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Il Jazz: un gioco da ragazzi: Propedeutica e didattica dell'improvvisazione nella scuola di base
Il Jazz: un gioco da ragazzi: Propedeutica e didattica dell'improvvisazione nella scuola di base
Il Jazz: un gioco da ragazzi: Propedeutica e didattica dell'improvvisazione nella scuola di base
E-book197 pagine2 ore

Il Jazz: un gioco da ragazzi: Propedeutica e didattica dell'improvvisazione nella scuola di base

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Info su questo ebook

Il Jazz: un gioco da ragazzi nasce da una rilettura critica del Jazz, della sua evoluzione e delle sue caratteristiche fondanti, volta ad individuare dei presupposti pedagogici trasferibili in una didattica che privilegi l'ascolto, il gioco e la creatività, senza togliere spazio alle tradizionali attività dell'educazione musicale.

Il percorso si sviluppa in tre capitoli. Il primo, di carattere sostanzialmente analitico, è incentrato sulle cosiddette “Mentalità Jazz”, da intendere come predisposizione alla fantasia, alla socializzazione e al coinvolgimento emotivo, tipiche della prassi jazzistica e presenti naturalmente nella quotidianità e nelle doti dei ragazzi. Il secondo e il terzo capitolo sono invece dedicati all'ascolto e all'improvvisazione, aspetti privilegiati della musica Jazz, in una ricerca che si dipana tra riflessione metodologica e proposte concrete di attività musicali; proposte che attraversano tutti i generi musicali, oltre ovviamente al Jazz, in particolar modo il Pop e il Rock, più vicini al mondo musicale dei giovani.

In ambito didattico il Jazz può essere un gioco da ragazzi nella misura in cui l'educatore accetti egli stesso di lavorare secondo quei modi di fare, agire e pensare tipici di questa musica, che possono valorizzare il ruolo degli insegnanti e il loro “saper essere” musicale.

LinguaItaliano
Data di uscita2 ago 2017
ISBN9788888003832
Il Jazz: un gioco da ragazzi: Propedeutica e didattica dell'improvvisazione nella scuola di base

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    Anteprima del libro

    Il Jazz - Kristian Sensini

    1.1. Quale Jazz?

    Nell'elaborare un lavoro dedicato al Jazz come pratica musicale educativa, è importante chiarire cosa si intenda con questo termine. Tralasciando le origini di questa parola, che si perdono nelle nebbie dello slang dei musicisti di New Orleans degli inizi del '900, va sottolineato che questa musica è relativamente giovane, e che ha avuto una evoluzione rapidissima: siamo passati dallo stile delle marching band di New Orleans alle prime sperimentazioni del Free Jazz in poco più di quarant'anni. Non solo, si tratta di un genere musicale tuttora in crescita ed in trasformazione, che continua ad alimentarsi grazie all'apertura nei confronti delle altre tradizioni e culture musicali, caratteristica che tra l'altro ne ha determinato la nascita. Se infatti la prima musica afro-Americana deriva dal Ragtime, dal Blues, dalla musica da banda, dalla musica del Sud-America e dell'Africa e dagli Spirituals, l'attuale Jazz si esprime nella contaminazione con il Rock, la Musica Elettronica, la Sinfonica Contemporanea, pur mantenendo un legame con la tradizione. In ambito Jazzistico nessuna nuova tendenza sostituisce le precedenti (quando Ornette Coleman incise il disco Free Jazz, uno dei più grandi pianisti di Ragtime - Eubie Black - era ancora in attività), fattore che complica ulteriormente la nostra ricerca, o meglio la arricchisce di ulteriori sfumature.

    Al giorno d'oggi possiamo utilizzare il termine Jazz per indicare sia la musica del crooner Bublè, che si approccia al genere riproponendo brani standard del repertorio, sia la musica di sperimentatori come John Zorn, che si muove tra influenze Hardcore-Punk, musica tradizionale ebraica e Free Jazz. La casistica è talmente vasta che definendo Jazz le musiche sopra citate andremmo comunque ad infastidire qualche purista del genere. Cosa intendiamo per purista? Dipende da quando si decide di sancire la morte del Jazz. Questo termine viene ripetuto ciclicamente all'apparire di una nuova tendenza o direzione musicale. Gli estimatori della swing-era consideravano il Jazz morto già negli anni '40 con la nascita del Be-bop, genere che aveva allontanato questa musica dalle sale da ballo. D'altronde i fan di Parker e di Gillespie sono inorriditi nell'ascoltare le sperimentazioni di improvvisazione libera di fine anni '50, inizio anni '60. Purista è l'ascoltatore, o musicista, che si definisce tale rifiutando una nuova tendenza del Jazz che, ai propri orecchi, risulta lontana da ciò che egli accetta come tradizione. Non a caso un innovatore come Miles Davis, che ha attraversato le diverse stagioni del Jazz assecondando ed esplorando ogni nuova tendenza, è stato più volte tacciato di tradimento nei confronti della cultura musicale afro-americana.

    È evidente che una musica che non si lascia intrappolare in una precisa etichetta e che, all'interno della cerchia dei suoi estimatori, comporta infinite diatribe alla ricerca di una definizione condivisa, non può che essere considerata una musica in fieri ed in trasformazione. Dovendo comunque delimitare un campo di azione, ritengo utile individuare la nascita di questa musica ed analizzare alcune definizioni che della parola Jazz sono state date. Sulle stesse origini di questa musica il dibattito è ancora in corso, tuttavia penso di non scandalizzare nessuno affermando che il Jazz è un genere musicale ed una prassi esecutiva che si sviluppa negli Stati Uniti d'America agli inizi del '900, è la prima forma d'arte originale degli afro-americani e attinge da elementi della tradizione musicale europea ed africana. Volendo approfondire la definizione, soprattutto ai fini didattici che ci siamo posti, vorrei citare le opinioni di grandi musicisti di Jazz che fanno riferimento più alla prassi esecutiva che all'aspetto estetico di questa musica.

    Qualcosa che ti fa sentire vivo quando lo suoni e quando lo ascolti. Non è riproporre ciò che un altro ha scritto. È cercare una musica tua, esprimere i tuoi sentimenti, offrire te stesso agli altri e a te stesso.

    Eric Dolphy

    È una musica di origine africana e di reminiscenze europee. Ha come principale assunto la libertà assoluta ma controllata. Come deve essere una vera libertà.

    Jimmy Rushing

    Il jazz è l'unica forma d'arte moderna dove v'è rispetto per l'individualità pur senza l'affrancamento dal lavoro di gruppo.

    Dave Brubeck

    Riguarda la libertà, andare oltre sarebbe complicato.

    Thelonious Monk

    La letteratura dedicata alle definizioni del Jazz è molto vasta, così come l'aneddotica a riguardo che raccoglie le citazioni dei musicisti: ho dunque selezionato le suggestioni più vicine al mio modo di pensare questa musica, specialmente in ambito didattico, senza la pretesa che siano degli assoluti universali. Ho preferito le definizioni dei musicisti alle tante stilate da musicologi e studiosi perché spesso quest'ultime tendono ad imprigionare la musica in scomparti troppo angusti, spinti da un rigido accademismo.

    Riassumendo una tendenza generale alla catalogazione scientifica, la tradizione musicologica classica individua la peculiarità di questa musica in tre precisi elementi: l'improvvisazione, il ritmo swing ed il fatto che sia una musica propria degli afroamericani. L'obiezione che possiamo muovere a questa schematica definizione è che molti capolavori jazzistici non presentano parti improvvisate, non sono caratterizzati dallo swing e che fin dalle origini (ed in particolare nell'attuale epoca della globalità dei linguaggi), questa musica non è stata un'esclusiva di nessun popolo in particolare. Va oltretutto osservato che nella sua evoluzione il Jazz ha preso tali e tante strade diverse che risulta obiettivamente difficile darne una definizione univoca ed esauriente ed individuarne le caratteristiche costitutive, a meno che non si prenda in esame un particolare periodo storico o una specifica corrente stilistica.

    È più opportuno dunque per la presente ricerca indagare non tanto su una definizione di Jazz quanto su quelle mentalità che lo sottendono, selezionando in particolar modo quelle che possono essere più utili in un contesto educativo.

    1.2. Cosa sono le Mentalità Jazz ?

    Utilizzo il termine Mentalità Jazz per indicare quei modi di fare, di agire e di pensare tipici di questa musica e che sono trasferibili in altri contesti, che possono non riguardare esplicitamente l'esecuzione musicale. Nei paragrafi successivi evidenzieremo infatti che queste modalità sono presenti anche nella vita di tutti i giorni, nelle pratiche non musicali della quotidianità dei ragazzi e possono essere utilmente presenti nel saper essere musicale degli educatori.

    Pur avendo una mia precisa idea su cosa siano le mentalità Jazz e su come possano essere utilizzate in campo didattico - idea che ha chiaramente dato vita al presente lavoro - ho pensato di confrontare il mio punto di vista con quello di altre persone, alla ricerca di un eventuale denominatore comune nella definizione di tali mentalità. Ho provveduto a contattare ed intervistare un centinaio di persone (musicisti di Jazz, giornalisti e critici musicali, insegnanti di musica presso le scuole medie italiane ed estere, educatori specializzati in pratiche musicali improvvisative) ponendo loro una semplice domanda: Cosa sono secondo te le Mentalità Jazz e quali possono essere utilizzate in un contesto educativo con i ragazzi delle scuole medie?⁷ Delle tante risposte ricevute, ho selezionato quelle più esplicative e vicine al mio personale modo di intendere queste mentalità.⁸

    Tale inchiesta, pur essendo nata con fini statistici, si è dimostrata più interessante del previsto in quanto, oltre a confermare le mie ipotesi sulle mentalità jazz, delinea il quadro di come al giorno d'oggi viene interpretato il Jazz tra gli specialisti. Se come aveva già notato S. Agostino nel De Magistro «insegnando si impara», possiamo dire per analogia che interrogarsi sull' educazione legata al Jazz ci porti a delineare maggiormente cosa sia il Jazz oggi e a svelare i preconcetti (positivi e negativi) che sottendono questa musica.

    Il musicista e l'ascoltatore medio non esperti di Jazz hanno una visione spesso idilliaca di questa musica, pensando si tratti di una forma d'arte complicata da ascoltare che però concede spazio all'espressione, alla libertà, allo star bene in musica e con la musica. Eppure alcuni musicisti interrogati sul valore didattico del jazz e della musica improvvisata mi hanno risposto: «[il Jazz] è un argomento difficilissimo per i bambini, è difficile anche per i grandi, si tratta infatti di una musica d'élite». Tale risposta, data da un musicista che si occupa di Jazz, tradisce un atteggiamento chiaramente elitario, come musica destinata a pochi iniziati e soprattutto ne distorce le origini di musica popolare. Molti degli standard Jazz che si suonano oggi sono canzoni che negli anni '40 si potevano ascoltare comunemente alla radio: è come se ai nostri giorni volessimo improvvisare su un brano di Lady Gaga o di Rihanna. Questa posizione in realtà non mi ha sorpreso più di tanto, in quanto a partire dagli anni '80, con la diffusione di un certo tipo di insegnamento del Jazz e dell'improvvisazione, questa musica è stata codificata in parametri rigidi, che hanno provveduto a trasformarla in un repertorio da eseguire con precisione filologica (anche per quanto riguarda le parti solistiche) più che ad alimentare gli aspetti legati alla libertà ed alla creatività tipici di questo genere musicale. Più sorprendente è stata la risposta di un musicista Jazz che è anche insegnante di Educazione Musicale nelle scuole medie: «Non svolgo praticamente mai un lavoro sull'improvvisazione con i ragazzi, li faccio lavorare sulla lettura ed esecuzione dei brani e sulla storia della musica». Questo tipo di didattica sembra essere il più diffuso nella scuola e, a mio parere, anche il meno coinvolgente per i ragazzi e per gli insegnanti.

    Un ulteriore musicista si è dimostrato scettico riguardo alla mia proposta didattica in quanto «[il Jazz] è una forma di musica non primordiale e non prescinde da una adeguata preparazione strumentale. Il Jazz viene dopo così come le sue varie mentalità». Anche questa visione risente di una concezione della musica di origine afro-americana intesa come repertorio e di una prassi esecutiva legata a precisi stereotipi: a conferma di questo, il fatto che lo stesso musicista ha poi aggiunto che «insegnare ai bambini a giocare con la musica è la via migliore per interessarli».

    Il gioco è appunto una delle mentalità Jazz che ci interessa applicare, inteso come pratica naturale, divertente, stimolante e, checché se ne dica, primordiale. Ho citato queste tre opinioni all'inizio del paragrafo perché tra le tante ricevute sono state le uniche di parere contrario, o quantomeno scettico, nei confronti di una educazione musicale che proponga attività legate al Jazz. A conferma di questa prima mentalità è il contributo del pianista Dado Moroni: «per come vedo io la musica, il primo motore per far girare l'ingranaggio è senza dubbio il divertimento. Quando tengo dei seminari cerco sempre di inculcare una cosa fondamentale prima di parlare di mainstream, bebop, ecc., cerco di incoraggiare i ragazzi a giocare con i suoni e col ritmo, proprio come il vecchio McCoy Tyner diceva in un'intervista in cui affermava di sedersi ogni volta al piano come fosse un bimbo e riscoprire la tastiera da zero, cercando di sorprendere se stesso e i suoi compagni. Alla fine i più curiosi vanno avanti e ti chiedono cose sempre più approfondite e gli altri se non altro continuano a giocare con i suoni divertendosi. In effetti col Jazz questo è più fattibile perché anche da un errore può nascere qualcosa di toccante»

    Un musicista, che pur non insegnando nella scuola pubblica, propone seminari di Jazz ai ragazzi delle medie, ha risposto: «ho notato che il periodo delle medie è quello giusto per trasmettere la libertà, lo svincolo dagli schemi, in quanto coincide con l'inizio dell'adolescenza». Da questa affermazione possiamo trarre un'altra condivisibile mentalità, la libertà che la musica può stimolare e che la pratica improvvisativa può imparare a far gestire. L'età adolescenziale è un'età di transizione nella quale i ragazzi si trovano, per così dire, a metà strada tra l'infanzia e l'età adulta, tra uno stato di dipendenza e la lotta per affrancarsene: un'educazione alla musica che corrisponda ai canoni di libertà guidata può essere un utile aiuto per elaborare, anche a livello emotivo, questi delicati processi di crescita.

    Il flautista Massimo de Mattia riassume le due precedenti mentalità nel suo contributo: «credo che le mentalità jazz principali siano una certa informalità, la libertà, e l'ampia discrezionalità che rende questa disciplina meno disciplinata, più aperta all'estro e al carattere individuale, alla personalità. Forse sarebbe proficuo insistere su questi aspetti, utili a rendere la musica più accattivante agli occhi di un pubblico più giovane e proprio per questo più disponibile al gioco. Ecco, probabilmente l'aspetto ludico del comporre istantaneamente potrebbe essere la leva migliore». Sempre a proposito di regole e libertà, trovo particolarmente interessante l'intervento della pianista e compositrice Alessandra Celletti, che mi ha offerto un interessante punto di vista non essendo una pianista di tradizione Jazz:«io sono una musicista di formazione classica, ma la chiusura che spesso si respira negli ambienti accademici mi è sempre stata un po' stretta… così mi sono aperta e ho trovato un mio modo di intendere la musica molto più libero… Penso che ciò che si può riprendere dal Jazz è

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