Iniziazione alla Grafologia
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L'analisi della calligrafia attualmente si presenta come una materia di studio complessa, tra i più affascinanti strumenti di conoscenza della nostra mente. La scrittura rivela il carattere, le nostre emozioni, l' affettività e il potenziale creativo. Il modo più diretto, da sempre, di “immaginare” la scrittura è vederla come una manifestazione “fisiologica” relativa alle caratteristiche del temperamento individuale. Caratteristiche così evidenti da essere intuitivamente riconoscibili. A un tracciato fluido, sciolto e naturale è automatico associare spontaneità e disinvoltura di modi. A uno stile calligrafico e curato tendiamo a collegare maggiore autocontrollo e formalismo. A un aspetto grafico angoloso e teso associamo un modo di fare spigoloso e sulla difensiva, e così via.
La scrittura sarebbe quindi, innanzi tutto, l’espressione diretta e immediata del proprio modo di essere. Ma nell’atto di scrivere ci sono anche volontà, scelta consapevole, ricerca di “immagine”, compiacimento estetico. Fattori che vanno in direzione contraria rispetto all’immediatezza e alla libertà del gesto. In questo modo il tracciato diventa anche una rappresentazione intenzionale, e molte sono le scritture che scelgono questa direzione dimostrando che l’intendimento di chi scrive non è tanto esprimersi, quanto auto-rappresentarsi, di “dare un’impressione" non per niente in grafologia vengono chiamate scritture impressive.
Sull’osservazione di questa duplice natura, espressiva e rappresentativa, si è basato per lungo tempo lo studio della scrittura. Con l’apertura alle suggestioni psicoanalitiche - attorno agli anni Trenta del secolo scorso - e soprattutto grazie al contributo di Max Pulver e alla sua teoria sulle zone dello spazio grafico, qualcosa cambia radicalmente: la scrittura si appropria di una terza dimensione, più estesa e profonda, e diviene proiezione simbolica.
Il saggio di Marisa Paschero si articola in tre parti - Guida all'osservazione, Sintesi dell'interpretazione grafologica, Le otto categorie della scrittura. Ottima guida di accompagnamento per chi muove i primi passi nel mondo della grafologia. Per il lettore già in grado di costruire il ritratto di personalità dalla pagina scritta è un manuale riassuntivo di pronto impiego, utile per trovare il valore degli indici grafici avvicinandoli ad esempi concreti.
INDICE
Introduzione
Prima Parte - Consigli per chi inizia e principi base per la costruzione del ritratto della personalità
Per cominciare
Un primo sguardo alla scrittura
Seconda Parte - Le grandi sintesi dell'interpretazione grafologica
L'occupazione dello spazio e il simbolismo del campo grafico
L'armonia dello scritto e il suo livello vitale
Il tratto: le sue categorie e le sue espressioni
Terza Parte - L'analisi degli otto generi della scrittura con i loro principali segni
Gli otto generi della scrittura
L'impostazione
La dimensione
La direzione
L'inclinazione
La continuità
La velocità
La pressione
La forma
Per concludere: una riflessione sulle scritture attuali
Sindromi grafiche per la descrizione sintetica della personalità
Specchietto riassuntivo sul simbolismo degli elementi della scrittura
Bibliografia
Marisa Paschero
Marisa Paschero vive a Torino e si occupa di grafologia da oltre vent’anni, con particolare interesse per il linguaggio dei simboli. Tiene corsi, conferenze e seminari di Grafologia tradizionale e planetaria. Laureata in Lettere, consulente per l’età evolutiva e specializzata in tecnica peritale, ha arricchito il suo percorso attraverso un approfondito lavoro sulle difficoltà scrittorie.
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Anteprima del libro
Iniziazione alla Grafologia - Marisa Paschero
Introduzione
L’uomo che scrive disegna inconsapevolmente
la sua natura interiore.
La scrittura cosciente è un disegno inconscio:
disegno di sé, autoritratto.
Max Pulver
Dopo un lungo passato che la immaginava nella pittoresca veste di scienza occulta
la grafologia attuale si presenta come una materia di studio piuttosto complessa, e forse anche come uno tra i più affascinanti strumenti di conoscenza della nostra mente, delle nostre emozioni, della nostra affettività e del nostro potenziale creativo.
Partendo da un’origine remota che la fa risalire addirittura ad Aristotele e passando attraverso tutta una serie di sperimentazioni più o meno suggestive, talvolta dichiaratamente esoteriche, basate su metodologie empiriche e analisi intuitive, arriva ai giorni nostri con la dignità di scienza umana
: la grafologia di oggi è una disciplina autonoma con un solido supporto psicologico e specifici campi d’applicazione¹.
Il modo più diretto, da sempre, di immaginare
la scrittura è vederla come una manifestazione fisiologica
di caratteristiche temperamentali.
Caratteristiche talmente evidenti da essere intuitivamente riconoscibili. Ad esempio: a un tracciato fluido, sciolto e naturale è automatico associare spontaneità e disinvoltura di modi, a uno stile calligrafico
e curato maggiore autocontrollo e formalismo, a un aspetto angoloso e teso un modo di fare spigoloso e sulla difensiva, a un procedere morbido e curvilineo un atteggiamento conciliante e disponibile, e così via…
La scrittura sarebbe quindi, innanzi tutto, l’espressione diretta e immediata del proprio modo di essere, delle proprie tendenze, del proprio comportamento.
Ma nell’atto di scrivere ci sono anche volontà, scelta consapevole, ricerca di immagine
, compiacimento estetico, adesione alle convenzioni di uno stile grafico… fattori che vanno in direzione contraria rispetto all’immediatezza e alla libertà del gesto.
In questo modo il tracciato diventa anche una rappresentazione intenzionale, e molte sono le scritture che scelgono questa direzione: sono quelle in cui qualcosa di ricercato, di costruito
, oppure di ornato, di appariscente e di bizzarro contraddice la spontaneità dell’insieme, dimostrando che l’intendimento di chi scrive non è tanto quello di esprimersi, quanto quello di auto-rappresentarsi, di dare un’impressione
… non per niente queste scritture in grafologia vengono chiamate impressive, e vedremo che assumono fisionomie diverse: da quelle elaborate fino al punto di diventare artificiali a quelle eccessivamente attente e rigorose nell’identificarsi col modello calligrafico, curatissime, regolari e troppo belle
.
Sull’osservazione di questa duplice natura, espressiva e rappresentativa, si è basato per lungo tempo lo studio della scrittura, ma con l’apertura della grafologia alle suggestioni psicoanalitiche (attorno agli anni Trenta del secolo scorso), e soprattutto grazie al contributo di Max Pulver e alla sua teoria sulle zone
dello spazio grafico², qualcosa cambia radicalmente: la scrittura si appropria di una terza dimensione, più estesa e profonda, e diviene proiezione simbolica.
Lo scritto che sta davanti ai nostri occhi si trasforma così nel teatro di una scena personale che continuamente si rinnova conservando intatta la vitalità dei grandi simboli che le appartengono: una sorta di metafora dello spazio, del tempo e del pensiero.
Superiamo quindi l’equazione classica "scrittura uguale carattere" per qualcosa di molto più ampio, sfaccettato e profondo: scrittura uguale disegno di sé.
Come afferma Max Pulver, la scrittura consapevole è la rivelazione inconsapevole della propria identità: il proprio vivo, totale e parlante autoritratto.
Osserviamo una pagina scritta e ci accorgiamo di quanto sia unica
, differente da ogni altra, così sincera e così evidente nel suo offrirsi come un perfetto primo piano
.
Lo scorrere della mano sul foglio diviene lo specchio delle dinamiche interiori che costruiscono la personalità, il riflesso dell’incessante interagire tra tendenze naturali e condizionamenti esterni, la testimonianza del gioco sottile tra l’innato e l’acquisito: in altre parole il racconto di noi stessi, giorno dopo giorno, come un viaggio, un enigma e una scoperta.
Imparando a decifrare i messaggi dell’inconscio
attraverso i simboli che affiorano sulla carta, e mettendoli tra loro in relazione, potremo esplorare, talvolta dietro un’apparenza standardizzata o imposta dai ruoli, la ricchezza e la singolarità di ogni grafia, di ogni tracciato, di ogni espressione, sia pure minima.
E, soprattutto, saremo in grado di riconoscere nella proiezione scrittoria del presente, oltre ai segni
del nostro vissuto, l’immagine del nostro progetto futuro, la possibilità di un cambiamento, la promessa di un’evoluzione.
Se di fronte a una scrittura ci affranchiamo dalla tirannia del trascorrere del tempo, se proviamo un’emozione difficile da descrivere, il piacere sottile di sentirci simili, come affratellati, a quelle righe che prendono vita sulla carta, ancora una volta sorpresi dall’unicità che le rende inconfondibili, affascinati sempre dal loro fluire, allora significa che qualcosa di speciale è accaduto: siamo diventati grafologi.
1. I principali campi d’applicazione della grafologia (oltre alla perizia giudiziaria e alla grafoterapia) interessano lo studio della personalità, la relazione di coppia, la consulenza per l’età evolutiva, l’orientamento scolastico e la vita professionale.
2. Lo svizzero Max Pulver (1889-1953) è stato il primo ricercatore a collegare la grafologia alla psicologia del profondo di matrice junghiana.
La sua impostazione grafologica comporta un approccio globale alla personalità: il suo mettersi in ascolto
del messaggio scritto, al di là delle parole, ha significato, per la grafologia, l’apertura a una dimensione nuova e l’accettazione della naturale ambivalenza
che appartiene all’essere umano. Le intuizioni di Pulver a proposito del significato simbolico dello spazio e del gesto grafico sono contenute nella sua opera più famosa, La simbologia della scrittura, che risale al 1931. Il notissimo schema del simbolismo spaziale di Pulver, che si conferma tuttora fondamentale per l’interpretazione della scrittura e del disegno, sarà presentato nel terzo capitolo di questo testo.
Prima parte
Consigli per chi inizia e principi di base per la costruzione del ritratto
di personalità
Non desisteremo mai dall’esplorare
e la fine di ogni nostro esplorare
sarà giungere là da dove siamo partiti
e conoscere quel luogo per la prima volta.
T.S. Eliot
Quattro quartetti
1. Per cominciare
I metodi di analisi sono soltanto un aiuto,
mezzi tecnici, utili itinerari:
l’essenziale è l’atto creativo.
Il grafologo si serve del proprio vocabolario di segni
e delle interpretazioni che a esso si collegano,
come un musicista mette insieme delle note
per comporre una fuga o un minuetto.
Ania Teillard
Il materiale per il ritratto grafologico:
di che cosa abbiamo bisogno?
Innanzi tutto c’è necessità di un saggio grafico, ossia di una scrittura prodotta in un momento di tranquillità, spontaneamente, utilizzando lo strumento (penna stilografica, biro, matita, pennarello, roller…) più abituale e gradito.
Il foglio dev’essere bianco, senza marginature, né righe, né quadretti.
L’ideale sarebbe che il saggio grafico fosse scritto come una lettera che occupa una pagina intera (ma anche una ventina di righe possono bastare), datato e firmato: se oltre alla firma c’è anche una sigla
è meglio richiederla.
Qualora si preferisca non riportare nulla di troppo personale va bene anche un testo copiato, purché non si tratti di una poesia, dal momento che l’andare a capo per rispettare la scansione dei versi toglie libertà all’impostazione dello scritto.
Nel caso in cui si desideri procedere a un esame approfondito è necessario disporre di più di un saggio grafico, possibilmente legato a periodi diversi: lettere, appunti, diari, compiti scolastici… in maniera da poter paragonare la grafia attuale con quella del passato³.
La scrittura cambia a seconda dello stato d’animo, ma anche del tipo di lettera che scriviamo: una minuta, delle annotazioni veloci, una lettera ufficiale
o un curriculum preparato in vista di una candidatura non potranno avere la stessa impostazione grafica, né la stessa accuratezza.
Teniamo presente che tutto ciò che appartiene alla storia scritta
della persona è prezioso e ci permetterà di prendere in considerazione anche altri elementi.
La misura del foglio e il tipo di carta, ad esempio, hanno un loro significato: la scelta di un foglio grande, magari girato in senso orizzontale, è già di per sé indicativa di un temperamento più espansivo e intraprendente rispetto a quello di chi preferisce un foglio piccolo o lo piega in due.
Le persone energiche e combattive spesso apprezzano l’attrito offerto da una superficie ruvida rispetto a una molto liscia, su cui la penna scivola senza incontrare resistenza.
I tipi razionali prediligono carta bianca o neutra, mentre chi è più affettivo, più sensibile, o più creativo, si lascia guidare dalle fluttuazioni del proprio umore scegliendo fogli colorati con toni più o meno vivaci.
C’è anche chi non ama il bianco puro
della pagina e preferisce scrivere su fogli rigati o quadrettati: è una scelta che risponde a un bisogno simbolico di guida, di indirizzo, di sostegno? Oppure rappresenta l’esigenza di scorrere sul percorso rassicurante di abitudini già tracciate e consolidate? O forse è semplicemente la necessità di darsi una norma, una direttiva, un’autodisciplina? Sarà la scrittura con i suoi segni a parlare
e a chiarirci il motivo di questa predilezione.
Che cosa dobbiamo sapere della persona che ha scritto?
Abbastanza, ma non troppo… naturalmente qualche notizia è da richiedere, ma senza eccedere per non rischiare di essere influenzati: l’età e il sesso sono indispensabili, e solitamente ci si informa anche sul tipo di lavoro svolto e sul percorso scolastico, perché determinate professioni, come quella di architetto, grafico o disegnatore tecnico, possono abituare a scelte scrittorie specifiche, come lo script o lo stampatello maiuscolo (v. cap. 14).
È bene conoscere, soprattutto oggi, l’origine e la nazionalità del soggetto, dal momento che il modello calligrafico insegnato varia da Paese a Paese (ad esempio nel mondo anglosassone troviamo uno stile scrittorio che prevede sottili ripassi sui tratti verticali assenti nel nostro modello italiano, che risulta tra l’altro più libero
e meno formale rispetto a quello francese o tedesco).
Cerchiamo inoltre di sapere se la persona scrive abitualmente a mano o se preferisce affidarsi alla tastiera: che rapporto ha con la sua scrittura?
Se scrive raramente il risultato finale può risultare meno spontaneo, meno disinvolto e fluido, e dovremo tenerne conto nel valutare la qualità del contesto scrittorio (che viene chiamato ambiente grafico e abbreviato come A.G.).
Qualora ci venga data la possibilità di osservare la persona mentre scrive consideriamolo un privilegio: avremo modo di prendere in considerazione la postura, l’eventuale mancinismo (o ambidestrismo), l’uso di occhiali correttivi (che tendono a modificare la dimensione delle lettere), l’impugnatura più o meno corretta…
La tenuta corta e verticale dello strumento grafico produce il caratteristico tratto nitido, ossia sottile e netto, delle persone razionali, determinate, molto concentrate su tutto ciò che fanno, mentre una tenuta lunga e obliqua genera il tratto pastoso, ossia denso, spesso e uniforme, delle persone sensoriali, che amano scivolare
sulla carta e sulla vita (v. cap. 5).
Importantissimo poi anche il tipo di strumento scelto: la penna stilografica, oltre ad appagare un’esigenza estetica, fornisce al grafologo, grazie alla modulazione del chiaroscuro, il maggior numero di informazioni sullo stato emozionale del soggetto, mentre la penna a sfera privilegia l’efficienza rispetto alle vibrazioni sottili della vita affettiva, ha un tracciato meno differenziato che risulta assai meno parlante
.
È bene ricordare che il pennarello produce un tratto necessariamente pastoso, con una trama tendenzialmente uguale che non permette una valutazione corretta di quell’importantissimo elemento rappresentato, come vedremo, dalla pressione (v. cap. 13). Succede la stessa cosa con il roller ball, oggi molto usato, che associa al meccanismo della sfera un inchiostro più liquido e scorrevole: il roller richiede una tenuta verticale e crea un bel tratto nitido e brillante, omogeneo e privo di sfumature.
Un altro tracciato interessantissimo, ma di difficile interpretazione, è quello lasciato dalla matita: strumento docile, morbido, sempre cancellabile, mai definitivo, apprezzato dalle persone versatili, aperte, duttili e curiose, che conservano nel tempo l’elasticità mentale della giovinezza.
Anche il colore dell’inchiostro ha un suo valore, perché è in relazione alle emozioni, al tono dell’umore e all’equilibrio psico-fisico di cui la scrittura è testimonianza immediata.
Spesso ci troveremo dinanzi a saggi grafici scritti in nero, scelta per eccellenza dei tipi più razionali, oppure in blu, colore prediletto da soggetti maggiormente influenzati dall’affettività, ma capiterà anche di trovare scritture colorate
.
In tal caso assicuriamoci che non si tratti di una scelta casuale, e quindi priva di particolare significato, ma che il colore risponda veramente a una preferenza personale e diventi una costante, perché solo in questo caso assumerà in pieno il suo valore psicologico; diversamente potrà trattarsi semplicemente della risposta
alla vibrazione energetica a cui si è sensibili in quel particolare momento (ad esempio ci si può sentire attratti dal calore
del tratto rosso perché si è persone vitali, passionali e reattive, oppure, per compensazione, perché si è debilitati e ci si sente privi di risorse)⁴.
Come porci nei confronti della scrittura che vogliamo esaminare?
Poniamoci in un atteggiamento il più possibile passivo
per un primo sguardo globale
.
Non occupiamoci del contenuto del testo, in questa prima fase non è nemmeno importante leggerlo: non è con l’occhio della mente che dobbiamo osservare.
Prenderemo subito qualche appunto su quanto ci ha comunicato
la pagina. Anche una sola semplice frase è sufficiente, e per ora non è necessario ricorrere alla terminologia grafologica: una pagina scritta può evocare bellezza formale, così come disordine e trascuratezza; può richiamare la solidità compatta di un’architettura, così come la fluidità dell’acqua che scorre; può esprimersi come una forte tensione angolosa che aggredisce e si impone, così come un