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Il ricordo ti può uccidere
Il ricordo ti può uccidere
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E-book245 pagine

Il ricordo ti può uccidere

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Info su questo ebook

Sullo sfondo del conflitto mortale tra potere temporale e spirituale, in cui nulla era sicuro ed ogni fazione si scontrava per avere il sopravvento; in un medioevo in cui i simboli potevano cambiare il corso della storia, un monaco lotta per portare in salvo ciò che gli è stato affidato.
Nell’immane polveriera della seconda guerra mondiale, con i pochi mezzi a disposizione, i Vigili del Fuoco lottano e si sacrificano per salvarne le vittime. Nell’apparente tranquillità dell’autunno del 2007 , impiegati e operativi del Comando dei Vigili del Fuoco di Imperia portano avanti il loro lavoro quotidiano. Momenti slegati nel tempo che il destino legherà tra loro scatenando una scia di sangue.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2012
ISBN9788875637392
Il ricordo ti può uccidere

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    Anteprima del libro

    Il ricordo ti può uccidere - Moriano Ugo

    Prologo

    Domenica 21 ottobre 2007

    Un dolore lancinante che sembrava spaccargli la testa si sommava ad altre ondate di dolore che sopraggiungevano dal braccio destro. Che male! Ma dove sono? Devo respirare! Devo respirare! Dio, sono in acqua, sto annegando. Aria!. Ogni minimo movimento provocava fitte di dolore e nausea, ma il bisogno d’aria ormai sopravanzava qualsiasi altro impulso e Vittorio iniziò a dibattersi, privo di orientamento, sopraffatto dal panico. Con uno degli spasimi che lo stavano portando verso la morte la sua testa emerse fuori dalle acque permettendogli, più che altro per puro istinto di sopravvivenza senza più alcuna guida da parte della ragione, di respirare tre volte prima che l’acqua marina ritornasse a sommergerlo. Quelle boccate d’aria gli permisero di riprendere almeno in parte il controllo e, ignorando il dolore, riuscì nuovamente a spingere la testa fuori dall’acqua per riempire i polmoni.

    Il panico cieco stava lasciando il posto ad una certa lucidità e i pensieri presero ad affollarsi nella mente del naufrago creandogli però un senso di disorientamento. Sono in mare, ma come ci sono finito? La barca! Ero sulla barca. Mio Dio, sono caduto dalla barca. Il dolore alla testa, seppur pulsante, stava diminuendo, mentre il braccio destro era assolutamente inutilizzabile, pesante al punto che sembrava quasi volerlo trascinare sottacqua e fonte di continue ondate di dolore. Ma dove mi trovo? si domandò iniziando a notare che vi era poca luce. Com’è potuto accadere che sono finito in acqua in mezzo al mare? La barca, devo trovare la barca o sono morto!. Muovendosi con cautela, cercando di non farsi sommergere dalle onde che seguitavano a spumeggiargli intorno, iniziò a ruotare su se stesso cercando di scorgere la sagoma della sua barca o di qualsiasi altra imbarcazione, continuando a non avere idea di dove si trovasse.

    Nella poca luce della sera, illuminata da una falce di luna crescente, scorse ad un centinaio di metri di distanza la sagoma di un cabinato che si stava allontanando, ma quando cercò di gridare gli uscì dalle labbra solo un suono roco che non poteva assolutamente essere sentito da chicchessia. Muovendo il braccio sinistro per nuotare iniziò a cercare di scorgere la terra, perché sapeva per certo che lui non si sarebbe mai allontanato troppo dalla costa e dopo qualche istante vide in distanza delle luci, ma parevano davvero troppo lontane.

    Devo restare calmo, se no qui muoio. Per prima cosa inizierò a nuotare verso quelle luci, così riuscirò a combattere il freddo ed intanto devo cercare di ricordare com’è potuto accadere che io sia caduto in mare senza che nessuno se ne accorgesse. Così dicendo iniziò a muoversi, per quanto lo permettesse il solo braccio sinistro, in direzione della luce, cercando di dominare il dolore e il senso di assoluto disorientamento.

    Se voglio salvarmi devo assolutamente ricordare quello che è accaduto, capire il perché mi ritrovo qui; magari, così facendo, è possibile che mi affiorino alla mente altre informazioni utili per uscire da questa situazione. Un brivido di freddo lo costrinse a serrare i denti.

    * * *

    L’acqua è fredda pensò Vittorio senza riuscire a reprimere un brivido, combattendo contro l’istintivo gesto di sollevare una gamba mentre l’onda arrivava a bagnargli i piedi trascinando con sé una piccola massa di alghe marroni che, al ritirarsi dell’onda, restarono parte sulle pietre tonde e grigie riemerse dalla risacca e parte attaccate alla sua pelle bagnata.

    Inspirò a fondo assaporando il profumo inconfondibile del mare misto a quello delle alghe, mentre osservava la distesa d’acqua davanti a lui illuminata dal sole del primo pomeriggio. Spirava un leggero vento di tramontana e il mare era leggermente increspato sotto un cielo coperto a tratti da leggere nuvole bianche.

    Entrare con i piedi in acqua, nella piccolissima spiaggia sassosa racchiusa tra due piccoli moli di pietra davanti al circolo Borgo Cappuccini al Prino di Porto Maurizio, era una specie di rito che Vittorio compiva fin dalla prima volta che era uscito in mare su un gozzo di sua proprietà. Gli piaceva sentire il tocco del mare sulla pelle prima di avventurarsi in mezzo alle sue acque.

    Ogni volta, dopo aver osservato l’orizzonte, volgeva lo sguardo verso il promontorio del Parrasio di Porto Maurizio, come per fissare un punto fermo a cui far ritorno, ed il suo sguardo si soffermava sul grande loggiato di Santa Chiara esposto verso il mare con la sua torre cilindrica all’angolo più a oriente, per poi spostarsi sull’oratorio di San Pietro, il più antico edificio religioso della città, con le tipiche arcate sul frontale rivolto a occidente e la sua torre campanaria, che una volta era una torre saracena.

    Una nuova onda giunse a bagnargli il bordo dei pantaloni poco sotto le ginocchia spingendolo ad arretrare di un paio di passi, per poi voltarsi e risalire sul piccolo piazzale dove erano tirati in secca una dozzina di gozzi liguri, piccole imbarcazioni di legno con la loro forma inconfondibile, la prua poco più alta della poppa, sulla quale svetta, oltre il bordo, un tipico prolungamento in legno chiamato pernaccia. In mezzo a quelle barche appoggiate su travetti di legno o su carrelli, figurava con i suoi colori bianco e blu, il suo, acquistato quindici anni addietro, ma sempre in perfetto stato, anzi migliorato rispetto al giorno in cui, con una spesa valutata attentamente, ne era venuto in possesso acquistandolo da un anziano pescatore della zona.

    Vittorio aveva compiuto da poco cinquantaquattro anni, ma il suo fisico asciutto, la statura poco superiore alla media e i capelli ancora folti e castani, gli facevano dimostrare dieci anni di meno, cosa che seppur senza darlo a vedere apertamente lo lusingava.

    Raggiunta la sua barca iniziò le operazioni necessarie alla sua messa in acqua: tolse i coperchi in legno che la proteggevano, caricò a bordo il necessario per la giornata di pesca e spinse il carrello su cui era appoggiata verso lo scalo; il tutto sotto lo sguardo attento del gestore del bar dei soci, un anziano pescatore seduto su una sedia di plastica subito fuori della porta del circolo.

    – Vittorio, esci a pescare?

    – Sì, Giacomo. La giornata sembra buona anche se questa leggera tramontana, più al largo, potrebbe dare fastidio – rispose fermando il carrello della sua barca all’inizio dello scivolo che portava le imbarcazioni in acqua. – Prima di mettere tutto a riposo per l’inverno voglio approfittare di queste belle giornate di ottobre.

    – Esci da solo? – chiese Giacomo mentre sorseggiava centellinando il vino bianco dentro un tipico bicchiere da osteria. – Moglie e figlia ti hanno abbandonato?

    – Oggi sì. Alessandra è impegnata da sua sorella. Mia figlia è uscita con amiche, non posso neanche pretendere che trascorra tutto il suo tempo con me. Non è che puoi aiutarmi due minuti così riesco a mettere in acqua la barca senza dannarmi l’anima?

    – Aspettavo solo che me lo chiedessi, a stare qui seduti il tempo non trascorre veloce e un diversivo per interrompere questa monotonia è sempre ben accetto.

    Giacomo si alzò dalla sedia e raggiunse il gozzo tenendolo ben saldo con entrambe le mani all’inizio della discesa di cemento, mentre Vittorio raggiungeva velocemente la cassetta al cui interno vi era l’interruttore dell’argano e lo attivava, poi prese il gancio fissato al cavo, piazzò il paletto nell’apposito foro a monte dello scalo e tramite una carrucola posizionò il cavo per poi andare a fissare il gancio all’imbragatura della barca. Pochi istanti dopo la barca galleggiava nelle acque basse in attesa del suo proprietario.

    – Grazie Giacomo, mi hai risparmiato una gran fatica. Ti auguro un buon pomeriggio e, se ci sarai ancora, quando rientro ti offrirò una birra.

    – Non credo che sarò ancora qui, perché vado a cenare a casa. L’impianto dell’argano lo chiudo io, tu vai tranquillo. Ciao Vittorio.

    Vittorio raggiunse la sua barca, si sedette sulla fiancata e, facendo ruotare le gambe, saltò dentro. Dopo aver fatto ancora un cenno di saluto all’amico fermo in cima allo scalo, prese i remi e iniziò ad avanzare oltre i piccoli moli di pietra che proteggevano lo scalo.

    A sessanta metri dalla riva, ritirati in barca i remi, accese il motore fuoribordo e diresse la prua verso il mare aperto.

    * * *

    Il sapore dell’acqua marina che gli stava entrando in gola, unito ai conati di vomito che questa gli provocava, riportarono la mente di Vittorio al presente. Aveva smesso di nuotare ed era scosso da brividi di freddo, il dolore al braccio destro era quasi scomparso e quello alla testa era diventato un pulsare quasi in sottofondo. Ho perso il contatto con la realtà. Stavo sognando, per non dire peggio. Devo continuare a muovermi e cercare di individuare qualche imbarcazione. Poi si accorse che stava tenendo gli occhi chiusi e questo lo spaventò ulteriormente, se ancora fosse possibile. Aprì gli occhi, ma quasi non vide nulla. Era ormai notte, anche se non riusciva a stabilire un’ora approssimativa, vide che la luna, che aveva superato da poco il primo quarto, era quasi esattamente nel punto in cui ricordava di averla vista quando si era ritrovato in acqua e pertanto la notte doveva essere calata da poco.

    Con uno sforzo cercò di sollevarsi il più possibile fuori dall’acqua per cercare di scorgere un qualsiasi segnale che potesse rappresentare la salvezza, ma intorno a lui vi era solo il mare nero con le sue piccole onde su cui soffiava la tramontana che si era ancora rinforzata.

    Se mi fermo muoio. Devo riprendere a nuotare per cercare di restare sveglio. Presto si accorgeranno che non sono ritornato e mia moglie darà sicuramente l’allarme. Devo resistere, i vigili del fuoco faranno l’impossibile per trovarmi. Allerteranno capitaneria, polizia, carabinieri. Usciranno tutti in mare. Scorse nuovamente in distanza la luce che era già stata il suo punto di riferimento quando aveva iniziato a nuotare. Lentamente, reprimendo i brividi di freddo, cercò di muoversi verso di essa mentre la sua mente ritornava ai fatti della giornata.

    * * *

    A circa un miglio di distanza dalla terraferma Vittorio spense il motore e si mise all’opera per iniziare a pescare. Dopo aver disposto le esche, calò la lenza in mare e rimase in attesa. Trascorsi alcuni minuti sentì il primo strappo alla lenza ed ebbero inizio due ore di pesca.

    Generalmente Vittorio non usciva mai solo in mare, ma quel giorno, nonostante l’impossibilità di accompagnarlo da parte della moglie e della figlia, anche loro grandi appassionate di pesca, aveva fatto uno strappo alle sue abitudini perché oltre al piacere di poter trascorrere un pomeriggio impegnato nel suo hobby preferito, vi era anche la quasi certezza di stare per fare una scoperta importante. Proprio in mezzo al mare aveva appuntamento con una persona che poteva fornirgli indicazioni certe per risolvere un mistero, quasi una leggenda, che da decenni veniva raccontata nella caserma dei vigili del fuoco di Imperia, luogo in cui lui lavorava con un incarico direttivo nel settore amministrativo-contabile.

    Sospendendo per qualche minuto la pesca, spostò il secchio pieno d’acqua, in cui galleggiavano tre donzelle di media taglia, due serrani e due menole, prendendo la sacca contenente un panino al prosciutto e una bottiglia di acqua minerale gassata. Mentre gustava il panino allungò una mano nel cestino e da una busta di plastica trasparente prese otto fotografie in bianco e nero ritraenti scene e persone legate alla storia passata dei vigili del fuoco.

    La barca ondeggiava sulle increspature del mare e qualche schizzo di spuma marina arrivava al suo interno, la tramontana si era leggermente rinforzata, ma senza destare particolare preoccupazioni in Vittorio che, tranquillamente seduto, osservava le fotografie, soffermandosi in particolare su di una. Quell’incontro in mare con un altro amante della pesca, era legato alla storia di quella fotografia che, se fosse stata confermata, avrebbe potuto portare a scoperte clamorose e alla notorietà per tutti coloro che avessero in qualche modo contribuito a fare chiarezza su quanto era accaduto nel passato, riportandolo alla luce.

    Vittorio guardò l’orologio e vide che erano le 16,45. Mancavano circa due ore al tramonto del sole ed era quasi ora di vedere se chi aveva contattato due giorni prima, sarebbe venuto all’appuntamento sulla secca a due miglia a sud di San Lorenzo al Mare.

    Recuperata la lenza, fatto il pieno di benzina, accese il motore, puntò la prua verso sud-ovest e si mise in movimento. Lo sciabordio dell’acqua contro il legno del gozzo accompagnò la traversata del braccio di mare tra Porto Maurizio e San Lorenzo al Mare. A poche centinaia di metri dalla secca lo sguardo di Vittorio venne attratto da quattro forme allungate dai riflessi argentei che nuotano poco sotto la superficie. Immediatamente l’istinto del pescatore e la passione per quello sport lo spinsero a spegnere il motore e a precipitarsi a prendere la lenza che, dopo averla innescata con la piuma per risparmiare le esche vive, provvide a calare in acqua nella speranza di trovarsi sopra ad uno sciame di soralli. Pochi istanti dopo aver calato la lenza sentì il primo leggero strattone e nei 20 minuti successivi tutto il suo mondo ruotò intorno a quella lenza da calare e ritirare in barca con attaccate quelle forme argentee. Solo il rumore di un altro motore diesel che si avvicinava lo fece voltare verso sud e notare a meno di cento metri di distanza un piccolo cabinato bianco di circa otto metri con le murate in tinta legno.

    Vittorio iniziò a ritirare in barca la lenza, accorgendosi che si era fatto tardi ed era ora di rientrare, mentre il cabinato si avvicinava al gozzo mettendo al minimo il motore.

    – Pensavo che non saresti più venuto, visto ormai l’ora tarda – disse Vittorio alzando la voce mentre finiva di ritirare la lenza. – Tuo zio è in barca con te?

    – Buonasera Vittorio, scusa per il ritardo. No, mio zio non è potuto venire perché questa mattina stava poco bene. Ormai esce poco in mare perché spesso gli acciacchi dell’età si fanno sentire.

    – Avete davvero una bella barca. Io mi arrangio con il mio gozzo, che però per quello che devo pescare è più che sufficiente.

    Riposta la lenza ed assicurato il secchio con il pescato della giornata, Vittorio rimase in piedi ad osservare il cabinato che ormai si era fermato ad un paio di metri dalla sua imbarcazione facendola oscillare.

    – Mi spiace che tuo zio non sia venuto perché, come ti ho detto al telefono, avevo bisogno di una sua conferma riguardo ad una fotografia. Pazienza, sarà per un’altra volta. Ora devo andare perché tra una mezz’ora tramonterà il sole e io dovrei essere già sulla via del ritorno.

    – Aspetta, Vittorio. Mio zio mi ha descritto in tutti i suoi particolari la fotografia e quindi posso darti io una conferma di massima. Se poi mi sembra che sia la foto di cui anni fa si parlava al comando, potrai farla vedere a lui per una conferma definitiva.

    Vittorio era impaziente di ritornare a terra, ma era anche ansioso di avere un riscontro, anche approssimativo riguardo quanto credeva di aver scoperto. Si era fatto tardi e sapeva benissimo che prima delle venti non sarebbe riuscito a riportare la barca al suo posto, al circolo Cappuccini. Si voltò a guardare in direzione di Porto Maurizio, poi riportò l’attenzione sul nuovo venuto.

    – Preferirei parlare con tuo zio. È veramente tardi e non vorrei che calasse la notte mentre sono ancora in mare. Se tardo Alessandra si preoccupa e poi a casa devo passare la serata a discutere con lei.

    – Facciamo così. Ti passo una cima e leghi la barca dietro alla mia, poi ci dirigiamo verso terra, così possiamo parlare e nel frattempo ti faccio rientrare più velocemente. Che ne dici?

    Vittorio non era particolarmente convinto, ma il passare del tempo, la prospettiva di rientrare in ritardo e la curiosità riguardo alla fotografia lo spinsero ad accettare. Nel giro di pochi minuti la barca era assicurata con una cima cinque o sei metri dietro il cabinato e lui era a bordo, seduto a poppa, con in mano la busta di plastica con dentro le fotografie.

    – Bene, fammi solo vedere la fotografia interessata, così poi ci mettiamo subito in moto. Non posso credere che sia ricomparsa dopo così tanti anni. Ormai non ci pensavamo neppure più. Anche nella mia famiglia si stava iniziando a pensare che non esistesse veramente.

    – Sì, te la faccio vedere – disse Vittorio estraendo dalla busta una decina di fotografie disposte all’interno di un raccoglitore di plastica a buste trasparenti. – Poi però muoviamoci perché si sta facendo sempre più tardi e tra non molto sarà buio.

    Sfogliò le fotografie fino a trovare quella che aveva attirato la sua attenzione e la mostrò al proprietario del cabinato.

    * * *

    Era finito nuovamente sott’acqua. Non aveva più la forza di cercare di nuotare con l’unico braccio che poteva utilizzare. Riemerse nel mare nero come la pece mentre il freddo era quasi scomparso ed era subentrata una sorta di apatia che gli rendeva difficile anche seguire il corso dei suoi pensieri. Vittorio, in un angolo della sua mente sapeva benissimo che quelle sensazioni erano il risultato delle temperature dell’acqua sul suo corpo, esse avevano un preciso nome: ipotermia, ma non provava alcun senso di allarme, anzi era quasi rilassato, in pace. Fece un ultimo sforzo per cercare di scorgere la terra, ma non vide nulla. Richiuse gli occhi e smise di nuotare. Voleva pregare, ma non gli vennero in mente le parole. Continuava a rivedere sua moglie Alessandra in compagnia della figlia, sedute sul terrazzo di casa ad attenderlo.

    * * *

    Ormai molto lontano da dove si trovava Vittorio il cabinato procedeva in direzione della Francia. Seduto al posto di guida il proprietario era in preda ad una violenta ira, le fotografie erano sparse sul fondo dell’imbarcazione, ignorate ed ormai bagnate stavano diventando pezzi di carta che presto si sarebbero sfatti.

    La collera in lui era come un vulcano in eruzione. Quando aveva visto la fotografia nelle mani di Vittorio, aveva capito che la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Ed invece nulla! Un’altra beffa del destino.

    Nel pomeriggio di tre giorni prima era a casa dello zio quando il telefono era squillato e lui aveva risposto. Vittorio gli aveva chiesto di suo zio che in quel momento era uscito e quando aveva saputo che non era in casa, gli aveva spiegato per sommi capi il perché di quella chiamata. Lui, man mano che ascoltava riviveva nella memoria i racconti di sua nonna riguardo ad un tesoro ed a una fotografia scomparsa che avrebbe portato sul retro le indicazioni per ritrovarlo. Aveva rassicurato Vittorio e, essendo tutti e tre dei pescatori accaniti, avevano deciso di vedersi in mare davanti a Porto Maurizio.

    Dopo aver posato il telefono rimase fermo nel corridoio mentre nella sua mente passavano scenari di lusso e divertimenti fino a che

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