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Fantasmi del borgo
Fantasmi del borgo
Fantasmi del borgo
E-book106 pagine1 ora

Fantasmi del borgo

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Info su questo ebook

L'oratorio di Villa Maj, piccola costola di un edificio signorile situato a Borgo Panigale, nella periferia bolognese, era stato usato come cappella privata da tutti i vecchi proprietari precedenti. Con l'arrivo in Villa nel 1915 dei nuovi padroni, la famiglia Maj, furono eseguite alcune ristrutturazioni murarie e l'oratorio venne successivamente destinato alle celebrazioni religiose aperte al pubblico. Come parroco venne scelto Don Evaristo, proveniente da un seminario di un piccolo e tranquillo paesino della Romagna. È il 23 ottobre del 1917, quando il giovane e timido prete si presenta alla porta dell'anziano decano della Chiesa del Comune...
LinguaItaliano
Data di uscita26 lug 2023
ISBN9788868105334
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    Fantasmi del borgo - Piero Tacconi

    cover.jpg

    Piero Tacconi

    FANTASMI NEL BORGO

    Prima Edizione Ebook 2023 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868105334

    Immagine di copertina su licenza:

    https://stock.adobe.com/

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Piave 60 - 41121 Modena

    http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it

    catalogo su

    www.librisumisura.com

    Piero Tacconi

    FANTASMI NEL BORGO

    Romanzo

    Indice

    Ecco qua, caro don Evaristo…

    Santo Dio, don Evaristo…

    Furono tre ore scarse di un sonno…

    Erano da poco passare le 12…

    Sentendosi come si doveva sentire…

    E vedendolo prostrato come se…

    Il fantasma andò avanti a raccontare...

    Quando don Evaristo tornò…

    E non aveva torto…

    Il destino che muove le sue carte…

    Il fantasma se ne tornò a Bologna…

    Don Evaristo uscì dalla canonica…

    Don Evaristo rimase ospite…

    No! Basta…no! Via di qui!

    Boati e saette…

    Bianca, amore mio…

    Don Orione si era alzato…

    Correva l’anno 1672…

    Nella notte…

    Il treno proseguì…

    Erano proprio spari…

    Il sergente Colafini stava nascosto…

    Il fantasma di Boncompagno…

    Aveva scostato il portone...

    Il sergente era ancora immerso…

    Fantasmi del Borgo

    Note dell’autore

    Ringraziamenti

    Principali fonti bibliografiche

    L’AUTORE

      CATALOGO

    Dedicato a mio padre, con profondo affetto

    Ecco qua, caro don Evaristo…

    «Ecco qua, caro don Evaristo, queste sono le chiavi: la grande è del portone, le altre due sono per la celletta e per la cassetta delle offerte» disse l’anziano parroco che l’aveva accolto all’arrivo. Don Orione, un viso levigato e tondo come la buccia d’una mela e una corporatura alquanto robusta sotto la palandrana sacra, gli aveva preso le mani serrandole nelle sue con una presa assai vigorosa.

    «Quell’oratorio è stato chiuso per troppo tempo, c’era proprio bisogno di un ragazzo giovane ed energico come lei per rimetterlo in sesto, in così breve tempo. Bene, se ha bisogno d’aiuto, per qualsiasi cosa, non ha che da tornare qui da me in sacrestia» l’aveva poi congedato, insegnandogli il sentiero che dalla strada e fra le campagne, conduceva a Villa Maj.

    Quando il lungo e dinoccolato don Evaristo aprì il secolare portone della chiesetta un odore stantio, combinazione di incenso e muffe, lo investì in pieno. La luce che entrò con lui sollevò lo spesso strato di polvere sul legno delle prime panche, sbuffando come un vecchio sofferente; don Evaristo fece qualche passo verso le imposte e le aprì tutte, e solo ad ambiente illuminato si rese conto dello stato di abbandono del luogo. Pareva proprio che l’ultima persona ad essere stata lì fosse dovuta scappare via in gran fretta, come se avesse visto… il demonio.

    Il piccolo oratorio venne costruito attorno alla fine del 1700, opera, si dice, dell’architetto Venturoli¹, il quale, su ordine della famiglia Garganelli, lo mantenne aderente alla villa per potervi officiare le loro messe private. Sul resto della storia don Orione era rimasto un po’ sul vago, sapeva solo che ad un certo punto il luogo fu chiuso, forse attorno alla fine di quel secolo, ma nessuno era in grado di dirlo con sicurezza.

    «Con il suo arrivo qui, don Evaristo, finalmente quel posto rivivrà. Da domani Borgo Panigale potrà contare su un altro luogo sacro per i suoi fedeli. Dio sa quanto ce ne sia bisogno, di questi tempi» gli era stato riferito poco prima.

    Don Evaristo rimuginò sulle parole dell’anziano prete. Quando don Orione aveva pronunciato la parola domani lì per lì si era detto onorato e contento, e non aveva certo pensato di trovarsi di fronte ad una situazione simile: c’era davvero molto da fare.

    Stava guardandosi un po’ in giro, indeciso sul da farsi, quando si sentì interpellato.

    «Don… don Evaristo?»

    Si voltò e vide due floride donne, grondanti sudore e con il cappello di paglia in mano, le quali, provenienti dai terreni vicini, erano state mandate lì da don Orione. Si reggevano una sulle spalle dell’altra, affaticate per il lungo lavoro nei campi e non parevano certo in grado di affrontare ulteriori fatiche.

    «Siete voi, il nuovo reverendo? Don Orione ci ha chiesto  se avete bisogno di aiuto» disse una delle due.

    «Sì, sì, comprendo. Ma voi mi sembrate troppo stremate, per darmi una mano.»

    «Siete sicuro?»

    «Sì, fate come ho detto, andate a casa, qui ci penserò io.»

    Le contadine si erano appena voltate, salutando e stirandosi la schiena, quando una voce tenebrosa calò dall’alto.

    «Che roba! Mai viste due donne così grosse e malmesse!»

    Chi aveva parlato non era certo don Evaristo, il quale rimase a bocca aperta a guardare le due che si erano girate e lo osservavano con le facce stranite.

    «Non so… non… ma chi… chi ha parlato?» indietreggiò don Evaristo.

    «Il morto!»

    Le due donne rizzarono le schiene in men che non si dica e, preda di un’improvvisa gioventù, abbandonarono l’adito dandosi ad una fuga precipitosa in mezzo ai campi di canapa rinsecchita, gridando per la paura. Don Evaristo, rimasto solo, con le braccia alzate sul capo, si diresse verso l’altare e si inginocchiò sui gradini.

    Un altro urlo e il portone si chiuse violentemente, la fila di panche sulla destra precipitò, seguite da quelle alla sinistra, infine una risata infernale echeggiò nell’oratorio. Don Evaristo si ingobbì sotto la pala dell’altare e lì rimase tremante, senza sapere cosa fare e dire.

    Non si mosse per molto tempo, almeno sino a quando quella pena non si chetò. E furono più di tre ore.

    Santo Dio, don Evaristo…

    «Santo Dio, don Evaristo, ha tutti i capelli per aria. Che le succede? È quasi mezzanotte, sembra che abbia visto un fantasma!»

    «È come se l’avessi visto. L’ho sentito, con queste orecchie, guardi!»

    «Cosa?»

    «Il fantasma! È… è… è là, nella canonica!»

    «Ma di che cosa sta parlando?»

    «Del fantasma, dello spettro, c’è... c’è una presenza là dentro... uno spirito inquieto aleggia tra quelle quattro mura!»

    «Un fantasma? Don Evaristo, è sicuro di star bene? Forse è un po’ stanco per via del lungo viaggio. Quando ci siamo visti mi era sembrato avesse già un colore giallino in viso.»

    «No, no, no… non sto farneticando, mi sento bene. Glielo diranno anche le due villane giunte a darmi il benvenuto, che sono scappate via urlando a gambe levate.»

    «Insomma, don Evaristo, lei è appena arrivato a Borgo Panigale, il nostro è un piccolo Comune di circa cinquemila anime, e ancora non sappiamo quante di queste ci verranno restituite dalla guerra². È gente per lo più modesta, con pochi grilli, e con cose ben più serie da pensare di questi tempi. L’apertura della piccola succursale che le

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