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Morte senza resurrezione
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E-book269 pagine3 ore

Morte senza resurrezione

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Info su questo ebook

Una serie di omicidi minaccia la tranquilla città di Ourense, senza che tra di loro vi sia nessun nesso apparente. Ma un segno distintivo lasciato dall’assassina conferma che sono stati commessi tutti dalla stessa persona: Emma, una ragazza estremamente intelligente con un piano elaborato e un motivo che la porta ad agire in quel modo. Sarà Eva, ispettore di polizia, ad occuparsi del caso. Comincia così una corsa contro il tempo per evitare altre morti.

- Oltre 350 giorni nella Top100 di Amazon.es 
- Oltre 100 giorni nella Top100 di Amazon.com.mx 
- Libro più venduto su Spagna nel novembre 2012
- Libro più venduto su Messico
- 10.000 fan su Facebook 

RECENSIONI

- El secreto está en el té:
"Al lettore abituale il thè all’arancio si raffredderà nella tazza, ma quando se ne accorgerà sarà già a pagina 70 e non potrà smettere di leggere."

- Algo más que libros:
"È un romanzo avvincente, diretto e pieno di emozioni, con un finale a dir poco perfetto. Senza dubbio, uno dei migliori romanzi dell’anno."

- Leyendo entre letras:
"È un libro che ti inchioda, con un argomento nuovo rispetto alla gran quantità di libri usciti negli ultimi tempi."

- Cuéntate la vida:
"...una storia che ci parla di morte, di omicidi, ma anche di vendetta e di giustizia."

- Mientras duermen...:
"Le due protagoniste mi hanno sorpreso, credo che entrambi i  personaggi siano stati costruiti molto bene. Considerando che stiamo parlando di un autore maschile, direi che è riuscito a cogliere perfettamente l’essenza femminile."

- Caminando entre libros:
"Sinceramente… mi ha coinvolto così tanto che non ho potuto analizzare profondamente il testo."

- ¿Te gusta leer?:
"Era la prima volta che leggevo Roberto Martínez Guzmán e devo ammettere che mi ha mervagliato."

- Libros en el petate:
"...una storia magnifica con tutti gli ingredienti per piacere, compiacere e far affiorare i sentimenti dei lettori."

- Gecko books:
"...ti fa pensare continuamente: “e adesso cosa farà la polizia?”o “come ammazzerà il prossimo?”. Questo fa sì che la lettura finisca in un batter d’occhio. Ma ti piacerà da morire."

LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2017
ISBN9781507171325
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    Anteprima del libro

    Morte senza resurrezione - Roberto Martínez Guzmán

    Ai miei genitori

    Roberto e Aquilina,

    senza di loro

    niente sarebbe uguale

    INDICE

    PROLOGO

    PREFAZIONE

    DOMENICA DELLE PALME

    1

    2

    3

    LUNEDÌ SANTO

    4

    5

    6

    7

    MARTEDÌ SANTO

    8

    9

    10

    11

    MERCOLEDÌ SANTO

    12

    13

    14

    15

    GIOVEDÌ SANTO

    16

    17

    18

    19

    VENERDÌ SANTO

    20

    21

    22

    23

    SABATO SANTO

    24

    25

    26

    27

    DOMENICA DI RESURREZIONE

    28

    Biografia dell’autore

    PROLOGO

    Caro lettore, hai tra le mani il nuovo romanzo di Roberto Martínez Guzmán: in quest’occasione, una storia poliziesca piena di omicidi, ma altresì ricca di spunti psicologici. Roberto ci presenta una trama meravigliosamente ambientata in due città poco comuni nella narrativa, Vigo e Ourense, in un’epoca dell’anno ben nota com’è la Settimana Santa. L’odore dell’incenso si fa sentire scorrendo queste pagine impregnate di sangue e di vendetta.

    Due sono le donne protagoniste del racconto, entrambe molto intelligenti. Conoscerai Emma, la mano esecutrice, una ragazza che uccide una serie di persone lasciando la propria firma su ciascun cadavere: una pallina da golf. Su questo non ci sono segreti: Emma è l’assassina ma... cosa la porta a commettere simili atrocità? Eva sarà la persona incaricata di scoprirlo, l’ispettore di polizia che seguirà le tracce della ragazza, colei che dovrà scoprire cosa si cela nella mente perturbata dell’autrice dei delitti. Emma ed Eva ti dimostreranno che non tutto è come sembra e che a volte i buoni non sono così buoni, né i cattivi così cattivi.

    Grazie all’agile penna di Roberto, ti immergerai completamente in questa storia, la assaporerai e te la gusterai, la leggerai quasi senza renderti conto del tempo che passa. Leggila e scopri cosa nascondono queste pagine, chiediti cosa può aver corrotto una ragazza come Emma, aiuta Eva a catturare l’assassina e, quando avrai finito e avrai chiuso il libro, fermati un attimo e pensa: cos’avrei fatto io al suo posto?

    La narrazione in terza persona ti permetterà di conoscere in ogni momento, grazie a un narratore onnisciente, ciò che passa per la mente di tutti i personaggi, facendoti così addentrare nelle loro storie e nelle loro riflessioni su ciò che sta per accadere. I capitoli della storia di Emma si intercalano con quelli che si riferiscono alle indagini di Eva, in modo che potrai seguire tutti i passi delle due protagoniste, così come quelli dei personaggi secondari, molti dei quali saranno vittime dell’assassina.

    La maestra di questo genere, Agatha Christie, diceva: «La miglior ricetta per un romanzo poliziesco: il detective non deve mai sapere più del lettore». Morte senza resurrezione ne fa sfoggio, giacché il lettore sa fin dal primo momento chi è ad uccidere e, poco a poco, può iniziare a indovinare perché lo fa, mentre l’ispettore dovrà percorrere, un passo alla volta, il sentiero della tragedia.

    Il passato può giustificare le feroci azioni del presente? Forse non sempre, ma a volte riuscire a raggiungere la pace dello spirito può compensare tutto. Non ti trattengo oltre e ti invito a girare questa pagina per conoscere le vere protagoniste di questa storia, Emma ed Eva: loro ti sapranno guidare meglio di me. Buona lettura!

    Natalia Navarro Díaz

    Amministratrice del blog Arte Literario

    (arte-literario.blogspot.com)

    "... e non trovo altro che porte

    che negano ciò che nascondono..."

    (Joaquín Sabina)

    PREFAZIONE

    ––––––––

    Domenica delle palme. Nel cuore di Vigo, all’una del pomeriggio, una gran folla si dà appuntamento all’interno della chiesa di Santa Maria per celebrare l’inizio della Settimana Santa.

    L’aroma dell’alloro, dell’olivo e dell’incenso inonda tutto, il caldo è insopportabile e dall’altare il parroco si affanna a spiegare il significato della passione e della morte di Cristo, intralciato dall’enorme moltitudine che in quei momenti si concentra all’interno del santuario.

    In una navata laterale, nell’intimità di un confessionale, un’enigmatica donna dai lineamenti quasi perfetti spiega con serenità a un giovane sacerdote la motivazione che ha guidato la sua vita negli ultimi sei anni, ma gli rivela anche un futuro prossimo a dir poco inquietante.

    DOMENICA DELLE PALME

    1

    ––––––––

    C’era poco altro da dire. La donna completò la sua serena esposizione dei fatti e rimase in silenzio, come a voler dare tempo al giovane sacerdote di assimilare quanto aveva appena udito. Per farlo, lui ebbe bisogno di alcuni secondi e di sistemarsi un paio di volte sul sedile. Quando, alla fine, prese coscienza del fatto che quella donna aveva finito di parlare, non seppe cosa dire. Era ben vero che altre volte si era sentito a disagio nel confessionale, in alcune occasioni aveva dovuto sopportare addirittura delle avances sessuali, ma quel giorno era diverso. Notava come il sangue gli scorreva gelido nelle vene e come il caldo aroma dell’incenso e dell’alloro della chiesa si era trasformato, nel suo piccolo recinto, nel macabro odore della morte. Una sensazione tanto indescrivibile quanto ripugnante.

    Alla fine balbettò più volte, per poi riuscire solo a dire timidamente:

    «Non posso darle l’assoluzione. Almeno non adesso».

    «Capisco.»

    Una volta conclusa la confessione, il sacerdote alzò lo sguardo attraverso la grata e poté vedere come la donna faceva per alzarsi, proprio mentre formulava un’ultima domanda:

    «Posso contare su di lei?»

    Il giovane sacerdote esitò per un attimo. Non che volesse pensare a cosa rispondere, ma piuttosto per la sensazione di puro sconcerto in cui era immerso.

    «Sì, ci sarò. Tra una settimana esatta...» rispose, finalmente, come per cercare una conferma.

    Ma non ci fu risposta. Non ci furono neanche altre domande. La donna finì di alzarsi e, con quell’atto, la sua immagine sparì dalla grata.

    Il sacerdote aprì leggermente la parte superiore del confessionale e, attraverso la piccola fessura, la seguì con lo sguardo. Le sue fattezze erano arrotondate, create come secondo un modello prestabilito. I capelli neri e raccolti in una coda di cavallo. Non c’era niente che la differenziasse dalle altre persone che si concentravano in chiesa in quel momento e, nonostante le belle curve che si potevano indovinare sotto i jeans e una maglietta discreta, nessuno si accorse di lei.

    Nel giro di pochi secondi, scivolò lungo la navata laterale, dirigendosi discretamente verso l’uscita. Non si fermò a pregare, né a fare penitenza, non rimase nemmeno per la fine dell’eucaristia. Semplicemente... se ne andò.

    Il giovane sacerdote inclinò la testa in modo incosciente cercando di seguirla ancora per un po’, cosa che però gli risultò impossibile tra la folla che gremiva la chiesa. Non appena lei fu sparita completamente dal suo ridotto campo visivo, non poté evitare di farsi il segno della croce in tutta fretta, in modo compulsivo, come se avesse appena visto il diavolo in persona. Un diavolo reale, in carne ed ossa, che gli aveva addirittura detto il proprio nome: Emma.

    Era sicuro che non lo avrebbe potuto dimenticare mai più.

    2

    ––––––––

    Madre e figlia, Aurora ed Emma, mangiarono in silenzio. Era da molto tempo non c’era nulla da dire in quella casa. Tra di loro ormai non c’erano più festeggiamenti, né confidenze, nemmeno nulla da rinfacciarsi.

    Non appena terminarono, Emma si ritirò in camera sua e chiuse la porta col chiavistello, da dentro, cercando di fare il minimo rumore possibile. Un chiavistello vecchio, posto su una vecchia porta di legno, in uno dei molti appartamenti vecchi e umidi della via Marqués de Valterra, nella zona nordovest di Vigo. In quella parte della città, il sale filtrava attraverso le fessure e impregnava tutto del suo odore caratteristico e della sua umidità permanente.

    Quando fu sicura che nessuno sarebbe potuto entrare, prese una grande valigia dall’armadio e la aprì sul pavimento. Poi cercò un bigliettino che aveva riposto nel primo cassetto del comodino e lo osservò con attenzione. Vi aveva annotato meticolosamente ciò che doveva portare con sé. Erano mesi che sapeva quella lista a memoria, ma la volle seguire punto per punto: abiti per una settimana, una sveglia, occhiali... Quando ebbe sistemato tutto dentro la valigia, si sedette sul letto. Di sottofondo sentiva varie persone discutere accaloratamente nel programma televisivo di sempre. Guardò nuovamente il biglietto, stavolta controvoglia, e si concesse alcuni minuti per riprendere le forze o, piuttosto, per farsi coraggio.

    Non tardò molto ad aprire il chiavistello, con cautela, e a dirigersi di soppiatto verso il bagno. Lì doveva prendere ancora il resto delle sue cose: trucco, tinta per i capelli, uno spazzolino da denti, un pettine, un piccolo asciugacapelli, delle lamette... La televisione era ancora accesa e, al suo interno, la discussione era salita di tono. Quanto bastava affinché Aurora non si accorgesse dell’andirivieni della figlia lungo lo stretto corridoio.

    Tuttavia quando, passate le cinque di sera, Emma uscì nuovamente dalla stanza per andarsene, nel corridoio si trovò di fronte sua madre, forse allertata dal rumore prodotto dalle rotelle della valigia, o per puro istinto materno. Gli occhi di Aurora si posarono all’istante, come zavorra, sul bagaglio:

    «Te ne vai?» chiese.

    Emma la guardò per un attimo e avanzò senza rispondere. Poi aprì la porta e chiamò l’ascensore. L’attesa nel pianerottolo le sembrò eterna. Sentiva gli occhi di sua madre conficcati nella nuca, supplicanti, ma in nessun momento si girò a guardare indietro. Si limitò ad aspettare. La peggiore delle risposte.

    Entrò nell’ascensore trainando impacciatamente la valigia proprio mentre udiva chiudersi la porta dell’appartamento. Dietro di lei, prima ancora che l’apparecchio potesse mettersi in moto, entrò anche Aurora. Avrebbe preferito lasciare la casa dei genitori, dove era nata e cresciuta, e dove era altresì vissuta durante gli ultimi anni, in solitudine. Senza addii, senza rendere ancor più difficile quel momento. Ma in fondo capiva sua madre.

    La porta dell’ascensore si aprì ed Emma uscì trascinando di nuovo la valigia. Aurora si limitò a seguirla, cercando in testa qualche domanda che non riusciva a trovare.

    Le due si avvicinarono al consunto margine del marciapiede e attesero.

    «Ho chiamato un taxi. Non credo ci voglia molto perché arrivi» disse Emma.

    Quando arrivò, il tassista non dubitò che quelle due donne fossero per forza quelle che avevano richiesto il suo servizio, scese rapidamente e sistemò la valigia nel mezzo. Intanto Emma aveva preso posto sul sedile anteriore e aveva abbassato il finestrino. Da lì, guardò sua madre, paralizzata sul marciapiede, e le fece cenno di salire. Che problemi potevano esserci se l’accompagnava, pensò.

    «Alla stazione del treno» indicò al tassista.

    «Quella di Guixar?»

    «Sì.»

    I lavori in corso alla stazione principale facevano sì che, da mesi, tutti i treni partissero dalla vecchia stazione situata nel viale di Guixar. Ciò nonostante il tassista aveva la sana abitudine di chiedere sempre ai clienti. Di solito questa semplice cortesia era la scusa ideale per attaccare bottone, ma in questo caso non fu così.

    Durante il tragitto, Emma cercava di non cedere in nessun modo di cui poi si potesse pentire e Aurora si sentiva semplicemente sconfitta. Seduta sul sedile posteriore, alla fine trovò una domanda che secondo lei poteva essere pertinente:

    «Non vai con la tua macchina?»

    «No, non mi serve» rispose Emma, rude.

    Avrebbe dovuto continuare a pensarci su. Il taxi fiancheggiò il distributore del molo del Berbés e poi avanzò per i tunnel di Beiramar a tutta velocità. Nessuno guida piano a Vigo e il tassista non faceva eccezione. A un certo punto avvertì la tentazione di parlare del tempo, come avrebbe fatto durante qualsiasi altro servizio, ma intuì che era più appropriato limitarsi a guidare. Aurora, da parte sua, era sempre più cosciente del fatto che le stava scadendo il tempo:

    «Non mi dai neanche una spiegazione?»

    «No.»

    Aurora incassò la risposta tagliente della figlia e non si sentì in grado di insistere. Sapeva di poter cercare altre mille domande ma, in fondo, conosceva già tutte le risposte. Così come la spiegazione che stava chiedendo a sua figlia. A dire il vero, era da un anno che aspettava quel momento. Ma ora aveva scoperto di non essere preparata ad affrontarlo con fermezza.

    Una volta in stazione, Emma si avvicinò alla biglietteria con passo fermo e si mise in coda. Tre persone e cinque minuti ancora per un angoscioso addio. Aurora attese al suo fianco. Quando giunse il suo turno, la ragazza guardò la madre con la coda dell’occhio e poi si rivolse all’impiegata delle ferrovie:

    «Un biglietto per Barcellona Sants».

    «Cuccetta?»

    Emma esitò.

    «No, poltrona.»

    «Centocinque e cinquanta, per favore.»

    Emma estrasse da un bel mazzetto tre biglietti da cinquanta e li porse all’impiegata, aspettando il resto. Poi si voltò e guardò di nuovo sua madre, questa volta però faccia a faccia e con aria inquisitrice.

    «Cosa...?» chiese.

    «Tu non vai a Barcellona...» rispose Aurora, sconfitta.

    Emma pensò che avrebbe dovuto badare meglio ai dettagli dei suoi imbrogli. Anche se, certamente, i prossimi avrebbero avuto altre persone come vittime.

    Le due si avvicinarono flemmatiche ai binari. In un certo modo, il breve tragitto dalla biglietteria al treno sostituì una qualsiasi forma di commiato. Non ci furono baci, né abbracci, neppure un semplice ciao. Emma salì sul primo vagone e percorse a piedi tutto il treno, fino a sistemarsi nella carrozza dei posti a sedere, nella fila più lontana dal marciapiede del binario.

    Aurora seguì Emma da fuori come meglio poté e si fermò alla sua altezza. Rimase lì a guardarla, in piedi, con gli occhi umidi. Nel suo profondo sapeva che non l’avrebbe vista mai più.

    3

    ––––––––

    Alle ore 17.55, con puntualità squisita, il Trenhotel partì dalla stazione di Vigo Guixar in direzione Barcellona Sants. Davanti, quattordici ore di lungo viaggio. La maggior parte di esse coincideva con la notte, per cui non era strano che molti passeggeri scegliessero il vagone letto e che solo in pochi, i più audaci o quelli il cui viaggio finiva prima, viaggiassero nelle carrozze con i sedili. Le poltrone si distribuivano in una fila di blocchi da due posti, alla sinistra del corridoio centrale, e, a destra, in una fila di posti individuali. Emma aveva scelto deliberatamente quelli sulla sinistra, che nella stazione si trovavano più lontani dal marciapiede. Poco dopo aver preso posto, si era occupato anche il posto attiguo al suo, ma senza che lei prestasse troppa attenzione al suo accompagnatore, per via della tensione di quel momento.

    Non appena il treno prese a muoversi, Emma reclinò leggermente lo schienale e, ormai molto più rilassata, osservò il ragazzo che viaggiava al suo fianco. Camicia impeccabile, capelli col gel, lineamenti dolci... e una raccolta d’anni piuttosto scarsa. Considerata la scarsa occupazione della carrozza, sospettò che forse la sua condizione femminile poteva aver avuto qualcosa a che fare con la scelta del ragazzo. Con quella di sedersi vicino a lei e, in quel momento, con quella di offrirsi gentilmente ad aiutarla:

    «Scusa, ti aiuto a mettere la valigia sul portabagagli?»

    Bastava vedere Emma per capire immediatamente che se il bagaglio era ancora nel corridoio, si doveva alla scarsa corpulenza della sua proprietaria. Lei lo lasciò fare.

    «Mi chiamo Alberto. E tu?» il giovane continuò il suo approccio.

    Emma esitò sulla risposta.

    «Elena, mi chiamo Elena» rispose con un sorriso compiacente.

    Meglio fare così, pensò.

    «E vai fino a Barcellona senza cuccetta?»

    «No, solo fino a Ourense». Alla fin fine, se ne sarebbe accorto comunque quando fosse scesa.

    «Ma guarda, anch’io, che coincidenza! Abiti lì?»

    Lei decise di mentire di nuovo.

    «No, vado solo a passare un giorno da parenti. Domani torno a Vigo.»

    Il ragazzo ricordò la pesante valigia che aveva appena sollevato e si fece serio. Con quella serietà che si delinea sul volto di chi comincia a sospettare che lo stanno prendendo in giro in modo gratuito. Ma Emma fu veloce:

    «Sai come siamo noi donne: pensiamo di mettere in valigia solo il minimo indispensabile e alla fine... vuoi i vestiti, vuoi il trucco, dei regali per i bambini... Sono consapevole del fatto che la metà delle cose che porto non mi serviranno, ma...».

    «Tu hai bambini?» la interruppe Alberto.

    Stavolta fu Emma a farsi seria:

    «No».

    Nonostante la reazione che aveva appena suscitato, il ragazzo decise di fare un altro passetto nel suo tentativo di avvicinamento:

    «Be’, sei bella per non avere figli. Come minimo avrai un ragazzo».

    Troppe domande, troppe risposte forzate e una strada sbagliata, quella che stava imboccando il giovane compagno di viaggio. Emma decise che quello era il momento di dare per conclusa la chiacchierata di cortesia con quello spavaldo aspirante corteggiatore:

    «Se non ti spiace, vorrei riposare un po’» disse con educazione squisita. «Stanotte non ho dormito bene».

    Alberto non volle insistere con la conversazione. Si limitò a vedere come la donna chiudeva gli occhi, isolandosi completamente da ciò che la circondava.

    Appena un’ora e mezza più tardi, il treno ridusse la velocità per fermarsi nella stazione di Ourense Empalme e attraverso il finestrino si iniziarono a scorgere le luci della città. Emma si affrettò ad alzarsi dal sedile prima del suo compagno di viaggio. Con faccia seria gli chiese aiuto per tirare giù la valigia e quindi si diresse verso l’uscita, senza dargli il tempo di seguirla. Dopo la conversazione che avevano avuto, non voleva che lui costatasse che di tutti quei parenti che andava a trovare nessuno si era preso il disturbo di andare ad aspettarla alla stazione. Pensò che gli sarebbe potuto sembrare strano. In fondo voleva solo evitare che quel ragazzo innocente scoprisse che, in realtà, era arrivata da sola, sarebbe rimasta in città da sola e quando se ne fosse andata, dopo una settimana esatta, se ne sarebbe andata da sola.

    Nel momento in cui il convoglio si arrestò, Emma aspettava già, impaziente, che le porte si aprissero. Senza perdere tempo scese sul binario e attraversò la piccola stazione senza voltarsi.

    Una volta uscita sulla strada, si diresse verso il primo taxi che aspettava davanti all’edificio e consegnò un foglietto al conducente.

    «Mi può portare a questo indirizzo, per cortesia?»

    Il tassista guardò il biglietto in malo modo e mise in moto per dirigersi verso la zona universitaria della città, dove numerosi appartamenti di ogni tipo erano occupati, d’inverno, dagli studenti. Si fermò all’indirizzo indicato.

    Emma suonò un vecchio campanello e attese, mentre il taxi si allontanava alle sue spalle. Non tardò molto a comparire una ragazza di bassa statura, con l’aspetto di aver bevuto una quantità inconfessabile di alcool la notte precedente e con un nervosismo più che evidente. Forse dovuto al fatto che trovare un’altra coinquilina era diventato assolutamente imprescindibile

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