della propria salute, del proprio benessere soggettivo.

    La salute non si configura più come un bisogno ma è un’opzione, una scelta, una costruzione individuale e collettiva, a un tempo.

    Si tratta, quindi, di desanitarizzare l’idea stessa di salute, passando da una visione medico-sanitaria ed economico-assicurativa di vita, intesa come sinonimo di quantità e longevità, a una visione psicologico-edonistica e soggettiva della vita.

    Passare, cioè, dal combattere, curare, guarire il malessere, all’insegnare, pensare e imparare il benessere, dalla salute come vittoria alla salute come condivisione e costruzione.

    Il grande filosofo del diritto Noberto Bobbio, che si considerava appartenente ormai a quella categoria dei très âgés, affermava come «il tempo vuoto dell’anziano è la morte precoce» nella nostra epoca.

    Oggi, il tempo vuoto dell’anziano è la condizione di un io che vede un me la cui proiezione nel mondo si fa sempre più difficile. L’anziano sperimenta la consapevolezza di aver avuto del tempo dietro di sé e vive, ogni giorno, la negazione della dimensione spazio-temporale: non c’è più progetto, non c’è più alcuna proiezione.

    In questo contesto, la coscienza di esserci diventa consapevolezza della possibilità di non esserci, della morte.

    Il filosofo Martin Heidegger parla di spaesamento, uno stare nel mondo «senza sentirsi a casa propria».

    Il non sentirsi a casa propria è il nome proprio della paura di vivere, dell’angoscia e della solitudine. Per evitare, a volte, questa paura, la morte, l’anziano finisce per evitare la vita stessa, ridurre la complessità e la contraddittorietà dell’esistenza entro un’unica dimensione, quella della sopravvivenza, della routine (adesione puntigliosa alle incombenze della vita quotidiana dove tutto è rigidamente stabilito, ordinato senza l’onere di fermarsi a pensare), della dipendenza da particolari comportamenti e relazioni.

    Per l’anziano è un reale dramma non essere più oggetto di identificazione per gli altri e, questo, anche all’interno della rete dei rapporti sociali e affettivi, mettendo in crisi lo stesso sentimento di accettazione di sé.

    È questo un reale processo di oggettivazione che rappresenta per l’anziano una netta chiusura all’espressione del suo bi/sogno più profondo, cioè alla necessità di essere riconosciuto come una persona che sente, che desidera, che chiede e che avrebbe, per sua natura, accesso ai molteplici significati del mondo e dell’esistenza.

    Così, nel mentre la società si riproduce esaltando astrattamente l’individuo, il soggetto tende, progressivamente, a scomparire.

    Che sindrome possiamo definire per questa società che nega la pienezza del soggetto e le possibilità della sua completa realizzazione? Si può dire che la società ha perso la memoria e, con essa, la mente (cfr. R. Jacobi, L’amnesia sociale).

    Soffriamo di amnesia sociale: la memoria è portata fuori dalla mente grazie alle dinamiche sociali ed economiche di questa società. Ciò si produce facendo apparire i rapporti umani e sociali come rapporti naturali, dati, come immutabili rapporti tra cose.

    L’amnesia sociale, quindi, è un processo di cancellazione del ricordo e di rimozione di quella attività umana (la Storia) che ha fatto, che fa e può rifare (trasformare) la società.

    È in questo contesto che fa il suo apparire quella che viene definita la malattia di Alzheimer.

    Patologia neurologica che viene considerata la principale forma di demenza che esordisce, tendenzialmente, nella terza età. Si manifesta con la perdita tendenzialmente graduale e progressiva della memoria, delle facoltà intellettive e, nelle ultime fasi, anche del controllo delle funzioni fisiologiche.

    Il decorso, allo stato attuale, è dato per infausto. Le cause organiche non sono note. Sembra esserci, comunque, una predisposizione genetica e una frequente associazione con una forte depressione, non risolta, tra i 50 e i 65 anni.

    Nell’Alzheimer la perdita dei neuroni della corteccia cerebrale e il conseguente non riconoscere e non ricordare, sono in stretta analogia del vuoto che, sul piano psichico, viene a determinarsi con l’insorgere di depressioni gravi. Vi è, comunque, una differenza particolarmente significativa: nella crisi depressiva a essere colpiti sono i neurotrasmettitori, cioè i prodotti del neurone, che tuttavia possono essere ripristinati con il superamento dello stato depressivo. Nell’Alzheimer, invece, è proprio il neurone a essere compromesso e, quindi, a far venire meno la produzione degli impulsi elettrici. Un attacco, quindi, definito irreversibile, al cervello, al centro di comando delle funzioni vitali e, quindi, l’impossibilità presunta di non poter uscire da quelle condizioni che determinano l’Alzheimer stesso.

    Il 7 aprile 2017 è stata resa nota la scoperta che

    «l’origine dell’Alzheimer: non è nell’area del cervello associata alla memoria che va cercato il responsabile del morbo. All’origine della malattia ci sarebbe, invece, la morte dei neuroni nell’area collegata anche ai disturbi dell’umore».

    Il protagonista di questa scoperta è il professor Marcello D’Amelio dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.

    Il fatto, quindi, che un’alta percentuale di casi di Alzheimer venga anticipata da una o più depressioni prolungate fa pensare che tale patologia possa costituirne la fase finale della depressione stessa, ossia il modo attraverso cui la depressione drammaticamente si risolve con l’eliminazione dell’organo pensante. Del resto, la perdita di memoria richiama il processo di rimozione, cioè la strategia psichica per cui un ricordo doloroso viene estromesso dal piano della coscienza.

    In effetti, nelle biografie di chi soffre di Alzheimer appaiono due aspetti centrali: le sofferenze che hanno segnato in profondità la persona e un cumulo di ricordi che hanno perso di significato, di senso e che, quindi, devono essere spazzati dalla mente. L’obiezione verso questa considerazione potrebbe essere quella per cui molti soggetti, pur avendo fatto esperienza di queste forme di disagio, non incorrono, come conseguenza, nella patologia d’Alzheimer.

    Un fattore importante per giustificare questa differenza, al di là della predisposizione genetica presunta, sembra consistere nella incapacità, per motivi ambientali e culturali, di affidarsi alla dimenticanza e all’oblio come medicina contro i ricordi spiacevoli e dolorosi o privi di significato. È, questa, una dimenticanza intesa come un andare oltre, come il non rimanere nel ricordo e attivare un atteggiamento capace di transitare dalla conservazione (del ricordo) alla sua trasformazione.

    Come già considerato, le condizioni favorevoli all’espansione dell’Alzheimer posso essere sintetizzate in:

    la tendenza della società contemporanea a rimuovere la storia (l’amnesia sociale), a separare il soggetto dalle sue radici, dalle sue origini, dai molteplici significati della sua esistenza, ingessandolo nel qui e ora, nell’attualità, nel tempo reale;

    la perdita dell’identità e della funzione storica dell’anziano rimosso socialmente e culturalmente da quella ideologia della società giovane e vincente che ripone, malauguratamente, nel fare e non nell’essere i suoi fondamenti e i suoi significati. Qui, l’anziano, non è più il senex, il saggio testimone dell’esperienza umana e della storia ma, al più, produttore di una questione, quella anziana, come problema e carico sociale;

    l’inflazione dei messaggi veicolati da un’informazione massiccia e invasiva che utilizza potenti mezzi di comunicazione di massa, che vive e si legittima nel tempo reale (alta velocità) invecchiando giornalmente, uscendo dal tempo storico e dai ritmi naturali della vita, informazione sempre più caratterizzata dall’alta definizione del mezzo e dalla bassa definizione del messaggio. In questo contesto è la memoria tutta del soggetto a perdere di valore e di funzione attivando quella delega perversa al proprio personal computer.

    E se l’Alzheimer non fosse una patologia ma un meccanismo radicale di difesa?

    In conclusione, come già detto, nella realtà attuale l’uomo appare sempre meno in grado di essere la memoria di se stesso. Perciò i vecchi risultano essere fuori di scena quanto al loro significato della loro esperienza ma assumono, invece, realtà concreta nella loro oggettivazione sociale.

    Il prof. Mistura ha scritto¹:

    «Questo uomo che perde la memoria e che così impercettibilmente esce dalla sua storia, si adatta come una macchina che dolcemente funziona, senza far rumore, a un mondo che sopporta ormai solo risposte adeguate a stimoli ripetuti. Molte cose inducono ad accettare questa morte strisciante, ma in particolare tutto ciò che impedisce il restare vivo di immagini personali, di sogni, di storie concrete come fonte di umana progettualità».

    L’affermazione dell’anziano che valuta il suo stato di ex lavoratore come un giusto riposo o dell’anziana che considera il maggior tempo a disposizione come un tempo finalmente per sé non sono forse espressione dell’esigenza profonda di destituire di realtà e di significati il ritmo forsennato in cui tutto si svolge?

    Quindi: più esistenza, meno assistenza!

    Professor Ivano Spano

    Università degli Studi di Padova

    Segretario Generale

    Università Internazionale delle Nazioni Unite Per la Pace,

    Sede europea – Roma


    1 S. Mistura, Introduzione a U. Spagnoli, E divento sempre più vecchio – Jung, Freud, la psicologia del profondo e l’invecchiamento, Bollati Boringhieri, Torino 1995.

    Introduzione

    Che significato può avere la mia vita se non sono più utile agli altri?.

    Johann Wolfgang Goethe

    Perché scrivere un libro sull’Alzheimer? Forse perché si tratta di una delle patologie più tremende che l’uomo abbia mai conosciuto? Una patologia silente ma in grado di devastare non una persona, ma l’intera famiglia!

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