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Ferrara. Città d'arte
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E-book140 pagine1 ora

Ferrara. Città d'arte

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Info su questo ebook

Quello riportato in questo libro è uno dei testi più accurati, completi e intelligenti mai scritti su Ferrara, articolato com’è in percorsi o itinerari o “passeggiate” attraverso la città, le sue strade e le sue piazze, i suoi palazzi e i suoi monumenti, sempre puntualmente segnalando gli artisti, gli scrittori e gli architetti che l’hanno resa unica al mondo. In appendice, una piantina e le schede relative ai musei con la loro storia e ubicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita23 mag 2020
ISBN9788835833987
Ferrara. Città d'arte

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    Anteprima del libro

    Ferrara. Città d'arte - Lucio Scardino

    DIGITALI

    Intro

    Quello riportato in questo libro è uno dei testi più accurati, completi e intelligenti mai scritti su Ferrara, articolato com’è in percorsi o itinerari o passeggiate attraverso la città, le sue strade e le sue piazze, i suoi palazzi e i suoi monumenti, sempre puntualmente segnalando gli artisti, gli scrittori e gli architetti che l’hanno resa unica al mondo. In appendice, una piantina e le schede relative ai musei con la loro storia e ubicazione.

    PREMESSA DELL’AUTORE

    «Peccato che la città sia deserta; non per questo è meno bella; e non tanto per i suoi magnifici palazzi, ma perché non v’è in essa un edificio brutto». In questa affermazione di Charles de Brosses, letterato francese del XVIII secolo, è sintetizzato il fascino particolare di Ferrara. La citta manca forse cioè di un capolavoro assoluto o di un luogo ineguagliabile (e basti invece pensare, per far un solo esempio, a Pisa con la sua Piazza dei Miracoli e la mitica Torre Pendente), ma è essa tutta un capolavoro, un insieme urbano progettato (e conservato abbastanza intatto) nei suoi mille particolari. Si tratta di un caso pressoché unico in Italia (paragonabile, per taluni versi, all’esempio di Venezia), per cui un disegno urbanistico, pur sedimentato nei secoli come uno straordinario work in progress , diviene un grande monumento assai articolato nelle sue componenti e alquanto rigoroso nella sua progettualità.

    L’ Addizione Erculea di Biagio Rossetti registra infatti il primo concetto di città moderna, ma è altresì la griglia su cui si sono innestati negli ultimi cinque secoli varianti e ampliamenti, integrandosi a sua volta perfettamente nel preesistente nucleo medioevale. Quindi, una guida che accompagni i turisti (e non soltanto) alla scoperta di Ferrara non può prescindere dai concetti dell’itinerario ragionato, evitando la discutibile quanto corriva suddivisione a schede dei monumenti, alla quale anche di recente vari cultori della guidistica non hanno saputo sottrarsi.

    Come ha scritto giustamente nel lontano 1985 l’architetto Carlo Bassi, presentando la prima edizione di questo testo, se «esiste una città dove appare prevalente il valore urbano complessivo rispetto al singolo monumento, dove il visitatore dovrebbe, prima di tutto, sperimentare la città in quanto tale, in quanto architettura compiuta, e solo dopo godere dei suoi monumenti che sono solo dei nodi, dei baricentri, dei luoghi della generale trama urbana, questa città è proprio Ferrara».

    Seguendo questa preziosa indicazione di metodo si è suddivisa la pianta della città in otto itinerari, che non sono percorsi intricati e faticosi, ma passeggiate di varia durata, in cui è privilegiato l’esterno, di strade, palazzi, chiese e musei; per non appesantirne le descrizioni, si è per di più deciso di inserire le schede relative ai musei cittadini in un’appendice, alla quale si rimandano i visitatori della città, che troveranno i musei semplicemente segnalati nell’ambito degli otto percorsi.

    Qualche descrizione d’interni doverosa eccezione riguarda quegli importanti monumenti (come il Castello Estense, la Cattedrale o Palazzo Schifanoia), in cui la decorazione murale raggiunge alti esiti stilistici, proponendo per di più una sorta di sinergia esterno-interno, fra la città reale e la città ideale, fra soggetto e oggetto, tra la Ferrara costruita e la Ferrara rievocata sulle pareti (soprattutto nel Salone dei Mesi a Schifanoia).

    Otto aree ambientali scelte in modo oggettivo e consequenziale, un po’ nello spirito che anima gli autori delle guide del Touring Club Italiano, ma fornendo inoltre una serie di dati, spesso inediti, su artefici e committenti, personaggi storici e curiosità. Per di più, rispetto alla prima edizione del 1985 (questa è ormai la quinta), sono riemersi dai documenti nomi di artisti dimenticati, ma altresì di autori novecenteschi, entrati nella sfera del modernariato, a pochissimi anni dall’inizio del XXI secolo.

    Oltretutto, avendo il sottoscritto pubblicato nel 1995 una guida incentrata sugli Itinerari di Ferrara moderna, non ha egli saputo resistere alla tentazione di aggiungere qualche significativo esempio architettonico del XX secolo, soprattutto in virtù dell’interesse che questi oggi possono suscitare tra i giovani cultori della materia e gli studenti della facoltà di Architettura.

    Nella nuova edizione, ampliata e corretta rispetto all’ultima (uscita nel 2010), sono stati altresì forniti aggiornamenti sul patrimonio artistico e museologico: tutto ciò, mentre Ferrara è stata inserita di recente dall’UNESCO nel novero del patrimonio mondiale dell’umanità, considerando l’intera città rinascimentale alla stregua di un grande organismo artistico, un museo diffuso e vissuto nella quotidianità, da segnalare, godere e preservare: ma non come se esso fosse posto sotto una campana di vetro.

    E anche una guida divisa per itinerari può servire allo scopo: quello, cioè, di far vivere Ferrara accompagnando i turisti intelligenti, i visitatori curiosi alla sua scoperta, al di là della facile retorica della città del silenzio, di una Pompei padana sopravvissuta al terremoto causato dall’abbandono degli Estensi.

    L.S.

    PRIMO ITINERARIO

    Dall’ingresso della Stazione ferroviaria agli edifici monumentali della Piazza: il Castello, il Municipio, la Cattedrale.

    Ci si lascia alle spalle la Stazione ferroviaria, rifatta dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale: svoltando a destra si giunge alla facoltà di Ingegneria, posta in un ex-zuccherificio e con dinanzi una monumentale installazione dello scultore Agapito Miniucchi. Poco prima è la cosiddetta Darsena city , un complesso intervento urbanistico che si va sviluppando sull’arteria di via Darsena costeggiante il Po di Volano: fra gli architetti coinvolti fanno spicco i nomi di Adolfo Natalini e di Roberto Mascellani.

    Dalla stazione si dipartono quindi i viali di raccordo ai caselli autostradali e si può imboccare il lungo rettifilo di viale Cavour. Un tempo qui scorreva il canal Panfilio, che prendeva il nome dal casato di papa Innocenzo X (Giovan Battista Pamphili): il corso d’acqua era navigabile e costituiva un tramite di collegamento tra il centro cittadino e il porto di Pontelagoscuro. Oggi ne sopravvive un ramo sotterraneo che alimenta la fossa del Castello Estense: dopo l’Unità d’Italia si iniziò infatti il tombamento graduale del Panfilio e si eressero via via eleganti palazzi e villini sui lati del nuovo viale dedicato a Cavour, spaziosa arteria di collegamento fra il centro storico e il moderno nodo ferroviario, nonché ingresso alla città di ampio respiro urbanistico.

    Interessanti testimonianze dell’eclettismo architettonico in voga agli inizi del ’900 appaiono alcuni edifici superstiti del viale Cavour. Si vedano la Villa Fano-Boari (numero civico 157), costruita nel 1912 dagli ingegneri Antonio Mazza e Domenico Barbantini come un castelletto, in un ibrido stile fra neo-gotico e rinascimentale e, sull’altro lato del viale, la Villa Amalia (n. 194), eretta nel 1905 da Ciro Contini, ornata di ceramiche della famosa manifattura diretta dal toscano Galileo Chini e il Villino Melchiori (n. 184), disegnato da Contini nel 1904 con ricche decorazioni floreali, considerato giustamente il capolavoro del Liberty ferrarese (i cementi floreali furono modellati da Arrigo Minerbi). Le ali laterali vennero aggiunte nel 1910 da Edoardo Roda.

    Arrivati quasi all’incrocio con corso Isonzo si nota, a sinistra, il moderno Palazzo I.N.P.S. (n. 164: nell’atrio è una bella decorazione in ceramica policroma di Leoncillo) e sulla destra l’alberata prospettiva del Rione Giardino, costruito negli anni Venti su progetto supervisionato da Contini sull’area della secentesca Fortezza pontificia, distrutta a partire dal 1859. Sullo sfondo è il grande serbatoio dell’Acquedotto, inaugurato nel 1932 e che un po’ si ispira nella forma a un tempietto dipinto da Raffaello: gli autori dell’opera furono Enrico Alessandri e i fratelli ingegneri Savonuzzi, i quali si avvalsero inoltre dell’apporto dello scultore Arrigo Minerbi.

    Di fronte all’Acquedotto è stato collocato nel 1993 il curioso Monumento ai Bersaglieri del Po, opera dello scultore Fiorenzo Bacci, mentre nella vicina cinta muraria di viale IV Novembre si rintracciano il secentesco Monumento a Paolo V (alquanto danneggiato) e quello a tre patrioti fucilati nel 1853, col marmoreo medaglione eseguito dallo scultore Saladino di Tricarico nel 2011.

    Tornati in corso Isonzo (e intravisto in angolo il Panfilio, famoso caffè-concerto degli anni ’20 eretto da Giacomo e Giuseppe Diegoli con le forme di un organo), al civico numero 75 è l’ex-Casa del Fascio dell’ingegner Giorgio Gandini, oggi sede di vari uffici statali, mentre si notano all’incrocio con via Ariosto due interessanti edifici: il Palazzo della Aeronautica (n. 118), progettato negli anni ’30 da Gandini seguendo le dottrine razionaliste e il villino Ascanelli (n. 112), eretto da Contini all’inizio del ’900 in bello stile liberty e nel quale abitò il celebre documentarista Folco Quilici con la famiglia.

    Alquanto discutibile è invece il Palazzo dell’I.N.A. (n. 50), che nel progettato attuato nel 1955-57 dall’architetto Giuseppe Vaccaro inglobò il chiostro rinascimentale della chiesa di S. Maria della Rosa con dubbio gusto stilistico. Artisticamente più significativo, nonché fascinosamente retorico, è il prospiciente Palazzo delle Poste del 1929, progettato da Angiolo Mazzoni (architetto ufficiale del Ministero delle Comunicazioni in età fascista), il quale vi inserì alcune decorazioni dello scultore Napoleone Martinuzzi e del pittore Giannino Lambertini. I bei vetri sono della ditta veneziana Venini.

    Superati i giardini pubblici, in cui spicca il Monumento a Giuseppe Garibaldi (1907, opera del romagnolo Tullo Golfarelli), ci troviamo dinanzi alla Torre di S. Caterina, facente parte dell’imponente Castello Estense, che ha una superficie di ben dodicimila metri quadrati. La parte più antica del fortilizio, divenuto il simbolo più caratteristico di Ferrara, è la Torre dei Leoni, posta nell’angolo nord est e che nel XIII secolo si addossava a una porta d’accesso alla città: in quell’epoca difatti le Mura corrispondevano grosso modo all’attuale corso Giovecca.

    Sulla Torre (che si può scalare dall’interno nel nuovo percorso turistico) è posto un bassorilievo marmoreo raffigurante due leoni con l’elmo in testa e la nordica scritta Wor-Bas (Sempre avanti): secondo una fantasiosa tradizione la scultura venne eseguita nel 1248, allorché Azzo VII d’Este sconfisse Federico II a Parma e portò a Ferrara come bottino di guerra due leoni che appartenevano al celebre imperatore. In realtà si tratta di un rilievo lapideo scolpito all’epoca del committente della rocca, ossia Nicolò II d’Este, signore della città alla fine del XIV secolo.

    Su progetto di Bartolino da Novara, ingegnere militare autore anche dei castelli di Mantova e di Finale Emilia, alla Torre dei Leoni vennero allora affiancate tre nuove torri, congiunte in

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