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Sospetti dal passato: Corsa contro il tempo a San Bartolomeo al mare
Sospetti dal passato: Corsa contro il tempo a San Bartolomeo al mare
Sospetti dal passato: Corsa contro il tempo a San Bartolomeo al mare
E-book278 pagine

Sospetti dal passato: Corsa contro il tempo a San Bartolomeo al mare

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Info su questo ebook

La scomparsa di un ragazzino da un campo di calcetto parrocchiale a San Bartolomeo al Mare porterà a luttuose conseguenze ed a una disperata corsa contro il tempo.
Un prezioso diario rivelerà eventi accaduti oltre mille anni prima.
Nel medioevo più oscuro, le indagini, svolte ad Albenga da un medico bizantino e dal suo giovane assistente, offriranno un insostituibile aiuto a due investigatori della squadra mobile di Imperia.
Il tradimento di un Duca Longobardo darà avvio, tra sospetti di eresia e colpevoli silenzi, ad una serie di omicidi sempre più complessi che solo la mente analitica di Ezio, studioso e chirurgo bizantino, riuscirà a risolvere portando alla scoperta del colpevole.
La conoscenza delle vicende passate spingerà gli investigatori della Squadra Mobile di Imperia a concentrare le proprie indagini e una serrata sequenza di colpi di scena porterà alla conclusione del caso.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2012
ISBN9788875637354
Sospetti dal passato: Corsa contro il tempo a San Bartolomeo al mare

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    Anteprima del libro

    Sospetti dal passato - Moriano Ugo

    Premessa

    Prima di iniziare a seguire le vicende descritte nelle pagine di questo libro, vi chiedo di concedermi alcuni istanti della vostra attenzione.

    La storia narrata, si svolge parzialmente nell’alto medioevo ed è completamente frutto della mia fantasia.

    Ho utilizzato gli eventi storici di quel periodo solo per creare un’atmosfera e una cornice entro cui sviluppare le vicissitudini vissute dai miei personaggi. Il monastero sull’isola Gallinara, come da me descritto, non è mai esistito.

    Nella parte di narrazione che si svolge nel presente, solo la parrocchia di San Tommaso d’Aquino e le abitazioni direttamente legate ai miei personaggi non esistono, mentre tutte le altre descrizioni sono riferite a luoghi realmente esistenti sul territorio.

    Alcune precisazioni riguardanti il periodo medievale.

    Le distanze sono tutte espresse in miglia romane corrispondenti a circa 1480 metri.

    Lo scorrere del tempo è riferito al sistema attuale e non a quello in uso al tempo che si basava sul calendario Giuliano e sulla suddivisione della giornata in dodici ore diurne e dodici notturne tra cui le principali erano: mattutino (ore 4,00), prima (ore 6,00), terza (ore 9,00), sesta (ore 12,00), nona (ore 15,00), vespro (al tramonto), compieta (prima di coricarsi).

    D’estate erano più lunghe le ore diurne rispetto a quelle notturne, d’inverno accadeva il contrario.

    Le unità di misura citate nel testo risalgono al periodo romano e sono: palmo (7,41 cm), piede (29,65 cm), cubito (44,47 cm), pertica (2,46 mt)

    Detto questo, buona lettura!

    Ugo Moriano

    Capitolo 1

    All’interno della chiesa di San Tommaso d’Aquino regnava un assoluto silenzio, mentre Paolo, il diacono, con passo lento, percorreva la breve distanza che lo separava dall’ambone dove lo attendeva, appoggiato su un leggio di legno di rovere finemente intagliato, il lezionario aperto alla pagina dedicata alla lettura del vangelo di Matteo.

    – In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli? – pronunciò Paolo al microfono; la sua voce chiara e sonora risuonò sotto le volte delle tre navate che si allungavano davanti a lui.

    – Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse…

    Luciano, il parroco, che in quel momento era in piedi dietro all’altare, quando comprese quale parte del Vangelo di Matteo avrebbe dovuto commentare nella sua omelia, quasi si sentì mancare e fece due piccoli passi all’indietro per riacquistare l’equilibrio, spingendo uno dei due chierichetti a scoccargli uno sguardo stupefatto e leggermente accusatorio, quasi pensasse che si fosse assopito in piedi.

    Possibile sia solo una coincidenza? Come può essere che proprio oggi, mentre l’angoscia avvolge i nostri animi, il lezionario preveda questa specifica lettura di Matteo?.

    Immediatamente il prete aveva esteriormente riacquistato tutta la calma che lo aveva sempre contraddistinto nei lunghi anni in cui aveva diretto, con mano salda, quel complesso ecclesiastico edificato, molti secoli prima, nell’immediato retroterra del comune di San Bartolomeo al Mare, ma il suo animo era in pieno tumulto e lui faticava a concentrarsi su quanto gli accadeva intorno.

    – Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. – Il diacono, seppur con voce meno ferma, continuava la lettura senza alzare gli occhi dalle pagine del lezionario. La mano sinistra di Paolo era appoggiata sul marmo che sorreggeva il leggio, mentre la destra era stretta intorno alla fascia verde che, partendo dalla spalla sinistra, attraversava il suo petto per poi terminare con un nodo all’altezza del fianco destro.

    Luciano posò il proprio sguardo sulla parte calva della testa di Paolo e vide che era completamente coperta da piccole gocce di sudore che brillavano, come piccole gemme, alla luce dei lampadari che illuminavano l’interno della chiesa.

    Forse è tutto preordinato e oggi, undici agosto, è il giorno che è stato scelto per affliggerci. Oppure sono io che voglio scorgere segni dove questi non esistono?.

    – Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

    Le ultime parole della lettura erano state quasi gridate da Paolo e ora, il diacono, accorgendosi di aver lasciato trasparire i propri sentimenti, fece una breve pausa, quasi a volersi ricomporre prima di terminare la lettura delle ultime righe.

    – Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. Parola del Signore.

    – Lode a te, o Cristo – risposero in coro i fedeli.

    Paolo ritornò, verso l’altare mentre Luciano si avviava per sostituirlo presso quello che, seppur sbagliando, ormai tutti chiamavano pulpito.

    Inconsciamente, mentre camminava, controllò che i paramenti, quel giorno di colore verde, fossero a posto e non pendessero, come qualche volta accadeva, leggermente più su un lato. La sua mano destra sfiorò la spiga color oro ricamata su un lato della croce, anch’essa d’orata, che divideva in quattro la parte anteriore della veste.

    Raggiunto il punto da cui, ormai da oltre trent’anni, faceva la predica ai suoi confratelli, appoggiò tutte e due le mani, protendendo le lunghe dita sul freddo marmo intarsiato con immagini di putti che fungeva da balaustra e rimase per qualche istante silenzioso ad osservare tutti quei volti che lo stavano fissando in quieta attesa.

    Troverò le parole giuste per guidarli in questo tormentato momento? O forse, sotto il peso della mia responsabilità, non riuscirò a trasmettere il messaggio di fede che Matteo ci ha tramandato?.

    Luciano non era mai stato una persona dubbiosa e non aveva mai avuto incertezze sulle proprie capacità, al punto che, quando si confessava, uno dei suoi peccati più frequenti era la superbia. Tanto amava parlare in pubblico, quanto invece era riservato nel privato e, fin da quando era un giovanissimo prete, non aveva mai studiato in precedenza la propria omelia, affidandosi sempre alla sua capacità di interpretare quanto veniva letto delle Sacre Scritture.

    Sapeva di essere bravo a coinvolgere i propri fedeli e spesso si lasciava trascinare dalla propria ispirazione, prolungando, oltre il lecito, il tempo generalmente assegnato alla parola del prete, ma quella sera, forse per la prima volta in vita sua, era insicuro e, se si fosse fermato ad analizzare in profondità il proprio stato d’animo, anche spaventato da quanto, nelle ore successive, si era proposto di fare.

    Un paio di colpi di tosse e le parole pronunciate a voce troppo alta da uno in fondo alla chiesa, lo strapparono alle proprie riflessioni, ma lui si prese ancora qualche istante di tempo e contemplò, con i suoi espressivi occhi verdi, tutti coloro che erano convenuti a quella funzione feriale delle ore diciotto.

    L’alta navata centrale, coperta da un tetto di tegole rosse sostenuto da alte capriate di legno, era occupata da due file di venti panche ciascuna, mentre nelle due più basse navate laterali, con la volta a botte, vi erano un certo numero di sedie di legno con il piano di paglia intrecciata che, di volta in volta, aumentavano o diminuivano in base all’afflusso dei fedeli.

    La chiesa di San Tommaso d’Aquino, sita in una traversa di via Vione a San Bartolomeo al Mare, faceva parte di un più ampio complesso il cui nucleo originario, ormai quasi completamente scomparso, secondo alcuni studiosi, risaliva al periodo tardo romano, e aveva raggiunto le sue dimensioni attuali tra il millesettecentoquaranta e il millesettecentosettanta quando, giungendo da Milano, il beato Rolando da Crema, un esimio prelato e studioso del tempo, venne a stabilirsi in quello che al tempo era un monastero benedettino abbandonato da decenni che, circondato di ulivi secolari, si affacciava su quello che lui stesso in seguito definì il più bel golfo del ponente ligure.

    Egli, essendo figlio unico, portò con sé, oltre alla sua fornitissima biblioteca di famiglia, anche un cospicuo fondo in monete d’oro. Questo gli consentì di avviare e presiedere i lavori di ampliamento e ristrutturazione della chiesa con annessa canonica e di edificare un ampio edificio in cui, oltre a una grande biblioteca sempre aperta al pubblico, un’infermeria, un orfanotrofio e un ospizio, furono ospitate sei suore Orsoline di San Carlo che diedero avvio al primo nucleo di quella che, da allora, divenne una presenza stabile e laboriosa a San Bartolomeo al Mare.

    Luciano inspirò a fondo l’aria calda e greve di umidità sotto le volte della chiesa e ne assaporò, come sempre, il leggero profumo di fumo e cera bruciata frammisto all’aroma di incenso che, seppur in modo velato, aleggiava giorno e notte tra le navate, le colonne e gli archi di pietra che sorreggevano le volte laterali. Le vetrate policrome delle piccole finestre ogivali, che si aprivano ad intervalli regolari nelle pareti delle due navate laterali, erano state tutte aperte, ma pareva che neppure un soffio di brezza osasse attraversarle.

    – Fratelli e sorelle, in questo giorno segnato dall’angoscia e dal timore, in cui una famiglia della nostra comunità è in pena per il proprio figlio, siamo qui a pregare ed a chiedere al nostro Signore di intercedere per Simone, che tutti noi conosciamo come un bambino pieno di vita e intelligenza, perché egli possa ritornare presto, sano e salvo, tra le braccia dei genitori.

    Aveva iniziato l’omelia con voce incerta, ma subito dopo le prime parole aveva ritrovato il tono sicuro e chiaro che contraddistingueva i suoi sermoni.

    Lasciò che le sue parole, dal marcato accento ligure, aleggiassero sotto le volte e il suo sguardo scrutò, quasi uno ad uno, tutti i fedeli convenuti per la funzione.

    Aveva davanti a sé oltre centocinquanta persone, tutte anziane e per la maggior parte donne, perché in quel momento, nelle zone circostanti la chiesa e sulla retrostante collina, era in corso una massiccia ricerca a cui partecipavano le forze dell’ordine, i vigili del fuoco, la protezione civile e tutti i volontari che, appena giunta la notizia della scomparsa del bambino, si erano subito messi a disposizione per le indagini.

    Le panche color mogano erano tutte completamente occupate, ma in quella in terza fila, alla destra dell’altare, vi erano solo la nonna e la prozia di Simone. Le due sorelle, vestite di scuro, con il capo chino, coperto da un identico velo grigio finemente ricamato, si tenevano abbracciate a vicenda stringendo ciascuna tra le mani un rosario che continuavano a sgranare. Come per un muto accordo, nessuno degli altri fedeli aveva trovato il coraggio di sedersi al loro fianco e così, le due donne, sembravano essere sedute all’interno di una sfera di riservatezza che tutti avevano deciso di rispettare.

    – L’apostolo Matteo, nel capitolo 18, ci lascia ancora una volta intendere quanta attenzione Gesù dimostrava per i bambini e come li considerasse importanti. Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Con questa affermazione precisa e chiara, ci dice che dobbiamo accogliere e pertanto proteggere, ogni singolo bambino in difficoltà che incontriamo lungo la nostra strada e, se egli avesse smarrito la via, dovrà essere nostra cura riaccompagnarlo presso i suoi affetti, perché solo così potremo un giorno sperare di entrare nel Regno dei Cieli.

    Tutti gli sguardi erano fissi su di lui e ancora una volta, tutte quelle persone convenute, attendevano da lui una parola che rinfocolasse le loro speranze e le rinforzasse nella fede.

    Come posso darvi speranza se io per primo sono così pieno di dubbi e incertezze? pensò Luciano sentendo, per la prima volta nella sua vita, il peso dell’abito talare e il premere del colletto bianco e rigido contro la pelle della sua gola. Quella sua veste che portava tutti i giorni e quel colletto che era uno dei simboli esteriori del suo ruolo, lo avevano sempre fatto sentire forte e sicuro, quasi fossero una corazza che gli dava la forza di affrontare le meschinità del mondo, ma quella sera tutto era diverso e li percepiva quasi come un impedimento da cui desiderava solo potersi liberare perché temeva di non essere più in grado di indossarli con dignità.

    Con un impercettibile movimento del capo provò a scacciare quei pensieri e quelle sensazioni, poi, con rinnovato vigore, riprese l’omelia riuscendo ancora una volta a creare quel particolare legame che si instaura tra i fedeli che ascoltano e il prete che offre a loro la spiegazione della parola di Dio.

    Dopo la predica, che era durata ben più del solito, la messa procedette all’interno dei soliti canoni e così, nel volgere di pochi minuti, Luciano si ritrovò, affiancato da Paolo, a distribuire le ostie benedette ai parrocchiani incolonnati a sinistra rispetto all’altare.

    La fila si protendeva silenziosa davanti a lui e occupava quasi due terzi della lunghezza del corridoio centrale tra le panche; coloro che non partecipavano all’eucarestia, erano rimasti seduti ai loro posti e seguivano con lo sguardo il lento avanzare della processione verso l’altare.

    – Il corpo di Cristo, il corpo di Cristo...

    La formula, proferita ogni pochi secondi, ripetuta quasi come un’eco dal diacono al suo fianco, anziché renderlo partecipe di quanto stava celebrando, quel giorno sembrava concorrere a distrarlo e a riportare la sua mente a quanto si era ripromesso di fare.

    Avrò fatto la scelta giusta? O ancora una volta, spinto dal mio orgoglio, sto commettendo un gravissimo errore? Forse dovrei chiamare la polizia e raccontare tutti i miei dubbi.

    Alcuni colpi di tosse e le parole alte e acute di un bambino di circa due anni in braccio alla propria madre in fondo alla navata, riportarono l’attenzione di Luciano su quanto stava facendo.

    Mi sono distratto mentre offrivo l’ostia ai miei parrocchiani. Un altro peccato che si aggiunge a quelli che dovrò confessare a don Marcello domani sera.

    – La messa è finita. Andate in pace.

    Paolo non aveva ancora terminato di proferire la formula che concludeva, come sempre, la Santa Messa, e già Luciano si era allontanato dall’altare e aveva raggiunto la porta della sacrestia.

    – Ora che cosa facciamo? – domandò il diacono quando lo raggiunse all’interno della grande stanza che si apriva sul lato sinistro della chiesa. Egli avrebbe anche voluto commentare l’abbandono precipitoso della chiesa da parte del suo parroco, perché era consuetudine che tutti e due si fermassero almeno un paio di minuti a cantare insieme ai fedeli, ma vedendo lo sguardo cupo di Luciano, preferì tacere.

    – Che possiamo fare? Io, dopo aver detto tutto quello che sapevo all’ispettrice che si è presentata qui un’ora prima della messa, posso solo pregare perché ritrovino il bambino sano e salvo. Tu invece potresti unirti alle ricerche.

    Mentre rispondeva con un inusuale tono di voce duro e scostante, Luciano si era sfilato i paramenti e li aveva appesi al lungo appendiabiti che occupava la parte posteriore della sacrestia, poi aprì uno degli armadi a muro lungo le due pareti più lunghe della stanza e prelevò un paio di libri di preghiere.

    Decidendo che non era proprio il caso di continuare la discussione, Paolo, dopo essersi spogliato dei paramenti, salutò piuttosto bruscamente i due chierichetti di tredici e quattordici anni che erano rimasti fermi in un angolo in attesa di sue disposizioni.

    – Anche voi due, andate a casa e non fermatevi per strada per nessuna ragione, questa non è una serata da trascorrere fuori – poi lasciò la canonica.

    Solitamente i momenti dopo la fine della messa erano un’occasione di comunione tra loro che, ognuno nel proprio ruolo, la officiavano. Non era raro per Luciano attardarsi ad ascoltare i piccoli problemi quotidiani che, soprattutto Luigi, il più piccolo dei due ragazzi, non esitava a confidargli e altre volte condivideva le pene famigliari di Paolo che, avendo in casa anche l’anziana sorella della moglie e due figlie già grandi, ma assolutamente decise a non sposarsi, alle volte non resisteva alla tentazione di magnificare il celibato.

    – Don Luciano, so che non è la serata adatta, ma avevate promesso di interessarvi di Settimo, perché io non so più cosa fare.

    Il prete era quasi arrivato alla soglia tra la sacrestia e la canonica, ma con un sospiro di rassegnazione e annotandosi mentalmente di aggiungere un altro paio di peccati a quelli da confessare, ritornò sui propri passi e si fermò accanto al grande tavolo che occupava la parte centrale della stanza, aspettando che la donna, anziana, minuta, con una gran crocchia di capelli bianchi come neve e un lungo vestito nero che le arrivava fino alle caviglie, ferma in piedi sulla soglia della porta d’ingresso, lo raggiungesse come ormai accadeva almeno un paio di volte alla settimana.

    Settimo era un uomo di poco più di sessant’anni che abitava in via Cesare Battisti, poco distante dalla chiesa, nella casa accanto a quella di Caterina; era un uomo innocuo e generoso, ma ultimamente trascorreva le proprie giornate all’interno delle mura di casa bevendo e bestemmiando a alta voce. Lui, fin dal mattino, bestemmiava a raffica e Caterina, ad ogni improperio, si faceva il segno della croce e cercava di recitare un’Ave Maria, ma in certi momenti della giornata, tanti erano i moccoli urlati da Settimo che la povera donna doveva arrendersi stremata, e allora correva in canonica a confessarsi e a chiedere l’ennesimo aiuto da parte del suo parroco.

    – Caterina, sapete bene che non ho una grande influenza su di lui e poi oggi, proprio non è la giornata adatta per interessarsi di Settimo.

    – So che quel povero bambino a mezzogiorno non è ritornato a casa, ma io sono sicura che ha voluto fare un brutto scherzo ai suoi genitori senza pensare che potrebbe uccidere di dolore la sua povera nonna. Forse è andato da qualche parte in spiaggia e ricomparirà quando farà buio. Ci vorrebbe più severità con i bambini d’oggi!

    Luciano non replicò e Caterina, scambiando il suo silenzio per un tacito assenso alle sue teorie, proseguì nel suo discorso.

    – Comunque, sempre bestemmiando come un turco – appena proferita la parola bestemmiando, quasi averla detta l’avesse resa complice di Settimo, la donna si fece rapidamente tre segni della croce – quell’uomo infernale si è unito alle ricerche. Com’è possibile che gli venga permesso? Veramente non c’è più rispetto per la religione!

    – Tutti possono rendersi utili e poi, come facciamo noi a conoscere attraverso quali vie il Signore ci può aiutare? Magari lo potrebbe ritrovare proprio Settimo e diventare così l’eroe della giornata.

    Caterina fissò interdetta quel prete, alto e magro, sempre vestito con un abito talare che pareva pendergli addosso; egli la guardava con quei suoi limpidi occhi verdi sovrastati da una folta capigliatura grigia che, sulla fronte, scendeva a sfiorargli le sopracciglia. dopo un paio di secondi, come altre volte in passato, decise che era inutile cercare in lui una guida severa per i parrocchiani e così, girando sui tacchi, abbandonò la sacrestia camminando con la schiena dritta, pestando nervosamente con le sue scarpe nere e impolverate i gradini d’accesso.

    Generalmente, al termine della messa, fuori dalla porta della sacrestia si presentavano almeno una decina di parrocchiani, quasi tutte donne anziane impegnate nelle opere parrocchiali, per sottoporgli tutta una serie di problemi o lamentarsi del comportamento di vicine e conoscenti, ma quella sera, una volta che Caterina si fu allontanata, nessun altro venne a cercarlo e allora Luciano, chiuse la porta d’accesso alla sacrestia e, attraversando un passaggio coperto, raggiunse la canonica. questa era una grande struttura in mattoni rossi composta da un piano sopraelevato da terra e un’ampia cantina sotterranea. Costruita per dare alloggio a sei preti, da oltre dieci anni era abitata solo da don Luciano che, per comodità, aveva chiuso la maggior parte delle stanze utilizzando solo il grande ingresso con il parquet di tavole, la biblioteca privata dei parroci, in cui venivano custoditi i testi più antichi e preziosi, e la propria camera da letto.

    Appena varcata la soglia d’ingresso, egli si diresse immediatamente nella biblioteca e si inginocchiò, come faceva solitamente, davanti al grande crocifisso in legno d’ulivo appeso all’unica parete libera dalle scaffalature stracolme di libri.

    – Padre nostro, che sei nei cieli…

    Ogni sera, finita la messa e ascoltati i suoi parrocchiani, si raccoglieva in preghiera e meditazione e vi restava fino a che suor Raffaella non veniva a chiamarlo per accompagnarlo nel refettorio dove consumava la cena insieme alle altre consorelle. Quei minuti trascorsi in solitudine erano il suo modo per riconfermare la propria fede, sentirsi in comunione con Dio e trovare lo stimolo per affrontare la giornata successiva.

    Dopo aver recitato le prime due preghiere, alzò lo sguardo sull’immagine di quell’uomo in croce, un dono di sua madre ormai morta da oltre un decennio.

    Luciano era nato il ventuno di settembre del millenovecentoquarantasei a Poiolo, una frazione di San Bartolomeo al Mare. Suo padre, Giovanni, era ritornato un anno prima dopo aver trascorso oltre due anni di internamento in un campo di prigionia in Germania. sua madre, Maria, era sempre vissuta nel podere di famiglia e, dopo essersi sposata, si era trasferita, poche centinaia di metri più in là, nella grande

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