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Forse non tutti sanno che a Milano...
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E-book503 pagine6 ore

Forse non tutti sanno che a Milano...

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Info su questo ebook

Curiosità, storie inedite, aneddoti storici e luoghi sconosciuti dell’antica città dei Navigli

Milano è un arcipelago di culture un mondo sotterraneo pieno di storie e piccoli segreti tutti da scoprire

Pochi sanno che sotto la metropoli che lavora corrono chilometri di canali e che la storia dei suoi luoghi in superficie è legata indissolubilmente alla sua natura di città costruita sulle acque. Fatti curiosi e interessanti guidano il lettore alla scoperta dei tanti volti e dei numerosi personaggi che hanno lasciato un’impronta importante tra le strade della capitale meneghina. Attraverso storie e aneddoti appassionanti raccontati per la prima volta, Milano mostra i suoi lati meno conosciuti, i mille aspetti di una città straordinaria e ricca di storia e cultura. Un libro indispensabile per capire come la storia e i suoi protagonisti abbiano fatto di Milano una delle città più amate e celebrate al mondo. 

Forse non tutti sanno che a Milano...

…Tutto torna come nel significato dell’uroborus
…Si fabbricavano vestiti d’acciaio in pieno centro
…Hanno trovato l’oro in corso Sempione e non in banca, ma sotto il pavè 
…Ci sono 113 santi inumati e 2600 pezzi d’ossa
…Tutto principia e si conclude con sette fiumi
…C’è tutt’oggi un tempio dedicato a Diana Nemorense 
…Un marziano è atterrato e ha disapprovato l’asfalto e il cemento
…Per respingere l’invasore si vendono i Navigli
Gianluca Padovan
è nato a Verona, da lungo tempo abita a Milano e da più di trent’anni si occupa di speleologia, archeologia del sottosuolo e architetture fortificate. Ha pubblicato saggi a carattere storico e speleologico. Insieme a Ippolito E. Ferrario ha scritto Milano sotterranea e Milano esoterica, pubblicati dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2016
ISBN9788822701398
Forse non tutti sanno che a Milano...

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    Anteprima del libro

    Forse non tutti sanno che a Milano... - Gianluca Padovan

    Introduzione

    Milano è un arcipelago di culture.

    Se le origini affondano tra le nebbie padane e nelle leggende popolari, la sua storia è tangibile e legata soprattutto all’acqua. L’acqua dei canali ha difeso la città, ha mosso le pale dei mulini, i magli e i mantici delle fucine. Milano si è fatta conoscere per essere un’industria d’idee e di progetti; tutte cose, per altro, ben note a chiunque.

    L’altro aspetto più o meno noto è che fino a ieri Milano era solo ed esclusivamente Milano, chiusa nelle mura bastionate. Il resto, quello che stava al di fuori, come i Corpi Santi e i comuni accorpati nel tempo, erano realtà differenti, legate soprattutto alla terra, all’agricoltura, alla cura delle acque per irrigare i campi da cui trarre sostentamento. Ma soprattutto erano realtà amministrative autonome, essendo una pleiade di comuni e frazioni piccoli e piccolissimi, talvolta composti dagli abitanti di una sola grande cascina. In tempi recenti e in più momenti tutti questi luoghi sono stati uniti alla città che desiderava espandersi, aprire nuove industrie, nuovi quartieri popolari e residenziali, perché dentro la cerchia murata non vi era tutto quello spazio richiesto e necessario.

    In pratica Milano era un comune all’interno d’altri comuni e detta così la cosa vi farà sorridere, ma è la verità, come leggerete.

    Cos’è rimasto? Lo vedremo assieme percorrendo in lungo e in largo la metropoli e spesso non ci sarà bisogno di usare la macchina, ma si potrà farlo a piedi, in bicicletta, con i mezzi pubblici.

    Oggi vi è la volontà di considerare le architetture del passato come scrigni di memoria, strutture che potrebbero continuare a vivere anche di solo turismo, se adeguatamente e sapientemente presentate alla grande utenza.

    Non tutti sanno quali tesori hanno nel proprio quartiere e la vista di muri cadenti e tetti sconnessi li allontana, invece di richiamare in loro il desiderio di scoprire quale sia la loro storia e quanto possano valere sul piano culturale oltreché materiale.

    Oggi, se si vuole capire Milano, occorre dare uno sguardo anche all’esterno, alle periferie in cui spesso mancano il contatto con la cultura agraria e le condizioni per vivere in serenità il proprio futuro.

    Scavando tra le radici della Storia s’incontrano sempre vicende interessanti e gli studi del passato consentono di far progredire i nostri grazie alla solida piattaforma che ci è stata lasciata nei secoli e nei millenni. Frammenti di pensiero di altri scrittori sono riportati in questo testo che desidera condurvi in una Milano odierna fatta di realtà differenti addensatesi nel tempo. Li si riporta nella loro integrità, questi passi, per non togliere nulla a chi li ha pensati e scritti, per non togliere loro il senso e il significato in quanto sono le testimonianze dell’impegno e della capacità di cogliere e trasmettere le cose del passato.

    Le citazioni con i nomi degli autori vanno poi a comporre il quadro della bibliografia utile al lettore affinché possa, se ne ha voglia, andare lui stesso a ripercorrere certe tracce nell’auspicabile prosecuzione delle ricerche su di una città-metropoli oramai giunta a un bivio.

    Nel libro indico l’esistenza di molte cascine, e di alcune traccio un quadro generale, ma volutamente non dico a che cosa siano oggi destinate e spesso sorvolo sulle attuali condizioni dal punto di vista conservativo. Lascio che siate voi a scoprirlo e a scoprirne le peculiarità, affinché in futuro la piccola esperienza della passeggiata per osservare, apprezzare e fotografare la cascina menzionata sia solo vostra.

    1.…Leonardo da Vinci disegna la pianta urbana facendo il punto della situazione

    Quando racconto di una città comincio dal suo centro? Oppure parto dalle sue origini?

    Ci ho pensato sopra un pochino e mi sono ricordato che Milano, sebbene sia diventata una vera e propria metropoli, è rimasta sostanzialmente una città monocentrica e per parlarne si deve necessariamente partire… dal punto centrale!

    Prendendo in mano una carta topografia, oppure la più pratica Milano Mezzi Pubblici¹, plastificata e a prova di strapazzo, ho anche il dettaglio del centro cittadino, quello compreso nella Cerchia interna dei Navigli medievali, oggi scomparsi almeno in superficie. Una planimetria della città è utile anche perché sarà un po’ la nostra guida attraverso le curiosità meneghine che andremo a scoprire. Se siete più tecnologici del sottoscritto potrete consultare il tutto su palmare o smartphone accedendo a Google Maps, ma il risultato finale non cambia.

    Siete pronti per il viaggio attraverso le cose poco note?

    Apro la carta, do un’occhiata e a tutta prima vedo che la parte occidentale di piazza del Duomo è all’incirca al centro di Milano. Difatti, quando si dice andiamo a fare un giro in centro, generalmente si sottintende che si andrà a passeggiare anche in piazza del Duomo.

    Eppure, a ben vedere, con la pianta cittadina alla mano e muniti di squadra e di righello, si capirà che questo non è affatto il punto centrale della città.

    «E bravo!», direte voi. «Il tessuto urbano s’è stiracchiato in ogni direzione e determinarne il centro esatto è un bel problema».

    Non avete torto, ma la tradizione vuole che il centro sia l’area dove oggi sorge il complesso dell’Ambrosiana, costituito dalla pinacoteca, dalla biblioteca e da due chiese, di cui solo una immediatamente visibile. Tale insieme di edifici è situato tra piazza Pio xi e piazza San Sepolcro. Se è vero che siamo lungo uno dei tracciati viari più antichi, non corriamo in avanti e procediamo un passo alla volta, perché le sorprese sono appena cominciate e, probabilmente, anche questo non è il vero centro topografico cittadino.

    Le due citate piazze insistono sull’area dell’antico foro romano, realizzato tra il i sec. a.C. e il i sec. d.C., come ben documentano i ritrovamenti archeologici. Il foro d’epoca imperiale doveva misurare circa 55×160 metri e si sviluppava a nord-est fino a quasi le attuali vie Armorari e Spadari, comprendendo via Cesare Cantù. In direzione opposta occupava tutta l’area di piazza San Sepolcro e l’inizio di via Valpetrosa. Lateralmente era delimitato verso nord-ovest da via dell’Ambrosiana e dai primi metri di via Moneta; dall’altra gli correva accanto tutta via Cardinal Federico con l’imbocco di via delle Asole. In pratica il cuore del foro è stato successivamente occupato, come già detto, dal complesso della Pinacoteca Ambrosiana, dalla Biblioteca Ambrosiana e da ben due chiese, una sopra l’altra: San Sepolcro e Santissima Trinità.

    Oggi i lacerti delle antiche vestigia d’epoca romana si possono ammirare nei sotterranei del Palazzo dell’Ambrosiana, edificio dall’architettura sobria fatto costruire dal cardinale Federico Borromeo tra il 1607 e il 1609, su progetto dell’architetto Lelio Buzzi. Il palazzo, pur lesionato durante i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, ha mantenuto le sue belle forme e le opere d’arte raccolte nella Pinacoteca Ambrosiana sono numerose e preziose.

    Scendendo sotto l’edificio si può vedere una parte dell’antica pavimentazione del foro, costituita da grandi lastre calcaree di rosso ammonitico di Verona. Come recita la bella e agevole guida Milano archeologica. I luoghi di Milano antica: «Sono visibili, inoltre, alcuni gradini in mattoni della scalinata di accesso alle botteghe sotto i portici e due segmenti di pietra di una canaletta di scarico delle acque pluviali. Verosimilmente a ridosso delle tabernae correva una strada parallela all’asse longitudinale della piazza»².

    Le tabernae, ovvero le botteghe, facevano da ala al foro, ma qual era l’aspetto complessivo? Non lo si sa con certezza, perché oramai tante costruzioni moderne ne occupano l’antico spazio. Un’idea la possiamo comunque avere leggendo che cosa ci dice Marco Vitruvio Pollione, nel lontano i sec. a.C., sotto Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (Roma 63 a.C. – Nola 14 d.C.), primo imperatore dei romani:

    I Greci costruiscono il foro su pianta quadrata e lo abbelliscono con fitti colonnati e architravi in pietra o in marmo, al di sopra dei quali ricavano dei soppalchi in travatura per il passeggio. Nelle città italiche invece non vige lo stesso sistema, per l’antica usanza di tenere nel foro gli spettacoli gladiatori. Perciò bisogna che attorno all’area destinata allo spettacolo si dispongano degli intercolumni più spaziosi e tutt’intorno, sotto i portici, sorgano le botteghe dei banchieri con delle balconate al piano superiore opportunamente disposte all’uso e adibite alla riscossione dei pubblici tributi. L’ampiezza del foro dev’essere in relazione al numero degli abitanti affinché lo spazio non risulti troppo angusto né eccessivo rispetto a una popolazione poco numerosa. La sua larghezza sia equivalente ai due terzi della lunghezza, così si otterrà una forma oblunga con una disposizione particolarmente adatta alle esigenze dello spettacolo³.

    In primo luogo il foro è l’area dove si svolgevano i combattimenti dei gladiatori, persone che lottavano contro animali e più spesso tra di loro. Solo successivamente gli scontri si tennero nell’anfiteatro. Costoro erano reclutati, e generalmente per un periodo prestabilito, tra i liberi cittadini, ma anche e soprattutto tra gli schiavi, i liberti, i condannati per reati comuni e i prigionieri di guerra. Sull’argomento esiste un’ampia letteratura, ma a ogni buon conto, ai nostri occhi odierni, non era certo un bel mestiere farsi ammazzare per divertire la gente. La speranza di questi morituri era di poter sopravvivere con successo, guadagnandosi la possibilità di essere affrancati se schiavi e comunque di ottenere lo speciale onore del rudis, il simbolico e ambìto gladio ligneo, nonché cospicue somme di denaro. Gli scontri, anche chiamati giochi, erano così salutati dai gladiatori al cospetto dell’imperatore, o più semplicemente di fronte alla gente, con la frase di rito: «Ave Caesar, morituri te salutant» (Ave o Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano).

    In seguito il foro divenne non solo il centro commerciale, ma anche politico e religioso della città e molto probabilmente anche a Milano fu lo stesso. Con il passare dei secoli e la decadenza dell’impero romano il foro perse la sua importanza e l’area venne occupata da palazzi e case di privati, con la spoliazione di statue e materiali decorativi, spesso costituiti da marmi pregiati. Nel Medioevo il suolo pubblico si privatizzò e soprattutto i vescovi acquisirono le proprietà demaniali destinando l’area dell’ex foro imperiale alla costruzione di edifici religiosi. Fu così che parte della pavimentazione in rosso ammonitico fu prelevata e utilizzata per il pavimento di una nuova chiesa dedicata alla Santissima Trinità. Si tratta di un complesso architettonico religioso singolare nel panorama milanese sia per il pregio indiscusso, sia perché si compone di due sovrapposte chiese e non già di una sola chiesa con cripta sottostante.

    Nel dicembre del 1030 Benedetto Rozo⁴ e la moglie Ferlenda decidono con atto giuridico «l’assegnazione di uno spazio del foro con queste parole: Dono e offro al mio Signore e Creatore la chiesa avviata a costruzione sopra la mia proprietà; essa, collocata al completo nelle vicinanze della mia abitazione, sorge nel nome della Santa Trinità»⁵.

    Nel 1034 il complesso è già stato consacrato e dalla carta di fondazione risulta essere costituito da tre distinti corpi posti su altrettanti livelli:

    leggermente sotto il piano della piazza, una chiesa inferiore o sotterranea, il cui centro esprime un sepolcro simbolico, a ricordo della venerazione del santo sepolcro di Gerusalemme; a livello del suolo, una chiesa superiore, collocata sulle identiche linee di quella inferiore: essa si avvale di un’ampia aula, a tre navate, chiuse da un’abside a forma di trifoglio, e si presenta molto varia per altari e cappelle, allineati su un percorso dedicato alla Passione di Gesù Cristo; a un terzo livello, un’ampia tribuna⁶.

    Successivamente il complesso religioso è intitolato al Santo Sepolcro dal vescovo Anselmo iv da Bovisio per celebrare la conquista di Gerusalemme, avvenuta nel 1099 durante la prima crociata.

    Le vicende edilizie dei secoli successivi mutano le forme originarie, ma la chiesa sotterranea oggi conserva ancora l’impianto a cinque navate separate da esili colonne con capitelli, solo parzialmente alterato da interventi posteriori. Si possono inoltre apprezzare le lastre di rosso ammonitico che ancora coprono buona parte del pavimento; in alcune di esse si notano chiaramente i solchi lasciati dalle ruote dei carri che percorsero l’area del foro.

    Come ulteriore informazione, invitandovi ad andare a vedere la chiesa ipogea, se già non l’avete fatto, si può ricordare che Leonardo da Vinci ha tracciato le piante delle chiese sovrapposte. I due disegni, uno accanto all’altro su di un medesimo foglio, mostrano che gli edifici hanno la pianta identica, come identiche sono le due scale a chiocciola che le mettono in comunicazione tra loro. Il prezioso foglio era custodito nella Biblioteca Ambrosiana, ma poi venne sottratto da Napoleone Bonaparte. Difatti nel 1795 il còrso ordinò di sequestrare numerosi manoscritti leonardeschi facendoli trasferire a Parigi, dove oggi sono custoditi all’Institut de France e non vi è modo di farseli restituire. Bricconcelli!

    Nel Codice Atlantico, fortunatamente ancora preservato alla Biblioteca Ambrosiana, esiste un disegno del maestro che raffigura la pianta schematica di Milano, rappresentata da due cerchi concentrici. Su quello esterno sono tracciate le porte urbane, il castello di Porta Giovia, meglio noto come castello Visconteo-Sforzesco, e alcune misure. L’interno è caratterizzato dalla viabilità principale d’epoca preromana, ancora riconoscibile nella via Alessandro Manzoni, la quale taglia a metà la città con l’asse nord-est sud-ovest. Su questa linea è presente un piccolo punto, segno evidente del centro urbano, e inferiormente, a lato, vi è un quadratino che si vuole rappresenti il complesso dell’Ambrosiana prima dello sviluppo seicentesco⁷.

    E qui torniamo al quesito di partenza.

    Anselmo iv da Bovisio scrisse che la chiesa era situata "in medio huius civitatis", ovvero al centro della città. Successivamente anche san Carlo Borromeo affermò che la chiesa sotterranea fosse il centro di Milano.

    Non per voler contestare le affermazioni di questi illustri personaggi, ma un lecito dubbio è maturato in me nel corso del tempo.

    1 Edizioni dielle, Milano Mezzi Pubblici, Milano s.d.

    2 Anna Maria Fedeli (a cura di), Milano archeologica. I luoghi di Milano antica, Edizioni ET, Milano 2015, p. 27.

    3 Marco Vitruvio Pollione, De Architectura, traduzione di Luciano Migotto, Edizioni Studio Tesi, Padova 1997, pp. 197-199, v, i, 1-2.

    4 In taluni scritti è chiamato Rozzone e non tutte le fonti concordano sulla data.

    5 Mario Panizza, San Sepolcro di Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, De Agostini Libri, Novara 2015, p. 9.

    6 Ivi, pp. 9-10.

    7 «Pianta schematica di Milano, ca. 1508-1510. Penna e inchiostro, 285×210 mm. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, ff 199v/73v-a». In: Frank Zöllner, Leonardo da Vinci, Taschen, Koln 2007, p. 549.

    2. …Il centro urbano è… fuori centro

    Mentre il ix secolo si appresta a lasciare il passo al x, Milano e le circostanti terre di pianura temono per l’arrivo del nuovo esercito di rapina, uno dei tanti che percorreranno la Lombardia e che non sarà certo l’ultimo. Nell’anno 899 forti contingenti di ungari, meglio definibili come magiari, si spingono fino alla Slovenia e penetrano nell’Italia del nord. Allora, come negli anni successivi, scavalcando la sella di Razdrto s’infilano nella valle del Vipacco fino a Gorizia. Al momento l’intento non è di stabilirsi nelle ubertose pianure, ma di saccheggiare gli insediamenti non difesi e saggiare la capacità di resistenza degli eserciti che andranno a incontrare, in vista d’una prossima invasione.

    Con queste parole Liutprando da Cremona (forse Pavia 920 ca. – 972) ci parla della prima calata: «Il sole ancora non aveva lasciato il segno dei Pesci per entrare in quello dell’Ariete, quando essi, raccolto un esercito sterminato, calano in Italia. Oltrepassano Aquileia e Verona, città molto ben protette, e giungono senza incontrare resistenza a Ticinum, che ora è chiamata, con nome più illustre, Pavia»⁸.

    A Milano non recano alcun danno, perché è ben protetta e l’arcivescovo Landolfo i ha provveduto per tempo alle difese, anche radunando gente dal vicino contado.

    Successivamente gli ungari-magiari si convertono al cristianesimo per volere del loro re Vajk (975 ca.-1038), il quale è battezzato all’età di 10 anni assumendo il nome di Stefano i. Difatti alla morte del padre (997) diviene principe d’Ungheria, è incoronato re nell’anno 1000 con la benedizione di papa Silvestro ii e riceve la carica di legato della Santa Sede. Papa Gregorio vii lo canonizza nel 1083 e nel 2000 è fatto santo anche dalla Chiesa ortodossa.

    Perché vi racconto tutto ciò? Nella sacrestia di San Sepolcro è conservato un grande quadro raffigurante proprio santo Stefano d’Ungheria, con tanto di corona in capo.

    Con l’avvento dell’anno 1000 vi è anche un rinnovato interesse per i luoghi della vita e della passione di Gesù Cristo, che dà origine a numerose processioni in Terrasanta. Tale slancio è smorzato da Abū Alī al-Mans.ūr, noto con il nome di al-H.ākim bi-amri llāh (985-1012), sesto califfo della dinastia fatimida e regnante al Cairo dal 996 al 1012. Difatti nel 1008 il califfo ordina che siano confiscati i beni d’ogni chiesa cristiana e di ogni monastero, predisponendo che in seno all’amministrazione dello Stato ogni funzionario cristiano sia sostituito da uno musulmano.

    La repressione, volta soprattutto contro i cristiani, non si arresta a ciò: «Il gesto che doveva segnare maggiormente le memorie, per la sua immensa carica simbolica e le sue incalcolabili conseguenze, è la distruzione nel 1009 della chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme»⁹.

    Ma non vi è solo intolleranza nel corso del regno di al-H.ākim e per dovere di cronaca occorre ricordare anche questo:

    Alcune misure di confisca o di distruzione non furono realmente applicate. Alle volte esse furono perfino revocate. Al-H.ākim permise la ricostruzione di chiese o di monasteri distrutti su suo ordine, concedendo in quell’occasione, i soldi per il lavoro. Alcuni beni ecclesiastici furono restituiti. Vi furono anche dei periodi di grande calma e tolleranza, che segnalano le cronache dei patriarchi di Alessandria, durante il potere dei quali quelli che si erano convertiti all’Islam nei momenti di grande preoccupazione potevano apertamente ridiventare copti […]. Strana incoerenza, è stato detto. O quieto ricordo della madre cristiana?¹⁰.

    Sia come sia, se in Europa si erano da tempo erette costruzioni a imitazione dei sacri luoghi della primigenia cristianità, la repressione religiosa e la rovina del Santo Sepolcro avevano indubbiamente indotto Rozo e sua moglie a imitare il percorso devozionale e spirituale del pellegrinaggio nei luoghi di Palestina, organizzando e costruendo il tutto in un posto meno pericoloso. A Milano, nell’area dell’ex foro, per l’appunto.

    Come scrive Mario Panizza:

    Il documento di fondazione della chiesa milanese della Trinità testimonia infatti un rito particolare che si sarebbe poi conservato per tutto il Medioevo (e che anche recentemente è stato ripreso): da questa chiesa, al sabato santo, prima della veglia pasquale, partiva un sacerdote che recava un lume da portare in cattedrale all’arcivescovo per l’accensione del cero pasquale. È esattamente quello che avveniva nell’antica liturgia di Gerusalemme, dove dalla lampada che ardeva perennemente nel Santo Sepolcro veniva attinto il fuoco per dare avvio alla veglia pasquale¹¹.

    Difatti nella chiesa sotterranea per secoli arse un fuoco sempre acceso, ma non solo, perché Anselmo da Bovisio nel diploma del 15 luglio 1100 fa riferimento a un sacello «costruito a vera somiglianza dell’edicola levata sul Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tale sacello diventerà il centro devozionale dell’intera costruzione, che sarà denominata appunto Santo Sepolcro»¹².

    Oggi si possono vedere due sacelli: uno in marmo istoriato da figure in rilievo è posto di fronte all’altare maggiore, racchiuso in una grande gabbia di ferro con accanto la statuaria figura in preghiera di san Carlo Borromeo; l’altro è situato in una piccola e inaccessibile stanza ricavata all’interno di una delle cappelle laterali.

    Ricostruite per sommi capi le vicende religiose, torniamo al quesito iniziale.

    Dal punto di vista urbanistico è possibile che la primigenia arena dei gladiatori, ovvero il foro imperiale di Milano, fosse stata eretta sull’esatto centro di Milano? Probabile, perché nelle loro ipotetiche ricostruzioni gli archeologi lo fanno rientrare all’interno di un rettangolone di vie normali tra loro, che richiamano l’impianto del castrum.

    Non è che invece fosse, seppure di poche decine di metri, costruito a lato, per lasciare che al centro s’incrociassero i due assi principali, il cardine e il decumano della città primigenia, ovvero della città celta?

    Presso gli antichi romani, ma non solo tra loro, il cardine, o cardo in latino, era la linea in direzione nord-sud tracciata dall’augure nella delimitazione del templum celeste, ovvero lo spazio del cielo o l’area di terra. Presso le popolazioni italiche e i romani l’augure era colui che interpretava il volere degli dèi, o meglio i segni dati dalle manifestazioni naturali, come per esempio quelle atmosferiche, oppure dal volo degli uccelli o altro ancora. Presso le popolazioni celte il ruolo era ricoperto dal druido.

    Sul piano terreste e diciamo per semplicità pratico, il cardo è l’asse viario principale che corre generalmente, ma non necessariamente, da nord a sud stabilendo l’orientamento delle città e degli accampamenti militari. L’altro asse principale è il decumano, che tracciando il percorso rettilineo e generalmente est-ovest s’interseca ad angolo retto con il cardo.

    Cardine e decumano erano le due vie principali sulle quali era costruito il modello urbanistico non solo romano e assieme dettavano le direttrici delle strade laterali minori e generalmente la posizione delle porte lungo il perimetro di una città. In linea di massima all’intersezione dei due assi si costruiva il foro, ma negli accampamenti militari romani, i castra, questo era leggermente decentrato e non veniva certo destinato ai duelli tra gladiatori.

    La questione dell’esatto centro milanese può sembrare come l’andare a cercare il classico pelo nell’uovo, ma non è così, come vedremo provando a rintracciare il centro cittadino e per l’esattezza le origini e il centro della città stessa.

    In primo luogo storici e archeologi concordano su di un punto fondamentale: via Alessandro Manzoni ricalca un asse viario «protostorico»¹³, quindi preromano, ovvero celta. E a ben vedere si tratta del cardine cittadino primigenio, il quale doveva prolungarsi nell’attuale via Cesare Cantù e oltre ancora. Certamente le vie non sono più in asse tra loro e via Manzoni non è perfettamente rettilinea, ma scodinzola un pochino.

    In secondo luogo, guardando la ricostruzione della città in epoca imperiale romana, operata dagli archeologi, vediamo che la città non si presenta con una figura regolare della quale si possa stabilire il punto centrale.

    Di conseguenza prendiamo la prima raffigurazione valida, ovvero la pianta geometrica di Milano conservata a Roma e inquadrabile agli anni Settanta del xvi secolo¹⁴.

    Ora tracciamo una linea compresa entro la cinta medievale dei Terraggi, ovvero la cosiddetta Cerchia interna dei Navigli, in modo che ricalchi il più possibile le attuali vie Alessandro Manzoni, Passaggio Scuole Palatine e Cesare Cantù. Certamente la misura non sarà esatta al metro, visto che i Terraggi sono scomparsi da secoli e noi supponiamo, con una buona approssimazione, che le vie che fanno da circonvallazione ricalchino più o meno i loro fossati. In ogni caso, verso nord-est abbiamo come punto di partenza Porta Nuova, all’incrocio tra via Manzoni e piazza Camillo Benso di Cavour; a sud-ovest abbiamo via Edmondo de Amicis, all’incirca all’altezza del civico 10, a lato di Porta Ticinese. Il tracciato è di circa 2000 metri e la sua metà cade in piazza dei Mercanti, dove insiste il Palazzo della Ragione con il suo mercato coperto. Riprendendo in mano la carta di Milano o accedendo a Google Maps potete anche voi prendere le debite misure. Il centro della facciata della Pinacoteca Ambrosiana è su quest’asse, ma spostato di circa 180 metri dal centro sopra detto.

    Dato che su via Orefici angolo Passaggio Scuole Palatine si affacciava la chiesa dedicata a San Michele al Gallo, assai prossima al punto centrale della città primigenia, è bene lasciarle un po’ di spazio. È sicuramente un luogo a noi sconosciuto, perché scomparso da tempo.

    Oggi lo facciamo rivivere leggendo innanzitutto le parole di un canonico del Seicento, Carlo Torre, contenute nella prima edizione del suo libro: «La Chiesa rifatta, che osservate quasi situata nel mezzo delle due Contrade degli Orefici, chiamasi S. Michele al Gallo; l’Architetto, che la dispose in ordine Corintio, fu Girolamo Quadrio. […] gli Orefici fannovi in una Sala contigua le loro assemblee»¹⁵.

    Il secolo seguente anche il milanese Serviliano Lattuada (Milano 1704 – Milano 1764) ce ne lascia una descrizione dicendo che il rifacimento l’aveva organizzata a navata unica, con tre altari in marmi dai variegati colori, e la cappella di destra era dedicata a sant’Eligio, protettore degli orefici. La facciata era invece

    impolita e ruvida; all’incontro della quale sopra le pareti di Casa secolare, quasi sotto a’ tetti si vedono dipinti a fresco per mano del Bramante tre Quadri, nel primo de’ quali si vede imbandita una tavola con molti commensali; nel secondo vengono raffigurati due Giudici, tratti a forza dal loro Tribunale; e nel terzo una Persona seduta sopra di rozzo Scanno in atteggiamento di parlare con un’altra. Si suppone da molti che tali pitture rappresentino i costumi de’ nostri Cittadini, quando entravano al governo della Città, nel tempo che si teneva in forma di Repubblica; ma per essere indizj troppo oscuri, non ci avanziamo ad afferirlo¹⁶.

    Entrambi gli autori cercano di dare una loro spiegazione al perché si chiamasse al Gallo e la meno improbabile è magari da ricercare nell’ipotetico galletto di bronzo che forse in origine ne ornava la sommità del tetto. Se vi viene voglia di cercare qualche analogia recatevi alla chiesa dedicata a san Giuseppe, situata a poco più di quattrocento metri in linea d’aria, all’incrocio tra le vie Giuseppe Verdi e Andegari. Se alzate lo sguardo vedrete un bel galletto color verderame.

    Valentino De Carlo ci ricorda invece che nelle vicinanze di San Michele al Gallo c’erano la

    contrada e piazza delle Galline. Furono demolite entrambe per fare spazio a un palazzo del Credito Italiano, realizzato da Luigi Broggi nel 1901 con stanco stile eclettico. Il curioso appellativo del luogo aveva questa origine: "Le piazzette, che non ancora accostumavasi di selciarle, tenevasi a prato, e servivano di pascolo alle bestie […]. La Piazza delle Galline (Pasquee di Gainn) non era dunque, come potete immaginarvi, che una corte da pollaio"¹⁷.

    Oggi, se vi capita di passare da via Orefici, magari dopo esservi recati a visitare la chiesa sotterranea, scollate lo sguardo dalle vetrine che catturano i vostri occhi. Coglierete così l’alto arco in pietra che riquadra l’ingresso al Passaggio Scuole Palatine, con la chiave di volta raffigurante lo stemma cittadino. A lato sinistro c’è la caffetteria e gelateria Il Campanile, unico richiamo alla perduta chiesa di San Michele al Gallo.

    Ma non dimentichiamoci del vero o presunto centro di Milano e domandiamoci: com’era la città celta? Com’era disposta nel templum terrestre prima che costruissero San Michele… al Celta? O San Michele… al pollaio?

    8 Liutprando, Antapodosis, Paolo Chiesa (a cura di), Fondazione Lorenzo Valla – Mondadori, Milano 2015, p. 97, ii, ix.

    9 Cristian Décobert, Al-Hakim: il califfo sanguinario, in Philippe Braunstein (a cura di), I viaggi della storia. Le strade, i luoghi, le figure, Edizioni Dedalo, Bari 1988, p. 341.

    10 Ivi, pp. 341-342.

    11 Mario Panizza, San Sepolcro di Milano, cit., p. 11.

    12 Ivi, p. 16.

    13 Donatella Caporusso, Maria Teresa Donati, Sara Masseroli, Thea Tibiletti, Immagini di Mediolanum. Archeologia e storia di Milano dal v secolo a.C. al v secolo d.C., Comune di Milano, Edizioni ET, Milano 2007, pp. 22-23.

    14 «Milano: Pianta della seconda metà del Cinquecento – Roma, Archivio Storico dell’Accademia Nazionale di San Luca» (Gisberto Martelli, La prima pianta geometrica di Milano, Fininvest Comunicazioni, Milano 1994, p. 32).

    15 Carlo Torre, Il ritratto di Milano, diviso in tre libri, colorito da Carlo Torre, Federico Agnelli Scult. & Stamp., Milano 1674, p. 249.

    16 Serviliano Latuada, Descrizione di Milano, tomo quinto, Regio-Ducal Corte per Giuseppe Cairoli, Milano 1751, pp. 135-136.

    17 Valentino De Carlo, Le strade di Milano, Newton Periodici, Roma 1991, pp. 528-529.

    3. …La capitale della Terra di Mezzo comincia da un piccolo cerchio

    Qualcuno afferma che le origini della città celta si perdano tra le nebbie del tempo. Altri, molto più scientemente, dissertano sui dati materiali e tangibili derivati dagli scavi archeologici. Si domandano se Milano, prima dell’arrivo dei legionari romani, fosse o meno una città o più probabilmente se si trattasse solo di un abitato sparso con gente che viveva alla giornata.

    Ma lasciamoci trasportare almeno una volta dalle suggestioni e dalla fantasia, pur rimanendo con i piedi ben piantati a terra, su questa pianura rigogliosa (se non la si cementificasse indiscriminatamente), su questo manto fatto d’argilla, sabbia e ghiaia intrisi d’acqua.

    Certamente nel tempo remoto le grandi acque salse cominciarono a ritirarsi lasciando spazio a quelle più piccole, discese dai rilievi montuosi che fanno da corona alla pianura lombarda. Le acque dolci portarono ghiaia, sabbia e argilla, stratificandosi e sommergendo talvolta quello che aveva cominciato a crescere in modo rigoglioso. Strato dopo strato livellarono grandi spazi.

    E qualcuno cominciò a camminare su questa distesa che s’era fatta solida.

    Ora si tratta d’immaginarsi l’area dove oggi sorge Milano come una pianura particolarmente omogenea, ma non paragonabile a un tavolo da biliardo. A nord cominciano le propaggini degli alti monti della catena alpina, mentre ai lati e a sud è chiusa da tre grandi fiumi, Ticino, Adda e Padus, ovvero il Po, chiamato anche Eridano. Questa è la fertile Terra di Mezzo, la pianura tra le pianure.

    Ed è proprio così che ce la descrive Giuseppe de Finetti nel suo straordinario lavoro sulla città:

    Chi stupisce perché Milano è sorta in un luogo così scialbo e privo di ogni accidentalità caratteristica non ha posto mente al fatto che il suo luogo è equidistante dall’Adda al levante e al Ticino al Ponente, dal Po al sud e dal margine prealpino al nord. È questa giacitura che ha determinato la nascita della città, le ha dato e le mantiene l’importanza primeggiante e la pone tra i grandi scali terrestri¹⁸.

    Si trattava, e in parte lo è ancora, di un territorio piatto sì, ma leggermente inclinato in direzione sud-est, solcato da innumerevoli corsi d’acqua, alcuni di portata così ragguardevole da poter essere considerati dei veri e propri fiumi. Fiumi che le hanno permesso, fino agli anni Sessanta del xx secolo, di essere il quinto porto d’Italia!

    Eppure forse non tutto era stato spianato, livellato dai ghiacciai e dalle acque. Come un porro sulla pelle verde di vegetazione c’era un modesto rilievo che s’innalzava sulle circostanze. Doveva elevarsi di sei, sette metri o comunque non più d’una decina. Aveva una forma tondeggiante del diametro di base di circa 200-250 metri e attorno fluivano naturalmente i corsi d’acqua dolce ricchi di pesci, crostacei e molluschi. Naturale o artificiale? Di ciò se ne parlerà più avanti, ora vediamolo solo come un rilievo interessante.

    Il gruppo di persone che un bel giorno stava attraversando la pianura per cercare un posto dove mettere su casa si guardò bene attorno e che cosa fece?

    Ma giriamo la domanda. Voi che cosa avreste fatto?

    Vi vengo incontro rammentandovi che nella piana c’erano spazi erbosi, fitte macchie di canne di palude, di quelle che ancora oggi crescono nelle aree umide lombarde. Poi il bosco faceva da padrone dando dimora a uccelli, mammiferi come gli scoiattoli, ma pure a branchi di cinghiali e di lupi, con qualche famiglia di orsi.

    Voi vi sareste accampati in riva a un corso d’acqua, laddove le canne crescevano più rade? L’acqua da bere sarebbe stata a portata di mano, ma il terreno avrebbe rimandato parecchia umidità, soprattutto la notte, e nugoli di zanzare avrebbero banchettato con voi. Sarebbero bastati i fuochi accesi per tenere a distanza gli animali?

    Oppure, più saggiamente, non avreste scelto il luogo più elevato? Sareste stati comunque prossimi all’acqua, ma avreste avuto una migliore visuale sulle circostanze, fattore determinante per la prevenzione di qualsiasi sgradita sorpresa. Sareste stati un pochino più in alto di chiunque avesse avuto malevole intenzioni nei vostri confronti, non foss’altro che per sottrarvi le scorte di cibo accumulate per l’inverno, le pelli d’animale conciate e gli utensili fabbricati con perizia e fatica.

    Occupata la sommità della bassissima collinetta avreste avuto modo di apprezzarne i vantaggi e avreste cominciato a mettere su casa tagliando gli alberi, estirpando i cespugli e col tempo anche a innalzare una bella palizzata per tenere fuori dal vostro piccolo villaggio gli animali indesiderati e pure le altre persone che non gradivano d’unirsi a voi in amicizia per fare crescere il villaggio.

    Il primo insediamento è sorto così.

    Col tempo e con l’incremento degli abitanti del villaggio e lo scambio d’informazioni si affinarono le tecniche di costruzione. Le case si fecero più grandi e robuste, si scavarono dei pozzi per non dover scendere ad attingere l’acqua ai torrenti e si costruirono le barche dal fondo piatto per potersi muovere più agevolmente, fino agli stagni e lungo i fiumi. L’acqua è fonte di vita e autostrada a costo zero per il commercio. È la naturale via seguita dalle migrazioni dei popoli nell’antichità.

    La primigenia palizzata ebbe così un’evoluzione. Al primo elemento difensivo dell’elevazione sulle zone circostanti si unì l’acqua, scavando un largo fossato alla base della tondeggiante collina e incanalandovi le acque vicine. La terra estratta venne impilata, stratificata all’interno della palizzata e contenuta con travi e graticci in modo da formare un alto, largo e solido terrapieno. Il cerchio era fatto e gli accessi furono aperti nel perimetro e protetti da portoni di legno massiccio.

    Col tempo e con il progredire dell’ordine si tracciarono nel cerchio, se già non lo si era fatto da subito, due assi viari principali e normali tra loro, il cardine e il decumano, andando a suddividere l’interno in quattro spicchi di terreno uguali.

    L’ipotesi non è così campata per aria e basta ricordare che in molte regioni non solo europee taluni antichi insediamenti erano tanto circolari quanto ellittici, come si avrà modo di leggere più avanti.

    Negli anni Trenta del xx secolo si è utilizzato il termine henges per indicare i terrapieni, non riconducibili a strutture funerarie e inquadrabili tra il iv e il i millennio a.C. Le loro forme, o meglio i loro perimetri, sono circolari ed ellittici. Internamente lo spazio è diviso a metà da una strada a cui corrispondono altrettante porte, oppure due strade tra

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