I tesori nascosti di Napoli
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Napoli è una città complessa, dai mille volti, che rivela subito all’osservatore le sue peculiarità, ma spesso nasconde la propria anima più autentica e preziosa. Così molti tesori legati alla sua storia sono sepolti dalla confusione e difficili da individuare a causa della mancanza di indicazioni: palazzi, cortili, scorci mozzafiato sono preclusi alla vista, ma attendono solo di essere scoperti dal visitatore curioso per rivelarsi in tutta la loro bellezza. Quanti sanno, ad esempio, che a due passi da Porta Capuana sorge un vecchio lanificio, divenuto oggi uno dei maggiori centri culturali della città, il cui splendido cortile sembra avvolgere chi entra proteggendolo dal caos circostante? E il turista – o anche il cittadino napoletano – sa dove trovare le Sette opere di misericordia di Caravaggio? Sa che nell’edificio del Pio Monte della Misericordia, al piano superiore, nella pinacoteca, può sedersi nel palchetto un tempo riservato ai nobili e da lì ammirare il dipinto di Michelangelo Merisi? E ancora, vi sono innumerevoli luoghi che vengono trascurati o esclusi dai più comuni itinerari: come la chiesa di San Vitale a Fuorigrotta, prima tomba di Leopardi; il mausoleo di Sannazzaro; la biblioteca del conservatorio di San Pietro a Majella; la prima chiesa eretta in onore di san Gennaro. In un percorso insolito che si snoda tra strade e vicoli, stanze dimenticate, sagrestie e giardini segreti, questo libro si propone di restituire al lettore lo splendore di una città ricca di patrimoni artistici e naturali troppo spesso ignorati e abbandonati.
Un patrimonio da scoprire, tra strade e vicoli, stanze dimenticate, sagrestie e giardini segreti
La doppia Napoli dalle terrazze del museo Nitsch
Il giardino pensile di Palazzo Venezia
La farmacia degli incurabili
Una Pietà priva di autore
Il Pulcinella disegnato da Titina de Filippo nel san Ferdinando
L’ospedale delle bambole
’E capuzzelle nell’arco dell’orologio di sant’Eligio
La fontana delle zizze
La statua di Totò al rione alto
Una divinità dai molti occhi
Lungo la pedamentina di san Martino
Il chiostro nascosto dell’università
Suor Orsola Benincasa
La grotta e l’antro della sibilla cumana
...e tanti altri tesori da scoprire e riscoprire
Alessio Strazzullo
nato nel 1986 a Napoli, si è laureato in Lettere moderne all’università Federico II. Appassionato di letteratura e musica, ha studiato contrabbasso al conservatorio di Napoli e ha suonato per diversi anni in giro per l’Italia. Collabora con diversi blog, giornali e quotidiani online.
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I tesori nascosti di Napoli - Alessio Strazzullo
1.
LA DOPPIA NAPOLI DALLE TERRAZZE DEL MUSEO NITSCH
A chi la osserva, Napoli offre sempre più di un volto e c’è un luogo, in particolare, dove è possibile godere di due immagini, opposte ma complementari, della città. Due immagini che spiegano la complessità di Napoli, due visioni, due spettacolari panorami. Si tratta di un posto letteralmente nascosto tra le case del quartiere Avvocata, che accoglie così, nel suo ventre antico, il museo Nitsch, legato alla figura del controverso artista viennese Hermann Nitsch. Per arrivarci si deve attraversare il quartiere percorrendo uno dei suoi vicoli più rappresentativi: vico Lungo Pontecorvo. Il museo, costituito grazie alla fondazione Morra, impegnata nella rivalutazione dell’arte nel territorio napoletano, si trova dentro una ex centrale elettrica, rimasta praticamente immutata all’esterno, e riadattata al suo interno per ospitare le opere dell’artista contemporaneo. Oggi lo stabile è considerato un archivio e laboratorio d’arte, un luogo dove si organizzano incontri culturali e presentazioni di libri e progetti. Dalla terrazza su cui affaccia l’ingresso del museo è possibile godere di un’immagine di Napoli da cartolina
, quasi un belvedere: la città si estende come un lenzuolo, fino alle pendici del Vesuvio che domina sul golfo. Qualche nuvola – immancabile intorno al cratere – ne aumenta l’imponenza, mentre tra le case fa capolino l’azzurro del mare.
Per vedere un’altra faccia di Napoli, invece, ci si deve addentrare nel museo, e l’arte di Hermann Nitsch, dura e aggressiva, è capace di far vacillare anche lo stomaco più forte.
Purtroppo il luogo non è per tutti. L’artista è famoso per le sue performance che vedono protagonisti gruppi di persone, carcasse di animali, cibo e litri e litri di sangue. Sono esposti, a portata di mano, gli oggetti utilizzati durante le performance artistiche, e alle pareti le foto e le immagini che documentano le azioni
dell’artista non passano certo inosservate. Ma una volta entrati e superate le prime stanze, se si esce sulla piccola terrazza della sala dove si tengono gli incontri, è possibile cogliere una Napoli del tutto diversa, nascosta, con le costruzioni che si accavallano, le case che si aggrappano l’una all’altra, addirittura due palazzi separati da un gigantesco albero. La vista è straordinaria e questa duplice visione complementare ma anche dicotomica, da un lato la Napoli da cartolina dall’altro il cuore pulsante di un quartiere, offre una chiave di lettura interessante per capire l’intera città.
Uno dei due volti di Napoli visibili dalle terrazze del Museo Nitsch
2.
LA TOMBA DI ALESSANDRO SCARLATTI
Affacciandosi dalla piccola terrazza della fermata della Cumana di Montesanto, si può osservare uno degli scorci più particolari del centro storico. Ristrutturata da poco, la stazione occupa gran parte della piazzetta Montesanto ed è uno dei centri nevralgici del trasporto urbano napoletano. Ogni giorno circa duecento treni si muovono dalla stazione, e circa 60.000 persone usufruiscono del mezzo, una linea ferroviaria antica, inaugurata nel 1892 ma già attiva nel 1889, che ha il compito, ieri come oggi, anche se alle volte in maniera qualitativamente altalenante, di collegare il centro della città alla zona Flegrea.
Lo scorcio di Montesanto, caotico e movimentato durante la giornata, assume connotati quasi misteriosi e lievemente inquietanti dopo il tramonto, complice anche la cattiva illuminazione. Ma non lasciatevi distrarre e, usciti dalla stazione, proseguite sulla sinistra: vi imbatterete in una grande chiesa. È Santa Maria di Montesanto, risalente al XVII secolo e costruita da Pietro De Marino. All’interno, dirigetevi verso la terza cappella a sinistra (difficile notarla se non ve la indica qualche addetto, poiché è nascosta da un cancello di ferro) e dedicate qualche minuto a rendere omaggio alla tomba di Alessandro Scarlatti. Proprio così: nella chiesa è custodita la tomba del celebre compositore, e non molti – anche tra i musicisti più appassionati – ne sono a conoscenza. Non è un caso che la tomba del Maestro sia inserita in una cappella dedicata proprio a Santa Cecilia, patrona dei musicisti, e si trovi accanto a quella di un altro personaggio legato alla storia della musica napoletana, Pasquale Cafaro.
Alessandro Scarlatti intraprese l’attività di compositore nel 1679, a 19 anni. Si era sposato un anno prima, da quel matrimonio sarebbero nati dieci figli, tra cui Domenico Scarlatti, altra grandissima figura legata alla città partenopea. Alessandro arrivò a Napoli nel 1684, dopo essere stato al servizio di Cristina di Svezia, per ricoprire il ruolo di Maestro della Cappella Reale. Nella città in cui rimarranno per sempre le sue spoglie, Scarlatti compone ben 35 melodrammi e una quantità difficilmente definibile di brani per varie occasioni. Il Maestro viaggiò molto: Firenze, dove tentò di entrare nelle grazie di Ferdinando III de’ Medici, Roma, Venezia, Urbino e, intorno agli anni ’20 del 1700, decise di trasferirsi definitivamente a Napoli, ancora considerato un grande Maestro e un personaggio di grande importanza, ma di fatto escluso dal dibattito sulle nuove correnti musicali del tempo. Rappresentante di spicco della cosiddetta scuola napoletana, Alessandro Scarlatti diede un grande contributo non solo alla storia del melodramma ma anche allo sviluppo della musica sacra e strumentale. Nei suoi 35 melodrammi, caratterizzati da un uso elegante del linguaggio musicale, riveste un’indubbia importanza l’atmosfera napoletana: nei 18 anni di permanenza partenopea Scarlatti diede il meglio di sé. Morì nel 1725, nato a Palermo, ma accolto a Napoli, nella vita e oltre con affetto e riconoscenza.
Lo testimonia la lapide che gli addetti alla chiesa sono sempre lieti di mostrare ai visitatori, su cui si legge un’iscrizione in latino che significa:
«Giace qui il cavaliere Alessandro Scarlatti, uomo che si distinse per moderazione, bontà e pietà, eccelso rinnovatore della Musica».
3.
LA SANTISSIMA TRINITÀ NELL’OSPEDALE PELLEGRINI
Via Portamedina, strada stretta e vitale che sfocia poi in via Pignasecca, può essere considerata come una sorta di preparazione al bagno di vitalità e folklore da cui si è magicamente colpiti una volta fatto il primo passo nella famosa stradina del centro storico. Subito dopo piazzetta Montesanto, via Portamedina accoglie sui due marciapiedi – e anche quasi a centro strada a dir la verità – varie bancarelle di ambulanti. Tra i commercianti della Pignasecca si possono ascoltare esclamazioni e discorsi in qualsiasi lingua, e poco prima, esattamente a uno degli angoli della piazzetta su cui si erge l’edificio della stazione della Cumana, un personaggio ormai caro ai napoletani (c’è chi le ha dedicato anche un noto murales) porta avanti la sua attività commerciale
. È chiamata da tutti la bananara di Montesanto
, la vecchietta che vende banane all’inizio di via Portamedina, al centro di un viavai continuo, di un flusso inarrestabile di vite, studenti, professionisti, che magari prima di tornare a casa si fermano a prendere un caffè dal poco distante Scaturchio, famoso bar che affaccia sulla strada.
E se stupisce che, sul lato sinistro della strada, nel bel mezzo di questo caos fatto di vestiti e scarpe in vendita, tra la moltitudine di lingue e parole in napoletano e in cinese, tra volti che si fondono e l’odore del pesce fresco che viene dal fondo della strada, sorga un ospedale importante, stupisce ancora di più che all’interno del cortile di quest’ospedale ci sia una grande chiesa monumentale.
Una doppia scalinata ornata da due statue rende imponente la facciata, l’ingresso affaccia sul cortile dell’ospedale, tutto intorno le finestre da cui si sporgono infermieri e medici creano un’atmosfera tutta particolare. La struttura fu rifatta nel 1751 sulla base della precedente costruzione risalente addirittura al 1589. Le due statue, San Gennaro e San Filippo Neri scolpiti da Angelo Viva, accolgono le persone nel cortile che spesso, data la situazione (siamo pur sempre in un ospedale), nemmeno fanno caso alla chiesa. Quando nel 1751 si diede inizio ai lavori seguendo il disegno di Giovanni Antonio Medrano, nessuno poteva immaginare che la facciata e la navata sarebbero state terminate dal grande Carlo Vanvitelli sul finire del ’700. E Vanvitelli ebbe l’idea di creare la chiesa su una pianta decisamente inusuale: due ottagoni uniti da un rettangolo. Si pensa che fosse un chiaro riferimento alla Trinità, e soprattutto un modo per rompere con la tradizionale cultura classica, mescolando luogo sacro e spazio dedicato ai fedeli. Dietro l’altare maggiore, al di sotto di un arco, la scultura di Angelo Viva lascia intravedere uno spazio vuoto usato come oratorio dalla confraternita. Bellissimo il gruppo di sculture in stucco, purissimo nel colore bianco, e maestoso, anche perché posto in alto. Suggestivi i particolari delle nuvole vaporose su cui si muovono gli angeli, e la Trinità, con il Cristo che porta la croce poggiata su una spalla ma che sembra anche sorreggersi a essa come fosse un bastone, il Padre seduto con il capo adornato da un’aureola triangolare e lo Spirito Santo, quella colomba che scende dal cielo, splendente di raggi dorati.
4.
TE VOGLIO BENE ASSAJE. L’OTTICA SACCO
Via Domenico Capitelli è una via stretta del centro storico, che dopo pochi metri rivela improvvisamente agli occhi di chi la percorre lo spazio aperto di piazza del Gesù Nuovo. Al numero civico 35, una targa ci racconta una storia particolare legata a uno dei tesori della canzone napoletana: Te voglio bene assaje.
«Questa sua onorata bottega Raffaele Sacco ottico poeta scienziato accademico inventore allietò del canto di Te Voglio Bene Assaje la prima canzone che con le melodie di Gaetano Donizetti nel 1835 movendo l’estro popolare fece della tradizionale Piedigrotta la festa di Napoli canora fascinosa nel mondo». La targa si trova al di sopra dell’insegna del negozio di ottica ancora gestito dai discendenti di Sacco, riconosciuto come autore della bellissima canzone.
Te voglio bene assaje è una delle canzoni più famose e importanti della cultura napoletana, e già dalla prima diffusione fu avvolta da un alone di mistero, che forse contribuì a decretarne il successo. Quando iniziò a farsi strada tra le genti di Napoli, nessuno sapeva chi fossero gli autori, e c’era grande curiosità in proposito. Carlo Raso, nel suo libro Napoli. Guida musicale, riporta un brano del musicologo Marcello Sorce Keller in cui si parla proprio della canzone in questione. Tra i contributi riportati da Keller, Cesare Cantù, storico, letterato e politico, racconta di come fu accolta la canzone. Pare che, prima di divenire famosa in tutta Italia, Io te voglio bene assaje fosse cantata a Napoli sia dal popolo che dai cittadini più ricchi, e addirittura dai nobili. Era fortissima la curiosità, racconta Cantù, di scoprire chi fossero gli autori del testo e della musica, ma, sebbene il pezzo fosse recente, nessuno riusciva ad attribuire una paternità certa. Addirittura era nato uno spettacolo teatrale la cui trama ruotava intorno al mistero di Io te voglio bene assaje e sui suoi autori sconosciuti. Oggi una storia del genere è difficile da immaginare, ma provate a pensare che cosa succederebbe se una grande hit, che tutti cantano e che si può ascoltare ovunque, non avesse autore. Nell’ottima ricerca di Keller compare anche un altro contributo, quello di Luigi Settembrini, che, tra le tre invenzioni del 1839 considerate importanti, accanto alla ferrovia e all’illuminazione a gas cita anche Te voglio bene assaje. L’autore della musica, invece, doveva essere il grande Maestro Donizetti, almeno secondo Salvatore Di Giacomo. Mentre ormai si è attribuita con certezza la paternità del testo a Sacco, sulla musica sussiste il dubbio: Donizetti non la nomina mai, né ne fa alcun cenno nei suoi scritti o nelle corrispondenze.
Più accreditata è la teoria che farebbe risalire la composizione della musica a Filippo Campanella, amico tra l’altro dell’ottico Sacco.
Altro dubbio è quello sull’anno di creazione, 1835 o 1839?
La canzone ha un’importanza fondamentale nella storia della musica napoletana, proposta per la prima volta durante la festa di Piedigrotta, colpisce ancora oggi per la leggerezza con la quale racconta di una storia d’amore, di una passione non corrisposta, con quella malinconia colorata d’amaro sorriso tutta napoletana.
5.
L’ENIGMA DEL GESÙ NUOVO
In piazza del Gesù è possibile imbattersi in un tesoro nascosto e misterioso. L’aspetto forse più affascinante dell’intera questione è che tale tesoro è in realtà in bella vista, scolpito su una delle facciate più famose di Napoli. E non solo di Napoli, se consideriamo che per un periodo (precisamente dal 1976 al 1984) la facciata fu ritratta sulla banconota da 10.000 lire. Migliaia di persone attraversano ogni giorno la piazza, alzano lo sguardo verso la chiesa, probabilmente avvertono qualcosa, vittime di una strana sensazione, ma proseguono oltre, nella frenesia della giornata. Guardando la facciata, in effetti, si può provare un pizzico di straniamento, soprattutto se ci si allontana e la si osserva dalla distanza, tenendo l’obelisco sulla sinistra. La chiesa fu fatta erigere da padre Giuseppe Valeriani per l’ordine dei gesuiti tra il 1584 e il 1601 sull’antico palazzo Sanseverino. Quando la costruzione fu terminata, l’esterno era rimasto quasi immutato rispetto al palazzo dei principi di Salerno: una grande facciata a bugne piramidali in piperno. Da lontano, come abbiamo detto, la costruzione stupisce, ma è avvicinandosi alle bugne che il tesoro misterioso si mostra: al di sotto delle piccole piramidi, qualcuno ha inciso dei segni, ancora visibili. Quando si provò a trovare una spiegazione per
quelle incisioni, la tesi più plausibile fu che servivano a identificare le cave di provenienza dei blocchi di piperno. Ma non fu certamente l’unica spiegazione proposta: esoterismo, alchimia, misteri rinascimentali e leggende. I simboli potevano essere collegati a delle proprietà magiche delle bugne, che sistemate correttamente sulla facciata, avrebbero dovuto far convergere sulla costruzione energie positive e protettrici. Che sia quindi legata a un errore nella disposizione delle bugne la serie di calamità che ha dovuto sopportare l’edificio? L’incendio, i crolli della cupola, senza considerare poi le confische dei beni dei Sanseverino e la cacciata dei gesuiti… Che tutte queste sventure siano ricollegabili all’errore dei costruttori che, disponendo male le bugne, attirarono sull’edificio energia negativa e maledizioni?
Nel 2010 uno storico dell’arte, Vincenzo De Pasquale, ha proposto un’altra tesi. Aiutato dal musicologo Lòrànt Réz e dal padre gesuita ungherese Csar Dors, ha spiegato come la facciata della chiesa possa essere considerata un vero e proprio spartito musicale. I segni non sarebbero quindi riferimenti all’occulto e all’universo esoterico, ma lettere in aramaico, sette in particolare – sì, proprio come le note musicali – che si ripetono sulla facciata. Uno spartito musicale da leggere da destra verso sinistra. Questa interpretazione, a opera di Lòrànt Rénz, ha portato alla trascrizione del concerto per organo. Musica rinascimentale, ha detto De Pasquale, che segue il modello gregoriano. Enigma è stato intitolato, e a guardare la facciata del Gesù Nuovo, mentre la gente attraversa la piazza affollata, non si può far altro che pensare che mai titolo fu più azzeccato.
La facciata a bugne piramidali della chiesa del Gesù Nuovo
6.
LE ANTICHE TERME IN SANTA CHIARA
Doveva essere spettrale la vista della grande basilica scoperchiata. I bombardamenti ne avevano distrutto il tetto, la struttura sembrava quella di un gigantesco essere colpito a morte, ferito senza alcuna possibilità di salvezza, riverso e morente sotto il sole di una città devastata. I bombardamenti per Napoli furono come cazzotti inferti dal più grande pugile, colpi letali per la bellezza della città. Era il 4 agosto del 1943 quando le bombe incendiarie, cadendo dal cielo, lasciarono una basilica di Santa Chiara irriconoscibile. Fino ad allora la chiesa di origini trecentesche era stata – tra l’altro volutamente – modificata fino a diventare uno dei più grandi tesori di Napoli. In particolare, negli anni ’40-’60 del XVIII secolo, era divenuta un capolavoro unico, grazie ai lavori di Domenico Antonio Vaccaro, Gaetano Buonocore e Giovanni Del Gaizo. La basilica bruciò senza sosta per quasi due giorni, irrimediabilmente danneggiata. Crollò completamente il tetto, distrutte per sempre le decorazioni e gli affreschi di Paolo De Maio, Giuseppe Bonito, Sebastiano Conca e Francesco De Mura. Osservare le fotografie storiche della sua distruzione mette ancora i brividi.
La basilica sorge a due passi dalla chiesa del Gesù Nuovo, su via Benedetto Croce. L’interno è davvero affascinante, con il suo spazio unico, ampio e semplice. Tanti sono i tesori nella basilica, molti i sepolcri di personaggi illustrissimi. Tra questi, Antonio Penna, Agnese e Clemenza di Durazzo,