Il Marketing di se stessi
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Anteprima del libro
Il Marketing di se stessi - Riccardo Varvelli
IL MARKETING DI SE STESSI
Riccardo Varvelli
Maria Ludovica Varvelli
IL MARKETING
DI SE STESSI
Il metodo delle 5 V per misurare
e migliorare le proprie qualità manageriali
ISBN 978-88-6345-203-7
© 1995, 1999, 2011 Il Sole 24 ORE S.p.A.
Sede legale e amministrazione: via Monte Rosa, 91 - 20149 Milano
Redazione: via C. Pisacane, 1 - 20016 Pero (MI)
Per informazioni: Servizio Clienti 02.3022.5680, 06.3022.5680
Fax 02.3022.5400 oppure 06.3022.5400
e-mail servizioclienti.libri@ilsole24ore.com
Fotocomposizione: Jo type di Nisticò Francesco & C. snc, via Figino, 1/A - 20016 Pero (MI)
Stampa: Rotolito Lombarda, via Sondrio, 3 - 20096 Seggiano di Pioltello (MI)
Terza edizione: febbraio 2011
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Tutti i diritti sono riservati.
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Sommario
Introduzione
Parte prima
Marketing come proposta
1. Vita con vista. La cultura intorno a noi
Chi non comunica non esiste
Il manager orientato all’output
Applicare il marketing a se stessi
Essere un marchio forte
Il linguaggio del marketing
2. Se stessi come prodotto/servizio
Riconoscere il proprio doppio
L’A-Test: presentazione
Gli esiti dell’autovalutazione
A-TEST Quanto valgo?
Parte seconda
Marketing come risposta
3. Il modello del guscio
La metafora della conchiglia
Imparare dalla natura …
… e da Leonardo da Vinci
Le cinque parti del guscio: le 5 V
4. Verbalità
Saper comunicare ma, soprattutto, sapersi comunicare
Le situazioni della comunicazione interpersonale
Il processo di comunicazione e il tempo che vi si dedica
La comunicazione verbale: il bel parlare
Il managerialese
Esercizio: Parlare con proprietà di linguaggio
5. Vestibilità
Vestirsi e sapersi vestire
Le uniformi professionali
Funzioni e componenti dell’abbigliamento
Le dodici tendenze della moda europea
Esercizio: Gli accostamenti scorretti
6. Visibilità
Tutti, nessuno, alcuni: il riconoscimento
Costruirsi il tasso di notorietà
Gestualità e comunicazione non verbale
Lo stile manageriale
Esercizio 1 Il tempo personale dedicato alla Visibilità
Esercizio 2 Migliorare la propria Visibilità
7. Vivibilità
Amici con se stessi: il dovere del piacere, il piacere di piacere
Non è nato per il successo chi non conosce il valore del tempo
Comincia dalla sedia la Vivibilità sul lavoro
Si nutre di sonno la qualità della vita
Sapersi divertire: l’uso mantiene l’organo
Esercizio: Una ginnastica da 10 minuti per meglio vivere la giornata
8. Vitalità
L’ultimo segreto: il primo
Si può misurare la produttività personale
Le quattro energie umane
Ansia e stress: killer o sorgenti di Vitalità?
Esercizio 1 Progettare la propria Vitalità
Esercizio 2 Realizzare il Miglioramento continuo
Parte terza
Diventare un marchio forte
9. Il manager vincente
Un manager protagonista
Il B-Test: presentazione
B-TEST Quanto potrei valere?
Il peso delle 5 V nella carriera del Manager Vincente
Le sfide, le tentazioni e le rinunce del futuro Manager Vincente
Come accedere ai test online
Ognuno diventa,
a volte senza accorgersene,
il sé che decide di essere.
A voi,
a noi,
alla fedeltà di ricominciare ogni mattina,
perché la strada si fa camminando
Introduzione
L’Italia ha bisogno di manager desiderosi e capaci di raggiungere il successo.
E quando noi pensiamo al bisogno di manager
non ci riferiamo soltanto all’industria, tradizionale fucina
, ma anche alle banche, alle assicurazioni, alla scuola, agli ospedali, ai tribunali, agli enti statali, parastatali, regionali, provinciali, comunali, ai supermarket e ai minimarket e, perché no, all’agricoltura.
Una celebre frase di Peter Drucker alla quale noi crediamo afferma: «L’autorealizzazione del manager efficace è elemento vitale della valorizzazione dell’intera organizzazione. I manager che si adoperano per diventare più realizzati nel loro ruolo alzano il livello di vitalità di tutto il sistema d’appartenenza».
Chi ci sta leggendo, per il fatto stesso di aver deciso d’investire denaro per il nostro libro, ha già compiuto il primo passo nel suo processo di autorealizzazione.
Diciamo, prima di tutto, che ognuno è maestro di se stesso. Non v’è miglior consigliere all’infuori di sé. Ma per autorealizzarsi è necessario autovalutarsi, autodiagnosticarsi: la conoscenza di se stessi è l’unica base per impostare programmi di miglioramento personale.
Questo libro e il test proposto sono stati concepiti per aiutare il manager ad autovalutarsi, sperando con ciò di facilitare l’avvio di un percorso migliorativo e arricchente. La semplice autovalutazione personale, infatti, quando non è seguita da progetti di miglioramento rimane sterile, riduce anche la proposta del test a un gioco banale e insipiente.
Il manager in vetrina come un pacco di biscotti
Nella Torino del secolo scorso circolava un aneddoto risalente agli anni Sessanta. Si raccontava che a quell’epoca Vittorio Valletta, mitico capo della Fiat, quando radunava i suoi dirigenti affermasse: «Voi pensate a produrre automobili; al resto penso io». In quegli anni questo libro non avrebbe avuto (almeno alla Fiat) neanche un lettore. La cultura tradizionale industriale vietava di farsi notare come protagonista di qualsiasi attività di qualche successo. Modestia e fattività: questi erano gli imperativi del successo manageriale di trent’anni fa, nel quadro di una cultura allora premiante, stante l’andamento dei bilanci di allora, ma oggi obsoleta e non più vincente.
Il manager contemporaneo, proprio come un pacco di biscotti, è frequentemente in vetrina
per ragioni di lavoro e, come un buon pacco di biscotti, deve sapersi vendere
prima ancora di essere assaggiato
. Se una volta premiava il basso profilo, oggi chi vuole ottenere meritato riconoscimento del suo contributo oppure successo personale (e attraverso il proprio successo dare valore alla propria organizzazione di appartenenza) deve alzare l’alzo
e farsi individuare.
Il manager è oggi prima di tutto una persona di relazione: parla, ascolta, spiega, convince, negozia, tiene riunioni, fa conferenze, partecipa a dibattiti. È costantemente in discussione perché discute ed è discusso.
Le nostre indagini Gram – condotte cioè dal Gruppo di ricerca applicata al management – affermano che il manager contemporaneo svolge un ruolo pubblico, e non può mascherarsi dietro la riservatezza, la modestia, il pudore, l’isolamento, perché più della metà del suo tempo di lavoro è dedicato al rapporto con gli altri: superiori, colleghi, dipendenti o interlocutori esterni.
È quanto emerge, per esempio, da un’indagine realizzata presso i manager italiani della Whirlpool (l’azienda numero 1 nel mondo per la produzione e distribuzione di elettrodomestici), sulla distribuzione del loro tempo di lavoro.
Il tempo di relazione è risultato essere il 56% del tempo totale di presenza in azienda. In altre parole, i manager di questa azienda parlano, ascoltano, discutono con gli interlocutori più disparati per più di quattro ore al giorno.
E poiché l’indagine prosegue e si aggiorna, è stato possibile rilevare che il valore del tempo di relazione è andato aumentando notevolmente, dal 38 al 56%. È aumentato soprattutto il tempo di riunione
, dal 6 al 18%, conseguenza di quella sofisticazione organizzativa che obbliga a privilegiare il lavoro interdisciplinare e interfunzionale, cioè il lavoro di gruppo. Nel lavoro corale la presenza del singolo è costantemente attiva, la partecipazione è dialettica, il rapporto interpersonale può anche essere fortemente conflittuale e chi non sa vendere
le sue idee, facilmente viene sopraffatto.
Dal tempo di relazione alle capacità relazionali
Avevamo già individuato nel nostro libro La felicità manageriale il ruolo prioritario del manager come nodo centrale dei processi di comunicazione. In quel testo avevamo messo in evidenza un’ indagine Gram che oggi possiamo considerare come premessa al Marketing di se stessi.
Alla richiesta di precisare quali, fra una dozzina di caratteristiche manageriali, sarebbero state le capacità vincenti del manager del Duemila, un campione di oltre 3000 operatori d’azienda aveva indicato in prevalenza le capacità di relazione
, cioè quelle che comportavano un rapporto continuo di comunicazione con gli altri: saper comunicare ed esprimersi, saper lavorare di gruppo, saper negoziare con interlocutori esterni, saper motivare i collaboratori. Tranne che per gli alti livelli gerarchici (amministratore delegato, direttore generale), le capacità relazionali
erano già allora considerate più necessarie (non più importanti, ma di applicazione più frequente) di quelle cosiddette strategiche
(saper innovare, saper prevedere, saper pianificare, saper decidere).
Nel contesto bancario la distanza di utilizzazione fra le capacità relazionali e quelle strategiche è ancora maggiore. Oggi più che mai. Chiamati a rispondere a una serie di quesiti sulle capacità manageriali, oltre 200 funzionari bancari hanno riconosciuto la priorità assoluta delle doti comunicative rispetto a quelle decisionali.
Nelle nostre ricerche Gram la capacità relazionale veniva così specificata:
«Sapersi trasmettere all’esterno nel modo più valorizzante e autentico; avere un linguaggio chiaro, corretto, convincente; non dimostrare timore dell’interlocutore, dell’uditorio, della platea; utilizzare il proprio corpo con stile e con riservatezza; essere in grado di esprimere il proprio pensiero con compiutezza; comunicare, spiegare, convincere, dialogare, discutere; vendere la propria idea, sostenerla, presentarla in modi e in termini differenti; porsi nelle situazioni di comunicazione in modo professionale; ascoltare, osservare, interpretare messaggi e segnali, soprattutto quelli deboli».
L’ 88% dei suddetti funzionari ha dichiarato essere questa dote la più necessaria e più praticata quotidianamente, rispetto alla capacità decisionale, così specificata:
«Saper correlare cause con effetti; assumersi la responsabilità di una decisione ogni qual volta questo sia necessario o richiesto, anche quando non esistono tutte le condizioni auspicabili di garanzia di successo; non tergiversare, usare discrezionalità, proporre azioni, saperle pianificare e programmare; rispondere di sé e dei propri collaboratori; non cercare scuse; avere spiccata sensibilità economica grazie alla quale misurare correttamente il probabile ritorno di ogni investimento».
Manager decisionista
o manager relazionale
? La domanda non può porsi in termini di alternativa. Ci sembra più corretto chiedere: quanto decisionista e quanto relazionale? Diffusamente e soprattutto per i vari livelli gerarchici al disotto dei Numeri Uno, la risposta è: più relazionale che decisionista. Salvo eccezioni. Una l’abbiamo trovata in occasione di un nostro intervento formativo presso il quartier generale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco alle Capannelle a Roma. Un gruppo di comandanti, di fronte al quesito: «Voi dovreste essere più decisionisti o più comunicatori?», all’unanimità, senza un tentennamento, ha optato per la prevalenza della decisionalità, trovando in noi il totale consenso.
Le ricerche Gram
Il Gram, Gruppo di Ricerca Applicata al Management, nato per nostra iniziativa nel 1976, raduna in forma spontanea e indipendente alcuni ricercatori di comportamento manageriale e organizzativo.
Le loro e le nostre ricerche avvengono prevalentemente in occasione di azioni formative o di consulenza realizzate in diverse aziende. La raccolta dei dati, nel rispetto della massima segretezza personale, avviene sovente con il contributo diretto dei partecipanti nel corso di sessioni formative o di riunioni di lavoro. A partire dal 1976, a tali sessioni hanno partecipato circa 45.000 persone provenienti da 160 aziende nazionali e da oltre 20 associazioni o centri di studio.
A tutti loro siamo grati per averci consentito di raccogliere una massa notevole di dati sul comportamento manageriale e organizzativo delle organizzazioni italiane.
Parte prima
Marketing come proposta
1. Vita con vista. La cultura intorno a noi
Chi non comunica non esiste
Nella nostra civiltà la disponibilità dei mezzi di comunicazione (intendendo per disponibilità l’insieme delle tecnologie, delle tipologie, della facilità e della rapidità d’impiego di tali mezzi) sta producendo un incremento esagerato dell’informazione.
La comunicazione invade ogni momento della nostra vita, ci circonda e si fa conoscenza e cultura.
Quante sono le persone che accendono la radio appena sveglie al mattino? O entrano in automobile e collegano l’accensione del motore a quella della radio? Le cuffie per sentire musica o studiare mentre si cammina, i telefoni portatili, i televisori sempre accesi, le pubblicità in ogni angolo di strada, nei treni, sulle fiancate degli autobus, invadono spazi un tempo tranquilli e silenziosi.
L’informazione è rumore, è suono, è visibilità. È condizionamento della conoscenza e della cultura.
La conoscenza, infatti, è costituita da ciò che sentiamo, da ciò che sappiamo, da ciò che vediamo, che ricordiamo.
Anche la parte più originale e speculativa dei nostri pensieri ( cogito ergo sum) non è mai sganciata dal riferimento all’esistente e quindi da ciò che ci arriva o ci è arrivato dall’esterno, che influenza il nostro sistema di riferimento interiore e lo forgia o lo deforma, sovente senza che ce ne rendiamo conto.
La conoscenza è composta da informazione ed emozione e i due elementi sono separabili solo concettualmente, perché penetrano nella psiche e nella mente in modo strettamente correlato e solo in alcuni casi, grazie a una rigida autodiagnosi, si riesce a