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L'arte del delitto: Incastri nascosti a Imperia
L'arte del delitto: Incastri nascosti a Imperia
L'arte del delitto: Incastri nascosti a Imperia
E-book258 pagine

L'arte del delitto: Incastri nascosti a Imperia

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Info su questo ebook

Nei caruggi di Ventimiglia alta Giacomo Durando, un ragazzo tranquillo e posato, viene accoltellato all’uscita di un locale notturno.
A Imperia Danielle Hamilton, un’anziana signora cultrice dell’arte, viene ritrovata uccisa all’interno della propria abitazione.
Due vittime diverse e molto lontane tra loro per storia e abitudini.
L’Ispettore Angelo Ardoino e la sua collega Noemi indagheranno per risolvere un rompicapo dove molte tessere sono nascoste e alla fine sarà solo la loro abilità a svelare il quadro che lega i due crimini.
LinguaItaliano
Data di uscita4 lug 2012
ISBN9788875637415
L'arte del delitto: Incastri nascosti a Imperia

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    Anteprima del libro

    L'arte del delitto - Moriano Ugo

    Cop_12015_arte.JPG

    I tascabili

    Il nostro indirizzo internet è:

    http://www.frillieditori.com

    info@frillieditori.com

    layout copertina

    Sara Chiara

    Dello stesso autore nel catalogo fratelli frilli Editori

    Il ricordo ti può uccidere

    L’alpino disperso

    Sospetti dal passato

    A Sanremo si gioca sporco

    copyright © 2012 Fratelli Frilli Editori

    Via Priaruggia 31/1, Genova – Tel. 010.3074224; 010.3772846

    isbn 978-88-7563-741-5

    Ugo Moriano

    L’arte del delitto

    Incastri nascosti a imperia

    LogoFratelliFrilliEditori.JPG

    Fratelli Frilli Editori

    Ai miei genitori

    Eugenio ed Angela

    Fatti, nomi e date riportati in questo libro sono tutti frutto della fantasia dell’autore e non hanno alcuna attinenza con la realtà. Ogni analogia con eventi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

    [...] Ore perplesse, brividi

    d’una vita che fugge

    come acqua tra le dita;

    inafferrati eventi,

    luci-ombre, commoviventi

    delle cose malferme della terra [...]

    E. Montale, L’Agave su lo scoglio

    Capitolo 1

    Il sogno era molto vivido e coinvolgente.

    Danielle, al braccio di Cristiano, stava percorrendo via Giacomo Matteotti a Sanremo; era sera, faceva freddo e le vetrine dei negozi risplendevano di luci multicolori ricordando a tutti che mancavano pochi giorni a Natale. I marciapiedi erano gremiti di gente, che i due riuscivano a fendere senza incontrare intralci e senza che nessuno prestasse loro attenzione. Durante la passeggiata li accompagnava un sottofondo formato dal chiacchiericcio e dalle musiche natalizie che uscivano dagli showroom delle più prestigiose marche di abbigliamento, profumi e calzature.

    L’uomo, diversamente dal solito, era assolutamente silenzioso e pareva voler condurre la moglie verso una precisa destinazione, senza attardarsi lungo la via e senza mai voltarsi verso di lei.

    Subito dopo aver attraversato la strada, un improvviso refolo di vento spinse Danielle a chiudere gli occhi e a lasciare il braccio di Cristiano per chiudere l’ultimo bottone del colletto del lungo cappotto che, ad ogni passo, le sfiorava morbidamente le caviglie. quando li riaprì si accorse di essere rimasta sola e di non essere più in via Matteotti, ma in corso Regina Margherita, all’incrocio con via Nuvolosi. Anche la folla di curiosi ed acquirenti pareva essere scomparsa e i marciapiedi erano completamente silenziosi e deserti.

    Si guardò intorno alla ricerca di suo marito e quando prestò nuovamente attenzione a dove si trovava, si accorse di essere nel nartece della chiesa Russa di Cristo Salvatore, davanti alla riproduzione dell’opera di Victor Vasnetsov; la splendida tavola riproduceva il grande affresco absidale della cattedrale di S. Vladimiro a Kiev, raffigurante l’Emmanuele retto dalla Madre di Dio.

    Fino a quel momento non aveva provato timore, ma ora un improvviso senso di pericolo la spinse a cercare rifugio all’interno dell’edificio religioso dove, dopo aver chiuso la porta, percorse in fretta la breve navata fino a giungere davanti all’iconostasi. Lì rimase ritta in piedi, ben decisa a non voltare lo sguardo verso l’ingresso.

    Le poche luci non riuscivano a scacciare le ombre che sembravano addensarsi, minacciose, vicino alle basi delle pareti per poi protendersi, quasi strisciando, verso il centro della costruzione. Pur sapendo che la chiesa russa era di piccole dimensioni, nel sogno le pareva molto grande e piena di echi e mormorii di preghiere di cui non riusciva a cogliere la provenienza. Improvvisamente si rese conto che Cristiano era ormai morto da anni e pertanto non poteva raggiungerla in quella chiesa e allora si sentì sola, sofferente e indifesa.

    Alle sue orecchie giunsero i tentativi furtivi, di qualcuno, che tentava di forzare la serratura e Danielle era intimamente certa di essere in pericolo di vita. Se colui che si trovava all’esterno fosse riuscito ad entrare, lei non sarebbe uscita viva da quel luogo di culto in stile bizantino edificato nei primi anni del ’900.

    Danielle Hamilton era nata in Scozia, nella città di Inveraray nel 1935 e i suoi genitori appartenevano alla Kirk, la chiesa Presbiteriana scozzese, ma lei, appena raggiunta l’adolescenza, non aveva più frequentato le funzioni religiose ed ora, che avrebbe voluto pregare per chiedere aiuto, non riusciva a riportare alla mente nessuno dei salmi che aveva distrattamente ascoltato quando era ancora una bambina.

    La chiesa, con le sue tante icone appese alle pareti, era vuota e aveva la certezza che, anche se si fosse messa a gridare, nessuno sarebbe giunto in suo aiuto perché nessun suono sarebbe riuscito a oltrepassare le mura che la circondavano.

    Sta riuscendo a entrare pensò quando le giunse, ovattato, ma chiaro, il rumore del legno che veniva forzato.

    – Aiut…

    Provò a urlare, ma la voce che le uscì fu solo un lieve e roco sussurro che immediatamente si perse sotto le alte volte che sorreggevano le cinque cupole soprastanti.

    Un cieco terrore le fece accelerare il battito cardiaco, mentre il respiro le si strozzava in gola; voleva fuggire o nascondersi dietro ad uno dei sacri arredi, ma le sue gambe si rifiutavano di obbedire impedendole di compiere anche un solo passo.

    Un leggero schianto preannunciò l’ingresso della sua nemesi.

    – Aaaaa…

    Danielle aprì gli occhi e si ritrovò avvolta dal buio della notte. Per alcuni istanti non riuscì a capire dove si trovasse, poi si accorse di essere nel proprio letto e di avere le mascelle dolorosamente contratte mentre con le mani stringeva spasmodicamente la trapunta che la ricopriva.

    Sono in camera mia.

    Quel pensiero avrebbe dovuto arrecarle sollievo, ma l’incubo era ancora troppo nitido nella sua mente per consentirle di rilassarsi.

    Ancora una volta ho fatto un brutto sogno. Ormai, alla sera, ho timore di andare a dormire perché so già che la notte porterà con sé un senso di terrore.

    La camera era fredda e lei non riusciva a trovare la forza di muoversi da sotto le lenzuola che parevano essere a loro volta gelate.

    Devo scendere e accendere la caldaia pensò cercando di reprimere l’ennesimo brivido impastato di freddo e paura. Questo è un inverno troppo freddo e, anche se la bolletta del gas aumenta ogni mese, dovrò decidermi a chiamare il tecnico e fare programmare più ore giornaliere di riscaldamento.

    Le immagini e le sensazioni lasciate dall’incubo stavano velocemente dissolvendosi e i suoi muscoli, fino a poco prima contratti, stavano rilassandosi, così come il batticuore stava lasciando il posto alla coscienza di essere tra le pareti domestiche.

    Ruotando lentamente il capo, si voltò verso la sveglia ipertecnologica posata sul prezioso comodino fine ’700, completamente lastronato ed intarsiato in legni pregiati, e vide che erano solo le due e quarantotto.

    Mi si prospetta un’altra notte in bianco.

    Con un sospiro di rassegnazione Danielle, cercando di scacciare dalla mente le ultime immagini legate al sogno, si dispose a fare trascorrere le ore che la separavano dal mattino, quando un rumore le strozzò il respiro in gola.

    è ritornato!.

    Un leggero cigolio della persiana della camera da letto le fece correre un brivido lungo la schiena: qualcuno, all’esterno, stava cercando il modo di introdursi in casa sua.

    Spaventata e completamente indifesa, chiuse gli occhi e rimase immobile nel letto, risalente ai primi del ‘700, che lei e Cristiano, molti anni prima, avevano acquistato da un famoso antiquario di via Cairoli a Genova.

    Non le venne neppure in mente di afferrare il cellulare appoggiato sul piano del comodino; altre volte aveva telefonato alla polizia senza che poi venissero trovati riscontri alle sue paure e ormai aveva rinunciato a chiedere aiuto perché l’ultima volta che aveva chiamato i poliziotti aveva letto incredulità, quando non addirittura compassione mista a fastidio, nello sguardo degli uomini in divisa inviati dalla Questura di Imperia a verificare quanto stava accadendo.

    Gli occhi erano serrati e la trapunta tirata fino al mento, ma non poteva impedirsi di ascoltare i rumori che provenivano dall’esterno.

    Le parve di sentire dei passi che si allontanavano e dopo poco credette di cogliere dei fruscii provenienti dal portoncino blindato dell’ingresso, poi, dopo un tempo che le sembrò infinito, tutto ritornò silenzioso. Sul quadrante luminoso della sveglia i numeri indicavano le tre e zero cinque.

    Domani vado in un’agenzia e vendo la casa, poi ritorno in Scozia e terminerò i miei giorni leggendo e prendendo il tè a Inveraray.

    Il giorno successivo fu una di quelle giornate soleggiate e miti che spesso rendeono godibili gli inverni nella riviera ligure di ponente e invogliano i turisti a frequentarla con assiduità.

    Danielle, dopo aver fatto colazione ed aver aperto le imposte, alla luce del sole non fu più così determinata a vendere casa e pensò di procrastinare la decisione. La mattina la trascorse a fare compere tra i banchi del mercato di Oneglia e poi, dopo aver acquistato due panini e due buste di biscotti dal suo forno di fiducia, ritornò a casa e si preparò il pranzo.

    Come posso vendere la casa dove ho vissuto tutti questi anni? Ovunque guardo vedo oggetti legati al passato e nel giardino tutti gli alberi li abbiamo piantati insieme io e Cristiano. Forse veramente sto iniziando a perdere il senno, ogni volta che sono certa di aver sentito qualcuno aggirarsi nella notte e cercare di penetrare in casa, al mattino seguente non se ne trova traccia. Nessun segno e nessuna orma.

    Il pranzo, a base di spaghetti conditi con olio d’oliva e formaggio e una piccola porzione di stufato, sommato alla notte trascorsa parzialmente sveglia, le fecero venire una certa sonnolenza e così si andò a coricare sul letto dove si appisolò per oltre un’ora.

    Una volta sveglia, si vestì adeguatamente indossando un pesante giaccone, una grande sciarpa di lana e guanti da lavoro, poi uscì in giardino, dove, armata di un rastrello, iniziò a raccogliere le foglie cadute a terra durante i due precedenti giorni di pioggia.

    – Ciao Danielle, vedo, da come usi il rastrello, che l’energia, in queste corte giornate di dicembre, proprio non ti manca.

    – Ciao Dáirine, mi hai spaventata.

    – Il cancello non era chiuso, ti ho vista impegnata a fare la giardiniera ed allora ho pensato di entrare a salutarti. Scusami, non volevo assolutamente spaventarti.

    – Non ti preoccupare, sono io che ormai sobbalzo ad ogni fruscio. Più grave è il fatto che lo abbia lasciato aperto; aspetta, vado subito a chiuderlo.

    Danielle appoggiò il rastrello al tronco di un mandarino carico di frutti parzialmente acerbi e poi, con passo veloce, andò a bloccare il cancello che, alcuni anni addietro, aveva fatto dotare di una serratura elettrica. Fin da subito aveva apprezzato quella comodità che le permetteva di aprirlo da casa senza dover uscire tutte le volte che un conoscente veniva a farle visita.

    – Che ore sono? – domandò ritornando sui propri passi.

    – Le cinque meno venti – rispose l’amica che le era andata incontro.

    – Allora vieni in casa che preparo due tazze di te.

    – Speravo proprio di sentirtelo dire perché sono venuta a piedi da piazza Dante. Sento proprio il bisogno di bere qualcosa di caldo per riscaldarmi stomaco e gola.

    – Sei proprio matta! Non potevi farti accompagnare fino a qui?

    – Mia figlia aveva fretta e non ha potuto aspettare che uscissi dallo studio del dentista, così ho deciso di venire a piedi. Comunque, lo fai questo tè o hai deciso di rimanere a conversare qui all’aperto?

    – Hai ragione, scusa, entriamo in casa.

    Dáirine aveva ottantuno anni ed era di origine irlandese, ma da molti decenni viveva a Cervo. Lei e Danielle si erano conosciute nell’estate del 1968, quando per alcuni mesi si erano ritrovate a lavorare nello stesso albergo a Diano Marina e da allora non avevano più smesso di tenersi in contatto.

    Essendo vedova anche Dáirine, quando Cristiano era morto, la loro amicizia si era fatta più stretta e avevano preso a frequentarsi assiduamente.

    – Come va? – domandò Dáirine, seduta su una comoda poltrona, sorseggiando la calda bevanda da una tazza di ceramica Wedgwood, decorata con motivi blu su sfondo bianco, risalente a più di un secolo prima.

    – Male, temo che mi stia avviando a perdere la ragione.

    – Hai ancora sentito qualcuno che provava a entrare in casa?

    – Sì, la notte scorsa. Prima ha cercato una finestra non chiusa bene e poi ha tentato di aprire il portone d’ingresso.

    – Hai chiamato la polizia?

    – No. Io sono quasi certa che questa notte qualcuno abbia cercato di forzare le finestre, ma questa mattina, come tutte le altre volte, non ho trovato alcuna traccia di ciò che ho sentito quindi non so se sia veramente accaduto. Ormai temo di non esserci più completamente di testa, probabilmente mi sogno questi tentativi di intrusione e poi, una volta sveglia, credo che siano successi realmente.

    – Non dire stupidaggini Danielle! Ragioni benissimo e ci senti altrettanto bene, quindi sicuramente c’era qualcuno che si aggirava intorno a casa tua. Tu, quando lo senti, devi assolutamente chiamare la polizia o i carabinieri, non puoi restare ad attendere e vedere cosa accade!

    – Tu non sai come mi hanno guardato quando li ho chiamati per la terza volta. Ho visto nel loro sguardo la compassione per una povera vecchia che, vivendo sola, inizia a sentire delle presenze durante la notte.

    Danielle posò sul piattino la tazza che teneva in mano perché si era accorta di tremare e temeva di spargere il tè sulla candida tovaglia di lino irlandese che ricopriva il tavolo del salotto.

    – Senti, – le disse Dáirine abbassando leggermente la voce – io ho ottantuno anni e anche mia figlia, quando si rivolge a me, inizia a usare lo stesso tono che si usa con i bambini dell’asilo, ma questo non significa che siamo rimbambite.

    – Io non oso più chiamarli e poi, visto che non mi credono, anche se venissero non servirebbe a nulla.

    Dáirine sorseggiò il proprio tè restando qualche secondo in silenzio ad osservare uno dei quadri appesi alla parete di fronte a lei, poi le si illuminarono gli occhi ed assunse un’espressione soddisfatta.

    – Ho trovato la soluzione. Come ho fatto a non pensarci prima?

    – Guarda che non ho nessuna intenzione di lasciare casa e trasferirmi da te – rispose Danielle cercando di prevenire la probabile proposta dell’amica.

    – Lo so, anche se mi farebbe veramente piacere averti mia ospite per qualche giorno. Io stavo invece pensando di coinvolgere un ottimo ispettore della squadra mobile di Imperia.

    – E come faresti? Non mi hanno creduto i poliziotti delle volanti che sono intervenuti e tu pensi che invece un ispettore si interesserebbe a me?

    – Non guardarmi come se fossi pazza. Mia figlia Marta è molto amica di Elena, la compagna dell’ispettore, e sono certa che se glielo chiede, lei lo convincerà a venirti a parlare.

    – Ma io non voglio disturbare tua figlia né, tantomeno, quest’ispettore e la sua compagna. Lascia perdere, forse basterà attendere e la faccenda si risolverà da sola.

    – Non se ne parla nemmeno. Appena arrivo a casa parlo con Marta e vedo di mettere in moto la cosa.

    Senza attendere oltre, con un guizzo inaspettato per una della sua età, Dáirine si alzò dalla poltrona.

    – Il tè lo fai sempre buono, ma devo ammettere che quello che apprezzo di più sono i dolci che ogni volta riesci a mettere in tavola – commentò chinandosi ad afferrare dal piatto posto al centro del tavolo, un ultimo piccolo pezzo di torta. – Ora chiamo mia figlia al cellulare e poi mi incamminerò giù per la strada.

    – Non puoi attenderla qui da me? Ormai è buio.

    – No, perché cercheresti di convincermi a rinunciare alla mia idea. Un po’ di moto alla mia età può solo fare bene.

    Pochi minuti dopo Danielle, ferma davanti al proprio cancello, osservò la minuta figura dell’amica, completamente avvolta in un lungo cappotto con il collo di pelliccia, procedere con passo spedito lungo la discesa di via Diano Calderina.

    Capitolo 2

    – Bloccato, sì è bloccato di nuovo! – mugugnò Angelo Ardoino appoggiandosi allo schienale della poltroncina del suo ufficio al primo piano della Questura di Imperia – mi basterebbero tre minuti di funzionamento appena decente e sarei a posto, invece eccomi ancora qui a guardare lo schermo senza poter fare nulla!

    Con un gesto di resa, abbandonò la presa sul mouse e voltò lo sguardo verso la grande finestra dal telaio verniciato di bianco che si apriva al centro della parete alla sua sinistra. Sfiduciato rimase alcuni istanti a osservare distrattamente la luce pomeridiana illuminare le tegole rosse dei tetti delle abitazioni che, ai piedi della piccola collina del Parrasio, fiancheggiavano via Cascione.

    – Ultimo tentativo – brontolò riportando l’attenzione sul computer portatile posato sul piano della sua scrivania.

    A fine novembre erano giunti in Questura cinque nuovi pc portatili, frutto di una gara d’appalto avviata l’anno precedente dal Ministero dell’Interno; come quasi ogni acquisto effettuato nella pubblica amministrazione, anche questi erano un compromesso tra le ristrettezze di bilancio e la necessità di rinnovare quanto più possibile i supporti tecnologici utilizzati sul posto di lavoro. Non erano l’ultimo modello disponibile sul mercato, ma erano comunque un gran balzo in avanti in fatto di informatica.

    Con sua sorpresa, visto che erano molto ambiti, Angelo si era visto assegnare uno di questi gioielli tecnologici e da allora era andato incontro a tutta una serie di problematiche legate alla configurazione dei numerosi programmi che abitualmente utilizzava.

    Con il mouse nella mano provò a cliccare su qualcuna delle icone in alto a sinistra dello schermo piatto da quindici pollici, ma anche se il cursore del mouse si muoveva liberamente, indipendentemente da qualsiasi operazione cercasse di fare, tutto restava esattamente come prima.

    – Niente da fare!

    Angelo afferrò la cornetta del telefono e compose il numero dell’ufficio addetto alla manutenzione dei sistemi informatici della Questura.

    – Roberto? Ti comunico che sono ancora una volta bloccato. Esattamente come ieri. Non vorrei essere noioso, ma, come ti avevo detto fin dal primo giorno che me lo hai consegnato, io avrei preferito tenermi il mio vecchio pc.

    – Lo sai che eri l’unico rimasto ad avere un computer con meno di un giga di ram – rispose Roberto con il solito tono di voce allegro che aveva ogni volta che parlava di informatica. – Se ben ti ricordi, già due programmi non funzionavano. Quindi, anche se la cosa non ti è piaciuta, l’ho segnalato al Commissario e lui mi ha detto di cambiarti il pc.

    – Bel risultato! Ora così non funzionano neppure i programmi che usavo prima. Da mezz’ora ho qui, in bella vista, la scheda segnaletica del tipo accoltellato questa mattina e non riesco più a cambiare schermata – ribatté Angelo puntando il dito verso lo schermo che aveva davanti, quasi pensasse che Roberto potesse osservare quanto stava indicando.

    – Domani vengo a controllare cosa hai combinato, ma tieni presente che in questi giorni stanno aggiornando il server centrale a Roma e tu, oggi, sei già il quarto che mi chiama a causa di malfunzionamenti della rete.

    – Sarà, ma secondo me è questo trabiccolo che ha dei problemi. Nell’attesa che tu capisca che cosa non va, non potrei riavere indietro il mio vecchio pc?

    – No, l’ho già smontato, mi serviva la scheda video e l’alimentatore. Ci vediamo domani. Ciao.

    – Ciao – rispose Angelo con tono sfiduciato posando il telefono e riportando la sua attenzione sullo schermo

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