Risvegli
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La narrazione si articola attraverso sette storie, corrispondenti ad altrettante dinastie di banchieri presenti a Cosenza. Esse operarono in città soprattutto per sfruttare le possibilità offerte dal fiorente mercato della seta calabrese in concomitanza con la fiera della Maddalena, che si svolgeva ogni anno a partire dal 22 luglio. Intorno a questo evento ruotava l’economia cittadina e, in occasione di esso, affluivano in città mercanti e banchieri stranieri, ma anche un variegato popolo di agenti, procuratori e artigiani.
Il valore di questa pubblicazione, tuttavia, va ben al di là di questi aspetti prettamente storici. Gli argomenti trattati consentono infatti di replicare ad almeno due tesi che ancora oggi vengono insegnate nelle università di tutto il mondo. Una è la tesi di Max Weber, secondo cui il capitalismo si sarebbe radicato nei paesi protestanti anziché in quelli cattolici. A tal proposito, “I banchieri di Cosenza nel Rinascimento” mostra come, per tutto il XVI e XVII secolo, le grandi famiglie protagoniste del Rinascimento italiano a Roma, Firenze o Genova, erano le stesse che in tutta Europa ricoprivano incarichi politici o religiosi per conto di Re, Papi e Imperatori, eleggevano Papi, esprimevano governatori e condottieri militari, svolgevano incarichi diplomatici per conto di Re e Regine, o come banchieri di corte.
La seconda tesi, invece, è quella di Carlo M. Cipolla, secondo cui i banchieri rinascimentali, pur avendo sviluppato tutti gli strumenti finanziari che ritroviamo anche oggi nelle economie moderne, mancavano ancora di quello “spirito capitalistico” che spinge il capitalista a privilegiare lo scambio di denaro contro altro denaro, anziché contro merci. Rispetto a tale tesi, il libro consente di affermare che i banchieri rinascimentali preferivano detenere quanto più a lungo possibile le lettere di cambio anziché il denaro contante, il quale poteva essere rubato o comunque in quel periodo storico era soggetto a frequenti contraffazioni e, quando erano costretti a far uso di denaro contante, preferivano investirlo in materie prime a scopo speculativo quale riserva di valore contro le svalutazioni monetarie. Dunque, la scelta di investire in merci non era il retaggio di schemi medievali bensì il frutto di una precisa esigenza volta ad accrescere incessantemente il capitale al fine di conservarlo in valore.
Il libro rappresenta anche un monito per chi ci governa: infatti, setacciando la storia della nostra terra si dimostra che l’unico periodo in cui la Calabria è riuscita a svilupparsi e diventare attrattore di risorse e di capitale umano da altre parti d’Italia, è stato quando si sono perseguiti modelli di sviluppo coerenti con le potenzialità dei luoghi, senza replicare modelli industriali nati altrove o privi di attinenza col territorio calabrese e dunque alieni al contesto socioculturale di riferimento.
Titoli di questa serie (1)
- I Banchieri di Cosenza nel Rinascimento: Ascesa e declino delle grandi dinastie finanziarie
1
Il libro affronta uno dei capitoli più affascinanti e misteriosi della storia di Cosenza, finora poco esplorato dagli studiosi locali: chi erano i personaggi che hanno contribuito alla fortuna economica di Cosenza durante il suo secolo d'oro? In particolare è ricostruita l'epopea bancaria di Cosenza, che tra la fine del '400 e gli inizi del '600 divenne il principale centro finanziario a sud di Napoli. A dominare la scena furono inizialmente i banchieri ebrei e, dopo il decreto del 1510 che ordinava la loro espulsione dal Regno di Napoli, a subentrare negli affari furono famiglie oriunde provenienti da varie parti d’Italia ma stabilitesi a Cosenza, dove spesso si imparentarono con famiglie nobili locali, pur mantenendo solidi legami con le rispettive città d’origine. Non mancano però gli esempi di banchieri autoctoni. La narrazione si articola attraverso sette storie, corrispondenti ad altrettante dinastie di banchieri presenti a Cosenza. Esse operarono in città soprattutto per sfruttare le possibilità offerte dal fiorente mercato della seta calabrese in concomitanza con la fiera della Maddalena, che si svolgeva ogni anno a partire dal 22 luglio. Intorno a questo evento ruotava l’economia cittadina e, in occasione di esso, affluivano in città mercanti e banchieri stranieri, ma anche un variegato popolo di agenti, procuratori e artigiani. Il valore di questa pubblicazione, tuttavia, va ben al di là di questi aspetti prettamente storici. Gli argomenti trattati consentono infatti di replicare ad almeno due tesi che ancora oggi vengono insegnate nelle università di tutto il mondo. Una è la tesi di Max Weber, secondo cui il capitalismo si sarebbe radicato nei paesi protestanti anziché in quelli cattolici. A tal proposito, “I banchieri di Cosenza nel Rinascimento” mostra come, per tutto il XVI e XVII secolo, le grandi famiglie protagoniste del Rinascimento italiano a Roma, Firenze o Genova, erano le stesse che in tutta Europa ricoprivano incarichi politici o religiosi per conto di Re, Papi e Imperatori, eleggevano Papi, esprimevano governatori e condottieri militari, svolgevano incarichi diplomatici per conto di Re e Regine, o come banchieri di corte. La seconda tesi, invece, è quella di Carlo M. Cipolla, secondo cui i banchieri rinascimentali, pur avendo sviluppato tutti gli strumenti finanziari che ritroviamo anche oggi nelle economie moderne, mancavano ancora di quello “spirito capitalistico” che spinge il capitalista a privilegiare lo scambio di denaro contro altro denaro, anziché contro merci. Rispetto a tale tesi, il libro consente di affermare che i banchieri rinascimentali preferivano detenere quanto più a lungo possibile le lettere di cambio anziché il denaro contante, il quale poteva essere rubato o comunque in quel periodo storico era soggetto a frequenti contraffazioni e, quando erano costretti a far uso di denaro contante, preferivano investirlo in materie prime a scopo speculativo quale riserva di valore contro le svalutazioni monetarie. Dunque, la scelta di investire in merci non era il retaggio di schemi medievali bensì il frutto di una precisa esigenza volta ad accrescere incessantemente il capitale al fine di conservarlo in valore. Il libro rappresenta anche un monito per chi ci governa: infatti, setacciando la storia della nostra terra si dimostra che l’unico periodo in cui la Calabria è riuscita a svilupparsi e diventare attrattore di risorse e di capitale umano da altre parti d’Italia, è stato quando si sono perseguiti modelli di sviluppo coerenti con le potenzialità dei luoghi, senza replicare modelli industriali nati altrove o privi di attinenza col territorio calabrese e dunque alieni al contesto socioculturale di riferimento.
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