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Generi musicali del XX secolo: Viaggio attraverso gli stili e i protagonisti di un florido secolo musicale
Generi musicali del XX secolo: Viaggio attraverso gli stili e i protagonisti di un florido secolo musicale
Generi musicali del XX secolo: Viaggio attraverso gli stili e i protagonisti di un florido secolo musicale
E-book215 pagine2 ore

Generi musicali del XX secolo: Viaggio attraverso gli stili e i protagonisti di un florido secolo musicale

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Che cos'è un genere musicale? A cosa serve? Che cosa implica il genere nel discorso musicale? E infine cosa distingue un genere dall'altro? Questo libro cerca di fornire delle semplici risposte percorrendo un viaggio attraverso gli stili e i protagonisti di un florido secolo musicale.

Blues, gospel, jazz, rock, funk, punk, metal, rock, pop, rap e i vari sottogeneri derivati dall'estro di artisti e gruppi musicali da Louis Armstrong a Jimi Hendrix, da Elvis Presley a Eminem, da Janis Joplin a Madonna hanno spesso influenzato il nostro modo di vivere e veicolato le nostre emozioni secondo dei parametri caratteristici.
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2021
ISBN9791220369121
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    Anteprima del libro

    Generi musicali del XX secolo - Matteo Procopio

    WORKSONG

    Alle origini del blues e di tutta la musica nera afroamericana c’è una lunga serie di eventi tragici, il cui principio cronologico potrebbe essere fissato al 1619, anno della fondazione di Jamestown e del primo trasferimento definitivo dei neri in America. Fin da subito la schiavitù dei neri Africani si rivela fenomeno doppiamente crudele: non solo lo schiavo afroamericano viene privato dei diritti fondamentali (come ogni altro schiavo d’altronde), ma a causa delle sue peculiarità razziali e sociali arriva a perdere la qualifica stessa di essere umano agli occhi dei coloni.

    La musica africana era pentatonica, cioè formata da cinque suoni e priva di semitoni (da cui la tendenza a glissare sulla terza e la settima, col caratteristico suono della blue note), poliritmica, basata sulla sovrapposizione di ritmiche diverse e sulle variazioni timbriche degli strumenti percussivi (in Africa i tamburi venivano usati per comunicare a distanza formando vere e proprie parole) e tendente all’improvvisazione, poiché la musica Africana era tramandata e non scritta; inoltre essa non era fine a se stessa, prodotto finito destinato alla contemplazione come nel mondo Occidentale, bensì funzionale allo svolgersi di un rituale o all’accompagnamento di un lavoro.

    In questa cornice nascono i worksong, ovvero canti di lavoro.

    Il canto di lavoro è un brano musicale strettamente connesso a una specifica forma di lavoro spesso cantato durante lo svolgimento di una mansione, spesso per mantenere tempo e coordinazione; oppure una canzone legata a una mansione o a un mestiere, che può essere un racconto o una descrizione correlata, o ancora una canzone di protesta.

    I canti di lavoro afroamericani si sono sviluppati originariamente nell’era della schiavitù, fra il XVII e il XIX secolo. Poiché facevano parte di una cultura quasi prevalentemente orale, non avevano una forma fissa e cominciarono a essere registrati solo al termine dell’era della schiavitù, e cioè dopo il 1865. Molte di queste trovavano origine nella tradizione musicale africana ed erano probabilmente cantate dagli schiavi per ricordarsi della loro casa; altre invece vennero ideate dagli schiavisti per alzare l’umore e per mantenere un ritmo di lavoro costante. I canti afroamericani sono stati anche visti come un mezzo per sopportare le difficoltà e per esprimere la rabbia e la frustrazione attraverso la creatività o un’occulta opposizione verbale.

    Una caratteristica comune dei canti afroamericani è la domanda e risposta, definita struttura responsoriale, nella quale il leader cantava una strofa, o alcune strofe, e gli altri rispondevano con il ritornello. Questa struttura proveniva dalla tradizione africana, specialmente per quello che riguarda i canti agricoli. Spesso le melodie venivano improvvisate e questi furono gli elementi che diedero vita al blues e al jazz.

    SPIRITUAL E GOSPEL

    Un elemento fondante della cultura dei neri americani fu il Cristianesimo. Esso rappresentava anche un’idea liberatoria: per i neri infatti nell’ambito religioso poteva avvenire un parziale superamento delle barriere razziali e molti aderirono alle chiese cristiane. L’avvicinamento degli schiavi neri alla chiesa cristiana porta alla nascita dello spiritual e del gospel. Gli schiavi si riconoscevano nelle storie raccontate dall’antico testamento e perciò si riunivano per un bisogno di spiritualità comune. Musicalmente sono simili ai worksong ma mentre i canti spiritual sono eseguiti a cappella, cioè con l’ausilio delle sole voci senza accompagnamento di nessuno strumento musicale e trattano testi dell’antico testamento, i canti gospel (God=Dio, spell=parola) sono invece realizzati con accompagnamento strumentale e trattano argomenti dal carattere più spirituale.

    Ciò che la maggior parte delle persone identificherebbe come gospel music è una musica religiosa Afro-Americana basata su grandi cori di chiesa cui fa da contraltare un cantante solista eccezionale. In realtà il genere reso famoso da artisti come Thomas A. Dorsey, Sallie Martin, Willie Mae, Ford Smith ed altri cambiò sensibilmente negli anni venti e trenta, e affonda le sue radici nelle forme più spontanee di devozione religiosa delle Chiese dei Santi, che incoraggiavano i singoli fedeli a dare testimonianza cantando e suonando (e talvolta danzando) spontaneamente della loro fede, durante la celebrazione.

    Dorsey, che aveva composto e suonato il piano per giganti del blues come Tampa Red, Ma Rainey e Bessie Smith, lavorò sodo per sviluppare una sua propria musica, organizzando un convegno annuale per artisti gospel, andando in tournée con Martin per vendere spartiti e superare la resistenza delle chiese più conservatrici verso ciò che esse consideravano una musica mondana e peccaminosa.

    La nuova musica Gospel composta da Dorsey e altri si mostrò essere davvero molto popolare nei quartetti, che si volsero in una direzione nuova. Gruppi come i Dixie Hummingbirds, i Pilgrim Travelers, i Soul Stirrers, i Swan Silvertones, i Sensational Nightingales e i Five Blind Boys of Mississippi introdussero anche maggior libertà alle chiuse armonie dello stile Jubilee, aggiungendo degli ad libitum e brevi frasi ripetute sullo sfondo per mantenere una base ritmica per le innovazioni del cantante principale.

    Mentre i quartetti stavano raggiungendo il loro massimo splendore negli anni quaranta e cinquanta, un certo numeri di cantanti donne stava raggiungendo il successo. Alcune, come la grande Mahalia Jackson sicuramente una delle più grandi interpreti di gospel- e Bessie Griffin erano principalmente soliste, altre come Clara Ward, The Caravans, The Davis Sisters e Dorothy Love Coates, suonavano in piccoli gruppi.

    James Cleveland e Alex Bradford portarono una rivoluzione nel gospel lanciando l’era dei grandi cori, grosse strutture disciplinate e organizzate che usavano arrangiamenti complessi per spingere la loro forza vocale per arrivare al ritmo propulsivo, alle intricate armonie e al virtuosismo individuale dei quartetti dell’età dell’oro.

    Gruppi come i Brooklyn Tabernacle Choir e il Mississippi Mass Choir sono due dei più popolari delle centinaia di gruppi legati a parrocchie locali.

    Allo stesso tempo star più recenti come Andrae Crouch, CeCe Winans e i Take 6 hanno continuato sulle influenze pop, proprio come Dorsey e altri pionieri presero a prestito dal Blues e dal Jazz. Altri, come Kirk Franklin, hanno introdotto elementi Hip Hop.

    La morte lenta di Jim Crow cambiò anche le priorità del gospel. Durante gli anni di segregazione e repressione formale dei neri, il gospel servì, specie per le chiese dei Santi largamente apolitiche e quietiste, come una forma nascosta di protesta politica.

    Le canzoni gospel erano quindi la scelta logica per i ritornelli del Movimento dei Diritti Civili, che trasse i suoi capi, gran parte della sua organizzazione e i suoi ideali dalle chiese nere.

    In Italia il genere si diffonde velocemente fino ad esser oggetto di festival su tutto il territorio nazionale da nord a sud la musica e la ricerca vocale diventa spettacolo, celebrazione, coinvolgimento.

    Cantanti come Carrie Underwood, Mary J Blige, Aretha Franklin, Whitney Houston e la più celebre Mariah Carey si sono sempre definite molto religiose e nel loro repertorio per lo più laico, vi sono un buon numero di brani Gospel e Carey non solo ha fatto reinterpretazioni di canti ma ne ha anche scritti diversi.

    BLUES

    Secondo molti studiosi il termine Blues ebbe origine dall’espressione I have the blue devils (letteralmente Ho i diavoli blu) indicativa di uno stato di depressione, di profonda disperazione del popolo nero americano che, per scacciare la malinconia e per esorcizzare il proprio malessere e le proprie tensioni comunicandoli alla propria gente, cantava i Blues.

    La storia dei neri d’America o afroamericani e delle loro forme di espressione artistico-musicali sono profondamente legate e la storia del Blues sintetizza l’evoluzione dalle originarie matrici africane alla formazione di una nuova identità storica e culturale.

    Nel 1865, con l’abolizione della schiavitù, la popolazione nera è costretta a migrare dalle campagne alle città per trovare lavoro.

    Lo strumento che fu più utilizzato dai primi musicisti neri liberati dalla schiavitù (a parte l’elastico inchiodato alla tavola) fu la cosiddetta cigar box, una specie di chitarra a due, tre o quattro corde che come corpo recava spesso una scatola di sigari, ma andavano bene anche altri contenitori in legno o metallo. Le corde abbastanza alte ne permettevano un uso agevole con lo slide (cilindro di vetro ricavato dal collo della bottiglia, definito bottleneck), ma precludevano l’uso delle dita della mano sinistra sulla tastiera, anche per il fatto che la tastiera non recava tasti di riferimento e tutto era lasciato all’orecchio del musicista. L’uso della chitarra fu la naturale conseguenza; l’esigenza di esibirsi in locali sempre più importanti con altri musicisti ne impose l’uso. L’armonica è l’altro strumento più usato nel blues. In definitiva si può dire che quasi tutti gli strumenti esistenti sono stati usati per fare blues e che i neri d’America hanno inizialmente impiegato quelli più economici e di facile reperibilità.

    Non ancora formalizzato nelle 12 battute, il blues diviene espressione individualistica del nero americano, in contrapposizione con il carattere collettivo degli antichi canti Africani, dei canti di lavoro e del gospel, mentre diviene possibile possedere strumenti (prima al massimo era possibile l’utilizzo del Banjo, strumento africano) come chitarra ed armonica, vale a dire i due strumenti-chiave del primo blues (il cosiddetto country blues, blues di campagna, così chiamato perché nato nelle campagne del sud degli Stati Uniti, in particolare alla foce del Delta del Mississippi).

    Inizialmente assistiamo alla nascita del cosiddetto blues classico: esclusivamente femminile, il classic blues vede l’artista accompagnata da un’orchestra e nasce con Madame Rainey (cantante che girava con la compagnia girovaga dei Rabbit Foot Minstrels), la cui pupilla è la celebre Bessie Smith, con Ida Cox, Sarah Martin e Trixie Smith tra le principali interpreti di questo genere.

    Per molti versi il suono del blues classico, non solo per via dell’accompagnamento di un’orchestra, ma anche per le dinamiche del canto, è però lontanissimo dalle asperità e dallo spirito del blues di campagna: non a caso le cantanti blues si trovano ad animare teatri di varietà e circhi prima, veri e propri teatri poi, che si affiancano e poi sostituiscono ai vaudeville (genere teatrale nato in Francia a fine Settecento. Il termine vaudeville indica le commedie leggere in cui alla prosa vengono alternate strofe cantate su arie conosciute) creando le basi dei moderni spettacoli di varietà. Toccò a Mamie Smith il privilegio nel 1917 di cantare per prima un Blues (Crazy Blues) in un rudimentale apparecchio di registrazione.

    Il country blues, il cantante solitario accompagnato dalla chitarra e dall’armonica, ha invece carattere prevalentemente maschile e rappresenta per molti versi lo spirito musicale più crudo ed autentico del blues: allo stesso tempo il suono più aspro e rudimentale fece sì che le prime registrazioni di bluesman country siano posteriori rispetto a quelle delle interpreti di blues classico.

    Nasce il fenomeno Race Records, dischi cantati da neri per il pubblico nero che si rivela segmento di mercato più che fertile e di cui Bessie Smith si rivelerà regina incontrastata del classic blues. Primo bluesman country di successo sarà invece Blind Lemon Jefferson che comincerà ad incidere a metà degli anni venti, divenendo in breve, assieme a Charley Patton, modello da imitare per tutto il country blues a venire.

    Segue un periodo relativamente florido per il genere, che non si interrompe nemmeno con la Grande Depressione del 1929 (che pure fa sparire dal mercato i Race Records), in cui artisti del delta del Mississippi come Skip James, Son House, Lonnie Johnson prima, Robert Johnson poi, contribuiscono a definire e codificare il genere nelle sue 12 battute e nella sua struttura canonica (A-A-B).

    La struttura musicale del blues è strofica tripartita, nella forma AAB, con uno sviluppo in dodici battute per strofa. La parte A viene quindi ripetuta due volte mentre la B rafforza il significato della parte A e da un senso conclusivo.

    Un elemento tipico è la presenza delle blue notes, le note che danno la tipica sensazione del blues. Pare che gli africani e i loro discendenti nati in America, nel cercare di imitare la scala maggiore, più in voga nella musica popolare di cultura occidentale, avessero difficoltà nell’intonare il terzo e il settimo grado tendendo a intonarli in maniera calante e quindi un semitono più grave. Pertanto è tipicamente blues intonare, su un accompagnamento di un accordo maggiore, la terza minore e la settima minore.

    Altro elemento tipico è l’andamento ritmico denominato shuffle, tramite il quale due crome su un tempo semplice vengono eseguite come una semiminima e una croma in un tempo composto. Il termine shuffle indica appunto un andamento trascinato, casuale, barcollante.

    BLUES MODERNO

    Fu la città di Chicago che in due periodi, prima e dopo la seconda guerra mondiale, ebbe un posto fondamentale nella storia e nell’evoluzione del Blues. Città industriale, con grandi possibilità di occupazione, attirò ben presto i neri del Sud alla ricerca di un lavoro e della libertà e i suonatori di Blues che vennero a partire dal 1928. Gente come Georgia Tom Dorsey o Tampa Red profittavano del loro soggiorno per esibirsi e spesso vi si stabilivano provvisoriamente o definitivamente.

    Proprio nella Windy City (la Città del Vento come è chiamata Chicago), ed in particolare nel South Side, nacquero come funghi studi di registrazione, case discografiche e locali notturni che contribuirono alla spettacolare evoluzione del jazz e del Blues.

    Ma fu soprattutto dopo la seconda guerra mondiale che avvenne la grande emigrazione di tutti coloro che, oltrepassando la linea Mason-Dixon, la frontiera immaginaria tra gli Stati del Sud e quelli del Nord, lasciavano le terre del Deep South alla ricerca di una ipotetica miglior fortuna. In questo periodo, dopo che artisti come Big Bill Broonzy, Tampa Red, Jazz Gillum o Sonny Boy Williamson I consentirono al Bluebird Beat di raggiungere i più elevati livelli di creatività musicale, altri musicisti furono spinti a rinnovare il Blues verso le sue tendenze e caratteristiche più squisitamente urbane. Alla fine degli anni Quaranta, infatti, fu Muddy Waters che, registrando nel 1948 il brano I Can’t Be Satisfied (con Earnest Big Crawford al contrabbasso), gettò le basi del Blues moderno dando il colpo di grazia al vecchio Blues ed apportò allo stesso tempo numerose innovazioni tra cui la più importante fu sicuramente il nuovo concetto di gruppo musicale Blues. Benché fin dagli anni Trenta esistessero Blues bands a Chicago, è a Muddy Waters che dobbiamo la struttura moderna della formazione di Blues: una o due chitarre, un’armonica e/o un piano, un basso ed una batteria.

    Ed ecco che agli inizi degli anni Cinquanta, Muddy Waters e Jimmy Rogers (alle chitarre), Little Walter o Walter Horton (all’armonica), Willie Dixon o Earnest Big Crawford (al contrabbasso), Otis Spann (al piano) ed Elgin Evans o Elgin

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