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Il cielo stellato nella mia stanza
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E-book312 pagine4 ore

Il cielo stellato nella mia stanza

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Info su questo ebook

Lorenzo lavora come psicologo in una scuola superiore e si dedica al suo impiego come a una missione, anche quando sa perfettamente che gli studenti si approfittano delle sue sedute per saltare qualche compito o interrogazione. È proprio in una di queste occasioni che conosce Tommaso: il ragazzo si presenta con un’amica e non dice quasi niente, se non qualche frase buttata lì ogni tanto che, però, incuriosisce subito Lorenzo. 
Il rapporto che nascerà tra i due abbatterà la barriera della formalità, fino a creare un legame tale che per entrambi sarà possibile imparare l’uno dall’altro e scoprire qualcosa di sé.

Classe 1991, nato e cresciuto nella periferia est di Roma, lì dove la vita scorre più velocemente. 
Sposato con l’amore di una vita e neopapà di un bambino meraviglioso.
Laureato in giurisprudenza all’Università di Roma Tre, abilitato all’esercizio della professione forense e con un Master in anticorruzione, da due anni lavora come funzionario al Ministero dell’Università e della Ricerca.
Nonostante i titoli, non è mai stato quello che si definisce “un topo da biblioteca”, anzi ha sempre pensato di poter imparare di più dalle persone piuttosto che dai grandi tomi.
Da ultimo, ma non per importanza, è un pazzo innamorato dell’A.S. Roma. Non va così spesso allo stadio, ma vede le partite rigorosamente sul divano con la famiglia, tutti seduti nel solito ordine, da destra a sinistra, che non può mai variare. 
Questo è il suo primo romanzo, scritto in ben sette anni, un viaggio dall’adolescenza alla maturità.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2022
ISBN9788830658868
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    Anteprima del libro

    Il cielo stellato nella mia stanza - Samuele Zagagnoni

    PREFAZIONE

    Nove marzo 2020. Discorso serale del Presidente del Consiglio che ci tiene attaccati davanti al televisore, tutti sullo stesso canale, con la stessa suspense. Non esistono più le c.d. zone rosse, appena instaurate in alcune regioni e comuni del nord. Sollievo? Macché, è solo un giochetto terminologico. Tutta l’Italia è in zona protetta. Che differenza c’è tra zona rossa e zona protetta? Nessuna. Non si può uscire. Punto. È inutile parlarne ancora.

    Ma dai, ti pare che non si possa uscire? E tutti i diritti costituzionalmente protetti? Quello al lavoro, quello alla libera circolazione sul territorio, quello di riunione, quello di associazione, quello di difesa in giudizio etc. come si concilia tutto questo con il fatto che non si possa uscire dalla propria abitazione?

    Non si concilia, si bilancia e basta. Il diritto alla salute, con il suo forte legame con il diritto alla vita, ora prevale su tutto, e ci mancherebbe. Detto questo, non si lavora in ufficio, non si prende il caffè al bar, non si vedono film al cinema, mostre, spettacoli teatrali, non si salta ad un concerto, non si fanno passeggiate in giro, non si rubano baci sotto il portone di casa dopo una serata di confidenze e sogni. Nulla. A Roma la Fontana di Trevi è vuota. Nessuno tira le monetine, riducendo al lumicino i desideri da esprimere. Eppure tutti hanno un desiderio comune: ritornare alla vita. Sì, la stessa vita di cui prima si lamentavano. La stessa che provavano a cambiare tirando una monetina a Fontana di Trevi.

    Con il desiderio che abbiamo in comune, tutto quello che abbiamo provato in passato assume un significato diverso. Stavamo vivendo un sogno come se fosse un incubo ed ora ci troviamo a vivere un incubo aggrappandoci a quello che prima non avevamo capito fosse un sogno.

    Riscoprire la bellezza della normalità, dei piccoli gesti, di una noiosa serata a casa di amici il sabato sera che, una volta finita, ripensavi a quando eri più giovane e quanto non ti saresti mai concesso di vivere una serata così. E ora ti manca. Anzi, ora, riparlando con il te adolescente, sei tu quello incazzato. Pensi che la sua mentalità mai doma non ti abbia permesso di capire l’importanza di quelle serate.

    Il virus ci ha tolto tutto. Soprattutto ci ha tolto la capacità di metterci nella condizione di essere vittime. Quando il dramma è comune nessuno può, veramente, fare la vittima con gli altri. C’è stato pure, sotto alcuni aspetti, un pareggio sociale. Del virus ha paura il ricco ed il povero. È vero che il ricco vive in una casa grande dieci volte quella di un comune cristiano, ma è altrettanto vero che la sua sensazione di vuoto rimane la stessa. Anzi, è superiore. Più grande è lo spazio e più si disperde l’intimità. L’unica cosa che ci è stata lasciata. L’intimità di stare con le nostre famiglie o, per chi vive da solo, di stare con sé stesso. Quella non solo non ce l’hanno tolta, ce l’hanno rafforzata.

    Da quel nove marzo fino a metà maggio, abbiamo vissuto in questo modo. Siamo diventati cantanti da balcone, pizzaioli improvvisati e bulli con le penne lisce. Ci siamo abituati alle conferenze stampa di un Presidente del Consiglio sempre più madido, al bollettino delle diciotto pieno di ansie, ai vari fenomeni che millantavano sul web la scoperta di cure non ancora esistenti, alle facce dei virologi in televisione che con alta professionalità (ma l’umanità di un paglierino) ci bombardavano di notizie sempre meno confortanti.

    In questo folle periodo, ho finito il mio libro. Un lavoro che ho iniziato sette anni fa al rientro da un viaggio a Valencia, nell’ormai lontano 2013. Sono convinto che senza fermarmi del tutto non sarei mai riuscito a concluderlo.

    Lorenzo e Tommaso non avrebbero mai visto il finale della loro storia.

    Capitolo 1

    Le storie più interessanti provengono proprio da coloro che non sono intenzionati a raccontarle.

    Come sempre era in anticipo. Aveva parcheggiato la sua indistruttibile Fiat 600 bianca nell’ampio parcheggio della scuola ed era pronto ad entrare per fare la solita colazione.

    L’istituto in cui lavorava Lorenzo, nella periferia est di Roma, dove la vita va a una velocità superiore, si riconosceva per il campo di calcetto esterno. Campo unico nel suo genere: quadrato e di cemento, roba che molti studenti si sono sbucciati le ginocchia peggio di una clementina. All’interno, invece, c’era un bar di piccole dimensioni ma dall’aspetto confortevole. La barista, signora Mirella, era una tipica donna romana di mezza età, piena di energia e con la cadenza dialettale ostentata con vanto.

    Er solito ‘caffè special’, dottò?

    Quante volte ti ho detto di chiamarmi Lorenzo? Comunque sì, il solito, buono come solo tu sai farlo disse Lorenzo sorridendo.

    Lorenzo era un uomo di trentadue anni, psicologo della scuola. In particolare, lavorava nel centro informazione e consulenza creato dall’istituto con l’obiettivo di prevenire il disagio giovanile e i comportamenti considerati a rischio.

    Non gli piaceva per niente essere chiamato dottore perché, oltre ad avere un buon rapporto con il suo nome, odiava la classificazione delle persone in base al titolo. Gli sembrava che così facendo si alimentasse solamente un tanto inutile quanto sterile classismo.

    Gli piaceva, invece, il caffè preparato dalla signora Mirella. Non era mai riuscito a spiegarsi come facesse quel caffè ad essere così delizioso solamente se veniva preparato da lei. O meglio, non riusciva proprio a comprendere l’incidenza della manualità nelle moderne macchinette del caffè. In ogni caso, era un dato di fatto che le colleghe della signora Mirella, con la stessa macchinetta, gli preparavano caffè di qualità decisamente inferiore.

    Mirella, scusami, non è che per caso oggi hai comprato il Corriere? chiese Lorenzo con tono speranzoso.

    E certo, come facevo a non comprarlo dopo la partita della Roma? Ma come fa er capitano a fa ancora quelle cose all’età sua, dottò? disse Mirella mentre glielo porgeva.

    Visto che mi parli del capitano tralascerò il fatto che mi hai chiamato ancora dottore, comunque si spiega facilmente, lui non è un calciatore normale, lui è un calciatore artista.

    n’ carciatore artista? chiese un po’ confusa la signora Mirella mentre continuava a preparare il caffè di Lorenzo.

    Sì, perché nel rettangolo di gioco vede ciò che gli altri non riescono neanche ad immaginare, proprio come gli artisti che vedono volti sulla tela ancora bianca o corpi su blocchi di marmo ancora integri.

    Il paragone era forse esagerato. Tuttavia, per Lorenzo il capitano della Roma era un vero idolo. Uno di quei personaggi da cui pendeva, nel bene e nel male. Non riusciva neanche ad ammettere che Totti, raramente, potesse giocare una partita meno bene. Non era neanche d’accordo con chi lo considerava un giocatore fantastico ma un uomo stupido: per lui quel modo di giocare per la squadra rappresentava una prova tangibile della sua profonda intelligenza.

    Prese il Corriere per leggerlo, in fondo mancavano ancora venti minuti prima di iniziare il turno lavorativo. Il giorno precedente la Roma aveva battuto l’Inter a San Siro per tre reti a zero e Totti aveva messo a segno una splendida doppietta. Mentre leggeva serenamente il giornale, appoggiato su uno dei tavoli del bar, venne interrotto da una voce forte e decisamente riconoscibile: Lorenzo caro, sempre in anticipo, eh? era Fabio, il professore di religione. Uno dei suoi compiti era quello di prendere le adesioni degli studenti che volevano recarsi dallo psicologo. Per questo motivo lavorava spesso a contatto con Lorenzo.

    Sempre, Fabiè, arrivando in anticipo vado meno di fretta, meno fretta comporta meno stress e meno stress mi rende una persona e uno psicologo migliore. Lorenzo si rese conto di aver ripetuto quella frase molte volte, quasi a mo’ di cantilena, ma in fondo la pensava veramente (anche se l’attuava meno di quanto millantava di fare…).

    Sono convinto della validità del tuo ragionamento, ma non credo che riuscirò mai a mettere in atto questa tua filosofia. Comunque, vado a prenderti la lista dei ragazzi rispose Fabio mentre si allontanava con un passo svelto che evidenziava quei pantaloni con almeno una taglia di troppo.

    Ok ti aspetto qui.

    I ragazzi della scuola che si recavano da Lorenzo inizialmente erano pochissimi. I numeri erano talmente bassi che il dirigente scolastico si stava interrogando sull’opportunità di interrompere il servizio. Tuttavia, con il tempo le cose erano notevolmente migliorate. Probabilmente si era giunti a provare meno difficoltà nel richiedere aiuto nel momento del bisogno, forse la figura dello psicologo cominciava ad essere vista in modo meno traumatico.

    Mentre aspettava il ritorno di Fabio con la sua lista, Lorenzo rimase seduto al tavolo del bar, in quella posizione si divertiva ad osservare ciò che accadeva fuori dalle aule. L’aspetto che lo incuriosiva di più era il modo in cui i ragazzi corteggiavano le ragazze. Considerava molti tentativi decisamente goffi, altri assolutamente eccessivi. In quel preciso momento, vicino al bar, c’erano una ragazza bionda di bassa statura appoggiata al muro, impegnatissima con il suo telefonino ultimo modello, ed un ragazzo alto ma un po’ chino su sé stesso, forse per i libri che portava nello zaino, o magari per le ore che passava seduto davanti al computer. Lui parlava ininterrottamente nonostante lei non l’avesse degnato di uno sguardo neanche per un secondo. Era incredibile la capacità di quel ragazzo di continuare un dialogo che la biondina non voleva proseguire. Era palesemente un tentativo di rimorchio andato a vuoto. Ed infatti fu proprio così, dopo poco la ragazza si affrettò a salutare il goffo giovane per dirigersi nella sua classe. Lui, sempre più chino su sé stesso, era scuro in volto, probabilmente tentava di rassicurarsi pensando che aveva scelto la tecnica di rimorchio sbagliata ma che avrebbe avuto altre chance con lei. C’era una sola certezza: aveva preso un palo gigantesco.

    Nel frattempo tornò Fabio che consegnò a Lorenzo la lista dei ragazzi della giornata e gli disse: Oggi giornata piena, in bocca al lupo.

    Mi pagano per lavorare, quindi meglio così rispose Lorenzo con l’entusiasmo di sempre. Poi, dando una rapida occhiata alla lista, notò che quel giorno si sarebbero recati da lui due nuovi studenti. Gli altri nomi in lista, invece, ormai li conosceva, due erano vittime di bullismo scolastico e altri due erano vittime della paraculite scolastica, ovvero utilizzavano l’ora dallo psicologo per evitare eventuali interrogazioni o compiti in classe.

    Senza perdere altro tempo, si avviò verso il suo studio. Salendo le scale si rese conto di sentirsi particolarmente fuori forma e gli venne un’improvvisa voglia di andare a correre. Nel suo cervello si appuntò il da farsi: andare a correre nel pomeriggio. Cercava di essere metodico anche se non sempre ci riusciva.

    Il suo studio gli sembrava ogni giorno sempre più piccolo, odiava quella sensazione di trappola. Una stanza bianca con una scrivania di Ikea al centro, una sedia da una parte e due dall’altra, senza una libreria e neppure un quadro. Una stanza vuota che non rispecchiava la sua personalità.

    Si era sempre chiesto se potesse apportare qualche modifica a quella stanza, ma la sua pigrizia infinita non gli aveva mai permesso di formulare tale domanda a Fabio oppure a qualche altra persona che gli avrebbe potuto dare una risposta (magari positiva). Eppure erano quasi tre anni che lavorava in quella scuola.

    L’austerità del luogo gli aveva comunque stuzzicato la fantasia come quando leggeva quei libri in cui i luoghi, le persone e gli oggetti, invece che essere descritti in ogni dettaglio, vengono lasciati alla libera interpretazione del lettore. Entrava in una stanza bianca con una sola scrivania al centro ma si immaginava di essere in svariati posti: una volta in una fitta foresta piena di alberi in cui l’unico spazio vuoto era l’intervallo tra due tronchi, al centro dei quali c’era la scrivania. Altre volte si immaginava di entrare in un campo di calcio, con gli spalti totalmente vuoti, dove nel cerchio di centrocampo c’era la stessa scrivania. Probabilmente neanche lui sapeva come avrebbe voluto arredare la stanza. L’unica certezza era quella di non volerci mettere un orologio.

    Amava questa frase: il posto giusto è quello dove smetti di chiederti che ora è, non sapeva bene di chi fosse ma era profondamente d’accordo. Il problema era che troppo spesso, nella sua vita, si rendeva conto di non trovarsi nel posto giusto. A questa conclusione ci era arrivato in una lontana serata trascorsa in discoteca. Non riusciva a stare in quell’ambiente per un lasso di tempo troppo prolungato, effettivamente non riusciva a capire come fosse possibile restare per tanto tempo in un luogo in cui non si può parlare o se si parla non ci si capisce nulla. Forse era l’importanza che dava al dialogo che lo portava ad odiare le discoteche. Però non poteva nascondere il suo divertimento nell’osservare vari movimenti maschili a lisca di pesce oppure l’espressione facciale di alcune ragazze a culo di gallina.

    Tutte le divagazioni mentali sulla sua stanza non gli avevano comunque distolto l’attenzione dall’interesse del giorno: i due ragazzi nuovi. Precisamente, si trattava di un maschio ed una femmina prenotati entrambi alle 9.00. La circostanza che si fossero prenotati insieme portò Lorenzo a fare le più svariate supposizioni. Dapprima pensò alla coppia che voleva raccontare allo psicologo scolastico i suoi problemi, pensò poi a due amici che volevano scampare a un’interrogazione complicata, per finire a supporre che il prof. di religione si fosse semplicemente sbagliato, segnando alla stessa ora due ragazzi che volevano confronti individuali.

    In realtà non gli importava molto del vero motivo che aveva spinto questi due nuovi ragazzi a recarsi da lui, era solo ansioso di conoscerli. Aveva un debole per il nuovo e sapeva che molte volte le storie più interessanti provengono proprio da coloro che non sono intenzionati a raccontarle. Questo perché le persone che decidono di raccontare delle storie hanno già preparato la loro bella versione. Bella impacchettata per passare dignitosamente all’esame del giudizio altrui. Una tecnica di taglia e cuci di informazioni. Un’aggiunta di un pizzico di sensazionalismi ed un ritaglio di tutto ciò che si può avvicinare, anche vagamente, ad una fonte di responsabilità.

    Mentre la sua mente faceva mille supposizioni al minuto, Lorenzo sentì bussare alla porta. Erano arrivati…

    È permesso?

    Sì sì, entrate, accomodatevi pure. Piacere, mi chiamo Lorenzo disse lo psicologo porgendo la mano ai ragazzi.

    Piacere, io sono Tommaso disse il giovane moro con gli occhi neri come la pece e un braccialetto di corda legato al polso.

    Piacere, Chiara disse invece la ragazza dagli occhi verdi, profondi ed espressivi come quelli dei gatti.

    Ok, Fabio non si era sbagliato. I due ragazzi si erano veramente prenotati insieme per le ore 9.00. A questo punto, Lorenzo doveva stabilire come strutturare l’ora da passare insieme.

    Allora ragazzi, vedo che siete in due. Solitamente prediligo colloqui individuali, ma sono aperto anche a questo se è quello che vi sentite di fare. Come volete trascorrere quest’ora? Volete fare 30 minuti ciascuno oppure volete rimanere per tutto l’orario insieme?

    Io non ho problemi se lei rimane, tanto sa tutto di me disse il ragazzo con un tono simpatico, un po’ scanzonato.

    Sì anche per me va bene se lui rimane si accodò la ragazza.

    Perfetto, allora il galateo vuole che io cominci con te, Chiara. Sono a tua disposizione.

    Che cosa devo dire? rispose lei quasi terrorizzata. D’altronde l’impatto era spesso traumatico. Per i ragazzi rompere il ghiaccio con uno sconosciuto, che per lavoro ascolta gente che si ritiene problematica, era una missione non semplice.

    Beh, le prime cose che ti passano per la mente e magari il motivo che ti ha spinto a venire qui Lorenzo aveva intuito che anche questi erano due casi di paraculite scolastica ma non poteva dare subito la cosa per scontata, evitò quindi di fare battute in tal senso.

    Ok, mi chiamo Chiara, ho diciotto anni, sono nata a Roma e frequento il quinto anno di questa scuola. Vado bene? disse Chiara ridendo, probabilmente per cercare di smorzare la situazione imbarazzante che stava vivendo.

    Benissimo, mancano ancora alcuni dettagli e possiamo stampare la carta d’identità rispose Lorenzo cercando di creare un clima sin da subito colloquiale.

    Dopo una breve risata Chiara riprese a parlare dicendo: Ok, faccio la seria dai. Diciamo che ho avuto un’infanzia difficile perché ho perso mia mamma quando avevo tredici anni. Con mio padre ho un rapporto speciale perché ci siamo fatti forza l’un l’altro dopo quell’avvenimento. Si fermò convinta di aver detto già un qualcosa degno di una reazione. Era abituata ad ascoltare parole cariche di compassione al racconto della morte della madre. Per questo motivo rimase sbalordita dal fatto che Lorenzo non cambiò il suo sguardo, anzi continuava a scrivere come stava facendo da quando Chiara aveva cominciato a parlare.

    Tommaso era il più sorpreso di tutti, da sempre era attento a tutelare Chiara nei momenti in cui si parlava di sua madre. Non capiva la reazione dello psicologo e cominciò a pensare male di lui. Lorenzo non aveva nessuna intenzione di manifestare compassione o altro. Decise di rimanere professionalmente freddo e distaccato, prima avrebbe dovuto conoscere meglio i due ragazzi. Non poteva abbandonarsi a nessuna reazione inutilmente sensazionalistica.

    E dimmi, hai qualche sogno? disse Lorenzo interrompendo il silenzio che stava diventando imbarazzante.

    Mmh, in realtà non lo so. Non ho mai pensato ad un qualcosa che potessi considerare come sogno disse Chiara.

    Cosa vorresti fare dopo il liceo?

    Mi iscriverò all’università, questo è sicuro. Probabilmente matematica oppure qualche altra facoltà scientifica.

    Ah abbiamo un genio in matematica?

    Diciamo che me la cavo abbastanza disse imbarazzata Chiara.

    Diciamo che me la cavo abbastanza? La ragazza qui presente prende tutti dieci. Consideri che una volta, ad un compito di matematica, ha sbagliato l’esercizio più importante prendendo cinque e mezzo. Sia lei che la professoressa si sono messe a piangere disse Tommaso intromettendosi nel dialogo tra i due con questo simpatico aneddoto.

    Lorenzo era divertito dal tono di voce di Tommaso, stava pensando che il ritmo con cui aveva pronunciato quelle poche parole, combinate con il tono e la cadenza utilizzate, facevano di lui un potenziale attore.

    Tutti dieci li prendi solo a matematica oppure in generale sei molto brava a scuola? chiese Lorenzo a Chiara per alimentare nuovamente il dialogo.

    No no, dieci lo prendo solo a matematica rispose Chiara sempre imbarazzata.

    Nelle altre, poverina, prende solo nove aggiunse di nuovo Tommaso. Lorenzo era divertito, non tanto dalle parole pronunciate dal ragazzo, bensì dal modo e del momento che sceglieva per pronunciarle. I famosi tempi comici, peraltro in uno studio di uno psicologo con cui ti incontri per la prima volta. Non era una cosa comune. Di solito in quel luogo regnavano incontrastate due sensazioni: soggezione ed imbarazzo.

    Sì è vero, vado bene a scuola, però non mi piace studiare. So solo che devo farlo e quindi mi ci metto disse Chiara per rispondere a Tommaso.

    Lorenzo aveva sentito mille volte un discorso del genere, molto più frequentemente dalle ragazze piuttosto che dai ragazzi. Provava un pizzico di invidia per il senso del dovere che, il più delle volte, appartiene al genere femminile. A suo parere, a questo senso del dovere si accompagnava spesso un’ottima capacità organizzativa. Non gli risultava difficile ammettere che su questi aspetti le donne erano più capaci degli uomini, sapeva però che lo stesso ragionamento, esplicitato con alcuni suoi amici maschilisti, avrebbe portato a discussioni con toni più alti del normale. D’altronde Lorenzo non era mai riuscito a concepire ragionamenti maschilisti o femministi. Vedeva i due sessi in modo talmente paritario da non essere molto aperto al dialogo quando ascoltava discorsi sbilanciati da una parte oppure dall’altra.

    Era convinto che, nonostante l’uguaglianza, si potesse fare un discorso sulle attitudini predominanti. Non gli sembrava assurdo poter affermare che l’uomo, generalmente, riesce meglio in alcune attività e la donna, sempre mediamente, riesce meglio in altre. Riconosceva, comunque, che il discorso restava decisamente scivoloso e suscettibile di erronee interpretazioni. Per questo motivo, il più delle volte evitava di affrontarlo.

    Il tempo con Chiara stava trascorrendo velocemente, tanto che Lorenzo non si era neanche reso conto che l’ora fosse quasi terminata senza che Tommaso avesse detto null’altro oltre le poche battute dai tempi comici lodevoli. Quando se ne rese conto, dopo aver guardato il suo orologio da polso (che portava nonostante avesse l’avversione per tale oggetto), guardò i due ragazzi e, sicuro di non interrompere nulla, disse con garbo: Grazie, Chiara, è stato un piacere conoscerti, adesso però, visto che l’ora sta quasi per finire, vorrei sentire anche qualcosa da Tommaso.

    Quest’ultimo si affrettò ad interromperlo dicendo: Non si preoccupi di me, può tranquillamente continuare con Chiara per oggi. Il tono questa volta era quasi preoccupato. Come se Tommaso non avesse nessuna voglia di parlare di sé stesso.

    Continueremo con Chiara la prossima volta, adesso, visto che vi siete prenotati in due, se non ti dispiace, impieghiamo qualche minuto per conoscere anche te rispose Lorenzo in modo assertivo ma non autoritario (o almeno era quello che sperava di trasferire ai due ragazzi).

    Si creò un momento di silenzio, che fece sorgere qualche dubbio in capo a Lorenzo sulla correttezza del modo con cui si era rivolto ai ragazzi. Tale dubbio venne interrotto all’improvviso quando Tommaso cominciò a parlare: Ho diciotto anni, sono un tifoso sfegatato della Roma e in particolare del suo capitano Francesco Totti che considero non solo un calciatore ma un vero artista. Da piccolo sognavo di diventare un calciatore anche io, poi con il passare del tempo mi sono reso conto che non si sarebbe realizzato, o meglio mi sono reso conto che non era un vero sogno perché non ho mai fatto il necessario per inseguirlo veramente. Avevo semplicemente confuso un hobby con un sogno. A scuola vado discretamente, non ho un gran senso del dovere e non sono molto bravo ad organizzarmi, ma questo, si sa, è una prerogativa delle donne. Quando i miei insegnanti parlano con i miei genitori gli dicono sempre la solita frase ‘è bravo ma non si applica’ e più la dicono e più a me non viene la voglia di applicarmi. Smise di parlare e rimase a scrutare Lorenzo con aria fintamente disinteressata. Aveva bisogno di un riscontro rispetto alle sue parole ma aveva troppo orgoglio per poterlo mostrare. In più, la velocità con la quale si era espresso lasciava intendere che non fosse troppo abituato ad avere di fronte una persona pronta a dedicargli il suo tempo per ascoltarla. Si era affrettato a pronunciare di getto tutte le informazioni da lui

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