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Delitto a Catania: (intrighi, storie familiari e non soltanto...)
Delitto a Catania: (intrighi, storie familiari e non soltanto...)
Delitto a Catania: (intrighi, storie familiari e non soltanto...)
E-book177 pagine3 ore

Delitto a Catania: (intrighi, storie familiari e non soltanto...)

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Info su questo ebook

“Intrighi, storie familiari e non soltanto...” è il sottotitolo di questo romanzo, che si snoda nella tessitura di un’ indagine poliziesca su un “Delitto a Catania”, avvenuto dieci anni prima, che un Commissario - standosene comodamente in poltrona - “rivive” attraverso ritagli di giornale, annotazioni personali, verbali di interrogatori.
Non “soltanto”, tuttavia: il racconto vive entro i rigidi schemi di un giallo/thriller, nel quale tra i personaggi s’intrecciano tante vicende umane e passionali.
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2015
ISBN9788882433604
Delitto a Catania: (intrighi, storie familiari e non soltanto...)

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    Anteprima del libro

    Delitto a Catania - Vincenzo Bonasera

    Premessa

    Ritengo indispensabile, doveroso da parte mia mettermi la coscienza a posto e allertare dei ‘rischi’ che corre chi fosse intenzionato, con tanta buona volontà, di leggere queste pagine.  Strana e inusata premessa! Così come, ritengo, sia particolare la ‘creazione’ di questo libro.

    Ormai, dopo aver scritto quattro romanzi, per indulgenza dei miei (pochi) lettori… per i commenti di qualche severo e imparziale critico… per mio lento autoconvincimento… comincio a considerarmi un accettabile romanziere, narratore di vicende umane e sociali dedicando molta attenzione ai sentimenti dei miei personaggi senza dimenticare i problemi legati alla Fede, alla vita, alla morte. A questo punto nasce spontanea la curiosità: cosa ha, allora, questo libro nel suo interno di così ‘particolare’? Risposta rapida e onesta: un caso poliziesco.

    Indubbiamente una ‘stranezza’, tuttavia, possibile per chi ha il grande dono di inventare storie. Ma non è esattamente così, perché questo ‘geniaccio’ (io) ha avuto l’ardire, la sfrontatezza di mettere insieme la trama di un caso poliziesco con una introduzione tipica del romanziere, del Vincenzo Bonasera, e questa volta particolarmente in autobiografia. Ma non finisce qui, perché ‘il suddetto’, anche nelle indagini per la scoperta dell’omicida, non si scorda che è nato romanziere e così la vittima e i presunti rei diventano essi stessi protagonisti di travagliate vicende in una tessitura di intrighi e di storie familiari.

    Avendo fatto questa lunga premessa, mi sono messo la coscienza a posto? Purtroppo non del tutto. Ho, ancora, qualcosa da aggiungere e da farmi perdonare, in particolare, dagli appassionati dei casi polizieschi.

    Il mio commissario Furnari, infatti, non svolge un’indagine, ma, seduto comodamente in poltrona, ripercorre le tappe di un delitto a Catania mediante tutti i ritagli di giornali, le annotazioni, gli interrogatori, le confidenze personali dei personaggi coinvolti nella vicenda verificatasi qualche anno prima.

    Anche questa è una procedura bizzarra e poco abituale nella vera letteratura poliziesca?

    Con esattezza non lo so. Non ho molta preparazione in materia, e, credetemi, poca come romanziere. La mia è solamente una grande passione.

    I

    Capitolo introduttivo

    Anche quella mattina, come sempre da quando in pensione, e ormai erano trascorsi tre anni, il commissario capo di polizia, Antonio Furnari, verso le dieci, a piedi, scendeva le scale che dal secondo piano lo conducevano nell’androne del palazzo; era con Leonardo, il portiere, che commentava le ultime notizie o novità riguardanti il tempo, la politica, i fatti di cronaca, insomma tutto quello che di rilevante era accaduto nella tarda serata o nella nottata precedenti.

    Sua moglie, Maria, da tanto tempo aveva rinunziato a dargli la lista di quanto potesse occorrere acquistare dal fruttivendolo o dal droghiere: sistematicamente, infatti, il marito sbagliava in qualcosa o non rispettava in pieno quanto commissionato. Queste, non comunque volute, inadempienze o negligenze, alla fine, gli tornarono comode perché si alleggeriva di tante responsabilità.

    Anche in quella mattinata palermitana di inizio primavera del 2014 Leonardo gli consegnò le lettere e le cartoline appena portate dal postino. Il commissario diede un rapido sguardo, corrucciò le folte sopracciglia nere, soffermò la propria attenzione su una lettera: proveniva da Vallelunga, la inviava il suo amico Vincenzo Sutera.

    Leonardo, al quale, dopo tanti anni di onorato servizio e di esperienza, nulla sfuggiva anche da un piccolissimo battere degli occhi, riusciva spesso a intuire se fossero pervenute buone o inquietanti o non gradite notizie. Infatti, data la confidenza che il commissario gli aveva sempre concesso, gli fu normale chiedere:

    – Qualcosa che non va?

    – Ho la sensazione di sì – rispose Furnari non apparendo troppo dubbioso e continuò: – Mi scrive, dal paese, il mio compare d’anello Vincenzo Sutera, lo avevo incaricato d’interessarsi della vendita della casa. È probabile che mi abbia scritto per questa ragione.

    – Avrà trovato il compratore?

    – È possibile. Eravamo rimasti d’accordo che mi avrebbe scritto se ci fosse stato qualcuno interessato.

    – Non poteva telefonarle?

    – Certamente… ma lui non ama tanto il telefono, preferisce i vecchi sistemi. È fatto così, come del resto anch’io.

    – Non siete molto contento – si permise di commentare il portiere.

    – Di cosa?

    – Che vi abbia scritto – rispose senza esitare Leonardo, e poi ancora più sicuro proseguì: – Che vi abbia scritto dell’acquirente…

    – Leonardo… Leonardo sei peggio di un commissario…

    – Mi scusi se la correggo… forse voleva dire… meglio di un commissario.

    – E sì… hai ragione – ammise sorridendo Furnari.

    – Grazie. Comunque il merito è tutto suo… ho imparato da lei.

    – E hai imparato bene. Adesso apriamo la busta… leggiamo cosa scrive il buon Vincenzo.

    – Non so che cosa augurarle – commentò il portiere, restando in attesa.

    Furnari iniziò a leggere in silenzio, era appena una mezza pagina, quindi disse subito:

    – Vincenzo ha trovato l’acquirente, gli sembra la persona adatta. Non è di Vallelunga, è di Valledolmo.

    – Mi dispiace – si lasciò subito dire il portiere, ma poi si corresse: – Forse, tuttavia, mi sbaglio.

    – No, assolutamente no, non ti stai sbagliando per niente.

    – Mi dispiace – ripetette l’altro.

    – Lo so, mio caro amico.

    Con queste ultime parole i due si lasciarono e Furnari s’incamminò in direzione di piazza Croci, esattamente all’opposto di piazza Politeama come abitualmente faceva.

    Era, quella, una vera mattinata primaverile, che Palermo e poche altre città al mondo sanno offrire per il colore di un cielo celeste e limpido, per la lucentezza di un sole che dall’alto, senza farsi vedere, illumina e con timidezza riscalda creando un tepore discreto… aiutato da un leggero, quasi impercettibile, alito di vento che sembra una vellutata carezza sulla pelle.

    Non gli andava d’incontrare le solite facce, certi amici che probabilmente anche loro avrebbero finito per intuire il suo turbamento. 

    Raggiunse, presto, le cancellate del giardino inglese. Il bel parco cittadino raramente era meta delle sue passeggiate. Entrò all’interno, s’inoltrò un po’ tra i larghi viali acciottolati da piccole pietre di fiume e delimitati da secolari alberi di pini e di platani. Poi si fermò e si sedette su una panchina all’ombra di una gigantesca magnolia, la cui circonferenza doveva essere almeno di tre metri. Nelle vicinanze tantissime altre piante la cui mole e maestosità rivelavano una collocazione e permanenza, in quei posti, antiche di moltissimi anni.

    Cominciò a osservare, poi commentò: «Abeti, querce… quante migliaia di persone vi avranno veduto in questi lunghissimi anni! Padri, figli, nipoti, nonni… un susseguirsi di generazioni diverse… e voi ancora e sempre qui… ai vostri posti. Nessuno oserà mai abbattervi, sradicare, provocarvi sfregio… un solo scellerato potrebbe!  Potrebbe una mano violenta o una volontà abietta che non amasse e non apprezzasse la natura, ma neanche la storia, i ricordi, le sensazioni, il rispetto del passato… da tramandare fino a che fosse possibile. La mia casa di Vallelunga! La vecchia casa dei padri. Di quanti padri! Destino crudele… toccherà proprio a me spezzare questo lungo legame di continuità. Mi sono sempre, tuttavia, creato un alibi… i tempi sono cambiati… Però ha preso inizio proprio da me l’allontanamento… e così sino al momento finale di staccare, fra poco, la targhetta ‘Furnari’ dal portone di via Bellini numero ottantaquattro. Non posso assolutamente lamentarmi o lagnarmi con i miei figli, se non si sono affezionati a quelle mura. I tempi cambiano! Sono queste le parole ricorrenti, il leit-motiv come si dice oggi, già oggi! A suo tempo, nel lontano millenovecentosessantacinque… ho rotto la tradizione di famiglia. Ci ho provato per evitarlo, questo me lo devo concedere, ma non ci sono riuscito. Chimica… chimica organica, chimica inorganica, chimica farmaceutica, biochimica… no, niente, non ero capace, non ce la facevo assolutamente a studiare e a capacitarmi su quelle formule. Non ho, tuttavia, buttato subito la spugna della resa, ho atteso due anni. Sono stati due anni di patimenti, di sacrifici, di umiliazioni, poi è stato papà stesso a dirmi: Basta, figlio mio, ti voglio sempre e ugualmente un grandissimo bene, vuol dire che il destino ha voluto così. Grande, papà! Non ti ho potuto neanche dare la consolazione di laurearmi con il massimo dei voti in giurisprudenza. Sei morto prima, ero appena al secondo anno. La farmacia si è dovuta vendere. È stato un atto drammatico, ma compiuto con grande dignità anche se con infinita tristezza. Anche la mamma… che donna! Non mi ha fatto né allora né dopo mai pesare che quella necessità si era posta per causa mia. Anche lei… dopo venti anni… quel brutto male, che non perdona, l’ha portata via. Sì, tu, mamma, hai vissuto la soddisfazione della mia laurea, anche se in giurisprudenza, ma un altro dispiacere era dietro l’angolo. Il mio lavoro necessariamente mi avrebbe allontanato dal paese. Tu lo sapevi, lo avevi sempre pensato. Hai gioito per i miei primi successi professionali, mi vedevi entusiasta del mio lavoro e, se così si può dire, eri felice. Ma io sapevo leggere tra le pieghe del tuo volto, in un sorriso, negli occhi, sensazioni che non volevi che trasparissero, che volevi trattenere dentro, che io non percepissi. Certi segreti di chi vuol bene non sfuggono a chi vuol bene. Mamma! Ogni settimana, in macchina, venivo a trovarti; al momento di ripartire, salutandoci, spesso ti dicevo le stesse parole: Questa casa mai, mai, mai sarà venduta. Ma tu mi rincuoravi sempre, dicevi: Potrebbe accadere in un domani lontano, e se dovesse essere, non te ne crucciare, vuol dire che le circostanze della vita hanno voluto così. Promettimi, invece, che vivrai quei momenti con serenità. Il momento, forse, mamma, è arrivato, non ti sbagliavi, ma non riesco per niente a essere sereno. Attenuanti, sì certo, tante attenuanti per mettermi un po’ in pace la coscienza. Le tasse… quante, forti e penalizzanti. Chi legifera, per esempio, non ha sensibilità, non tiene conto se si tratta di una abitazione sfitta, se non produce alcun reddito, se è una passività. E poi i costi di manutenzione! Anche lo stretto indispensabile per non farla cadere a pezzi incide moltissimo. Maria non mi ha mai contrastato pur a fronte di alcuni sacrifici e rinunzie; mai ha avanzato l’idea di vendere. Adesso, però, la situazione è davvero pesante e insostenibile. Io non sono eterno; alla mia morte Maria prenderà circa la metà della mia attuale pensione, non posso lasciarle in eredità questo peso. E non posso acconsentire neanche che la casa gravi sui miei figli, ognuno dei quali ha la propria famiglia alla quale provvedere; non posso lasciare questa penalizzazione per un attaccamento a qualcosa che non possono sentire, che non hanno mai vissuto. Adesso che si presenta un acquirente bisogna approfittarne, non si deve farlo sfuggire. È il momento! Adesso ritorno a casa. Dirò a Maria, dirò che la decisione è presa ed è irrevocabile. Dirò di parlare con Giovanni e Marianna. Poi telefonerò a mio compare Vincenzo per contattare domani questi signori acquirenti; se la risposta che mi verrà data per un incontro sarà positiva, telefonerò a Giulia per preparare la mia stanza. Potrebbe essere l’ultima volta che dormirò su quel letto».

    °°°°°°°°

    Dal colloquio con la moglie Antonio trae alcune riflessioni:

    «Ancora una volta Maria… Se non ti sembrano dei buoni compratori, se non ti fanno simpatia… se non sei convinto… non ti sentire costretto… abbiamo aspettato tanto, si può ancora attendere. Queste sono state le poche e semplici parole della donna; Giovanni e Marianna, invece, più realisticamente, hanno detto: Ormai che ti sei dato coraggio, che sei entrato in questa decisione….

    °°°°°°°°

    L’indomani, di prima mattina, Antonio Furnari si mise in macchina convinto che i due figli

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