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Magicamente eccezionale
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E-book234 pagine3 ore

Magicamente eccezionale

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Info su questo ebook

La venticinquenne Claire è a Torino da circa cinque anni, cioè da quando un uomo di nome Roberto Favaro si è presentato a casa sua e di sua madre a New York rivendicando il suo ruolo genitoriale. Claire lavora presso uno studio di psicologi e la sua vita scorre felice e piena di soddisfazioni. Ma tutto sta per cambiare. Una sera si scontra con un giovane biologo ferito da un colpo di arma da fuoco. Consapevole del pericolo a cui si espone decide comunque di farlo entrare in casa sua e di aiutarlo. Marzio lavora per un'azienda del luogo e, entrato in possesso di alcune conchiglie fossili, fa una scoperta sconvolgente che porterà i due protagonisti a lottare per la propria vita. Claire, a causa di questa scoperta, subirà una mutazione che la trasformerà in un essere unico con poteri letali rendendola speciale e pericolosa. La storia dei nostri protagonisti stuzzicherà la vostra fantasia e insieme a loro scoprirete una Torino ancora poco conosciuta, ma affascinante e una storia ricca di magia e colpi di scena.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2016
ISBN9788892609686
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    Anteprima del libro

    Magicamente eccezionale - Valente Manuela

    ….

    Capitolo 1

    Ero stanchissima, la giornata si era rivelata lunga e faticosa. Era incominciata male sin dal mattino quando al risveglio mi ero accorta del mal funzionamento della caldaia.

    Era ottobre inoltrato e a Torino, a parte casi particolari e fuori dal comune, in quel periodo dell’anno le temperature non sono più miti. Stava arrivando l’inverno e si incominciava a tenere accesi i termosifoni la sera. Quello era ancora il meno, il mio bellissimo piumone avrebbe potuto tranquillamente sopperire alla mancanza del riscaldamento, ma che dire dell’acqua calda? La doccia per me al mattino è come per molti la tazzina di caffè. Si dà il caso che io non sia mai stata una fan accanita della suddetta bevanda e che anzi io tenda a evitarla se possibile. Preferisco un buon caffè d’orzo per spezzare la mattinata, mentre a colazione per me il latte è sacro. Mi è rimasta, come se fossi ancora alle elementari, la voglia matta di latte e cacao. Lo considero un piccolo vizio che mi concedo tutte le mattine per incominciare bene la giornata.

    Ebbene, quella mattina avevo dovuto saltare la doccia. Ammetto di averci provato ugualmente, ma il getto di acqua fredda, anzi ghiacciata, avrebbe fatto desistere anche il più stoico degli stoici.

    Da qui aveva avuto inizio un susseguirsi di disastri. I miei capelli, leggermente mossi, quel tanto da non stare né dritti né tanto meno ricci, con l’umidità del mattino avevano deciso di seguire una strada tutta loro. Le alghe del mar morto a confronto sono più ordinate e attraenti. Devo necessariamente lavarli tutti i giorni, insomma, faccio un lavoro a contatto con persone psicologicamente instabili, il minimo che io possa fare è presentarmi in ufficio in modo impeccabile.

    Forse sarebbe il caso che io mi descrivessi un po’, giusto per darvi una idea.

    Non mi definisco magra, anche perché da quando vivo in Italia dire di no al cibo è diventato praticamente un delitto. Se dovessi necessariamente darmi un aggettivo sarebbe morbida. Giusta, ecco! 

    Sono decisamente alta per essere una donna, sfioro il metro e ottanta e questo va a mio vantaggio nel lavoro. Metto in soggezione quasi tutti quelli che bussano alla mia porta.

    Purtroppo porto gli occhiali, ma solo in ufficio e davanti al televisore. Ciò di cui vado più fiera però sono i miei bellissimi occhi neri. Non sono di quel marrone che non sa di niente, no, sono neri come la notte. Un nero così profondo da affogarcisi dentro. Ammetto che non potrei proprio definirmi modesta, ecco. I capelli li ho tagliati da poco e ora li porto corti, un po’ spettinati e sono anche loro belli scuri. Peccato per l’ondulato. 

    D’altronde non si può avere tutto!

    Torniamo a noi.

    La caldaia mi aveva intaccato la giornata, ma decisa a essere positiva, mi ero vestita mettendomi un completo giacca e pantaloni che io adoro. Unico vero problema di quella mise è che il suo colore è il bianco.

    Volevo sfidare il cielo plumbeo, convinta che prima o poi si sarebbe aperto mostrando a tutti ancora una coda della passata estate, ma non è andata proprio così.

    Appena salita sul tram, girare in macchina in centro è da matti, ha incominciato a piovere a dirotto. Non una pioggerellina fine, no, sembrava di essere in Amazzonia nel periodo dei monsoni.

    Naturalmente la corsa in ufficio non mi ha salvata, e lo stato in cui ero non è certo passato inosservato.

    Cinzia, la nostra segretaria addetta al ricevimento clienti e alla contabilità, senza il minimo indugio mi ha accolta con commenti per nulla piacevoli, soprattutto quando non c’è modo di modificare la drammatica situazione.

    Mamma mia Claire, ma cosa ti è successo?

    Non hai notato che piove? Cos’è, non sei andata a casa ieri sera?

    Certo che l’ho notato, infatti mi sono presa un ombrello e mi sono vestita di scuro.

    Carino il tuo continuo rimarcare le mie mancanze!

    Era logico no? Che ti aspettavi? Sembri un pulcino bagnato.

    Purtroppo sono stata troppo positiva, ho sbagliato.

    E si nota.

    Alzando gli occhi al cielo me ne sono andata nel mio ufficio incurante degli sguardi dei primi clienti fermi nella sala d’attesa.

    Appena entrata ho deciso di tirare fuori dal cassetto la biancheria di scorta, era mia abitudine da un paio di anni a quella parte, lasciare un vestito di ricambio. Tutto era cominciato quando, dopo l’uscita per andare a pranzo, mi ero ritrovata con una grossa macchia di olio sulla camicia bianca.

    Il vestito che tenevo per le occasioni critiche non era propriamente adatto alla stagione, visto che era senza maniche e che io non avevo messo le calze lunghe, ma sarebbe dovuto andare bene comunque. Sopra avrei messo la giacca del completo che essendo bianca si adattava quasi a tutto.

    Per i capelli invece c’era poco da fare, cercai in tutte le maniere di dar loro una piega, ma sapevo per certo che erano un vero strazio.

    Naturalmente il peggio di quel giorno da incubo non era ancora arrivato.

    Quella mattina avevo tra i miei clienti un uomo di mezza età che mi aveva già dato qualche problema nell’incontro precedente.

    L’uomo in questione si chiamava Sandro Brucchi ed era tra i più facoltosi imprenditori del Piemonte. Sapeva che io mi occupavo principalmente di stranieri, ma non aveva voluto sentire ragioni chiedendo espressamente di me.

    Tra le prime domande che gli avevo posto c’era stata anche questa. Perché io? La risposta era stata vaga e per nulla esaustiva, ma ci ero passata sopra.

    I problemi che diceva di avere, e che io personalmente non ritenevo tali da rivolgersi a degli specialisti, erano quasi tutti di natura economica o lavorativa.

    Ciò che però riusciva ad angustiarmi era il modo in cui quell’uomo mi guardava, come a volermi sondare e scindere in mille parti. 

    Il termine giusto direi che è analizzare. Il signor Brucchi è un imprenditore senza peli sulla lingua e per i miei gusti un po’ troppo astuto per averci a che fare, ma il lavoro è lavoro.

    Mi ero appena ripresa da quell’inizio sgradevole quando il mio primo paziente fece capolino, impeccabile nel suo completo grigio antracite.

    Buongiorno signor Brucchi, prego si accomodi. La stavo aspettando. 

    Cercavo sempre di avere un’aria professionale vista la mia giovane età. Non tutti apprezzavano di dover parlare con una ragazzina dei loro problemi.

    Signorina Claire, sempre magnifica. Credo di poter però supporre che lei non si sia portata l’ombrello stamattina.

    Malgrado fosse più basso di me di una decina di centimetri sentivo il suo sguardo bruciare, mi fissava negli occhi senza mai mostrare un tentennamento.

    Purtroppo è così. Rischiavo di perdere il pullman e non me la sono sentita di tornare a casa a prenderlo. Non volevo arrivare in ritardo al nostro secondo appuntamento.

    Molto professionale, ma per le prossime volte le chiederei di non rischiare un brutto raffreddore a causa mia.

    Come ad avermi scagliato contro una sorta di maledizione incominciai ad avvertire un senso di malessere generale.

    Stia tranquillo, sono abituata a cose di gran lunga peggiori! 

    Mi spostai per permettergli di entrare nel mio studio e lo feci accomodare su una soffice poltrona che avevo appositamente messo vicino alla finestra. A molti piace guardare fuori e perdersi in contemplazione del cielo mentre si cerca di analizzare ciò che più li angustia.

    Il signor Brucchi si accomodò con agilità aspettando paziente che anche io mi sistemassi.

    Di cosa vuole parlare oggi? Durante il nostro primo incontro siamo stati abbastanza vaghi riguardo le motivazioni che l’hanno portata qui da me. Ho potuto capire che il problema è legato alla sua società, che al momento è in espansione. 

    Mi ero documentata in merito perché non volevo essere colta alla sprovvista da quell’uomo. La sua società, la Brucchi Technologies, si occupava principalmente di assorbire in giro per il mondo lotti di terreno per poi rivenderli una volta resi edificabili. Sinceramente non avevo idea di come quell’uomo riuscisse a modificare lo stato del lotto al catasto, ma avevo preferito soprassedere al riguardo. Ero più che convinta che non sempre le sue manovre fossero legali. In ogni caso avevo letto che negli ultimi anni aveva allargato la sua società occupandosi anche di medicina. Inviava tecnici specializzati nei luoghi più reconditi del pianeta in cerca di erbe in grado di aiutare la medicina moderna nella cura di malattie al momento ancora incurabili. Subito, leggendo la notizia in internet, avevo apprezzato il suo interessamento per il benessere dell’umanità, poi però avevo appreso che quasi tutte le scoperte effettuate dai suoi laboratori venivano messe all’asta e contese dalle grandi case farmaceutiche. Alla fine il suo unico scopo era fare un sacco di quattrini.

    Esatto. Questa crescita costante è la mia più grande soddisfazione, ma anche il mio incubo.

    Perché, se posso chiedere?

    E’ la sensazione che credo possa aver provato Icaro una volta giunto troppo vicino al sole.

    Ha paura di perdere tutto?

    Si esatto. La mia voglia di ingrandirmi è talmente elevata che ho paura di commettere un qualche passo falso. Qualche cosa che mi faccia ripiombare tra la gente comune.

    E’ una paura più che fondata. Ci sono quindi nuovi progetti in ballo, devo presumere.

    Si, un nuovo lotto di terreno. Ha grandi potenzialità, ma sono indeciso.

    Cosa le ha fatto scattare il campanello di allarme?

    Se devo essere sincero non lo so, ma è il mio fiuto per gli affari ad avermi portato fino a qui. Difficilmente sbaglia.

    Allora ha deciso di rinunciare?

    Brucchi si era girato puntando il suo sguardo glaciale nei miei occhi. 

    Affatto. Amo rischiare.

    Da quel momento la conversazione era scivolata nel banale, malgrado tutta la mia esperienza e i miei studi non ero riuscita a farlo sbottonare ulteriormente. Alla fine ci avevo rinunciato, quell’uomo aveva un sacco di soldi da buttare e aveva scelto me come destinataria di tutto quel denaro. Come rifiutare? Se veniva solo a scambiare due chiacchiere e gli stava bene così chi ero io per farlo desistere?

    Dopo quell’incontro, che mi aveva lasciata con un senso di frustrazione, la giornata sembrava essersi volta al meglio. Peccato il gran mal di testa che mi aveva colpito intorno all’ora di pranzo e che neanche l’aspirina aveva scacciato.

    Dovevi asciugarti i capelli cara!

    Cinzia, dove lo prendevo un phon? Ne hai per caso uno in borsetta? Chi sei Mary Poppins? 

    Quella donna riusciva a irritarmi come pochi.

    Era così per dire …

    Smisi di ascoltarla tornando a occuparmi dei miei affari, ma riuscendo a combinare molto poco. La testa mi scoppiava e facevo fatica a concentrarmi. Quando finalmente arrivò l’ora di andare a casa mi accorsi con disagio che aveva ricominciato a piovere. Mi rimisi il mio completo bianco, ormai da lavare, e attesi paziente che anche Cinzia lasciasse l’ufficio. Avevo voglia di silenzio e non dei suoi continui cicalecci.

    Mi addentrai nel traffico e in meno di un minuto mi ritrovai nuovamente zuppa. Quando il tram si fermò per farmi scendere decisi che era assolutamente inutile mettersi a correre. Rischiavo anche di cadere e prendermi una storta e ormai non ne valeva più la pena. Sentivo l’umidità entrarmi nelle ossa e nessuna corsa avrebbe potuto salvarmi.

    Stavo giusto ragionando su cosa mettere sotto i denti e su che cosa c’era ancora di commestibile nel frigorifero, avevo già optato per una buona minestrina, quando girato l’angolo mi ritrovai con il naso schiacciato nel giubbotto di qualcuno.

    Ecco, proprio così tutto è incominciato.

    Capitolo 2

    La giacca in pelle su cui ero andata a sbattere era completamente bagnata e quel contatto mi fece rabbrividire malgrado anche io non fossi proprio asciutta.

    Mi tirai indietro chiedendo scusa per la mia sbadataggine e aspettandomi che lo sconosciuto in questione facesse lo stesso. Invece …

    Scusi! Avevo fretta di tornare a casa e non ho fatto attenzione a dove stavo andando. 

    Alzai gli occhi per mettere a fuoco quell’uomo che mi superava in altezza di una buona spanna. Ma quanto era alto?

    Quando finalmente i miei occhi lo inquadrarono restai ammutolita davanti al viso più bello che io avessi mai visto.

    Doveva avere dai trenta ai trentacinque anni, i capelli erano corti e folti, e gli occhi … mai visti occhi così. Grigi, come il mare in tempesta.

    Solo in quel momento mi resi conto che lo stavo praticamente sorreggendo io.

    Mi aiuti. Per favore … sono un medico … mi hanno ferito. 

    Spostò appena la giacca mostrando la camicia insanguinata.

    Personalmente credo che sia capitato a pochi di ritrovarsi in una situazione simile. Insomma, sono quelle classiche scene da film che non si vivono tutti i giorni.

    Devo chiamare un’ambulanza! Cerchi di rimanere appoggiato a me. 

    Chissà perché non mi era neanche passato per la mente che quello che vedevo potesse essere finto, fatto apposta per distrarmi e magari rubarmi la borsetta. Era tutto troppo realistico, soprattutto il taglio e il sangue che imbrattava il suo fianco.

    No! La prego, non chiami nessuno, mi dia una mano e prometto che le spiegherò tutto … 

    Lo vedevo dondolare incapace a mantenere l’equilibrio. Doveva aver perso molto sangue.

    Nel momento stesso in cui pronunciai quelle parole capii come si può essere abbindolati facilmente.

    Vuole salire da me? La casa è quella che fa angolo.

    L’uomo sembrò riprendersi lievemente e fissò i suoi occhi nei miei creandomi un certo disagio. Che fare ora? Ormai la proposta l’avevo fatta e per strada, a quell’ora e con quel tempo, non c’era anima viva. Feci una preghiera al mio angelo custode con la speranza che l’uomo che stavo sorreggendo non mi violentasse appena chiuso il portone.

    Grazie.

    Una sola parola era bastata per mandarmi nuovamente nel mondo dei rimbecilliti. Lo aiutai e insieme raggiungemmo casa mia.

    Quando aprii la porta mi venne incontro Lucifero, il mio meraviglioso gatto nero di razza Maine Coon. A dire il vero è talmente grosso che più che un gatto sembra un cane, ma solo nell’aspetto perché la sua anima e completamente e inesorabilmente felina.

    Bello… 

    L’uomo insanguinato, che al momento non avevo la più pallida idea di come si chiamasse, fece giusto in tempo a pronunciare quell’unica parola prima di rovinare a terra.

    Malgrado io cercassi con tutte le mie forze di tenerlo fu praticamente impossibile frenare la sua caduta e il conseguente trauma cranico che doveva aver riportato.

    Oh mamma! Se questo mi muore in casa penseranno che sono stata io e mi arresteranno buttando via la chiave. Sapevo che la legge italiana faceva acqua da tutte le parti e che persino gli assassini riuscivano a tornare liberi in un tempo relativamente breve, considerando ciò che avevano fatto. La cosa che mi preoccupava di più era che quelle anti-regole valevano sempre per tutti, poi però quando succedeva a te tutto filava come doveva e ti ritrovavi a passare venti anni dietro le sbarre con un solo cesto di arance a farti compagnia.

    Salutai brevemente l’amico a quattro zampe e poi corsi in camera a prendere una coperta e un cuscino, impensabile riuscire a spostarlo da sola.

    Quando finalmente giunse il tempo di occuparmi della ferita incominciai a dubitare di ciò che stavo facendo. Ripensavo a tutti i film visti e alle scene in cui il bello di turno si fa aiutare dall’amica super bella a ricucire qualche pezzo. Ma questo non era un film!!!

    Andai in bagno e presi dei guanti in lattice, perché l’AIDS non volevo certo beccarmelo, garze, acqua ossigenata, filo e ago, che dubitavo sarei stata capace di usare.

    Gli aprii delicatamente la camicia e anche se totalmente inesperta, mi resi immediatamente conto che a colpirlo era stato un proiettile.

    "Ma cosa diamine mi è passato per la testa? Dovevo

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