“IO SON DI PRATO. M’accontento d’esser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo, tanto compiango coloro che, aprendo gli occhi alla luce, non si vedono intorno le pallide, spregiose, canzonatorie facce pratesi […] e fuori dalla finestra, di là dai tetti, la curva affettuosa della Retaia, il ginocchio nudo dello Spazzavento, le tre gobbe verdi del Monte Ferrato, gli olivi di Filettole, di Santa Lucia, della Sacca, e i cipressi del Poggio del Fossino, sopra Coiano”. Così scrive nel suo libro Maledetti Toscani Curzio Malaparte, all’anagrafe Kurt Erich Suckert, nato nel 1898 in quella che è oggi la seconda città toscana per numero di abitanti. Meno sfacciatamente bella di Firenze, meno raffinata di Lucca, priva di un edificio iconico noto in tutto il mondo come la torre di Pisa, Prato è raramente considerata una meta turistica interessante. Eppure, una visita di qualche giorno – almeno tre, a nostro parere, per coglierne le diverse anime, ma anche di più se si vogliono perlustrare anche i dintorni percorrendo cammini e percorsi cicloturistici tra la Val di Bisenzio e i boschi di Montemurlo – potrà far cambiare idea a molti.
LE VIE DELL’ACQUA: GORE E GUALCHIERE DEL BISENZIO, ANIMA OPEROSA DELLA CITTÀ
Vasche di raffreddamento e ciminiere fanno da contraltare a fontane e torri nel centro storico di Prato, racchiuso dalle antiche mura medievali ancora ben conservate. Raccontano di una storia più recente della città che ha però radici remote: quella dell’industria tessile, che dà il via a uno