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Afrodisiaco mediterraneo

ra i diversi esponenti del mondo vegetale, il cappero si distingue per i suoi gusti particolari: ama il caldo, l’esposizione al sole cocente, prospera sui terreni aridi e riesce addirittura ad attecchire nelle fenditure dei muri. Non stupisce dunque che questa pianta si trovi perfettamente a suo agio lungo le assolate coste mediterranee; ma c’è un’isola nel in cui il cappero ha trovato un vero, varietà , , che produce un germoglio tondeggiante, di colore verde che tende al senape man mano che aumenta di dimensioni. Il sapore del prodotto lavorato è intenso, salato e quasi piccante, e si presta benissimo a esaltare il sapore di altre pietanze, l’unico limite agli abbinamenti possibili è il gusto personale. Inoltre si ritrova in diverse salse, come la salsa verde e il pesto alla pantesca. Meno conosciuti ma altrettanto prelibati sono i , ovvero i frutti della pianta del cappero. Il loro sapore più delicato consente di consumarli anche da soli e li rende un’ottima alternativa alle olive durante l’aperitivo. Nell’antichità i capperi erano molto più di un alimento: il loro consumo era infatti legato anche a fattori che andavano oltre alla mera gastronomia. Numerosi autori del mondo greco e latino ne esaltavano infatti le proprietà medicinali. Il primo a farlo è stato Ippocrate, vissuto a cavallo tra V e VI secolo a.C., sostenendo che foglie e corteccia di questa pianta fossero utilissime contro le fistole e che fossero anche molto utili alla salute della milza. Sulla sua scorta, per molti secoli un gran numero di autori (come Dioscoride, Catone, Plinio il Vecchio, Celso e Galeno) hanno considerato la pianta di cappero e i suoi germogli un vero toccasana per diverse malattie. La Bibbia ci fa apprezzare un’altra qualità del nostro pregiato bocciolo: all’interno del libro dell’Ecclesiaste [12:5] troviamo infatti scritto: “Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi […] quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto”. In questo passo che esorta a onorare Dio sin dalla giovinezza, il cappero sembra essere considerato un afrodisiaco, poiché la parola ebraica che lo designa () indica anche “l’appetito sensuale”. Queste due virtù (quella medicinale e quella afrodisiaca) sono state riconosciute ai capperi almeno fino al XVII secolo: Domenico Romoli detto Panunto, nel suo trattato culinario , scriveva infatti “… quei che mangeranno [capperi, ] non hauran dolore di milza, ne di fegato… son contrari alla melanchonia, proucano l’ourina…”, affermando inoltre che “fan vivace il coito”. Il primato pantesco nella produzione del cappero è riconosciuto sin dall’Ottocento: nel saggio di Pietro Calcara , edito nel 1855, viene riconosciuto il valore economico commerciale del cappero per la società pantesca di allora: “Nella costa del mezzogiorno dell’isola e sulle rupi aride cresce spontaneo il cappero, del quale i poveri raccolgono i bottoni nel mese di luglio ed agosto pria della fioritura, e li vendono ad una classe di persone che dopo averli divisi secondo la grossezza li premono in salamoia e in aceto e poscia li mettono in commercio”. La produzione e la commercializzazione su scala nazionale vennero avviate a partire dal 1949 nelle contrade di Scauri e Rekale, ma fu negli anni ’70 che gli agricoltori si riunirono in Cooperativa e l’elevata produzione consentì ai commercianti di far conoscere questo prodotto tipico nel mondo.

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