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Sì, no, Miami: La mia storia dai tacchi a spillo all'ictus e ritorno
Sì, no, Miami: La mia storia dai tacchi a spillo all'ictus e ritorno
Sì, no, Miami: La mia storia dai tacchi a spillo all'ictus e ritorno
E-book354 pagine3 ore

Sì, no, Miami: La mia storia dai tacchi a spillo all'ictus e ritorno

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Info su questo ebook

Sì, no, Miami è una testimonianza unica nel suo genere, la storia di una caduta tragica e di un recupero trionfale raccontata con un'ironia e una spontaneità eccezionali. Una prova di ottimismo sfrontato, di gioia di vivere prorompente, un'iniezione di coraggio e positività per tutti coloro che si trovano ad affrontare una situazione difficile. Ma anche, il che non guasta, un libro fresco, originale, divertente.
Dalla prefazione di Daria Bignardi.
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2015
ISBN9788899091453
Sì, no, Miami: La mia storia dai tacchi a spillo all'ictus e ritorno

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    Anteprima del libro

    Sì, no, Miami - Lisa Festa

    Sì, no, Miami!

    La mia storia dai tacchi a spillo all'ictus e ritorno

    di Lisa Festa

    Panda Edizioni

    ISBN 9788899091453

    ©2015 Panda Edizioni

    www.pandaedizioni.it

    info@pandaedizioni.it

    Alle stelle cadenti del mio magico

    firmamento...

    Prefazione

    di Daria Bignardi

    La prima volta che ho visto Lisa era abbracciata a Umberto Bossi. Sorrideva da una piccola fotografia sul Corriere della Sera. L'articolo diceva che dopo averla conosciuta in clinica, dove entrambi si stavano curando per un ictus, Bossi aveva deciso di candidare la giovanissima tosa di Castelfranco Veneto alle elezioni comunali della primavera del 2005.

    Io stavo cercando storie di ragazzi animati da passione politica per la prima puntata delle Invasioni Barbariche, il programma che stavo preparando per La Sette, e la chiamai. Le prime volte non riuscii a parlarle. Rispondeva sempre sua sorella Laura, e mi spiegava che Lisa stava facendo fisioterapia. Laura era molto materna e preoccupata per quello che la televisione avrebbe potuto fare della storia di Lisa. Le dissi che aveva ragione a essere prudente, e che mi sarebbe comunque piaciuto conoscerle. Ci vollero molte telefonate, e un pomeriggio Laura e Lisa vennero a trovarmi in redazione, a Milano.

    Dal primo momento in cui ho incontrato Lisa ho capito due cose. La prima è che della politica non gliene importa molto, la seconda è che è una ragazza eccezionale. Man mano che mi raccontava della sua storia, dell'ictus che l'aveva stesa una sera mentre flirtava a una festa, e di come era vestita quella sera e di come le piacevano le scarpe tacco dodici che si era messa, e di quello che era successo poi in ospedale quando aveva perso la capacità di parlare, e soprattutto di come era stato buffo la prima volta che poi aveva fatto del sesso... Mi sono trovata davanti a un concentrato di allegria, ironia e coraggio che mi ha prima commossa, poi divertita e alla fine entusiasmata.

    Abbiamo parlato per due ore, lei lenta ma spontanea e per niente intimorita, un tremendo angelo biondo dalla parlata veneta, una ragazza di ventidue anni con la saggezza di una di duecento. Poi, la nota preoccupante: «Sto scrivendo un libro» ha detto. Oddìo no, ho pensato. Tutti vogliono scrivere un libro. Tutti pensano di saper scrivere un libro. Perché anche questa ragazza così allegra e coraggiosa e spregiudicata deve avere un desiderio così banale, lei che non è banale in niente?

    Per gentilezza, visto che insisteva, le ho detto che l'avrei letto, avvertendola che poi mi avrebbe detestato per quello che le avrei detto. «Non sono un'addetta ai lavori» ho messo le mani avanti... Lei ha detto che avrebbe rischiato, ché tanto ormai era abituata a vedersela brutta.

    Poi se ne è andata sotto braccio a Laura, zoppicando un po' e nascondendo un po' la mano che ancora non riusciva a usare.

    Dopo qualche tempo è venuta a raccontare la sua storia a Le Invasioni Barbariche. Era elegantissima ma si lamentava di non essersi potuta mettere il suo tacco dodici.

    Ha parlato della malattia e ha spiegato come aveva conosciuto Umberto Bossi in clinica. «Mio papà è sempre stato leghista, dalle nostre parti è molto comune. Quando ha saputo che lo avevo incontrato, era raggiante. Anche a me Bossi è sempre piaciuto: io di politica non capisco niente, ma l'ho sempre ammirato per la sua grinta. I primi tempi parlavo solo con le sue guardie del corpo. Lui lo vedevo di sfuggita, da lontano. Poi l'8 novembre 2004, il giorno del mio ventiduesimo compleanno, l'ho invitato alla festina che avevo organizzato nel bar dell'ospedale, dove andavo tutte le sere prima di andare a dormire per parlare un po' con gli altri malati. Lì alle sei mangiavi e alle sei e trenta ti chiedevano di andare a letto: io diventavo matta. Lui è arrivato e abbiamo iniziato a parlare. Faceva fatica a credere che così giovane avessi potuto avere un ictus, proprio come lui. È stato molto dolce. La gente lo vede in tv e pensa che sia cinico, invece è tutto il contrario. Sua moglie gli è sempre stata vicina, però mi ha dato un'impressione di grande solitudine, come se molti si preoccupassero per la sua carica politica più che per la sua salute.»

    Poi Lisa ha raccontato di una sera che era triste perché aveva saputo che una sua amica si era laureata e lei invece era ancora in riabilitazione. Bossi le disse che lei stava facendo una cosa più importante, che stava prendendo la laurea della vita. A me era sembrata una cosa molto affettuosa da dire, e fino ad allora non avevo mai immaginato che Bossi fosse un tipo tanto affettuoso.

    Comunque quella sera Lisa in televisione sembrò divertirsi molto, anche raccontando che alle famose elezioni alla fine aveva preso solo una ventina di voti.

    Non mi aspettavo che il giorno dopo mi mandasse davvero i primi tre capitoli del suo libro. Ma ancora meno immaginavo che mi sarebbe piaciuto così tanto. Subito sotto il suo linguaggio naïf mi sono apparsi una storia importante e uno sguardo speciale. Mi è venuto in mente Aldo Nove al massimo della forma, quando si immedesimava nel linguaggio di un tamarro del Nordest. Lisa scriveva davvero col linguaggio di un tamarro del Nordest! In più aveva una storia, aveva una luce, aveva un ottimismo e un candore che nessun intellettuale e nessuno scrittore forse potrebbero mai inventarsi per entrare davvero nei sogni di una ragazza di vent'anni. Tanto meno di una ragazza eccezionale come Lisa.

    Lisa mi ha fatto bene, anche se non so bene come spiegarlo o come raccontarlo. Mi ha fatto capire qualcosa, anche se non voglio spiegare cosa: voglio vedere se fa quest'effetto anche a voi.

    Quello che posso dire con certezza è che il suo libro è una piccola cosa preziosa.

    Parte prima

    Festa a Vicenza

    Mercoledì, la sera top nel locale di Vicenza. Wow! Si va a ballare! Mi sono tirata al massimo: gonna maculata, orecchino marroncino di Swarovski, scarpe in vernice nera con tacchi a spillo di dodici centimetri, giacca nera di raso e, sotto, intimo rigorosamente nero, con il push up da rimorchio. I capelli li ho lasciati liberi. Altre volte metto ciuffi, code, parrucche. Ma questa sera sono i miei.

    Ci prepariamo, io e Laura, mia sorella, la metà del mio cuore, la mia migliore amica. Nonostante la differenza di età, si domandano tutti chi sia la più vecchia tra noi, perché io ho sempre dimostrato più anni di quanti ne ho. Quando ne avevo quindici, all’Hollywood di Milano raccontavo che ero al primo anno di università. Adesso agli amici milanesi dico che sto prendendo la seconda laurea! Insomma, è la sottoscritta che porta male i propri anni. E pensare che Laura ne ha dieci più di me! Lei è scura di carnagione, alta, ha occhi e capelli neri, poppe abbondanti. Ma, per fortuna, le curve non mancano neppure a me – con la differenza che io sono piccolina, bionda, ho occhi verde-nocciola e pelle più bianca della mozzarella. Forse di curve ne abbiamo entrambe anche troppe. Sorelle poppepanza! Quando usciamo insieme, ci chiamano Barbie e Pocahontas. Sempre a rompere questi uomini! Noi siamo Laura e Lisa!

    Novembre è un mese di festeggiamenti per noi: l’8 è il mio compleanno, il 25 quello di mia sorella e il 30 quello del mio cane Lampo (Lampone per gli amici). Oggi, 26 novembre 2003, è quindi la sera ideale per un megafestòn! Due sabati fa ho fatto la mia festa. Bellissima. Ho affittato il locale di Milo, a Bassano, e ho invitato tutti gli amici. Eravamo più di settanta, proprio un bell’ambiente e un ventunesimo compleanno indimenticabile! Questa sera, invece, è a Laura che dobbiamo tirare le orecchie, 31 volte per la precisione (anche se lei, ogni anno, dice che sono soltanto 25). Gli amici ci aspettano. Ma le donne sono quasi sempre in ritardo, e Laura, se dà un appuntamento per le 20.30, va in doccia alle 20.40. Al contrario di me che arrivo in anticipo, tranne che all’università (sono sempre volentieri in ritardo alle lezioni).

    Il ristolounge dove abbiamo organizzato la festa dista una quarantina di chilometri da casa, ma i miei sono tranquilli perché sanno che sono insieme a Laura, mia guida e mia luce. Noi due siamo perfettamente in sintonia, anche se a volte ci litigo per l’abbigliamento, per il disordine che combina, per i ritardi o per le giornate che perde a guardarsi le doppie punte. La verità è che ci cerchiamo sempre, quando siamo lontane l’una dall’altra. Siamo quasi dipendenti, come fidanzatini alle prime armi: Laura è la mia droga!

    Con la Classe A nuova di zecca, andiamo a prendere Federica, una mia collega. Nonostante gli studi di lingue all’università di Venezia, lavoro in un hotel a Cittadella. È un posto che mi ha procurato Max, il mio migliore amico. Sono felice di lavorare insieme a lui. È unico, come Paolone. Due grandi amici. Facciamo gli stessi turni noi tre: io alla reception, Paolone in sala e Max… be’, Max è il direttore. Ci vado volentieri al lavoro, per me è come un divertimento.

    Laura, Fede e io ci avviamo verso Vicenza, al top della forma. È un po’ tardi ma, visto che il giorno dopo io faccio il turno dalle 15 alle 24 e le due friends non lavorano, ce la prendiamo comoda. Arriviamo nel locale all’1.40, benché ci aspettassero per cena (ma lo sanno tutti quant’è puntuale Laura). Prima di entrare, lucido le labbra col gloss, tiro su le zizze perché siano bene in mostra (gli uomini, per prima cosa e anche per ultima, guardano quello: sedere e seno), metto qualche altra goccia del mio profumo preferito e l’olio satinante sulle gambe. Salutiamo Fabione, il parcheggiatore: gira tutti i locali che frequento, perciò siamo diventati amici e, naturalmente, non ci fa pagare (anche se non abbiamo una Porsche). Entriamo nel piccolo locale, dove il mercoledì trovi la miglior gente di Vicenza, Padova, Verona. Ci dirigiamo da Ferrari, un amico di Desenzano che ha la macchina in (ovvero il modello 360 Modena grigio), però è uno che non se la tira affatto. Non è come quelli che incontri in piazza a Castelfranco, che sono di uno snob, col macchinone preso in leasing e le Gucci tarocche!

    Lanciate come non mai, Laura e io balliamo in mezzo alla pista, Ferrari se ne sta seduto al tavolino vicino alla consolle.

    Il dj è fuori come un balcone, mette su Raffaella Carrà, le canzoni di Rimini Rimini, i revival degli anni Ottanta. Facciamo il ballo sulla sabbia, ripetendo i passi che ci indica lui, ma tutti all’incontrario. Che ridere! Due tipi ci fanno i sorrisini dolci. Il mio sole e io li prendiamo in giro: «Guarda quello lì, ha i denti uno ogni mezz'ora». E quelli, invece, convinti di aver fatto colpo, si sbattono per rimorchiarci. Che coraggio!

    Forza, scappiamo finché siamo in tempo!

    Federica si è persa via non so dove, forse è andata a scolare rum in compagnia di qualcuno. Ferrari, intanto, ordina una bottiglia di champagne che Laura e io facciamo finta di bere. Appena lui si volta, invece, lo rovesciamo a terra, perché siamo entrambe astemie. Però bisogna pur dare un po’ di soddisfazione agli uomini, no?

    «Che buono. Hai fatto bene a ordinare champagne!» Con il mio femminismo a mille, penso che gli uomini siano tutti uguali: appena vedono una migliore di te, la fissano facendosi venire la bava alla bocca. Sarà che deve ancora nascere quello che mi farà innamorare, ma secondo me è impossibile trovare la persona giusta! È vero, per un anno e mezzo sono stata con un ragazzo. Ma giuro che ero più legata a sua madre e a sua sorella che a lui. Mi trattava malissimo e voleva cambiarmi. Io sono una tipa indipendente. Mi piace uscire con le amiche, andare a ballare, al cinema. Per lui ho rinunciato a fare la hostess alle fiere e ai congressi, e ho smesso di andare in giro per lavoro. Sosteneva che, se mi mettevo in mostra, gli altri per forza che ci provavano. Ma chi ha il sospetto ha il difetto: era lui che mi tradiva, con la scusa che era spesso via per lavoro! Sul suo cellulare ho beccato certi sms spinti da far venire la pelle d’oca.

    Ma non ne voglio parlare, non ne vale la pena. Sono già stata fin troppo buona. Sì, lo so, nemmeno io sono perfetta, ci mancherebbe altro: so di avere un caratteraccio, ma con lui mi sono comportata proprio come un’ingenua, scema che sono!

    I tacchi dodici sono tanto belli quanto scomodi. Ci sediamo al tavolo a guardare la bella gente, soprattutto le ragazze chic, con stivali e minigonne da sballo. A me piace spiare come si veste una girl, sono una fanatica del look. Se una sta bene con un vestito, glielo dico: invidia è una parola che nel mio vocabolario non esiste.

    La mia carta di credito è sempre agonizzante. Sono una shopping addict: ho una passione irrefrenabile per le scarpe, i vestiti, le mollette per i capelli, gli orecchini, le collanine, l’intimo, i profumi, le creme. Insomma, sono una che guadagna dieci e spende dodici. Soprattutto quando sono malinconica.

    La mia cabina armadio è peggio della Rinascente. Tra accessori e portabiti sovraccarichi, non so neppure io quello che ho. Enrichetto, il mio papy, minaccia di buttare via tutto, un giorno o l’altro, perché dice che è sciocco riempire l’armadio fino a farlo scoppiare, se poi non hai nemmeno il tempo di indossare tutto quello che compri. Solo la roba comoda la metto sempre. Eh, sì, ho vestiti ancora con l’etichetta! Pretendo rassicurazioni dallo specchio: la moda e il fatto di sentirmi impeccabile mi danno la forza per tirare avanti.

    Le donne sono notoriamente insaziabili. E aveva infinitamente ragione Marilyn Monroe a sostenere che i nostri migliori amici sono i diamanti... Ma io aggiungerei anche i rubini, i zaffiri, gli smeraldi!

    Il blackout

    Da lontano scorgo alcuni amici, tra cui Roby, il classico tipo bello e impossibile. Ci vediamo quando ne abbiamo voglia, e a me sta bene così. Dopo un po’ fa il figo, girando per la disco e tenendomi d’occhio. Poi, d’un tratto, lo vedo sbucare da dietro: se uno se la tira con me, me la tiro anch’io. Sto parlando con altri ragazzi al tavolo di Ferrari, lui mi chiama e mi chiede di andare a bere qualcosa al bar. Ovviamente, accetto.

    Ma non facciamo neppure in tempo a chiacchierare che inizio a sentirmi malissimo.

    La testa mi gira forte, in una maniera mai capitata prima, e mi manca pure la parola! Roby, tutto preoccupato, va a cercare Laura: «Lisa sta male. Corri!» le dice. Sono le 2.45 del 27 novembre 2003. Io non sento nulla, le frasi non mi vengono.

    Ma mi rendo conto che mi sta succedendo qualcosa di anormale (non che io sia normale, intendiamoci: però questa è un’altra cosa). Laura arriva gridando: «Lisa, Lisaa, Lisaaa!».

    Teme che qualcuno mi abbia messo una pastiglia, o qualcosa di simile, dentro il bicchiere. Sa che, quando vado a ballare, bevo solo acqua o succhi di frutta. Però non si sa mai. Mi fanno sedere fuori, non riesco a stare in piedi. Roby mi abbraccia.

    Mi spruzzano un farmaco per l’asma, perché sono pure asmatica e allergica al fumo. Niente… Intanto, qualcuno chiama l’ambulanza.

    Laura cerca Federica, che non si trova. Ricordo quasi tutto di questi momenti. Rivedo i miei amici disperati, ma non riesco a parlare. Arriva un megafigone d’infermiere (questo lo ricordo alla perfezione), che mi infila la flebo e, dopo, scappiamo in ospedale (non da un’altra parte come speravo).

    Roby, Laura e Fede ci seguono in auto, mentre io, in ambulanza, sento crescere il terrore: solo cinque minuti prima stavo ballando, e ora eccomi sdraiata su una barella. In circostanze come questa ti passano per la mente i ricordi delle persone più importanti della tua vita.

    L’ambulanza sfreccia suonando a manetta. Mi aspettavo che, arrivati al pronto soccorso, mi soccorresse un dottore stile George Clooney in ER – Medici in prima linea. Si presenta invece un tipo alla Mr Bean! Dopo i prelievi e i controlli tossicologici, ovviamente tutti negativi, riprendo di colpo a parlare: «Scusatemi, non so che cosa mi sia accaduto».

    Sono le 6.30 di giovedì 27 novembre e sono sdraiata su un lettino, tipo quelli che si usano per prendere il sole, solo che quello che sto pigliando è l’hospital sun! Per fortuna ho i miei capelli, penso. Chissà che faccia avrebbe fatto quel bonazzo d’infermiere nel togliermi la parrucca. Troppo buffo!

    Quando mi accorgo di Roby, mi viene da pensare che avrei bisogno di un po’ di gloss sulle labbra. Che vergogna. Mi ha sempre vista perfetta, adesso mi vede mezza moscia in ospedale.

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