Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Inferno solo andata
Inferno solo andata
Inferno solo andata
E-book141 pagine1 ora

Inferno solo andata

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Zombie - romanzo breve (102 pagine) - Quando esce di casa, quella mattina, Paolo Moretti ha un piano ben preciso da seguire. Nulla deve impedirgli di raggiungere lo scopo, ogni mezzo è lecito. Sarà premiato ben oltre i suoi demeriti.


Paolo Moretti è un giovane imprenditore, ultimo erede dell’azienda di famiglia. Sotto pressione per il confronto con l’immagine del padre e le difficili condizioni di mercato, Paolo si prefigge di risolvere ogni problema con l’acquisizione di un nuovo, prestigioso cliente. Il conseguimento di questo obiettivo si trasforma, a poco a poco, in un’ossessione aggravata dalla consapevolezza delle proprie precarie condizioni di salute. Guidato da una pericolosa miscela di pregiudizi, ambizione e fretta, intraprende un viaggio sia materiale che morale in quella che ritiene essere la migliore giornata della sua vita.


Andrea Montalbò è nato a Milano nel 1960. Ha lavorato per molti anni presso un importante istituto bancario, coltivando nel frattempo la passione per la scrittura alla quale si dedica ora a tempo pieno. Ha pubblicato racconti e romanzi, in particolare: per Delos Digital, nella serie The Tube Exposed i racconti Paranoia Park, Paranoia Park: Il Branco (2014); La torre (2015); Animali (2016); Just Ice (2017); per Urania Jumbo nr.2, Mondadori, il racconto Rumore Vuoto (2018), finalista al Premio Urania Short 2017; per Il Giallo Mondadori serie Oro nr. 30, il racconto Stazioni (2019), primo classificato al concorso per racconti inediti “I Sapori del Giallo”, seconda edizione 2018; nell’antologia Matera Nera edita da Bertoni Editore, il racconto Memoria Insufficiente (2019).

LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2021
ISBN9788825416060
Inferno solo andata

Leggi altro di Andrea Montalbò

Correlato a Inferno solo andata

Ebook correlati

Narrativa horror per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Inferno solo andata

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Inferno solo andata - Andrea Montalbò

    9788825402346

    Sottoterra

    1.

    La puzza nel vagone lo stava uccidendo, come facevano gli altri a non accorgersene?

    Ah, certo, tutti troppo impegnati a sbattere il naso contro lo schermo del cellulare o ad ascoltare musica, pessima rumorosa cosiddetta musica, sempre dal cellulare. A volume alto, altissimo; abbastanza da diventare sordi e – soprattutto – infastidire chiunque nel raggio di qualche metro.

    Chiunque avesse ancora buone orecchie e buon gusto in tema di composizione musicale, chiaro. Ma il naso? Insomma, uno può anche infilarsi degli auricolari su fino al cervello, tapparsi le orecchie completamente e distruggersi con quel rumore martellante di tubi rotti, ma il naso non dovrebbe fare la propria parte?

    Il fetore era tiepido e persistente; una patina nauseabonda che insidiava senza scampo le narici, al tempo stesso appiccicandosi agli abiti come un alone personale. Tipo l’effluvio che si era ritrovato addosso dopo la colazione rancida nel bar sotto casa, dove aveva ingollato un pessimo cappuccino molle e intiepidito. Impianto di areazione da sempre insufficiente. Del resto, non era una spesa da poco e quando si ha un fatturato scarso o si è agli inizi…

    Senza accorgersene, il passeggero Paolo Moretti sospirò, annuendo tra sé con la testa: lui era un piccolo imprenditore, sapeva bene come andavano le cose. Da schifo. Sempre. Una lotta al coltello.

    Per questo, era lì a quell’ora. Per la sua quota di fango nel quale strisciare, coltello tra i denti, dritto attraverso il filo spinato.

    La sua quota di merda, insomma.

    Quel fetore, però, lo avrebbe ucciso prima di arrivare a destinazione, garantito. Era talmente acido da irritare lo stomaco e obbligare a respirare con la bocca. L’aroma inconfondibile d’una cattiva igiene o di nessuna igiene; al riguardo non poteva esserci che una e una sola spiegazione, dati i tempi. Immigrati. Roba africana. Avevano quell’odore già al naturale e non… insomma… anche nel migliore dei casi…

    Il piccolo imprenditore si guardò rapidamente attorno, deciso a osservare senza farsi notare: be’, anche solo il vagone nel quale si trovava costituiva un bel campionario. Prevedibile. Una discreta rappresentanza delle più disparate provenienze, mescolate senza amalgama: africani, cinesi, roba dell’Est, latinos. Il mondo in una carrozza. Volti per così dire indigeni, pochi e – ulteriore, estrema classificazione – in maggioranza del sud. Così, a prima vista.

    Con la voluminosa impiegata seduta davanti a lui andava sul sicuro; da quando era salita, insieme a una sventurata collega, non aveva mai smesso di parlare, con un tipico e greve accento cadenzato. Parlare, poi: lamentarsi, del marito, dei figli, dell’ufficio. Soprattutto dell’ufficio. Colleghi con le mani lunghe. Diceva lei.

    Colleghi eventualmente davvero affamati, pensò in modo sprezzante Moretti, orgoglioso tra sé di non essere un ipocrita: il politically correct era una stronzata planetaria, secondo lui; una prova del tentativo in atto di omogeneizzare i cervelli. Trasformare i popoli in masse informi e indistinte. Tutti uguali. Uguali?

    Lui non giocava con le parole. Un negro era un negro.

    E una curvy, soltanto una cicciona. Ecco.

    La cicciona in questione, ignara d’essere il bersaglio del dispregio irradiato dal torvo passeggero in piedi davanti a lei, un braccio allungato al massimo per poter raggiungere il mancorrente in alto, proseguì nella descrizione stereofonica delle vessazioni subite in ufficio. Moretti storse la bocca in una minimale smorfia di soddisfazione notando la noia dipinta sul volto della sventurata interlocutrice. Chiunque l’avrebbe notata; così come evidenti erano gli sguardi ansiosi che la malcapitata lanciava in continuazione attraverso i finestrini. Stava contando le fermate, disperatamente desiderando che la successiva fosse, all’improvviso e in modo assurdo, la loro. Tanto, restava il tragitto fino all’ufficio. La colazione al bar. Caffè, spremuta d’arancia, brioche con crema e sempre bla bla bla…

    Meglio le chiacchiere dell’odore, però, si disse di nuovo, con un ulteriore sussulto; sempre sbirciando all’intorno per attribuire una provenienza precisa a quell’inopportuno fenomeno. Impossibile. Troppi candidati. Troppa folla. Orario di punta del cazzo. Metropolitana del cazzo.

    Non sarebbe stato lì se avesse avuto l’auto. Quella mattina, però, serviva a sua moglie, eh, appuntamento imperdibile. Eh. Corso di aggiornamento sulle tecniche di vendita, bella roba: poteva insegnargliele meglio lui, anni di pratica nel settore.

    Lucidando gli stivali del cliente con la lingua.

    Non ha un buon sapore, la polvere. E va bene quando è polvere. Ah-Ah.

    Invece no, la signora si fa spedire fuori città. È chiaro che l’azienda ha denari da sprecare. Anzi, no: devono essersi infilati in qualche progetto regionale o statale o comunitario, qualche bella cazzata con sgravi fiscali o finanziamenti a fondo perduto. È una ditta grossa, con gli agganci giusti. Da un certo punto di vista, è contento che Carla lavori lì. Per il resto, la stanno prendendo per il culo: ha trent’anni, cazzo, troppo tardi. Ha le competenze e la capacità, ma il posto di Team Leader se lo scorda. Resterà al back office a compilare i contratti degli altri venditori. Quelle più giovani e fresche, tipo.

    Comunque, riflette il giovane imprenditore soddisfatto di sé, dovesse mai Carla diventare Team Leader verrebbe a percepire – tra stipendio e bonus – molto più del suo risicato appannaggio. Una questione che Paolo è certo di non poter digerire.

    Lui è quello all’addiaccio, fuori, a rischiare il culo: a sbattersi per tenere in piedi la ditta, a sbattersi per non farsi fregare dai soci – se avesse dato retta a suo padre, quando diceva: il numero ideale di soci è dispari e inferiore a tre – a sbattersi per trovare contratti. Tutti i contratti possibili, anche piccoli, piccolissimi. Sempre sognando il colpo grosso, il Cliente grosso.

    La storia stava per cambiare.

    Sarebbe cambiata quel giorno stesso, quella era la missione; quello era, doppiamente, l’obiettivo: un percorso a tappe che lo avrebbe portato all’incontro della vita. Perché un incastro così riesce una volta sola, un treno che sfreccia via e rallenta solo un istante. O salti o resti molto a terra.

    Paolo si sentiva pronto a saltare, deciso; non importava il rischio, non importavano le condizioni. Non avrebbe perso il treno. Né quello metaforico né quello vero che lo aspettava alla stazione ferroviaria regionale, post-sopravvivenza ai miasmi metropolitani.

    Era un urlo quello che aveva appena sentito?

    Tese le orecchie, lui che le aveva libere (lui era un uomo interamente libero), sforzandosi di selezionare: la voce baritonale della cicciona; l’occhialuto sulla destra che ascoltava… musica jazz? Roba da fighette intellettuali, probabile… la testa quasi nascosta da una cuffia modello anni ’70; i quattro studentelli zainati e monopattinati che tra uno sghignazzo e l’altro ripetevano i brandelli di una lezione mai memorizzata e men che meno compresa; la nenia nasale di una mamma (araba? E se ci fa saltare tutti?, si domandò en passant) che tentava invano di tranquillizzare la figlia neonata avvolta in panni modesti. Voci. Rumori. Nessun urlo.

    Un litigio? Piegando la testa all’indietro credette di cogliere movimenti scomposti all’altra estremità del lungo treno di carrozze comunicanti.

    Poteva essere qualsiasi cosa; era lunedì, era mattina presto e tutti avevano le palle girate, anche i neonati. Vedere alla voce piccola terrorista in fasce. In quel momento stava strillando più d’un muezzin, forse era lei che aveva sentito urlare. O forse gli agitati in coda?

    Jazzman scivolò alle spalle di Paolo, cercando di aprirsi un varco per l’imminente discesa; mentre sfilava, l’olfatto già irritato dell’imprenditore ne catturò l’aroma del dopobarba. Dolciastro.

    Doveva appartenere a un’altra categoria protetta dalla cosiddetta correttezza.

    Se mi sfiora il culo lo strozzo con la cuffia del nonno, rifletté Paolo con l’abituale serenità, senza tuttavia allentare la presa uditiva (quella visiva era limitata ai tratti rettilinei) sugli avvenimenti pseudo-ordinari in coda: cominciava proprio ad assomigliare a una bella lite, il meglio per iniziare alla grande giornata e settimana. Magari sarebbe degenerata in rissa. O sarebbe intervenuto qualche illustre carneade filosofeggiante a riportare peace&love. Come no. Di questi tempi. Te lo raccomando, l’anderstending

    Allineatosi il treno alla banchina e spalancatesi, con un gemito soffiato, le porte scorrevoli, i passeggeri in discesa diedero inizio alla tradizionale mischia rugbistica con le persone in salita; in quel frangente frenetico e ruvido, Moretti cercò di mettere meglio a fuoco la situazione nell’ultima carrozza. Non riuscì a distinguere nulla al di fuori dell’ordinario caos quotidiano: la mischia si concludeva regolarmente con un pareggio, tanto spazio liberato tanto spazio rioccupato. Di nuovo pigiati, di nuovo impegnati a sudarsi addosso l’uno con l’altro. Per non parlare del tormento che, a lui in primis, arrecavano le cinghie imbottite dello zaino e lo zaino stesso. Una sorta di morbida stufetta incollata alla schiena.

    Appoggiare lo zaino a terra sarebbe stata una soluzione. Ma NO. Pavimenti sporchi o, come quella mattina, impastati a causa della pioggia. E comunque, era uno zaino piccolo, minimo ingombro.

    I piagnoni dell’Educazione Civica perché non se la prendevano con i vari biciclettari, monopattinari, portatori di trolley dalla cubatura livello frigorifero?

    Lo zaino me lo tengo. E sudo. Il riscaldamento è a palla, quando non serve. Tanto paghiamo noi, no?

    La menzione del rituale concetto tanto-paghiamo-noi riportò l’imprenditore a riflessioni più personali e meno social-metrò: se con la mano destra si reggeva, con forza e come previsto, all’apposito mancorrente, con la sinistra affondata nella corrispondente tasca dell’impermeabile stringeva la boccetta

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1