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Il caso del diavolo in laguna
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Il caso del diavolo in laguna
E-book355 pagine5 ore

Il caso del diavolo in laguna

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La laguna del titolo è naturalmente quella di Venezia e, anche se il diavolo aleggia e ispira un delitto, dietro il misfatto non c'è un intervento soprannaturale, ma soltanto la diabolica mano umana.

A dipanare la matassa del crimine ci saranno due insoliti e anch'essi indiavolati protagonisti, un giovane avvocato napoletano trapiantato a Venezia e una sua amica professoressa, accompagnatrice di un gruppo di studenti in viaggio d'istruzione, giunti in Veneto dalla Basilicata.

I due vestiranno i panni di novelli Sherlock Holmes e Perry Mason, e, dal momento che Sherlock è donna, non mancherà qualche divagazione sentimentale. Ma meglio non anticipare nulla e lasciare al lettore il gusto del giallo e del rosa.
LinguaItaliano
Data di uscita15 dic 2023
ISBN9791222705835
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    Anteprima del libro

    Il caso del diavolo in laguna - Nicola Annunziata

    CAPITOLO I

    Permettete che mi presenti: mi chiamo Pietro Masi e sono un uomo attraente e di buon gusto. Benché sia un avvocato, e per giunta napoletano, non vado in giro a rubare anime e molte persone provano per me una sincera simpatia.

    Sì, certo, simpatia per il diavolo…

    Sempre i soliti disturbatori… Uno fa la persona educata, per prima cosa si presenta, come fanno tutte le persone a modo, e c’è sempre qualcuno che ha da ridire…

    Era solo per farti capire che ti abbiamo sgamato.

    Lo so, ognuno ha i lettori che si merita… I miei nuovi lettori (sperando che ce ne siano) magari non lo sanno, ma io sono perseguitato da qualche lettore insoddisfatto che di continuo si prende la briga di interrompermi e di sindacare le mie scelte, sia quelle stilistiche sia quelle di vita, sia quelle del narratore sia quelle del protagonista, due tizi che malauguratamente più o meno coincidono. Ma io sono impermeabile ai giudizi malevoli, tiro avanti diritto e non mi faccio condizionare dalle critiche: mi lambiscono, mi sfiorano, ma non mi colpiscono, non m’intaccano, continuo a scrivere imperterrito per la gioia dei miei appassionati e devoti lettori…

    Come dite? Non siete devoti? D’accordo, era solo per blandirvi un po’, gli antichi la chiamavano captatio benevolentiae. Dite che c’è già troppa gente che scrive romanzi, soprattutto gialli? Di questo non vi dovete preoccupare, fra un po’ di tempo nessun umano scriverà più: i testi di qualsiasi genere, dai romanzi ai saggi, dai gialli alle biografie, saranno opera di intelligenze artificiali, che sapranno deliziarvi con le loro sconfinate capacità, con i loro talenti elettronici e supersonici. Al vostro umile scribacchino magari non resterà che narrare le mirabolanti avventure di organismi cibernetici, così, tanto per trastullare i nuovi padroni.

    Trovate insulsa questa deriva onirica e fantascientifica? Preferite che vi diletti con l’esposizione sintetica ed efficace del turbinoso vortice dei pensieri e delle preoccupazioni di un giovane avvocato seduto in una fredda sera di marzo nel suo studio di piazza Ferretto? D’accordo, allora sarò franco e diretto: a mio parere il geometra Marton era nella merda.

    Mo non cercate piazza Ferretto su Google Maps, ve lo dico io dov’è, non è mica a Napoli, perché io sono napoletano, ma lavoro a Venezia, nello studio di mio zio. A proposito di mio zio, eccolo entrare da me sbraitando:

    - Piero! Guarda qui come hanno scritto su questa locandina! Edoardo De Rosa – lesse ad alta voce – E-dO-ardo! – scandì nuovamente a voce ancora più alta, aprendo la bocca in una spropositata smorfia circolare nel pronunziare quella maledettissima O.

    E già, perché mio zio si chiama Eduardo, con la u, come De Filippo. Gli avrei voluto rispondere è questo che capita a farsi chiamare Eddy, la gente non sa neanche più qual è il tuo vero nome, ma ovviamente mi astenni dal fare improvvide battute, tanto più che magari non era neanche quello il problema: la realtà è che Eduardo ormai è desueto persino a Napoli, anche Bennato, che pure è più anziano di mio zio, si chiama Edoardo. A Venezia poi, era probabilmente l’unico, a meno forse di qualche immigrato sudamericano. Nell’ambiente forense era tuttavia ben conosciuto, dopo tanti anni che era lì, sicché ormai difficilmente sbagliavano il suo nome. Ma in questo caso l’avevano chiamato a fare una conferenza in una scuola ed erano incappati nell’immancabile errore.

    - Non ti preoccupare, chiamo io la scuola, sicuramente potranno correggere il refuso.

    - Ma quale refuso, quelli pensano che Eduardo sia il refuso, un errore di stampa – ribatté lui con tono quasi lagnoso.

    - Ma no zio, ci penso io, sta tranquillo.

    Lo rassicurai, ma tra me e me pensavo con tante gatte da pelare veramente serie, con Marton che rischia l’arresto, questo si preoccupa di una o e di una u, ma ero indubbiamente ingeneroso. Mio zio è il fratello di mia madre, è vedovo senza figli e mi vuole un sacco di bene, sono sempre stato il suo pupillo; mi ha invogliato lui a venire a Venezia quando annaspavo nei primi anni di professione a Napoli, lavoravo tanto e guadagnavo poco. Ora sono qui da circa tre anni e continuo a lavorare molto, ma in compenso qualche euro in più si vede. Non chiedetemi cifre però, lo so bene che tra di voi c’è qualche funzionario dell’Agenzia delle Entrate.

    Hai detto che lavori a Venezia, ma piazza Ferretto non è a Venezia.

    Certo che è a Venezia, Venezia Mestre.

    Sei sempre il solito ‘vorrei ma non posso’. Con tutte queste arie che ti dai non ce l’hai lo studio a Santa Croce?

    Sempre i soliti criticoni. Che ne sapete voi dei disagi che noi avvocati affrontiamo a Venezia? Se proprio volete saperlo, mio zio lo prese un buco vicino al tribunale, ma è un’autentica scomodità, ve lo assicuro, la maggior parte dei clienti s’infastidiscono a venire in laguna; alla fine, figuratevi, doveva farli venire a casa. Molto meglio qui, abbiamo un ampio e signorile studio al centro di Mestre, mica ci lavoriamo solo io e lui, abbiamo altri avvocati e praticanti e anche un’efficiente segretaria, la Paola… Sì con l’articolo, così dicono qua, non è sessista, siete proprio fuori strada, pure ai maschi si suole anteporre l’articolo: il Bepi, il Toni e così via.

    In quella squillò il mio cellulare. Squillare per la verità è un termine fuorviante, eredità di un passato morto e remoto, quando i telefoni servivano per telefonare, un’attività oggi piuttosto desueta: in effetti il suono che emette il mio telefonino è molto più armonioso e gentile. No, non ho l’Inno alla Gioia versione rock come Rocco Schiavone, queste musiche strombazzanti e caciarone sono piuttosto il sollazzo di persone di una certa età, come mio zio con il suo martellante Smoke on the water o il suo amico Fulvio con non so quale brano della Febbre del sabato sera. Anzi, sapete che vi dico, io spesso ho solo la vibrazione, perché sono una persona educata e mi rincresce molestare il mio prossimo. A differenza di qualche mio lettore.

    Afferrai il telefono e risposi:

    - Serena!

    - Piero, sei allo studio?

    - Certo. Tu?

    - Sono a San Donà.

    - Ah.

    - Lo sai che ho sempre qualche cliente qui, amici e conoscenti dei miei, qualche mia vecchia conoscenza anche.

    - Certo che lo so, solo che non mi avevi detto che andavi lì oggi, mi avevi detto che avevi parecchio da lavorare, ma non che andassi a San Donà.

    - Ah, non te l’avevo detto? In effetti non era del tutto programmato. Comunque, resto a dormire qui, dai miei, stasera. Scusa adesso, ma sta arrivando una persona che mi cerca.

    - Ok. Ciao, ci sentiamo

    - Sì, ciao.

    Dopo aver terminato la conversazione telefonica, rimasi a scrutare il telefono con aria vagamente interrogativa e perplessa, quasi che quello strumento inanimato potesse fornirmi qualche opportuna delucidazione sul reale contenuto semantico delle parole che avevo appena ascoltato. C’era infatti qualche sfumatura che non sapevo interpretare. Serena mi aveva già comunicato che non ci saremmo visti la sera, perché aveva da fare e poi avrebbe avuto sicuramente bisogno di riposare, e ora se ne usciva con questa novità che era a San Donà, come a dire: ci sono trenta chilometri tra noi, casomai avessi qualche tentazione di farti vedere è meglio che lasci perdere. E poi che voleva dire qualche mia vecchia conoscenza …?

    E mo chi cazzo è ‘sta Serena?

    Serena è la mia fidanzata, avete ragione, non ve l’avevo detto ancora, ma mi ha telefonato prima di darmi il tempo di presentarvela; d’altronde, siamo appena all’inizio di questo romanzo, al primo capitolo, non mi pare il caso di farne un problema, è solo un lieve peccato veniale per un narratore.

    Come sarebbe siamo appena all’inizio? Hai già scritto un altro romanzo e di questa Serena non ne hai mai parlato, anzi ti trastullavi allegramente con altre donne.

    Ho capito, voi vi riferite a quella storia estiva, avete letto anche quella, vi ringrazio dell’attenzione che mi riservate, ma ora mi fate perdere tempo per spiegare le cose ai tanti che mi leggono per la prima volta…

    Tanti?

    A queste provocazioni non rispondo neppure. E neanche m’indigno per le insinuazioni sulla mia presunta volubilità in fatto di relazioni sentimentali, voi rivangate storie dell’estate scorsa, ora siamo a marzo, sono passati sei mesi e le cose sono cambiate. Ebbene, io e Serena ci eravamo lasciati prima dell’estate, ma poi siamo tornati insieme, sapete, le relazioni vivono di alti e bassi, succede. No, non è dipeso dalla recrudescenza del Covid, non soffrivo la solitudine, non avevo bisogno di un accogliente rifugio. La verità è che Serena è una giovane in gamba, anch’ella è avvocata e lavora bene, il nostro studio si è talvolta appoggiato alla sua competenza e avvalso della sua collaborazione riguardo a questioni che esulavano dai nostri abituali settori di attività. Che altro volete sapere? Che cosa ci faceva a San Donà? Mica ho detto Bogotà, San Donà è a un tiro di schioppo da qui, Serena è nata lì, vi devo presentare anche i suoi genitori, la famiglia Rossi?

    Sì, si chiama Serena Rossi, come l’attrice. Che c’è di strano? Rossi è un cognome molto comune in Veneto, in tutta Italia direi e comunque qui ce ne sono tanti di Rossi, e Serena è un nome abbastanza frequente tra le ragazze della sua età, che poi è più o meno la mia, ha neanche un anno in meno rispetto a me. I genitori erano indecisi se chiamarla Serena o Valeria, alla fine scelsero Serena. Quando ebbe successo quella cantante, Valeria Rossi, non so se ve la ricordate, quella di dammi tre parole sole, cuore e amore, il padre disse anche meno male che non l’abbiamo chiamata Valeria, se no avrebbe avuto questa fastidiosa omonimia. Ora Valeria Rossi nessuno se la ricorda più e invece Serena, l’attrice dico, sta ogni due e tre in TV. Mi chiedete se il padre si chiama Vasco? Certo che no. E andate a fanculo.

    Insomma, Serena ha un sacco di doti, ma, come posso dire, è anche un po’ stronza. Scusate la trivialità, ma non mi sovviene un’espressione più forbita e tuttavia altrettanto adeguata, e in ogni caso questo era ciò che ingenerosamente pensavo in quel frangente, quando il trillo del campanello della porta d’ingresso giunse a interrompere il flusso dei miei torbidi pensieri.

    A dire il vero il suono del campanello non era di per sé foriero di novità che mi riguardassero, non avevo appuntamenti a quell’ora, più che altro lo squillo mi aveva richiamato alle mie incombenze di lavoro, come la campanella d’inizio lezioni per gli scolari che si attardano; tuttavia, non potetti fare a meno di udire la voce sonora e suadente della persona che accedeva. Costei (sì, era una donna), imprevedibilmente chiedeva di me, con un timbro di voce che mi sembrò di riconoscere, anche se avevo qualche incertezza al riguardo, a causa della scarsa probabilità che davvero potessi trovarmi davanti la persona a cui quel timbro mi sembrava riconducibile. Non ebbi tuttavia il tempo di lambiccarmi il cervello riguardo all’identità dell’ospite, dal momento che la Paola provvide subito a fare in modo di svelarla:

    - Chi devo annunciare?

    - Sono la professoressa Ruggiéro.

    Il leggero accento potentino, appena qualche vocale chiusa anziché aperta, già mi aveva messo sull’avviso, diluendo l’effetto sorpresa, cosicché il mio stupore fu a quel momento piuttosto contenuto e mantenni anzi un contegno imperturbabile e intriso di noncurante sussiego quando la Paola venne a bussare alla mia porta e annunciò:

    - C’è la professoressa Ruggièro per lei

    - La faccia entrare, grazie.

    La ragazza entrò… sì era una ragazza, una mia coetanea, anche lei classe 1988, un’ottima annata vi garantisco. Dite che sono troppo autocelebrativo? Semplicemente rifuggo dalla falsa modestia. Dite anche che non siamo propriamente ragazzi? Vabbè, questa mi sembra una pignoleria, comunque magari nella stesura definitiva metto una giovane, basta che non stiate sempre a sputare sentenze e mi facciate procedere.

    - Antonella! – esclamai, alzandomi e andandole incontro cordialmente, anzi affettuosamente. Ella mi abbracciò volentieri con corredo di bacetti di prammatica che ricambiai di buon grado.

    Sì, la ragazza, pardon la giovane, si chiama Antonella. Sì, proprio così, Antonella Ruggiero. Ora non mi dite le consuete insulse banalità, vale a dire che non bastava l’attrice, cioè Serena Rossi, ora spunta anche la cantante. Mica è colpa mia, Antonella l’ho già presentata in un mio precedente romanzo, e comunque il nome non gliel’ho dato io, anzi è un nome di famiglia, la nonna si chiamava così, mica i genitori erano patiti dei Matia Bazar.

    Antonella è una mia antica conoscenza estiva, villeggia a Paestum, dove anche i miei hanno una casetta al mare, che costituisce tuttora un abituale punto d’approdo per le mie vacanze estive, anche adesso che vivo e lavoro a Venezia. Quest’ultima estate io e Antonella abbiamo condiviso momenti piacevoli e anche avventurosi.

    Momenti piacevoli… Come sei evasivo! Perché non dici che te la sei scopata?

    Perché sono un gentiluomo. E poi è stato un episodio unico, una tantum. Ci siamo ritrovati al mare dopo un po’ di anni che non ci vedevamo, avevamo avuto tanti anni fa un flirt fanciullesco e casto, ora che era passato tanto tempo e non eravamo più così teneri e ingenui non avevamo resistito alla tentazione di assaggiarci più compiutamente. Potrei dire che ella mi ha sedotto, in fondo siamo noi maschi il sesso debole, vittime delle nostre pulsioni… mi ha anche inizialmente celato di essere sposata e anche mamma…

    Perché, se no te la sposavi?

    È un interrogatorio? Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. In ogni caso sono stato un po’ ingeneroso, Antonella non è una mangiatrice di uomini, tutt’altro, e in ogni caso siamo rientrati subito nei ranghi (anche perché non sarebbe stato igienico fare altrimenti, visto che intanto suo marito era anche lui giunto al mare). Antonella mi ha anche dato una mano in uno spinoso caso di cui mi ero fatto carico per aiutare un vecchio amico invischiato in un serio guaio, sospettato addirittura di essere autore di un sanguinoso omicidio. Anche in vacanza, come vedete, la mia vocazione professionale ha talora il sopravvento.

    Appena ci staccammo dall’affettuoso abbraccio, Antonella cordiale e giuliva mi rispose:

    - Ciao Piero! Sorpreso di vedermi qui?

    - Beh, certo non me l’aspettavo, ma è davvero una piacevole sorpresa.

    La vidi pesantemente intabarrata – benché fosse già marzo in verità il freddo si faceva sentire – e la presi amabilmente in giro:

    - Magari puoi togliere il colbacco qui al chiuso.

    Il colbacco in realtà era un leggiadro cappello di lana, di quelli col pompon, dal quale uscivano, morbidi e simpatici, i lunghi capelli neri.

    - Sempre sfottitore eh? Vedi che io vivo a Potenza, mica a Napoli, anche lì fa freddo, forse più di qui, mica stiamo sul mare.

    Comunque si tolse il berretto e anche il soprabito, mettendo in mostra il fisico palestrato a me ben noto. Come potete immaginare, infatti, l’avevo vista anche con meno indumenti addosso di quanti ne avesse ora; naturalmente intendo dire al mare, in costume da bagno, quel succinto due pezzi lasciamoglielo addosso per favore, almeno in questa innocente rimembranza, e sorvoliamo sulla mise esplicita e definitiva che aveva in quell’occasione di ebbra debolezza che abbiamo condiviso.

    - Certo scherzavo – risposi – ti vedo carica come sempre.

    - Anche tu. O forse sono io che ti metto di buonumore, quando sono entrata sembravi un po’ accigliato o comunque pensieroso.

    In effetti questa era un’incontrovertibile verità, Antonella aveva avuto un effetto provvidenziale sul mio umore. Diciamo che era un tratto peculiare del suo carattere questa capacità rivitalizzante; non che avesse sempre un effetto benefico, Antonella non era come il Valium o la camomilla, un innocuo calmante, piuttosto come un cocktail alcolico, quello che ti stende o ti dà la carica. Speriamo la seconda che ho detto…

    - Allora che fai qui? Invece del Carnevale sei venuta a fare la Quaresima a Venezia? Sei in vacanza in pieno anno scolastico?

    - Ma no, ho accompagnato una classe del mio istituto. Sai, ora l’allarme Covid è un po’ rientrato… a proposito, Piero, non ho messo la mascherina qui, ma ce l’ho in borsa, se vuoi la metto.

    - No, non ti preoccupare, non ce l’ho neanche io.

    - Eh, ma lo so, ma tu sei un vero macho, un tough guy sprezzante del pericolo… Te l’ho mai detto che assomigli a Ryan Gosling?

    Ecco, ve l’avevo detto, Antonella è così, mica vuole adulare, il suo tratto caratteristico è l’assenza di un netto discrimine tra quando scherza e quando parla sul serio, mescola fluidamente tutti i registri, è naturalmente così. Preso in contropiede, cercai di parare il colpo, a dire il vero in maniera piuttosto banale.

    - E tu ad Angelina Jolie.

    - Tesoro, sei sempre galante, perciò mi hai spezzato il cuore – alleggerì la frase con una risatina sorniona, per assicurarsi di non essere presa troppo sul serio – Ti stavo dicendo che, dato che il Covid ha un po’ allentato la presa, abbiamo portato fuori i ragazzi delle quinte, non erano mai stati in qualche realtà lavorativa, sai, il mio è un istituto tecnico, dovrebbero fare alternanza scuola lavoro, o meglio PCTO, come si chiama ora.

    - PCTO? E che diavolo vuol dire?

    - Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento. Tuo padre non ne ha mai parlato?

    - Boh, può darsi, non ricordo, ma mio padre insegnava in un liceo, lì magari queste cose non le fanno.

    - Lo so che tuo padre stava al liceo, sai quante volte abbiamo parlato di scuola sulla spiaggia, ma anche lì fanno i PCTO, anche se meno ore e cose un po’ diverse, non credo vadano in aziende.

    Mio padre è stato professore di matematica, in pensione da meno di sei mesi, e anche Antonella insegna matematica. Non vi sto a dire che discorsi interessanti facevano sulla spiaggia, potete immaginare, era difficile staccarli, anche perché, forse non dovrei dirlo, mio padre non era insensibile al fascino muliebre di Antonella. Antonella ha un impatto frontale e infallibile sugli uomini dai cinquanta in poi, su fino ai sessantacinque di mio padre. Niente di peccaminoso naturalmente, non siate i soliti malpensanti!

    - E li avete portati qui a Venezia? Ma il tuo è un istituto alberghiero?

    - Ma quale alberghiero, quelli sono istituti professionali, il mio è un istituto tecnico, settore tecnologico, studiano meccatronica.

    - Meccatronica?

    - Sì, ma non chiedere lumi a me su che cosa sia la meccatronica, eh? Io insegno matematica, naturalmente in maniera alquanto pratica e creativa, mica posso fare le lezioni professorali che fa tuo padre allo scientifico.

    - Sì, ok, non so precisamente che cosa sia la meccatronica, ma una vaga idea la posso intuire, non capisco però che cosa ci troviate qui, magari nel padovano o nel vicentino piuttosto. Venire fin qui dalla Basilicata per la meccatronica mi lascia un tantino perplesso.

    - Ah, non chiedere a me, se n’è occupato il preside con alcuni miei colleghi ingegneri; so che il preside, prima di rientrare a Potenza, era in servizio quassù, parecchi anni fa. Ha riattivato i contatti che aveva qui e abbiamo organizzato questa simpatica cosa, credo che ci fossero anche dei fondi europei che altrimenti avremmo perso. Mica è una cattiva idea, sai? La vicinanza di Venezia è sempre un motivo in più per venire qui, facciamo pure un po’ di turismo, abbiamo programmato anche una visita a Murano, la produzione del vetro credo sia comunque interessante per i ragazzi. E anche un bel giretto in laguna lo è. Quando il preside mi ha chiesto di accompagnare i ragazzi glielo ho detto: io non sono ingegnera, se vado mi dovete portare in laguna. E lui ha detto: Antonella, la visita in laguna non mancherà.

    - Antonella? Ma ti chiama per nome?

    - Sì, mi chiama per nome, credo che abbia anche un debole per me, me le dà sempre tutte vinte, basta che chieda e la risposta è sempre sì.

    Antonella ammiccò divertita, io ero alquanto sorpreso.

    - Mah, darsi del tu tra preside e professore…

    - Seee, ma quale tu, mi dà del lei, anche se mi chiama per nome; non è proprio il tipo da prendersi questa confidenza e neanche io gliela voglio dare.

    - Ah, ecco. E quindi lui è stato qui a fare il preside? Anzi dovrei dire dirigente scolastico, si chiamano così ora, vero?

    - Wow cucciolo, vedo che sei informato riguardo alle gerarchie scolastiche! Comunque lui preferisce preside, sai, è della vecchia guardia, avrà l’età di tuo padre, anche lui sta per andare in pensione. Proprio per questo non mi disturba che mi chiami per nome, è un atteggiamento quasi paterno.

    - Capisco. Ed è stato preside a Venezia?

    - No, mica proprio a Venezia, in provincia, a Portogruaro.

    - A Portogruaro? Ma è lontanuccio! E voi state lì?

    - No, alla fine siamo finiti nella zona di San Donà di Piave.

    Anche Antonella a San Donà, pensai, ma guarda un po’ la capricciosa voluttà del caso.

    - Siamo anche vicini all’outlet, quello di Noventa così magari ci esce pure qualche piacevole e gratificante spesuccia per me – aggiunse Antonella.

    Emisi un sospiro d’inquieto stupore, chissà perché la coesistenza di Antonella e Serena a così ridotta reciproca distanza mi suscitava una leggera ma spinosa sensazione di disturbo. Antonella non diede mostra di accorgersi del mio rincrescimento e proseguì.

    - E oggi pomeriggio abbiamo portato un gruppetto a Venezia, ma io mi sono fermata a Mestre, perché a Venezia mi ci devi portare tu, ti eleggo mio cicerone.

    - A Venezia stasera? Con questo freddo?

    Ero sinceramente atterrito dall’idea e anche lievemente spaventato dalla presenza destabilizzante di Antonella in laguna, come minimo avrebbe voluto ballare il tango in riva a un canale col rischio di finirci dentro tutti e due.

    - Eh, tesoro, immaginavo che avessi da fare, sono piombata qui senza appuntamento, che vuoi fare, è stata un’iniziativa improvvisata.

    - Magari posso anche liberarmi, non ho appuntamenti adesso, ma con questo freddo arrivare un momento a Venezia…

    - Ma lo sai che è lo stesso motivo per cui anch’io non ci sono voluta andare e mi sono fatta fermare qui? Chissà che umido c’è stasera, ci andremo di mattina magari.

    Non ritenevo opportuno di impegnarmi per programmare un giro turistico a Venezia, per una serie di motivi che voi, gente di mondo, potete magari immaginare; perciò, pensai di rilanciare con una proposta nell’immediato, che mi vedeva viceversa libero e anche desideroso di (casta) distrazione.

    - Intanto potemmo farci un giretto qua intorno, magari un aperitivo, il classico spritz, niente di esagerato, o comunque quello che preferisci.

    - Wow, mi porti in giro per questa amena città. Non sto nella pelle.

    Ecco, come si fa a essere così eccitati alla prospettiva di fare un giro per Mestre? Tipico di Antonella, ve l’ho detto.

    Sistemai le mie carte e mi affacciai da mio zio per dirgli che andavo via. Eddy De Rosa non sollevò neanche gli occhi dai documenti che aveva davanti e mi salutò con un distratto grugnito, ma intanto Antonella mi tirò vigorosamente per un braccio, protestando con voce vezzosamente lagnosa:

    - Come, non mi presenti a tuo zio?

    Mi risolsi pertanto a introdurla nella stanza di mio zio, che, al sentire la voce squisitamente femminile di Antonella, incuriosito, aveva già alzato il viso dalle sue intricate carte.

    - Buonasera, avvocato. È un vero piacere conoscerla, io sono Antonella, un’amica di Piero, facciamo le vacanze insieme a Paestum.

    - Molto lieto! – rispose Eddy, il cui sguardo dimostrava palesemente un ammirato e partecipato piacere ben al di là di quanto esprimessero le semplici e usuali parole che aveva pronunciato.

    - Ma lo sa che lei somiglia molto a sua sorella! – esclamò Antonella col suo tono a un tempo sincero e ruffiano - Che persona simpatica è sua sorella! E anche suo cognato, due persone davvero amabili e interessanti; chissà com’è uscito un figlio così birichino.

    Fece l’occhiolino a mio zio, che ora cominciava a sciogliersi.

    - Ah, vedo che lo conosce bene – rispose infatti con un sorriso divertito e aperto.

    Ritenni opportuno a questo punto accelerare le procedure di commiato, prima che il dialogo assumesse connotazioni troppo cordiali e intime.

    - Zio, non farmi una cattiva pubblicità. Noi andiamo.

    E stavolta fui io a tirare per un braccio Antonella, che si risolse ad accomiatarsi.

    - Arrivederci avvocato, spero di rivederla, lei è una persona squisita.

    - Anche lei è davvero simpatica. Arrivederci. E divertitevi.

    Questa esortazione mi fece cautamente rabbrividire, perché lasciava intendere che mio zio si fosse fatta un’idea non completamente appropriata della finalità di quella uscita a due.

    Mentre ci accingevamo a uscire, la Paola mi chiese:

    - Avvocato, lei non rientra?

    In sé era una domanda legittima e opportuna, nell’eventualità che qualcuno mi dovesse cercare, ma in realtà ci avrei scommesso che Paola avesse capito benissimo che stavo andando via per non rientrare, la sua era evidentemente una manovra dilatoria per avere il tempo di scrutare più attentamente l’intrusa, specialmente dopo averla ascoltata interloquire amabilmente con mio zio. Il suo sguardo inquisitorio non sembrava trasudare particolare benevolenza.

    - No, Paola, non rientro – le risposi.

    Antonella, nel frattempo, non rimase certo in silenzio.

    - Ma come siete bene organizzati qui, Piero. Questo dipende certamente dall’avere un’efficiente segretaria. L’ho capito appena sono entrata che lei è molta attenta e capace – proseguì rivolgendosi a Paola - è davvero un privilegio avere una persona così pronta e coscienziosa. E simpatica!

    La Paola si addolcì subito, credo fosse anzi intimamente pentita del suo precedente atteggiamento sussiegoso.

    - Grazie, è il mio lavoro – si schermì, esibendo un radioso sorriso.

    Anche stavolta cercai di accelerare i convenevoli, temendo che la congiunzione astrale non fosse benigna. Quando alfine fummo fuori, Antonella arricciò il naso a simulare un leggero lagnoso risentimento.

    - Tesoro, perché tutta questa fretta di uscire, ti vergogni di me con i tuoi amichetti? Forse, non sono abbastanza carina per essere alla tua altezza?

    Che dovevo rispondere?

    - Sì, Anto, sei bruttissima.

    Mi mostrò la lingua in guisa di burla e mi prese sottobraccio, mentre ci avviavamo lungo i portici di piazza Ferretto.

    - Ma com’è carino qui! Che bella questa piazza! C’è anche la torre con l’orologio!

    - Oddio, Anto, non si sta male qui, ma la bellezza è Venezia, la laguna voglio dire.

    - Uh, voi napoletani! Per voi un solo posto è bello, Napoli, tutto il resto non vi appassiona, non vi garba proprio.

    Sedemmo a un bar chiacchierando amabilmente. Antonella finì lo spritz quando io non ero neppure a metà del mio, ma al suo primo spritz non ne seguì un secondo, in quanto la mia accompagnatrice lo rifiutò categoricamente perché lo ritenne troppo morigerato.

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