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Lezioni private - Il pianoforte: Guida all'ascolto del repertorio da concerto
Lezioni private - Il pianoforte: Guida all'ascolto del repertorio da concerto
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E-book523 pagine5 ore

Lezioni private - Il pianoforte: Guida all'ascolto del repertorio da concerto

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Info su questo ebook

Roberto Prosseda (Latina, 1975) pianista, musicologo, dopo essersi affermato in prestigiosi concorsi di esecuzione, ha raggiunto una notorietà internazionale in seguito alla registrazione di opere inedite di Mendelssohn, da egli stesso riscoperte. Oggi è considerato un protagonista della scena concertistica italiana.

In questo volume racconta con competenza e spirito divulgativo le personalità dei grandi compositori, offrendo al lettore una guida all’ascolto delle loro opere pianistiche più importanti ed eseguite nelle sale da concerto. I grandi capolavori che, nel corso dei secoli, hanno reso immortale la storia della musica e del pianoforte.  Un racconto appassionante, ricco di notizie, aneddoti, curiosità, per scoprire tutti i segreti degli 88 tasti.

Nella playlist online una selezione imperdibile delle pagine più belle per pianoforte, interpretate da solisti entrati nella leggenda.
LinguaItaliano
Data di uscita24 ago 2022
ISBN9788863953596
Lezioni private - Il pianoforte: Guida all'ascolto del repertorio da concerto

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    Anteprima del libro

    Lezioni private - Il pianoforte - Roberto Prosseda

    ISAAC ALBÉNIZ

    (Camprodon, 1860 – Cambo-les-Bains, 1909)

    Albéniz ha saputo tradurre in musica l’identità della cultura iberica, evocando al pianoforte una grande varietà di colori e suggestioni. Sin da piccolo Albéniz ebbe occasione di viaggiare frequentemente all’estero, tenendo concerti pianistici come enfant prodige a New York, Cuba, Londra, Parigi. Studiò anche a Lipsia e Bruxelles: ebbe una formazione molto articolata e cosmopolita, e ciò si riflette nella ricchezza e complessità del suo linguaggio.

    La sua produzione pianistica è molto vasta. I lavori giovanili già mostrano l’attitudine ad attingere a elementi musicali e paesaggistici della Spagna per farli rivivere in cartoline musicali dal sapore nostalgico ed evocativo. È questo il caso delle due Suites Españolas, in cui anche i titoli dei singoli movimenti rimandano a espliciti riferimenti geografici, come Granada, Sevilla, Cataluña, Asturias, Castilla. La prima Suite è stata composta tra il 1886 e il 1889, ma è apparsa nella sua versione definitiva solo nel 1912, dopo la morte dell’autore. La scrittura pianistica è qui ancora legata alla tradizione romantica e rimanda agli ambienti salottieri in cui il giovane compositore era solito esibirsi.

    La produzione pianistica di Isaac Albéniz (1860-1909) è molto vasta. I suoi lavori più importanti sono le due Suites Españolas e Iberia, un ciclo di 12 brani caratterizzato da un grande virtuosismo e da una ricchissima invenzione timbrica

    Nel 1890 Albéniz lasciò la Spagna per trasferirsi a Londra e poi a Parigi. La frequentazione di Fauré e Chausson e la conoscenza della musica di Debussy e Ravel lo aiutarono ad arricchire la propria poetica di ulteriori colori e nuances. Ciò risulta evidente in Iberia (1905-1908), un vasto ciclo pianistico composto da 12 brani, suddivisi in quattro libri. La scrittura è di grande virtuosismo e complessità, ricchissima di invenzioni timbriche. In Evocación, il primo brano, la distanza tra l’autore e la sua Spagna è non solo geografica, ma anche temporale: egli rimanda a suggestioni antiche, irreali, vivibili solo in uno sfumato, nostalgico ricordo. Evocación non si riferisce a una specifica regione spagnola, ma, utilizzando ritmi di danza appartenenti a diverse aree iberiche (Fandango, Malagueña, Jota), sembra voler abbracciare l’identità dell’intera patria. El Puerto rievoca l’atmosfera movimentata e pulsante del porto di Santa Maria, vicino Cadice, con ritmi di Zapateado (danza tradizionale in 6/8) e tinte vivaci. El Corpus en Sevilla è ispirato alla colorita festa del Corpus Domini, di cui raffigura la tradizionale processione, accompagnata da lontani rintocchi di campane e chitarre. Rondeña è un canto tipico della città di Ronda, qui liberamente reinterpretato da Albéniz; in Almería affiorano tracce di Siguiriyas, un particolare tipo di ritmo flamenco; il secondo libro si chiude con Triana, che rimanda all’omonimo quartiere gitano di Siviglia, animato dai suoni di chitarre, nacchere e battiti di mani, con danze Sevillanas e marce di toreri. El Albaicín è invece l’antico quartiere arabo di Granada, e anche qui percepiamo la presenza di chitarre, il cui timbro è emulato con la peculiare gestualità delle mani alternate. Il clima malinconico e fatalistico è dato dalle armonie cromatiche e dalla presenza costante di un motivo ritmico ostinato. El Polo è un canto flamenco che qui dà vita a una pulsazione ritmica ancora incessante e ossessiva. Lavapiés, caratteristico quartiere povero di Madrid, presenta continue dissonanze che rendono la debordante confusione delle sue strade con un ritmo di Habanera. Il quarto e ultimo libro comprende Málaga, Jerez ed Eritaña. Il primo brano è basato sulla danza tipica di Malaga, la Malagueña; Jerez evoca le atmosfere dell’omonima città dell’Andalusia con insoliti cambiamenti di ritmo che accentuano la precaria malinconia del canto. Il ciclo si chiude con le pungenti dissonanze di Eritaña, ambientato a Siviglia, nella festosa locanda flamenco Venta Eritaña. Nonostante gli accurati riferimenti al patrimonio folcloristico iberico, in Iberia la Spagna è presente soprattutto nel ricordo, nel sogno, nell’intima idealizzazione di un mondo ormai lontano dal reale. Forse per questo la musica di Albéniz è diventata un simbolo d’identità nazionale: qui gli spagnoli possono riscoprire un mondo di suggestioni antiche e idealizzate che appartiene alla loro storia e che non sarebbe altrimenti rievocabile.

    CHARLES VALENTIN ALKAN

    (Parigi, 1813 – 1888)

    Alkan rappresenta un caso unico e sconcertante nella storia della musica pianistica. Considerato da Liszt come il più grande pianista, dopo di lui, e da Busoni come uno dei cinque più importanti compositori per pianoforte dopo Beethoven, Charles Valentin Alkan fece di tutto per farsi dimenticare, quasi a voler cancellare le tracce della sua esistenza. E con buoni risultati. Tanto che, secondo fonti non documentate, in occasione della sua morte un giornale parigino avrebbe scritto: «Alkan è morto. È dovuto morire per dar prova della sua esistenza». L’eccezionalità della musica di Alkan sta nella estrema, utopistica complessità musicale e tecnica, tale da scoraggiare quasi tutti i pianisti. Ma anche la concezione estetica è decisamente originale e visionaria, non senza punte di involontaria comicità, come nelle colorite indicazioni che egli scrive in partitura in un fantasioso italiano: "abbajante, da capo al fine, senza fine, scampanatino".

    Liszt considerava il francese Charles Valentin Alkan (1813-1888) il più grande pianista della storia, dopo di lui naturalmente. L’eccezionalità della sua musica sta nella estrema complessità musicale, tale da scoraggiare quasi tutti i pianisti dal suonarla

    I principali lavori di Alkan sono i 12 Studi in tutte le tonalità maggiori op. 35 e i 12 Studi in tutte le tonalità minori op. 39. Questi ultimi comprendono una Sinfonia per pianoforte solo in quattro movimenti (Studi n. 4, 5, 6, 7) e il Concerto per pianoforte solo (n. 8, 9, 10), della durata di circa un’ora. Altrettanto monumentale è la Grande Sonate Les quatre âges, i cui quattro movimenti rappresentano quattro diverse età dell’uomo: a 20, 30, 40 e 50 anni. Alkan era inizialmente attivo come pianista concertista, ma nel 1848 si ritirò dalla scena pubblica, conducendo una vita sempre più ritirata e concentrandosi sullo studio della Bibbia e del Talmud.

    Nell’ultima parte della sua vita Alkan si dedicò anche al piano-pédalier, particolare strumento che consiste in un pianoforte a cui è aggiunta una pedaliera simile a quella dell’organo, capace però di una gamma dinamica e timbrica analoga a quella di un secondo pianoforte. Alkan era il più grande virtuoso di piano-pédalier, e il suo strumento, un Erard del 1853 che è stato recentemente restaurato, è tuttora esposto alla Cité de la Musique di Parigi. La produzione di Alkan per piano-pédalier comprende più di due ore di musica, tra cui anche 12 Studi per sola pedaliera (concepiti indifferentemente per organo o piano-pédalier) di estrema difficoltà: con i soli piedi vanno eseguiti doppi trilli, doppie terze e una Fuga a quattro voci.

    JOHANN SEBASTIAN BACH

    (Eisenach, 1685 – Lipsia, 1750)

    Se si volesse individuare un compositore che più di tutti abbia condizionato la storia della musica occidentale, questo non potrebbe essere che Johann Sebastian Bach. La sua opera porta a livelli di purissima astrazione un inarrivabile artigianato contrappuntistico, unito a un’altissima ispirazione poetica. Goethe definì la musica di Bach «un dialogo di Dio con se stesso, poco prima della creazione». Quasi tutti i grandi compositori successivi a Bach furono profondamente condizionati dalla sua opera e dalla pregnanza poetica che egli riuscì a dare alla scrittura polifonica. Ciò che colpisce della produzione bachiana è anche la vastità e la varietà di stili e forme: un eclettismo paragonabile forse solo a quello di Mozart. È pur vero che Bach non ha mai composto opere liriche, ma ha coltivato tutti gli altri generi, anche vocali, lasciando in ogni ambito capolavori inestimabili. Dopo gli anni di studio a Lüneburg, Bach, poco meno che ventenne, iniziò a cercar impiego come organista o maestro di cappella (Kapellmeister). Ricoprì il ruolo di organista ad Arnstadt (1703-06) e in quel periodo fu invitato a prendere il posto del grande organista e compositore Dietrich Buxtehude a Lubecca. Rifiutò, non volendo accettare la conditio sine qua non imposta dal vecchio Buxtehude a chi dovesse prendere il suo posto: sposare la figlia, che pare non fosse particolarmente attraente. Sembra che anche Händel avesse declinato il prestigioso incarico per la stessa ragione. A differenza di quest’ultimo, Bach viaggiò poco, condusse una vita stanziale, lavorando come organista e Kapellmeister dapprima a Weimar (1708-17), poi a Köthen (1717-23) e infine a Lipsia, dal 1723, per il resto della sua vita.

    In una guida all’ascolto della musica pianistica, a stretto rigor di logica, Bach non dovrebbe trovar posto, non avendo mai composto nulla per pianoforte. Egli era un provetto organista, suonava anche il clavicembalo e il clavicordo, ma non ci è dato sapere con certezza se abbia mai conosciuto il pianoforte, strumento che proprio nella prima metà del Settecento iniziava a diffondersi. Nella sua musica tastieristica Bach a volte specifica lo strumento di destinazione limitandosi alla parola Clavier, che designa genericamente gli strumenti a tastiera. È noto che egli aveva una speciale predilezione per il clavicordo, che consentiva non solo di variare la dinamica, ma anche di realizzare una sorta di vibrato sulle note lunghe, detto Bebung, grazie a uno speciale sistema di lamine di ottone (tangenti) che mettevano le corde in vibrazione. Per il suo limitato volume sonoro, tuttavia, il clavicordo non ha avuto successivamente una grande diffusione, risultando inadeguato alle sale da concerto. Oggi una gran parte della musica tastieristica di Bach è frequentemente suonata al pianoforte – con buona pace dei filologi più puristi – e proprio grazie al pianoforte può essere portata in sale molto grandi senza i problemi di udibilità legati allo scarso volume del clavicembalo o del clavicordo. Non vi è qui lo spazio per trattare nel dettaglio tutta la produzione tastieristica bachiana, per cui si parlerà dei soli brani che sono entrati stabilmente nel repertorio pianistico odierno.

    Johann Sebastian Bach (1685-1750) non ha mai composto nulla per pianoforte. Tuttavia la sua musica tastieristica, per clavicembalo e clavicordo, oggi è frequentemente suonata al pianoforte, con buona pace dei filologi più puristi

    Quaderno di Anna Magdalena Bach, Invenzioni e Sinfonie

    Molta della musica tastieristica di Bach è scritta con un intento didattico. È questo il caso del Quaderno di Anna Magdalena Bach, in cui Bach raccoglie più di 50 brani, anche di altri autori, per introdurre allo studio del clavicembalo e dell’organo Anna Madgalena, sua seconda moglie. La versione originale del Quaderno si divide in due fascicoli: il primo (1722) comprendente anche le Suites francesi n. 4 e 5, nonché brani per organo e per voce; il secondo (1725) focalizzato su brani per clavicembalo, tra cui le intere Partite n. 3 e 6. Le moderne edizioni del Quaderno di Anna Magdalena di solito riportano solo i brani per tastiera, con l’esclusione delle Suites e Partite, già pubblicate indipendentemente. Molti dei brani didattici di Bach hanno l’obiettivo di fare sviluppare una maggiore sensibilità per la conduzione delle voci e per l’intonazione degli intervalli. A questo fine rimandano chiaramente le 15 Invenzioni (a due voci) e le 15 Sinfonie (1720-23), queste ultime note anche con il titolo, non di Bach, di Invenzioni a tre voci. La scrittura è quindi generalmente lirica e ricca di diversi spunti espressivi che danno a ogni Invenzione un carattere diverso e ben delineato. Il picco artistico e creativo è raggiunto nella Sinfonia n. 9 in fa minore, in cui l’intensità espressiva e la complessità dell’armonia, ricca di cromatismi, ricordano i punti più toccanti della Passione secondo Matteo.

    Il frontespizio del Quaderno di Anna Magdalena, un’antologia di oltre 50 brani divisi in due fascicoli, che Bach dedicò alla seconda moglie per introdurla allo studio del clavicembalo e dell’organo. Molta musica di Bach è stata scritta con intento didattico

    Suites e Partite

    Bach ha composto tre grandi cicli di Suites per clavicembalo, formate da una serie di danze: 6 Suites inglesi (1718-20), 6 Suites francesi (1722-25) e 6 Partite (1726-30, dette anche Suites tedesche). Tutte hanno in comune la presenza costante e ordinata di quattro danze: Allemanda, Corrente, Sarabanda, Giga, ma contemplano anche altre danze, le cosiddette Galanterien, di solito posizionate tra la Sarabanda e la Giga. Le Suites inglesi e le Partite hanno in più un movimento introduttivo, che spesso rimanda alla scrittura orchestrale del Concerto Grosso barocco. Il contrasto dinamico tra le parti suonate dall’intera orchestra (tutti) e quelle affidate al solista (soli) è ricreato al clavicembalo grazie all’uso delle due tastiere (dette manuali), ciascuna con una diversa connotazione timbrica e dinamica.

    Bach ha composto per clavicembalo tre grandi cicli di composizioni, formate da una serie di danze: 6 Suites inglesi, 6 Suites francesi e 6 Partite, dette anche Suites tedesche. Quasi tutti i movimenti di ciascuna Suite sono accumunati dagli stessi incisi tematici o armonici

    L’Allemanda è una danza dall’andamento calmo, in quattro quarti, in cui Bach raggiunge una notevole complessità armonica e polifonica. L’Allemanda della Partita n. 4, in particolare, nei suoi momenti più contemplativi e sospesi tocca i massimi vertici poetici dell’intera produzione tastieristica bachiana. La Corrente (o Courante), in tre quarti o sei quarti, è invece più rapida e brillante. Spesso riprende alcuni motivi tematici dell’Allemanda, trasferendoli in un tono più giocoso e virtuosistico. La Sarabanda è il nucleo poetico di ciascuna Suite. Danza lenta in tre tempi basata sul metro breve-lunga, è per Bach occasione di poetiche divagazioni. Il metro originario è spesso abbandonato dopo le prime battute, lasciando il posto a una scrittura più libera e in grado di sollevarsi da terra, come avviene mirabilmente nella Sarabanda della Suite inglese n. 3 e in quella della Partita n. 4. La Giga è una danza rapida in tempo composto (6/8, 9/8, 12/8), con una scrittura spesso in canone o fugata.

    Nelle Suites e nelle Partite la polifonia è sempre di pregevole fattura, e spesso proprio dai meccanismi contrappuntistici sgorgano le idee melodiche. Tutte le danze sono rivisitate con grande creatività e quasi mai mantengono integralmente le loro caratteristiche d’origine. In altre parole, Bach prende spunto da elementi appartenenti alla tradizione per dar vita a una musica ricca di slancio, poesia, umorismo, ironia, senza rinunciare a una magistrale costruzione formale e a una smagliante strumentazione. Quasi tutti i movimenti di ciascuna Suite o Partita sono accomunati dagli stessi incisi tematici o da successioni armoniche, e ciò dona una forte coesione, rendendo l’ascolto vario, eppure ricco di stimolanti rimandi e simmetrie.

    Fantasie e Toccate

    Il termine Fantasia compare come titolo per la prima volta nel XVI secolo proprio in brani per tastiera: dunque è da subito associato alla musica strumentale, più che a quella vocale. Certamente la prassi dell’improvvisazione tastieristica ha influenzato la stesura delle prime Fantasie, anche se quasi sempre alla libertà formale è associata una particolare attenzione per la trama contrappuntistica. Ciò è particolarmente evidente nelle svariate Fantasie e Toccate che Bach ha composto per tastiera, alcune delle quali abbinate a una Fuga, come la Fantasia cromatica e Fuga per cembalo e la celeberrima Toccata e Fuga in re minore per organo. Di quest’ultima esistono varie trascrizioni per pianoforte, tra cui quelle di Karl Tausig e Ferruccio Busoni. Nelle Toccate l’approccio improvvisatorio è maggiormente focalizzato verso l’aspetto motorio e ritmico, pur senza mai perdere la trasparenza polifonica tipica di Bach.

    Concerto italiano

    Nel Concerto italiano (1735) Bach trasferisce nella scrittura clavicembalistica i contrasti dinamici e drammaturgici caratteristici del Concerto barocco di stile italiano. Il cembalo impersona di volta in volta l’intera orchestra o il gruppo solistico, e questo gioco di luci e alternanze è perfettamente possibile anche sul pianoforte, seppure con effetti e modalità diverse. Il Concerto italiano è composto da tre movimenti: il primo e il terzo, in Fa maggiore, sono ricchi di vivacità ritmica e giochi dinamici; il vero capolavoro è però il secondo, Andante in Re minore, con una vena lirica di grande libertà e ariosità.

    Concerti per clavicembalo

    Bach è stato tra i primi compositori a scrivere concerti per clavicembalo e orchestra, dedicandosi a questo genere soprattutto negli anni vissuti a Lipsia, a partire dal 1729. Ci sono pervenuti sette Concerti per un clavicembalo, tre Concerti per due clavicembali, due per tre clavicembali e uno per quattro clavicembali, tutti con orchestra d’archi. L’occasione di suonare con più clavicembali era probabilmente legata alla presenza di due figli di Bach, Carl Philipp Emanuel Bach e Wilhelm Friedemann Bach, che erano provetti cembalisti. Tutti i Concerti derivano da altre musiche bachiane, ma ciò nulla toglie al loro intrinseco valore artistico, poiché Bach non si è limitato a una semplice trascrizione, bensì ha tradotto il materiale precedente in modo che risultasse perfettamente adeguato al linguaggio tastieristico. Tutti i Concerti condividono una struttura in tre movimenti e un rapporto solista-orchestra derivato dai Concerti vivaldiani, con il clavicembalo spesso integrato nei tutti orchestrali. Il Concerto n. 1 BWV 1052 in re minore è senza dubbio il maggior capolavoro, e tuttora il più frequentemente eseguito anche al pianoforte, in virtù della scrittura tastieristica squisitamente idiomatica e virtuosistica. Derivato dalle Cantate BWV 146 e BWV 188, è questo il Concerto più ricco di contrasti timbrici ed emozionali, alternando accensioni di forte energia motoria e materica (specie nel terzo movimento) a momenti inquietamente cupi. Tra gli altri Concerti, spiccano il n. 3 BWV 1054 in re maggiore, filiazione del più celebre Concerto per violino in mi maggiore e con un incantato e sospeso movimento centrale, e il meraviglioso Concerto per due clavicembali BWV 1060 in do minore, di cui esiste una più eseguita versione per oboe e violino.

    La sterminata produzione bachiana comprende 7 Concerti per clavicembalo, 3 Concerti per due clavicembali, due per tre clavicembali e uno per quattro clavicembali, tutti con orchestra d’archi

    I Concerti per tre e per quattro clavicembali sono più difficilmente apprezzabili se suonati al pianoforte, in quanto si perde la trasparenza che anima la filigrana musicale originale. Tuttavia sono di grande interesse, anche per la modernissima concezione spaziale del suono: Bach fa transitare lo stesso tema da una tastiera all’altra, creando un particolare e suggestivo effetto di movimento del suono nello spazio, concetto che è stato ripreso in modo più sistematico da vari autori del Novecento.

    Variazioni Goldberg

    Le Variazioni Goldberg sono uno dei massimi capolavori dell’intero repertorio tastieristico. Furono pubblicate nel 1741 con il titolo originale di Aria variata con diverse Variazioni per clavicembalo a due manuali. Composta per intenditori, per rinfrescare il loro spirito, da J. S. Bach. Sono note come Variazioni Goldberg perché commissionate a Bach dal conte Kaiserling, ex ambasciatore russo in Sassonia, affinché fossero eseguite per alleviare le sue ore di insonnia dal giovane clavicembalista al suo servizio, Johann Gottlieb Goldberg. In realtà, non sappiamo se il buon Goldberg le abbia realmente mai suonate, essendo egli appena quattordicenne all’epoca della pubblicazione.

    Il Tema delle Goldberg è un’Aria in sol maggiore, dall’andamento di Sarabanda, ricca di ornamentazioni. Le 30 Variazioni che seguono si basano sulla struttura armonica dell’Aria più che sulla sua melodia e rappresentano un saggio della sapienza di Bach nella scrittura contrappuntistica e nella caratterizzazione stilistica. La struttura delle Variazioni risponde a una precisa simmetria: la Variazione n. 3 è un Canone all’unisono, la n. 6 è un Canone alla seconda, la n. 9 un Canone alla terza, fino alla n. 27, Canone alla nona. Nell’ultima Variazione, la n. 30, ci aspetteremmo un Canone alla decima, mentre Bach inserisce un Quodlibet, ossia un disimpegnato brano contrappuntistico che sovrappone vari temi di canzoni popolari in un complesso intreccio polifonico. Anche le Variazioni non canoniche sono ordinate secondo un criterio preciso, alternando brani stilisticamente caratterizzati (vari tipi di danze, un’Ouverture nello stile francese, Fughette) ad altri più virtuosistici di libera invenzione, con frequenti incroci di mani. Ma ciò che più colpisce delle Goldberg è il senso di purificazione ed elevazione che si percepisce attraverso la trasparenza della polifonia. Il ritorno finale dell’Aria nella sua incantata semplicità suona commovente e sereno. Le stesse identiche note del tema iniziale, riascoltate dopo le trenta Variazioni, risultano ora molto più intense, sospese, metafisiche.

    Clavicembalo ben temperato

    I 48 Preludi e Fughe che costituiscono i due volumi del Clavicembalo ben temperato (1722-1744) rappresentano una vera e propria summa della sapienza contrappuntistica di Bach, e al contempo guardano molto al futuro, sin dal titolo. All’inizio del Settecento era molto acceso il dibattito sulle varie possibili accordature degli strumenti a tastiera. Quelle antiche non consentivano agli strumenti di suonare liberamente in tutte le tonalità, poiché alcune di esse producevano un suono cacofonico. Ciò costituiva un grave freno alla libertà creativa dei compositori e in particolare all’evoluzione dell’armonia. Si stava diffondendo, quindi, un nuovo tipo di accordatura, che appunto temperava le differenze risultanti fra le tonalità, in modo da rendere possibile il passaggio da una all’altra nell’ambito dello stesso pezzo senza problemi di intonazione. Bach era un fervente sostenitore di questo principio, allora avversato dai più anche con argomenti di ordine teologico o moralistico. Il suo monumentale Clavicembalo ben temperato vuole essere un’autorevole dimostrazione di come sia possibile scrivere e suonare Preludi e Fughe in tutte le tonalità maggiori e minori. Ognuno dei due volumi del Clavicembalo ben temperato presenta 24 Preludi e Fughe in rigoroso ordine ascendente di tonalità: Do maggiore – Do minore, Do diesis maggiore – Do diesis minore, Re maggiore – Re minore, ecc. Il Clavicembalo ben temperato è stato pubblicato per la prima volta nel 1801 e da allora è diventato una sorta di Bibbia per i compositori, specie quelli di area germanica, a partire da Schumann e Mendelssohn.

    I due volumi del Clavicembalo ben temperato di Bach raccolgono 48 Preludi e Fughe scritti in tutte le tonalità maggiori e minori. Composti tra il 1722 e il 1744, i due volumi vennero pubblicati per la prima volta soltanto nel 1801

    Oltre all’intento speculativo, il Clavicembalo ben temperato presenta anche un fine didattico, come chiaramente spiega Bach nel frontespizio del manoscritto del primo volume: «Per utilità ed uso della gioventù musicale desiderosa di apprendere, e anche a ricreazione di coloro che siano già provetti in questo studio». In realtà il Clavicembalo ben temperato è molto di più di un puro strumento didattico: come sempre accade in Bach, la grande complessità del contrappunto non limita, ma, anzi, stimola la ricchezza emotiva della sua musica. Così abbiamo Preludi che evocano i più svariati approcci espressivi, dalle danze stilizzate, come nelle Suites, alle formule toccatistiche di matrice improvvisatoria, sino allo stile del Concerto barocco (n. 17 del primo volume e n. 7, 13, 17, 24 del secondo). Il carattere dei Preludi è generalmente più libero e fantasioso rispetto alle rispettive Fughe, e ciascun abbinamento Preludio-Fuga determina un poetico contrasto tra libertà e rigore, fantasia e logica. Anche le Fughe presentano una notevole varietà di toni e stili, spaziando dall’agile e lineare scrittura a due voci della n. 10 del primo volume agli inestricabili intrecci dei contrappunti a cinque voci (n. 4 e n. 22 del primo volume).

    Il secondo volume, ultimato nel 1744, circa venti anni dopo il primo, presenta una maggiore complessità nella struttura dei Preludi, qui spesso articolati in forma bipartita o in movimenti di danza. Le Fughe toccano vette di astrazione metafisica ancora superiore, generando musica al di sopra del tempo, di sconvolgente modernità.

    Arte della Fuga

    Un ulteriore, conclusivo passo che Bach compie verso quello che potremmo definire contrappunto metafisico è rappresentato dall’Arte della Fuga BWV 1080. È un lavoro squisitamente teoretico, lasciato incompiuto. Ci sono pervenute 14 Fughe e 4 Canoni, e negli autografi ciascuna voce è notata su un pentagramma separato, a voler esplicitare l’intento speculativo. Non è specificata, infatti, alcuna destinazione strumentale: non sappiamo quindi se Bach abbia concepito l’Arte della Fuga come musica da leggere solamente, o come una partitura da suonare. Le 14 Fughe sono tutte basate sullo stesso soggetto, di cui vengono di volta in volta indagate e sviscerate tutte le possibili potenzialità di sviluppo polifonico attraverso i procedimenti di inversione e retrogradazione (cioè con il soggetto capovolto o all’indietro). Le prime Fughe presentano un solo soggetto, mentre le Fughe dalla n. 8 in poi sono tutte a due o tre soggetti, usando come secondo e terzo soggetto versioni modificate del soggetto principale, con l’aumentazione o diminuzione dei valori ritmici o intervallari. La Fuga n. 14, incompiuta, presenta come terzo soggetto il tema del nome di Bach (Si , La, Do, Si), come se l’autore volesse autocitarsi proprio nella parte più complessa e utopistica della sua opera. Alcuni studiosi, tra cui il fisico Douglas Hofstadter nel suo saggio Gödel, Escher e Bach, ipotizzano che Bach abbia lasciato la Fuga volutamente incompiuta, non, quindi, per l’incapacità di completarla. Secondo la testimonianza del figlio Carl Philipp Emanuel, Bach invece sarebbe morto proprio nel momento in cui scriveva il terzo soggetto, basato sul suo stesso nome. Tra le altre numerose teorie, segnaliamo quella, suggestiva ma non dimostrabile, che vede nell’Arte della Fuga la presenza nascosta di un enigma logico di origine pitagorica, che a Bach sarebbe stato tramandato dall’amico filosofo Johann Matthias Gesner. Vero o non vero che sia, rimane il fatto che le numerose discussioni fiorite sull’Arte della Fuga sono una riprova del valore universale di questo prezioso patrimonio della cultura occidentale.

    L’Arte della Fuga è un lavoro teorico, lasciato incompiuto. Le 14 Fughe e i 4 Canoni che ne costituiscono il corpus non hanno, infatti, una destinazione strumentale specifica. Nell’immagine il manoscritto dell’ultima fuga

    MILY BALAKIRIEV

    (Nizhny-Novgorod, 1837 – San Pietroburgo, 1910)

    Balakiriev esercitò una grande influenza nell’evoluzione della musica romantica russa, assumendo inizialmente il ruolo di leader del cosiddetto gruppo dei cinque, comprendente anche Alexander Borodin, César Cui, Modest Musorgskij e Nikolai Rimsky-Korsakov. Rispettato e virtuoso pianista, Balakiriev si dedicò principalmente alle composizioni sinfoniche e all’opera. Lasciò, tuttavia, una cospicua produzione pianistica, oggi quasi del tutto ignorata. Questa comprende numerose Mazurke, esplicitamente influenzate dai modelli chopiniani, due Sonate e due Concerti per pianoforte e orchestra, di cui il secondo incompiuto. L’unico brano pianistico per cui Balakiriev è entrato di diritto nella storia del pianoforte è Islamey, Oriental Fantasy op. 18 (1869). Si tratta di un originale e riuscito tentativo di integrare elementi della tradizione musicale folcloristica delle popolazioni del Caucaso e della Crimea in un linguaggio pianistico di matrice squisitamente romantica. L’alchimia che ne deriva è intrigante, anche per la scrittura di grande efficacia e di sicuro effetto sul pubblico. Ciò spiega l’immediata popolarità di Islamey, ben presto divenuto banco di prova dei più grandi virtuosi e termine di paragone per i compositori che volessero scrivere brani pianistici di estrema difficoltà.

    Mily Balakiriev (1837-1910) esercitò una grande influenza sulla musica romantica russa diventando leader del cosiddetto gruppo dei cinque. Brillante pianista, è ricordato oggi soprattutto per il trascendentale Islamey, banco di prova ancor oggi di tutti i virtuosi

    SAMUEL BARBER

    (West Chester, 1910 – New York, 1981)

    Samuel Barber è uno dei più importanti compositori americani del Novecento. L’appartenenza a una cultura nuova, ossia distante e svincolata dalla tradizione musicale europea, consente a Barber di muoversi agevolmente tra stili e linguaggi diversi, mantenendo però quella coesione formale e quella sincerità espressiva che costituiscono i maggiori pregi della sua musica. Per l’uso frequente dell’armonia tonale e dei principi del fraseggio romantico Barber è spesso definito neoromantico: un’etichetta che in tal caso non va intesa in termini limitanti, vista la sua sincera aderenza ai contenuti emotivi espressi dalla sua musica, mai assimilabile a puro epigonismo. Barber è entrato stabilmente nel repertorio pianistico con la sua Sonata (1949), eseguita in prima assoluta dal leggendario pianista Vladimir Horowitz. Nei suoi quattro movimenti essa mostra di volta in volta influenze del neoclassicismo immaginifico di Prokofiev (primo movimento), una fluidità di mendelssohniana ascendenza (secondo movimento), sino ai più rigorosi disegni dodecafonici (terzo movimento) e al ferreo contrappunto della Fuga finale di matrice stravinskiana.

    Samuel Barber (1910-1981) è stato uno dei più importanti compositori americani del Novecento. L’appartenenza a una cultura nuova, ossia distante e svincolata dalla

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