L'Osteria dal Romagnolo: ...quella in via Sant'Apollonia
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Info su questo ebook
Un anziano affittacamere e uno studente universitario ricordano e ripercorrono la storia dell’Osteria dal Romagnolo, nel centro di Bologna, nel tentativo di salvarne la memoria e di ripercorrerne il significato storico e sociale, ormai perduto. Un percorso che affronta quindici anni di storia e si ferma al limitare di un nuovo decennio e di una nuova epoca. Un susseguirsi di racconti (tratti da storie vere) di chi l’ha vissuta in prima persona e rielaborati da chi, quella storia, l’ha sfiorata appena. Aneddoti nostalgici e moti d’orgoglio di ciò che un tempo era un tratto distintivo di Bologna, ora tenuto in vita nella memoria di questo libro.
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Anteprima del libro
L'Osteria dal Romagnolo - Marco Ferlini
Marco Ferlini
L’OSTERIA DAL ROMAGNOLO
...quella in via Sant'Apollonia
Collana I portici raccontano n.5
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
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ISBN 978-88-6155-719-2
Proprietà letteraria riservata
© Giraldi Editore, 2018
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.
Le imposte di legno si aprono e, nonostante si sia nel pieno centro, si sentono gruppi di merli cinguettare.
Il sole tende appena a rischiarare il cielo, senza ancora dar segno di sé.
L’aria è una brezza dolce e ha un odore di caffè e muffa.
In fondo al lungo portico c’è Sandrino che avanza con calma, nell’ombra. Sarà lui, come ogni giorno, a essere il primo a varcare la soglia.
Ore 6:30, inizia una nuova giornata all’Osteria del Romagnolo.
1
ECCOCI ALLA FINE
come giocarsi tutto in dieci minuti
È già da qualche minuto che parlo al presidente, ma non lo vedo abbastanza coinvolto, così decido di uscire dal seminato e gli illustro a modo mio come poteva essere la situazione.
"Dietro al bancone c’è Luigi, una vita passata tra stalle e campi, si era ritrovato di punto in bianco a servire caffè e bicchieri di vino. Nel primo tavolo, vicino all’entrata, c’è Alfredo, e come ogni giorno era già passato dal mobile vetrinetta del locale a prendere le posate e il suo tovagliolo personale, tenuto da parte dai gestori. Vedovo, in pensione, l’osteria è un po’ la sua seconda casa, è in attesa di ordinare qualcosa da mangiare. Nella sala grande Rino e Adelmo discutono di politica e dei nuovi moti sessantottini, sfidandosi a carte e a suon di argomenti. Sono di due sponde politiche opposte e ogni volta si lanciano in discussioni accese. Sul piano che dà verso la cucina sono pronti dieci pasti, cinque da portare alle prostitute della casa chiusa in via dell’Unione, che non si sa come, nonostante la legge Merlin, è ancora segretamente aperta. Gli altri cinque vanno a dei parenti degli ospedalizzati della clinica odontoiatrica lì vicino. Nel frattempo un giovane ragazzo entra trafelato nel locale, rosso in volto chiede all’oste se per caso è stato trovato un paio di mutande, dato che la sera prima, durante la festa delle matricole, gliele avevano nascoste. Intanto le nipoti del titolare girano tra i tavoli in fibrillazione, hanno circa otto anni e un cliente si è detto disponibile ad accompagnarle al cinema. Gino sta in un angolo, con la sua nuova radiolina transistor, ascolta Tutto il calcio minuto per minuto. È un omino taciturno ma se gli chiedi di sport ti sa dire morte e miracoli. Gastone chiede un bitter al bancone, sta parlando con un suo amico delle nuove periferie che stanno allargandosi al di fuori delle mura. Lui è un agente immobiliare e qualcuno dei palazzoni squadrati neonati nella zona Fossolo sono affar suo. Nel frattempo dalla cucina si inizia a sentire odore di fritto, manca poco all’arrivo in sala delle crescentine. Piatto preparato solo di domenica".
Gesticolo come a modellare le quinte di un teatro, a mettere cose qua e personaggi là. Il professore Tagliaferri mi lancia occhiate minacciose, della serie quando hai finito ti sbrano!
Ma a me piace così, che il film
di quello che furono le osterie, e cosa rappresentavano per la popolazione di allora, riviva ancora. Chissà se il Presidente l’avrà capito. Spero di sì, in questi minuti mi sto giocando tutto!
2
ANTEFATTO
a mille chilometri da Bologna
Salvatore era l’esempio vivente che mi stavo mettendo nei guai con le mie mani. Ma ero una capa tosta e non volevo cedere alle disillusioni delle esperienze fallimentari altrui.
Ci incontrammo un giorno d’estate, col sole a picco sulle nostre teste, mezzogiorno che incombeva sulle tavole già apparecchiate, i vicoli chiari che si stavano svuotando, gatti randagi in cerca d’amore. Ci eravamo persi di vista da anni e fu istintiva la voglia di raccontarci del passato e del futuro. Dopo pranzo, però. L’appuntamento fu per il pomeriggio stesso, al bar della piazzetta del nostro piccolo paese, di fronte alla semplice, bianca e squadrata chiesa di San Michele.
Davanti a un analcolico color fragola non volle scoraggiarmi, anzi fu stimolato a rendermi l’esperienza che avrei vissuto più agevole possibile. Lui, che aveva passato ben dodici anni lontano dalla propria terra, forse rivide in me quell’entusiasmo che lo aveva spinto in passato a iscriversi all’università di Bologna, e in cuor suo sperava che a me andasse diversamente. Probabilmente lo desiderava a tal punto da considerarla una rivincita. Di cosa poi. Certo, non era riuscito nell’intento di realizzare i suoi sogni, ma la sua condizione non era certo da biasimare. O perlomeno non la biasimavo io, che non conoscevo ancora il sapore della disillusione, il dolore per la morte dei propri intenti, l’amarezza e quel senso di vuoto che si ha quando bisogna ricominciare da zero. Lui, queste cose, le conosceva bene: otto anni da universitario fuorisede, due a cercare un lavoro attinente ai suoi studi, due a cercare un lavoro qualsiasi. Poi il ritorno a casa, la sua vecchia casa natia, una masseria che i genitori defunti gli avevano lasciato in eredità e che lui aveva rimesso faticosamente in sesto. Ora stava gestendo il casolare a livello turistico con buoni profitti.
Non farci caso
, mi disse, i bolognesi all’inizio sembrano un po’ burberi ma poi ti accolgono come un fratello
.
Mille anni di storia universitaria e di studenti fuorisede li avevano resi accoglienti ...ma a volte anche diffidenti
si soffermò a precisare. Aggiunse che il primo ostacolo da affrontare era quello di trovare un alloggio, e questo lo sapevo, quello che non sapevo è che era una specie di guerra, a meno che non fossi disposto ad accettare qualsiasi cosa come un barbone qualunque. Mi sembrò un po’ esagerato e mi affrettai a dirgli che comunque una soluzione temporanea già l’avevo grazie a un mio cugino che era già su da un anno e che mi avrebbe ospitato nella sua stanza per qualche tempo. Scosse la testa e specificò di non farmi troppe illusioni, che gli appartamenti per gli studenti, a Bologna, sono delle tonnare
. Lui tonnare
lo usava come intercalare per distinguere una serie di cose. Non era proprio un neologismo, diciamo uno slang personalizzato, che nelle diverse occasioni veniva usato per indicare confusione, moltitudine, baccano. Poteva essere usato per definire un ammasso di rifiuti o un gruppo di persone in un’orgia, a seconda del discorso. Salvatore si spinse a specificare la suddivisione caotica di cose e ambienti nell’ambito locatario/studentesco. Cioè che tutto sia in comune, ma comunque suddiviso e personalizzato. Ognuno con la propria carta igienica, il proprio reparto nel frigorifero, i turni per la televisione e le docce, i calcoli al centesimo per il pagamento delle bollette e la suddivisione delle lamentele di vicini e padroni di casa, anche per casini altrui. Mi suggerì che la soluzione migliore, ma anche molto più costosa, era quella dell’appartamento indipendente, che sì, all’inizio, l’appoggio di un parente ci poteva stare, ma l’indipendenza era tutta un’altra cosa. Ovvio, dipendeva tutto dalla disponibilità finanziaria, senza farmi illusioni su ipotetiche vantaggiose offerte di magnanimi bolognesi in vena di aiuti umanitari a studenti del sud. L’unica cosa su cui si poteva far un po’ leva era quella di farsi trovare pronti, già integrati negli usi e costumi del luogo, già familiarizzati con l’ambiente e non degli alieni sperduti sbarcati da un altro mondo.
Se fai come loro
mi disse ti accoglieranno meglio
, io feci un’espressione interrogativa, di quello che non aveva chiaro cosa volesse dire e lui puntualizzò: Tipo... parlare con lo slang bolognese, conoscere le loro abitudini
, il che mi sembrò un po’ esagerato, non è che andavo all’estero, cosa poteva cambiare così tanto conoscerli così bene?
È un fattore di empatia
continuò "non è necessario che tu sia obbligatoriamente simpatico, anzi al contrario, fagli una battuta con il tuo accento tipico e te li farai nemici per