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Ravel e le note blue: Il Jazz e Parigi
Ravel e le note blue: Il Jazz e Parigi
Ravel e le note blue: Il Jazz e Parigi
E-book155 pagine1 ora

Ravel e le note blue: Il Jazz e Parigi

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Musica colta e jazz, quindi musica colta e musica popolare, all’inizio del Novecento si incontrano e si intersecano in un proficuo nonchè profondo interscambio per entrambe, diventando il centro di un ricco e veloce sviluppo della poetica musicale. Il testo precisa e racconta come, e in che modo, il fenomeno jazz entra in Europa, in modo particolare in Francia, e la forte attrazione che ha suscitato nella società e nei musicisti di quel periodo. Ravel viene quindi visto, analizzato, con lo sguardo rivolto esclusivamente al suo singolare uso dell’idioma jazz; il compositore assumeva infatti e coniugava nella sua musica il jazz in maniera del tutto nuova, avanzata, e del tutto personale. La sua particolarissima poetica donerà infatti, alla musica del Novecento, una tutta sua propositiva modernità che la “vecchia” critica musicale non ha mai voluto riconoscere.
LinguaItaliano
EditoreLIM
Data di uscita8 feb 2023
ISBN9788855432160
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    Anteprima del libro

    Ravel e le note blue - Simonetta Agliotti

    RAVEL E LE NOTE BLUE

    Il jazz, per prima la Francia

    Il jazz regna decisamente sul mondo.

    Henry Prunières

    Nel primo ventennio del Novecento in America, tramite la musica popolare, si creò un nuovo idioma musicale che, grazie alla veloce diffusione e al grande coinvolgimento che ebbe in Europa, si affermò e divenne un importante contributo per la storia della musica. In Europa si iniziò a parlare del jazz in modo approfondito e significativo soprattutto nel dopoguerra, orchestre e gruppi d’oltreoceano realizzavano lì le loro numerose tournée. Il jazz veniva riconosciuto come genere che aveva ormai una propria storia e una propria evoluzione e stimolò quindi l’interesse e l’attenzione dei critici, degli intellettuali e dei musicisti europei. In Europa i compositori stavano sperimentando nuove vie nel tentativo di riconcepire il linguaggio della musica: le avanguardie musicali misero in discussione la validità e l’attualità del sistema tonale. Si creò una rottura e un netto rifiuto dei valori dell’epoca precedente, considerata ormai superata: l’incontro con il jazz apparve come una nuova possibilità.

    La Francia fu la prima nazione europea ad accogliere il jazz: Parigi era la capitale culturale del vecchio continente e attirava numerosi artisti e musicisti anche da oltreoceano. I musicisti americani erano affascinati dal prestigio della capitale francese e dall’assenza di razzismo: qui trovarono occasioni di lavoro in molti locali notturni. L’arrivo del jazz in Francia ebbe una grande influenza sulla cultura: gli elementi africani che lo caratterizzavano simboleggiavano, per il pubblico dell’epoca, la natura, l’istinto e la spontaneità in contrasto con una società occidentale sempre più commerciale e meccanizzata. In ambito musicale questi elementi contribuirono alla modernizzazione del linguaggio e delle regole: l’immediatezza dell’improvvisazione mantenne un carattere autentico senza cancellare la matrice popolare. Il jazz riuscì a donare una possibilità di rinnovamento al mondo artistico-intellettuale che attraversava un periodo di crisi. I compositori francesi si avvicinarono alla musica degli Afroamericani in maniera diretta, con poche mediazioni. Fu soprattutto tra gli anni Venti e Trenta che in Francia si incontrarono e intersecarono la cultura locale e quella nera. In quel periodo nacque una forte curiosità verso la cultura africana e afroamericana, anche incrementata dalle ricerche degli etnologi: tale curiosità diede vita a un fenomeno indicato come Negritude. Questo fenomeno si diffuse, a partire dal 1925, grazie agli spettacoli africani di Josèphine Baker e le performance del clarinettista afroamericano Sidney Bechet al Teatro Des Champs-Elysées, che riscossero un enorme successo. La provocazione fisica della Baker contribuì a fare del jazz l’attrazione più importante della Parigi des années folles. Il jazz è messo in evidenza da una messa in scena grandiosa e spettacolare dove ci sono l’istintività, la spontaneità e il carattere primitivo.¹ Lo spettacolo della Baker era costituito da una danza dove «tutte le figure geometriche che abbiamo imparato a scuola, si formano, si disfano, si snodano, si ricompongono in un attimo».²

    Il disegnatore Paul Colin, che divenne celebre per aver raffigurato il manifesto che divulgava la Revue nègre nel 1925, ritrasse per primo la Baker oltre ad altri musicisti e cantanti di Harlem e al famoso Sidney Bechet. Questo manifesto fu considerato un frammento di modernità e diede inizio ad un uso, esagerato e decisamente eccessivo, della figura del nero nella pubblicità. Famosissima l’immagine del moro fuciliere della confezione del Déjeuner sucré Banania che rimase in voga per decenni.³

    Il jazz e anche l’arte cubista, che nelle sue accezioni più primitivistiche riflette alcuni aspetti della scultura africana, si proponevano come nuovi valori culturali: l’arte africana si inseriva così nell’ambito culturale francese ed europeo. Nel 1924 e nel 1930 André Breton pubblicò i suoi due manifesti surrealisti; il surrealismo prediligeva l’istinto rispetto alla ragione e spingeva quindi ad avvicinarsi all’arte africana. Il pittore Piet Mondrian avvicina il jazz al neoplasticismo, nel senso che sono entrambi fenomeni legati strettamente alla vita stessa, e li considera anche fenomeni rivoluzionari poiché possono essere sia distruttivi sia costruttivi: non distruggono la forma ma ne spezzano le limitazioni creando l’unità universale.

    Negli anni Venti alcuni musicisti francesi si dedicarono totalmente al jazz. Questo nuovo genere fece nascere les orchestres syncopé; attraverso musiche da ballo sincopate, arrangiamenti e improvvisazioni, il jazz francese si consacrò pienamente. Con la nascita di un jazz francese, cominciò a delinearsi un dibattito sull’identità e sull’autenticità di questo genere che veniva eseguito anche dai musicisti francesi. Il dibattito sarà destinato a durare fino al secondo conflitto mondiale. C’era chi difendeva l’autenticità e l’integrità del jazz nero, attribuendogli una sua assoluta superiorità su quello suonato dai musicisti europei, sostenendo l’idea che per gli Afroamericani fosse più facile trasmettere il vero spirito del jazz. Nel 1931 nacque il Jazz club, un’associazione nazionale di amatori che facevano lavorare i jazzisti francesi e organizzavano concerti con gli Afroamericani in tournée. Era nato, anche se poco numeroso, un gruppo di fedelissimi al jazz.

    In Francia, oltre al jazz, si diffusero altri generi musicali provenienti dagli Stati Uniti, come il cakewalk (che assunse il nome di Danse du gateau), il ragtime e il foxtrot. Nato negli Stati Uniti nella seconda metà dell’Ottocento, il cakewalk, prima di essere abbinato al ragtime, era una danza tipica delle piantagioni di cotone e di tabacco del Sud. Venne imitato in maniera grottesca nei minstrel show, poi dagli stessi neri con lo scopo di ridicolizzare gli ex padroni bianchi.⁵ Solitamente in 2/4, aveva il ritmo sincopato in tempo di marcia, come il ragtime. Il cakewalk e il ragtime rappresentarono un punto di unione tra i canti popolari e il jazz, ma anche tra il jazz e la musica colta europea. L’ensemble di John Philip Sousa, con il suo repertorio di rag, suonò a Parigi nel 1900 e nel 1903 e fu ascoltato da Debussy. Il compositore francese era molto attratto dal cakewalk che ascoltò sia negli spettacoli parigini importati da un amico impresario, sia nel locale di Chocolat, un ballerino nero che fu ritratto da Toulouse-Lautrec.⁶ Presto alcuni compositori europei si appropriarono della musica americana: Debussy scrisse il Golliwog’s Cake Walk nel 1908 e The little Nigar, Erik Satie il Ragtime du Paquebot nel 1917 e un cakewalk nel balletto Parade, Igor Stravinskij Ragtime pour onze instruments nel 1918 e Piano Rag-Music nel 1919; anche Maurice Ravel inserì un foxtrot nel suo L’Enfant et les sortilèges nel 1919. Nel periodo della Prima Guerra Mondiale un gruppo di soldati-musicisti neri, diretto da James Europe, prima combattè, poi portò il jazz in vari luoghi della Francia per sollevare il morale suonando i nuovi ritmi del ragtime, del cakewalk e del jazz. A Parigi era attivo il batterista nero Louis A. Mitchell che con il suo swing fu fonte di curiosità e ispirazione non solo per i francesi: «Parigi divenne la capitale del jazz in Europa».⁷ Si diffondevano importanti novità timbriche che catturavano il pubblico, come glissandi di trombone, ritmi sincopati alla trombetta, svariati effetti alla batteria, suoni istintivi ma calibrati.⁸ In questo periodo Jean Cocteau promuoveva una serie di concerti a Parigi denominati concerts-salade che proponevano diversi modi di espressione musicale. Il 6 dicembre 1921, nella sala des Agriculteurs, considerata luogo della musica colta, l’orchestra di Billy Arnold, un americano che contribuì alla diffusione del jazz in Francia, suonò, tra gli altri, dei frammenti del Sacre du Printemps di Igor Stravinskij trascritti da lui, una sonata di Darius Milhaud per pianoforte e strumenti a fiato, presentando per la prima volta in pubblico un pianoforte meccanico sofisticato denominato Pleyela. In quella serata Jean Wiener e Clément Doucet suonarono in duo, sulla Pleyela, il Boeuf sur le Toit di Milhaud. Albert Roussel se ne andò prima della fine di quel concerto sbattendo la porta, Maurice Ravel invece ne rimase estasiato. In seguito Albert Roussel, ricredutosi, rispondendo ad un articolo di André Schaeffner e André Cœuroy sul Paris Midì del maggio 1925, parlò del jazz come di una musica originale che, utilizzando canti popolari e inventando nuove melodie, aveva creato un nuovo repertorio e una nuova poetica. I concerts-salade non si sottrassero alla critica dei musicologi: alcuni li considerarono un’apertura al gusto internazionale, che però svalutava la musica francese. Altri lodarono l’orchestra di Billy Arnold per la sua capacità di sorprendere, per la sua perfezione tecnica e per l’orchestrazione interessante e

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