Nel profondo di un’anima
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Nata a Palermo il 20 luglio del 2006, Agnese La Bella frequenta attualmente il terzo anno del liceo classico Don Bosco Ranchibile di Palermo. La sua passione per la scrittura, coltivata fin da piccola, la porta quest’anno a pubblicare il suo primo romanzo, Nel profondo di un’anima.
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Anteprima del libro
Nel profondo di un’anima - Agnese La Bella
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Prima parte
1.
Ormai manca davvero poco tempo; una mezz’ora all’incirca. Poi, palazzo Mora aprirà le sue porte ai numerosi invitati per la cena di questa sera, che si terrà nel cosiddetto salone Alessandrino
. È tutto pronto, ormai: il pavimento di maioliche è pulito e lucidato a dovere, così come le ampie vetrate, affiancate a destra e a sinistra da lunghe tende color porpora, e gli specchi a parete, nei quali, sicuramente, qualche dama questa sera si guarderà per controllare, discretamente, se l’acconciatura è in ordine, così come le pieghe della gonna o, semplicemente, per ammirare la sua bellezza. Le pareti tappezzate sono abbellite da diversi quadri, raffiguranti i vari antenati della famiglia De Musa, che vengono orgogliosamente messi in mostra. Al centro della sala, un enorme tavolo allestito con argenteria pregiata e splendente, così ben tirata a lucido che viene risaltata dalla luce chiarissima, emanata dalle molteplici candele dei grandi lampadari, anch’essi ben lustrati e appesi nell’amplio soffitto, squisitamente dipinto. Alzando gli occhi, infatti, si rimane affascinati dal grande affresco di Giuseppe Patania, che raffigura le grandi imprese di Alessandro Magno, il grande conquistatore, che arrivò fino agli estremi confini del mondo allora conosciuto, imponendo eroicamente la sua forte personalità. Eccolo raffigurato in corsa, che si dirige verso il nemico, in groppa al suo fedele Bucefalo. Intrepido, si lancia sul tumulto di soldati. È lì, con la lancia in mano. Pare quasi di sentire il suo urlo di battaglia, le grida agguerrite dei suoi uomini, il nitrire furioso dei cavalli, il fragore delle spade che si scontrano, il lamento dei guerrieri che lì hanno messo fine al proprio vivere. Si viene quasi travolti da questo flusso, che riporta le menti ad antichi passati... e non solo. L’aria di eroismo si respira ancora, anche se più volte si sono aperte le finestre in questi quattro anni, da quando fu messa sopra la testa di Vittorio Emanuele II la corona del regno d’Italia. Quando si entra in quell’immenso salone, ammirando quelle scene dipinte, alle quali la luce sembra dare vita, non si possono non ricordare le tante sconfitte e le altrettante vittorie che hanno fatto della Sicilia una parte del grande regno d’Italia. Quattro anni prima, infatti, si credeva nel cambiamento! Si era stanchi dei Borboni, del loro dispotismo, che ormai stava stretto a tutti. E così, ogni giovane, che aveva pieno il petto di coraggio e ardore patriottico, si unì al grande Garibaldi e al suo seguito di garibaldini, tutti in uniforme rossa, adesso conservata e custodita gelosamente in piccoli e grandi armadi. Ed ecco, il suono del pendolo fa risuonare nell’aria le sette in punto. Poi, altri rumori provenienti dal cortile: arrivano delle carrozze! Ognuno ai propri posti aspetta paziente l’arrivo dei primi ospiti. La governante dà un’occhiata veloce al tutto: ogni cosa è in perfetto ordine. Bene, anche se lei non si darà pace finché tutto non finirà... ovviamente nel migliore dei modi. Tutto deve andare per il verso giusto. Pian piano, cominciano a giungere tutti gli invitati: dame meravigliose con abiti stupendi e gioielli luccicanti salgono i gradini ed entrano in quell’allegra atmosfera, accompagnate da gentiluomini altrettanto affascinanti. Uno di questi, però, ad un certo punto, si presenta da solo, senza alcuna dama al braccio.
«Cugino!» esclama Don Francesco, venendogli incontro.
Don Francesco De Musa è il giovane proprietario di palazzo Mora, di circa vent’anni d’età.
«Caro Francesco, buona sera» gli risponde lui con voce profonda.
«Oh, il conte Lorenzo De Musa che ci fa l’onore di essere qui!» esclama il duca.
«Piacere di vedervi, Antonio».
I due si stringono la mano.
«Da quanto tempo che non vi facevate vedere qui a Palermo!».
«Lo ammetto, ne sono stato lontano a lungo. Questione di affari importanti, riguardanti la contea di Fogara. Voi potete capirmi, duca».
«Ah, eccome!».
Ad un tratto, Francesco rientra nel salone, interrompendo quello che sembrava il nascere di una chiacchierata amichevole. Gli sussurra qualcosa che nemmeno Lorenzo riesce a sentire. Subito, però, il servo si allontana e Francesco, dopo essersi assicurato che il frak fosse perfettamente ordinato, si dirige verso le scale. Lorenzo segue la figura del cugino con lo sguardo.
Chi è arrivato di così importante? Ad un tratto, rientra nel salone affiancato da una giovane dama, a sua volta seguita da una donna robusta e alquanto bassina, ma di aspetto gradevole. L’altra, invece, è molto graziosa. Francesco conduce entrambe davanti Lorenzo e il duca.
«Signori, vi presento la signorina Teresa Morgante e donna Rosa Facchini, la madre».
Entrambe si inchinano. Francesco continua:
«Questo è mio cugino, Don Lorenzo De Musa, conte di Fogara».
Lorenzo accenna un sorriso e anch’egli si inchina.
«Don Lorenzo, Francesco mi ha parlato molto di voi. È un piacere conoscervi» gli risponde la ragazza. Lorenzo rimane un po’ turbato, sentendo quelle parole: mi ha parlato molto di voi. Chi è questa ragazza? Francesco non me ne ha mai parlato. Eppure, non è la prima volta che si vedono. Lorenzo la guarda dalla testa ai piedi: porta un abito rosa chiaro, che richiama il colore dei fiori messi tra i suoi capelli color del grano. Ha dei dolci occhi azzurri e un nasino minuscolo. In effetti è troppo magra, anche un po’ troppo minuta. Be’, diciamolo, non ha una grande bellezza.
«Signorina Teresa, donna Rosa» si rivolge loro dolcemente Francesco, «com’è andato il viaggio? Suppongo che vi siate stancate».
«Cosa? No, assolutamente! Anzi, Don Francesco, vi possiamo assicurare che non ci siamo mai sentite meglio!» risponde donna Rosa, radiante di felicità. Poi, si guarda a destra e a sinistra estasiata, come se non avesse mai visto tanto sfarzo, ed esclama:
«Oh don Francesco, che meraviglia, che meraviglia!».
«Sono contento che vi piaccia».
«Organizzare tutto questo per noi, invitando così tanta gente, è stato davvero troppo gentile da parte vostra. Io e soprattutto Teresa non sappiamo come ringraziarvi… Ci avete rese proprio felici! La mia cara Teresa non vedeva l’ora che questo giorno arrivasse. Ricordo quanto fosse entusiasta. Quasi non ci credeva. Oh, e non sapete quante volte ha espresso il desiderio di rivedervi! E…».
«Mamma!» esclama Teresa con le guance infuocate, mentre guarda Francesco, anch’egli rosso come un pomodoro. Lorenzo li scruta entrambi. C’è qualcosa in questi sguardi…
«Ma Teresa, è la verità! Quasi non dormivi la notte aspettando che questo giorno arrivasse e…».
«Donna Rosa» la interrompe Francesco, «vorrei presentare voi e vostra figlia anche agli altri ospiti».
«Oh, ma certamente!».
«Vogliate scusarci, signori» dice Francesco, abbassando leggermente la testa e porgendo il suo braccio a Teresa, la quale non esita ad offrire il suo. Nel mentre donna Rosa li guarda, manifestando con chiarezza un senso di contentezza e soddisfazione. Lorenzo lo nota. Nota tutto! Ma cosa significa?
2.
Mentre Francesco presenta le due signore, Lorenzo scambia qualche altra parola con il duca, senza capire molto di quello di cui stanno parlando: la sua attenzione è rivolta a suo cugino e a quella Teresa. Passano solo pochi minuti ed ecco che il duca si allontana. Hanno finito di parlare. Ora Lorenzo può tranquillamente osservare i due... forse.
«Don Lorenzo, Don Lorenzo!».
Una voce alle sue spalle che lo chiama. Si gira.
«Oh, buona sera marchesa Anna, e a voi Don Giuseppe».
«Caro Lorenzo, che piacere rincontrarvi!» esclama l’anziano marchese.
«È un piacere per me e faccio i miei complimenti a voi e alla vostra signora, perché vi trovo in splendida forma».
«Voi siete troppo buono, Don Lorenzo. Magari fino a qualche tempo fa lo ero, ma ormai sono vecchietto, per me i tempi della gioventù sono passati e, lo confesso, riesco a sopportare poco il peso dei miei sessant’anni...». Il marchese emette un sospiro rassegnato.
«Oh Giuseppe!» lo rimprovera la moglie, «e prendetevi questo complimento senza fare storie! E poi siamo ad una festa, non è il caso di pensare ai nostri mali. L’età è così!».
«Vostra moglie dice bene, marchese».
«Sicuramente, questo non lo metto in dubbio. È anche giusto che si invecchi, d’altronde. Bisogna dare spazio ai nuovi giovani».
Mentre dice queste parole, il suo sguardo si sposta sulle figure di Francesco e Teresa, messi l’uno accanto all’altra che parlano con gli altri ospiti, mentre donna Rosa affianca la figlia.
«Che ragazza graziosa, non è vero? Anche se forse un po’ troppo magra» commenta la marchesa.
«Concordo con voi, Anna» le risponde suo marito.
«Ma cosa si sa di lei?» chiede Lorenzo. «Sapete, non vengo a Palermo da molto e certe persone mi sono nuove» continua con la voce di chi vuole nascondere il desiderio di sapere ogni cosa.
«Davvero non conoscete la signorina Teresa Morgante? Eppure vostro cugino ve ne deve aver parlato. Credo si conoscano da tanto tempo… Almeno, io questo ho sentito dire» dice il marchese. A questo punto, la marchesa, abbassando il tono della voce, dice a Lorenzo:
«Be’ conte, da quanto ho capito, la ragazza appartiene a una famiglia di borghesi, piccoli borghesi».
«Mmh… e come l’ha conosciuta mio cugino?».
«Vedete, suo padre era mezzadro di Don Francesco. Si era arricchito acquistando la maggior parte dei terreni che appartenevano al comune di Monreale, tutti coltivati a grano, di cui entrò in possesso grazie proprio, se così possiamo dire, al vento del cambiamento
, che aveva soffiato negli anni precedenti, portando alla fine del regno borbonico. So anche che aveva cominciato a fare affari, a mettersi con gente di una certa portata».
«Marchesa, scusate, ma avete usato solo tempi passati nel vostro discorso. Immagino che questa persona non ci sia più».
«Immaginate bene, conte» dice il marchese. «Il povero don Pietro Morgante, così si chiamava il padre, morì sei anni fa all’incirca, per una brutta malattia. E che volete, il lavoro distrugge! Il poveretto aveva fatto tanto per arrivare dove voleva… Peccato che non ha avuto il tempo di godere pienamente dei suoi sforzi. Lasciò sua moglie, donna Rosa Facchini, mi pare si chiami così, con tre figlie, tra cui questa ragazza, Teresa».
«E che mi dite di lei, in particolare?».
«Lei» comincia a dire la marchesa. «lei è la più grande delle figlie, di cui non ricordo di preciso i nomi. Di Teresa so, però, che è una ragazza modestamente istruita e di buone maniere. Questo ve lo posso assicurare, conte, dal momento che le ho parlato di persona».
«Purtroppo, però, cara moglie mia, c’è da dire che non ha granché su cui contare, economicamente parlando».
A questo punto, Lorenzo lo guarda perplesso, aggrottando le ciglia.
«Spiegatevi meglio, marchese» lo incita la marchesa, che ama i pettegolezzi.
«Da quando è morto il padre, la situazione economica della famiglia non è molto stabile. Anzi, ho sentito in giro che è molto più grave di quel che sembra. Pensate addirittura che la cara Teresa può contare solo sulla sua intelligenza e sul suo buon carattere per costruirsi una vita, non avendo nemmeno un centesimo da ereditare. E questo penso che vi interessi particolarmente, Don Lorenzo. Mi chiedo se vostro cugino ne sia già al corrente».
«Povera ragazza!» esclama la marchesa. «A meno che non trovi qualche d’uno disposto a sposarla nella sua condizione, passerà il resto dei suoi giorni in un convento. Ora capisco perché donna Rosa prova davvero un enorme piacere a veder la figlia accanto a un così bel giovanotto, come vostro cugino. Sicuramente è per lei una grande soddisfazione. Ma io credo che per lei sia, soprattutto, c’è da dirlo, una grande consolazione».
«Scusate, ma penso che stiamo forse esagerando. Non credo che mio cugino possa davvero pensare di sposare una ragazza simile» dice Lorenzo, senza però mostrare troppa sicurezza nel pronunciare queste parole.
«Oh, ma Francesco è un giovane così sereno, amabile, generoso, ben voluto da tutti e la signorina Teresa, secondo me, ne è rimasta affascinata».
«Moglie mia, non pensate, come dice Don Lorenzo, di esagerare?».
«Ma cosa dite, Giuseppe?! Probabilmente è così. Anzi, io credo che sia proprio così. Vedete conte» la marchesa si rivolge a Lorenzo, abbastanza infastidito da quei discorsi, «anche se mai è stato detto, che ci sia amore tra loro due è evidente. Ogni movimento delle labbra sottili di lei, la sua dolce voce, il suo sorriso, sono un piacere per gli occhi di Don Francesco che, senza accorgersene, si accalora ogni volta che le sta accanto. E questo è risaputo. Anche un cieco lo noterebbe! Le voci sono tante, forse troppe. Di altro non si parla, se non della loro profonda amicizia
, se così la si vuole chiamare. Però, a guardarli insieme non si può pensare ad una coppia più bella, secondo me. Peccato però che quella ragazza sia solo una poveretta ben vestita. A sentir sua madre, è stato proprio Don Francesco a regalarle quel vestito».
«A proposito, vogliamo parlare della madre?! Non sa tenere nulla per sé. Per non parlare dei suoi rozzi modi…».
«Mio caro, ma cosa vi aspettate dalla figlia di