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Il Paese della Musica: Le mie canzoni per gli altri
Il Paese della Musica: Le mie canzoni per gli altri
Il Paese della Musica: Le mie canzoni per gli altri
E-book227 pagine1 ora

Il Paese della Musica: Le mie canzoni per gli altri

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Info su questo ebook

Il Paese della Musica è una raccolta di testi di canzoni, alcuni già musicati, altri ancora alla ricerca della loro musica: sono composizioni sentimentali, tenere e leggere, a punteggiare momenti di dolcezza e di giocosità, di baruffe e rappacificazioni, a cui fanno da contrappunto testi decisamente più profondi e meno solari, ad esprimere quella difficoltà e quel malessere di vivere che appartengono all’uomo di oggi, ma anche all’uomo di tutti i tempi.
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2017
ISBN9788866903567
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    Il Paese della Musica - Vincenzo Mazzà

    Vincenzo Mazzà

    Il Paese della Musica

    Le mie canzoni per gli altri

    Vincenzo Mazzà, Il Paese della Musica

    © EEE-book

    Prima edizione e-book: gennaio 2017

    ISBN: 9788866903567

    Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.

    Copertina: credits to Canstockphoto.com

    Donna amica, donna mia

    adesso ascolta questa canzone

    Presentazione

    Vincenzo Mazzà è un piccolo autore che ha deciso di pubblicare le sue canzoni per non disperdere le parole che ha scritto. Al riguardo, se si desiderano ulteriori notizie sul suo conto, basta visitare il sito www.vinc-mazz.it.

    Mazzà proviene dall’ambiente orchestrale degli anni ’60; quando ha smesso di fare il batterista e per obblighi di permanenza, è rimasto nel mondo della musica come autore di canzonette. Con le condizioni di vita in continua crescita degli anni ’60, con la musica che occupava posti di prima serata, era difficile seguire la Scuola come momento di unico impegno quotidiano. Infatti, proprio per questo motivo, egli non è stato molto dedito alla Scuola, tuttavia l’approccio alla letteratura italiana lo ha stimolato allo studio e, in modo particolare, lo ha catturato il ramo poetico, da cui ha cercato di prendere qualche impronta formativa.

    Ha frequentato Ragioneria e si è poi iscritto alla facoltà di Scienze Politiche, con l’obbligo di frequenza, senza però riuscire a raggiungere l’obiettivo preposto. L’errore per lui è stato quello di non aver intrapreso un indirizzo umanistico. Comunque, a quel tempo, il lavoro era la strada più utile, la Scuola non dava frutti immediati e quindi non era da ritenersi un elemento prioritario, specialmente se privi di un sostegno economico alle spalle. La soluzione era quella di abbinare studio e lavoro, un modo praticabile, ben considerato da tanti, che però procurava l’impegno di un grosso sacrificio.

    Certo che le condizioni di oggi sono molto differenti da quelle di allora, tanto che non si possono minimamente prendere a paragone. Infatti oggi che il lavoro è mancante e di conseguenza non c’è occupazione per tutti, i giovani a spasso potrebbero dedicare più tempo alla Scuola. Purtroppo, alla luce dei fatti, poiché ormai è divenuta credenza comune che la Scuola abbia deluso le aspettative di molti, di quelli che l’avevano presa in seria considerazione per un facile e certo futuro, non la si sente più come uno strumento indispensabile di vita. Questo perché la nostra società non ha costruito i suoi valori di base sulle capacità dei singoli, ma sulle amicizie, sulle raccomandazioni, sul favoritismo, sul clientelismo.

    Quindi a questo punto, possiamo concludere dicendo che la Scuola, in linea di massima, oggi si è arresa a cultura personale, priva di quelle funzioni utili al mercato del lavoro. Tuttavia, nella vita, la Scuola è uno strumento di primaria necessità. Mai, mai, mai, sottovalutarlo.

    Vai a scuola

    _________________________

    Vai a scuola, accendi più luci che puoi nella buia stanza, non fermarti, giovane, sul primo inutile gradino. Più spalmi il sapere sul basamento della tua strada, meno dipendente sarà la tua vita futura dall’altrui conoscenze.

    Il Paese della Musica

    Il Paese della Musica è lassù tra le nuvole. Alziamo lo sguardo al cielo e cerchiamolo; ma non quando il cielo è sereno. Se le nuvole sono andate via, il paese della musica non c’è. Ed è giusto che sia così. Se riusciamo a scorgerlo, ci accorgiamo che ha solo case colorate con i tetti rossi, viali di cipressi che conducono verso abitazioni all’ombra di alberi secolari. Non ha grattacieli, né autostrade, perché non servono; i grattacieli non servono perché si allontanano dalle nuvole, le autostrade non servono perché si cammina a tempo. Ha molte piazze movimentate con porticati classicheggianti, barocchi o romantici. Ha qualche periferia nuova nascente, con riferimenti agli anni ’50, quando il benessere comincia a diffondersi e l’industria dei beni di consumo prende piede tra i giovani.

    La musica leggera, con la sua struttura melodica, non ha difficoltà a prendere il suo spazio commerciale e dagli anni ’60, periodo storico di massa, assistiamo a una felice e crescente evoluzione dell’intrattenimento musicale.

    Il Paese della Musica è lassù tra le nuvole e quando piove il cielo è ugualmente luminoso, le strade sono di pietra, si può camminare anche con calzature di vernice o basse da spettacolo, senza sporcarle di fango. Il fango, in verità, non esiste, le campagne sono ricche di perenne verde vegetazione, sono ricche di piante spontanee aromatiche e profumate. Le colline sembrano dipinte in una cornice di colori cangianti, ricolme di frutteti, di uliveti, di alberi armoniosi con le foglie che nel venticello emettono musica. La neve arriva tutti gli anni a Natale, copre i tetti delle case e si mantiene per tutte le feste di capodanno; è una soffice carezza che scivola tra i capelli e brilla di bianco pulito, colpita dai bagliori dei raggi di sole, che filtrano. Sembra il respiro di un’atmosfera non contaminata da agenti inquinanti; questo perché non vi sono sorgenti d’inquinamento. Le relazioni sono scritte su un pentagramma e tutti gli abitanti rispettano le condizioni scritte: le figure, le pause, i valori.

    Credo che tutti vorremmo visitare il Paese della Musica, purtroppo non è possibile a nessuno; è un paese riservato a chi vive di sola musica. Infatti vi abitano musicisti, compositori, autori, cantanti, personaggi dello spettacolo in genere. E poi come bandiere sul pennone si ergono le orchestre, molte orchestre, infinite orchestre, di ogni genere musicale. Esse scendono tra di noi per rallegrare i ritrovi, le sale da ballo, le piazze, i circoli, i ristoranti, i matrimoni, le feste private, quelle di piazza e gli stadi; quando le feste spengono le luci, risalgono al loro paese tra le nuvole.

    Se osserviamo il Paese della Musica con il telescopio, cercando di avvicinare i particolari, possiamo notare che non è un paese come gli altri; l’atmosfera è magica, gli artisti emanano il loro fascino, si muovono con dolcezza, ogni gesto sembra generare musica. Più si abita lì, più si diventa fascinosi. Ma, per dare alle orchestre quello che è delle orchestre, le orchestre che abitano lì, sono soltanto quelle che suonano la musica dal vivo; e sono solo quelle che possono vantare il merito di abitare il Paese della Musica. Purtroppo, in modo parallelo alle orchestre che fanno musica dal vivo, vi sono formazioni che utilizzano le basi musicali. L’utilizzo delle basi permette a certe formazioni di fare soltanto i gesti senza in realtà suo-nare. Spesse volte, accade che questi muovano anche le labbra facendo finta di cantare. Tali formazioni non credo possano denominarsi orchestre, proprio perché di fatto non eseguono la musica con i propri strumenti, ma spandono la musica con delle pre-registrazioni meccaniche. Per il fatto che non si riesce a capire se sanno realmente suonare, il dubbio di denominarle orchestre rimane. Il playback do-vrebbe essere soltanto un fenomeno televisivo, oppure un karaoke, e penso che dovrebbe limitarsi a questo. Per motivi di riconoscimento alla fedeltà musicale, non dovrebbe estendersi nelle sale da ballo, nelle piazze, nei ritrovi. Tuttavia, può anche praticarsi l’uso del playback nei break, quando l’orchestra con musica dal vivo è sottoposta a servizi lunghi, che superano le quattro/cinque ore di prestazione continuata. Non è facile, però, poter classificare come orchestra una formazione che presenta in pubblico soltanto musica preconfezionata in chiavetta, proprio perché il fatto fa dubitare di un imbroglio nascosto. Un imbroglio che la grande massa degli ascoltatori, più di qualche volta, per difetto di conoscenze, ignora. Se si vuole questo, basta un DJ. Una vera orchestra, per quanto mi riguarda, suona soltanto musica dal vivo.

    Nonostante tutto, credo che queste formazioni dubbie si rendano utili alla musica commerciale. Poi vi sono gli autori e i compositori;

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