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Il bibliotecario francese
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E-book241 pagine3 ore

Il bibliotecario francese

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In un lontano futuro in cui un evento secolare noto come Grande Depressione continua a lasciare il segno in gran parte del globo, in un piccolo Stato dell'America Centrale dalle pittoresche spiagge, ma devastato dall'estrema povertà, si accende la speranza. Una fondazione americana senza scopo di lucro costruisce il presidio sanitario Arcoiris ad Habanita, città di La Floresta fino ad allora priva di qualsiasi assistenza medica. Adriana e Nico sono fratelli gemelli, due ragazzi portoghesi che partono per raggiungere la cittadina come infermieri volontari. Nonostante siano cresciuti nel sempre più esiguo mondo della benestante borghesia di Lisbona, hanno a cuore le persone che soffrono. Nel viaggio oltreoceano sono accompagnati da Alberta, la tata che li ha cresciuti, che parte come operatrice socio-sanitaria. La donna è disposta a qualsiasi sacrificio, a causa di un segreto che si porta dietro da moltissimi anni, pur di proteggerli in un mondo che si rivelerà pericoloso e infido. Infatti Nico e Adriana scopriranno che niente è come sembra nell'ambiente che li circonda, specialmente nel luogo in cui più erano certi che dovesse regnare l'amore per il prossimo: altruismo e abnegazione che nascondono arroganza e alterigia, codardia mascherata da gentilezza e perbenismo e l'amore che la ragazza crede di aver trovato in un giovane e brillante medico si rivela un pretesto per la realizzazione di secondi fini. Coinvolti loro malgrado in una vicenda dagli oscuri contorni a causa dell'improvviso e inaspettato decesso di un paziente, l'unica via d'uscita in un ambiente degradato e decadente ai limiti della sopravvivenza la troveranno in un singolare, misterioso e burbero anziano di origine francese: il bibliotecario di Habanita, che all'inizio sembrerà addirittura farsi beffe della loro ingenuità. In quanto la risoluzione del caso si rivela strettamente legata ad un grande evento scacchistico in grado di risollevare le sorti della piccola repubblica caraibica, Adriana e Nico matureranno al punto da compiere una scelta che cambierà radicalmente le loro vite.

La storia qui raccontata è di pura fantasia. I personaggi e le vicende che li coinvolgono sono inventati, così come sono inesistenti i paesi caraibici menzionati nel corso della narrazione. Ogni rifermento a fatti o personaggi reali è puramente casuale
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2016
ISBN9788892548817
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    Anteprima del libro

    Il bibliotecario francese - Giusy Mammana

    90

    Prologo

    In una magnifica tenuta che si affacciava sul mare di un piccolo paradiso caraibico si stava svolgendo una festa sfarzosa. I balconi e le terrazze erano ricoperti di fiori e il cortile era sormontato da luminosi archi bianchi carichi di fiori di tiarè, che diffondevano il loro dolce profumo tra tutti gli invitati. L'allegria era palpabile tutt'intorno, mentre una persona soltanto non riusciva a celare la propria immensa tristezza. In altre circostanze però avrebbe potuto davvero sentirsi felice. Doveva pensarci prima, rifletteva, prendendo altre decisioni. Quelle giuste. Non che non ne avesse avuto modo, anzi. E ora il tempo stava per scadere. Per questo motivo non scese in cortile dove tutti si trovavano a festeggiare. Rimase nell'edificio principale della tenuta con il portone chiuso dietro di sé.

    CAP. I

    Le spiagge di Habanita erano limpide e luminose, un vero paradiso naturale che non conosceva il turismo di massa. Le uniche persone che le frequentavano assiduamente erano i pescatori locali e qualche volta vi andavano anche i ragazzini dei vicini villaggi per giocare, ma soltanto dopo il termine della quotidiana battuta di pesca dei loro genitori. Nonostante le meraviglie della natura Habanita non rappresentava affatto un'attrazione turistica, a causa dell'estrema povertà che regnava nel luogo e della conseguente mancanza di adeguate infrastrutture per eventuali visitatori. Era una delle città più povere dello Stato caraibico di La Floresta. Niente hotel, ma solamente una squallida pensione, tra l'altro situata a svariati chilometri dall'area marittima, niente negozi dalle accattivanti vetrine, nessun ristorante e neppure una pizzeria. L'unico locale in cui era possibile consumare un pasto fuori casa era l'osteria che faceva parte della locanda, frequentata per lo più da camionisti in sosta, provenienti dalle regioni confinanti dell'America Centrale. Vi era un solo mezzo di trasporto pubblico, che consisteva in uno squinternato autobus che svolgeva due corse al giorno, dal lunedì al venerdì, peraltro sempre in ritardo rispetto all'orario da osservare. Ma la più grave carenza di Habanita era caratterizzata dall'assenza di ospedali, studi medici e unità di soccorso, eccettuata una piccola ma efficiente struttura nelle vicinanze della spiaggia, il Centro Arcoiris, che possedeva attrezzature sanitarie moderne. Vi era la presenza di medici ed infermieri in via continuativa. Infatti, nell'edificio era stato costruito un reparto appositamente destinato a loro abitazione, situato al secondo piano, che comprendeva quattro stanzoni, tutti dotati di letti a castello, ciascuno con moderni bagni all'interno. Due delle camere erano utilizzate dal personale maschile, una dai medici e l'altra da infermieri e altri operatori. Le stanze femminili ripetevano lo stesso schema. Soltanto il direttore sanitario disponeva di un appartamento tutto per sé, che occupava l'intera mansarda del terzo ed ultimo piano dell'edificio. La cucina per la preparazione dei pasti sia per i ricoverati che per il personale che vi lavorava si trovava al secondo piano, quello dei dormitori. Il pian terreno comprendeva studi medici, il pronto soccorso, una sala operatoria, l'area ricoveri ed una stanza dedicata al personale infermieristico con annessi due spogliatoi. All'ingresso, a sinistra del corridoio che conduceva agli studi medici, vi era una grande hall con tavoli, sedie, un armadio contenente alcuni giochi di strategia e un distributore automatico di caffè. Un luogo di ritrovo che permetteva al personale di rilassarsi in compagnia durante gli esigui momenti di pausa. Nel cortile che circondava l'edificio una discesa conduceva ad un seminterrato che fungeva da magazzino. Il Centro Arcoiris era stato costruito pochi anni prima e nettamente riformato durante l'ultimo, fino a diventare abbastanza confortevole, grazie ai fondi di un'associazione americana senza scopo di lucro. I medici, gli infermieri e gli altri operatori reclutati dall'amministrazione della fondazione erano tutti volontari stranieri. Non c'era nessun abitante di Habanita con la qualifica di infermiere, né tantomeno di medico. La maggioranza della popolazione dai diciotto anni in avanti era analfabeta, in pochi possedevano la licenza elementare e solo qualche fortunato che studiasse nel liceo della città vicina riusciva ad ottenere un diploma. Ad Habanita c'era soltanto una scuola elementare, le cui lezioni per le otto classi che completavano il primo ciclo di studi erano tenute dall'unico maestro della città in una baracca costruita con materiali di fortuna. Durante i forti temporali che di quando in quando si abbattevano sulla zona, la scuola non faceva altro se non imbarcare acqua, che oltre ad entrare dai precari infissi cadeva perfino dal soffitto.

    CAP. II

    Gli abitanti di Habanita erano quasi tutti pescatori, sempre al limite della sopravvivenza. La città non era molto popolosa perché le malattie, soprattutto la malaria e la dengue, anno dopo anno avevano decimato la popolazione. Ma il Centro Arcoiris aveva migliorato la qualità della vita della gente, che per la prima volta aveva accesso ai servizi sanitari. Non si moriva più per una banale appendicite o per una dengue e per chi fosse colpito da un attacco di cuore cominciavano ad esserci buone speranze di sopravvivenza. Le persone che accorrevano al presidio in cerca di soccorso sanitario rappresentavano una presenza costante. A volte arrivavano di notte, bussando disperatamente, finché il portinaio notturno, che immancabilmente si addormentava tra una sedia e un tavolino dopo neppure un'ora di veglia, si svegliava di soprassalto e apriva sospirando. Solitamente nelle ore piccole si trattava di malori di una certa importanza o di donne incinte in procinto di dare alla luce. Il supervisore Trent, medico internista, sapeva essere sempre sollecito e particolarmente abile nel risolvere qualsiasi situazione, anche la più grave. E aveva sempre una parola gentile e di incoraggiamento per ogni paziente. Fu proprio questa sua attitudine che colpì positivamente l'infermiera portoghese Adriana. Lo reputava talmente altruista e nobile d’animo che aveva finito ben presto con l'innamorarsi di lui. Il fatto che poi Trent vantasse grandi occhi azzurri, capelli biondi e lisci da californiano e un fisico spettacolare, lo rendeva il classico principe azzurro di antiche favole che la madre di Adriana spesso leggeva quando lei e suo fratello erano piccoli.

    CAP. III

    Data la quotidiana vicinanza sembrava facile riuscire a conoscersi l'un l'altro molto in fretta ma Adriana e Trent non trascorrevano insieme la maggior parte delle poche ore libere che l'attività concedeva loro. Lui preferiva le partite a scacchi con i colleghi in grado di giocare da professionisti alle passeggiate in spiaggia. Giocava con il portinaio notturno, che si dimostrava molto più abile come scacchista che come guardiano in attesa delle emergenze, con Mark, uno dei volontari infermieri americani, con il magazziniere, ma preferibilmente con il professor Podger, l'infettivologo e medico legale inglese, il direttore del Centro, che possedeva la qualifica di Grande Maestro Internazionale. Se solo Adriana avesse saputo giocare! Comunque non le sembrava di essere indifferente a Trent, almeno non del tutto. Le piacevano le loro brevi chiacchierate divenute sin da subito confidenziali, seppure immancabilmente interrotte dalla solita fatidica emergenza. Vero era che allora lui iniziava ad incupirsi, ma poteva essere solo un’impressione. Dopotutto con i pazienti non perdeva mai la calma, neppure quando si dimostravano sgarbati. Quasi ogni volta che la situazione si faceva più difficile lui chiedeva il supporto di Adriana, che non temeva mai di dover sforare nei turni, in via indicativa della durata di otto ore ciascuno.

    -Sei una brava infermiera, il tuo aiuto è stato fondamentale- le diceva spesso. Vero era però che in certi momenti i suoi sbalzi di umore la spiazzavano, ma che importava? Dopotutto il suo non era un compito facile, anzi aveva sulle spalle le maggiori responsabilità. Era comprensibile, dopotutto era il supervisore. Altrettanto vero era, però, che verso l’operato di Malinka, l'infermiera haitiana, non aveva mai grandi pretese. Anzi, lasciava sempre correre, anche se la bella ma pasticciona ragazza più che di aiuto era di intralcio. Spesso confondeva addirittura i nomi dei medicinali, al punto che l'operatrice socio-sanitaria Alberta arrivava a chiedersi in quale antro la maldestra ragazza avesse studiato scienze infermieristiche o quanto la famiglia di lei, qualora fosse ricca, avesse sborsato per farle ottenere la laurea e soprattutto che cosa fosse venuta a fare in un’istituzione benefica posta in un paese disagiato. Man mano che il tempo passava, sempre più spesso Trent trovava più che naturale affibbiare la responsabilità dei disguidi cagionati da Malinka ad Adriana. Dopotutto quest'ultima aveva una laurea quinquennale anziché triennale, secondo il nuovo modello europeo e un po' di esperienza lavorativa, quindi secondo lui avrebbe dovuto vigilare costantemente sull'operato di quella volenterosa giovinetta. Anche nel caso del pieno dei ricoveri, in cui per forza di cose le due infermiere si trovavano in stanze diverse con pazienti diversi.

    Ad Alberta il medico internista californiano non piaceva affatto. Sembrava essere l'unica ad accorgersi delle sfaccettature del suo carattere, perché gli altri colleghi sembravano non notare nulla di anormale o forse facevano finta di nulla e Adriana, sinceramente innamorata e fiduciosa, non riusciva a vedere o forse si rifiutava di credere a quel che per Alberta, molto più matura per età ed esperienza, era evidente. E poiché la donna percepiva l'avvicinarsi di oscure nubi all'orizzonte, tentò di convincere la ragazza a tornare in Portogallo. Il periodo di permanenza di ogni volontario era relativamente libero da vincoli, in virtù di una clausola dello statuto della fondazione che aveva dato vita al Centro Arcoiris. Ai sensi della normativa, chiunque, medico o infermiere o altro operatore, una volta completate tre settimane di permanenza, sarebbe potuto tornare a casa, anche avendo firmato un contratto di reclutamento che prevedesse tempi più lunghi. Adriana si trovava lì già da un mese e avrebbe dovuto rimanervi per altri due. La popolazione del luogo era molto bisognosa e lei non voleva andarsene. Alberta insisteva perché intravedeva scenari oscuri. Le incompetenze di Malinka e l'atteggiamento di Trent non lasciavano presagire nulla di buono. Se Alberta non aveva fatto rapporto della situazione al direttore fu soltanto perché i molti anni di esperienza le avevano insegnato che sarebbe stato del tutto inutile. Il professor Podger e il supervisore sembravano molto legati. A chi avrebbe creduto il direttore? Ad una semplice operatrice sanitaria o al suo amico, un brillante e competente medico internista?

    Ma Adriana non voleva proprio saperne di tornare in Portogallo. Era sicura che la preoccupazione di Alberta non avesse alcun fondamento. Ed era vero che aveva a cuore la popolazione di Habanita, ma voleva restare anche per Trent. Oltretutto da lì a poco sarebbe arrivato al Centro anche Nico, suo fratello gemello, anche lui infermiere. Desiderava presentargli Trent possibilmente già come l'uomo che, ne era quasi sicura, avrebbe un giorno sposato. Adriana era speranzosa, era sicura di avere trovato, insieme ad un lavoro che le permetteva di aiutare gli altri, anche l'uomo della sua vita.

    CAP. IV

    Effettivamente c'erano stati dei momenti in cui Trent era sembrato essere sul punto di dichiararsi, come quella mattina in cui dalla finestra del suo studio medico guardavano la spiaggia in lontananza. Lui le sorrideva, le diceva quanto importante la sua presenza fosse diventata in quel luogo, che senza di lei non sarebbe stato lo stesso. Le aveva poi accarezzato i lunghi capelli castani chiari. Adriana si era sentita come se stesse camminando a un metro da terra. Pochi momenti in cui si erano fermati a chiacchierare dopo la consueta firma che ogni infermiere dopo l'orario di servizio doveva obbligatoriamente rilasciare al medico internista, che a sua volta avrebbe compilato il quadro dei turni per inviarlo online all'amministrazione centrale facente capo agli Stati Uniti. Pochi momenti prima della consueta partita a scacchi di Trent con qualche collega, preferibilmente il professor Podger, quando si era invece presentata l'emergenza del momento: stavolta si trattava di un gruppo di anziani colpiti da dengue. Tale malattia era comune in un luogo come Habanita, infestato in determinati periodi dell'anno dalle zanzare haedes aegypti. La popolazione del luogo in genere era troppo povera anche solo per permettersi di comprare il repellente adeguato, venduto nell'unica farmacia che si trovava nel centro della città, dunque era normale che nella stagione di proliferazione di quegli insetti al Centro arrivasse sempre qualcuno che era stato punto. Comunque, la dengue non soleva essere una malattia mortale, non più da quando nella zona era presente il Centro Arcoiris, nonostante la sintomatologia fosse importante e ogni paziente necessitasse di attenzioni sanitarie consistenti. Oramai raramente si evolveva nella forma emorragica e da almeno un anno non c'erano stati più casi del genere. Le cure per la dengue potevano tranquillamente essere dispensate dagli infermieri, che in tali occasioni se la cavavano egregiamente anche senza la presenza dei dottori, generalmente impegnati nei casi più gravi. Tutti riuscivano, tranne ovviamente Malinka, che non faceva altro che sovraccaricare il compito di Adriana. La maldestra infermiera spesso e ben volentieri faceva accorrere Trent, che in quei casi lasciava il suo studio medico per accorrere all'area dei ricoverati e immancabilmente finiva con il rimproverare Adriana per le manchevolezze di Malinka, che neanche a dirlo, si trovava sempre abbinata nei turni con lei per volontà del bel dottore. Alberta, che spesso si imbatteva davanti a tali incresciose situazioni, scuoteva il capo e ad ogni occasione disponibile persisteva nel cercare di convincere Adriana di tornare a casa. Ma invano. Non che la ragazza non riuscisse del tutto a rendersi conto della preferenza di Trent per Malinka, ma l'amore l'aveva resa cieca al punto tale da rifiutarsi di guardare in faccia la realtà. Alberta però si rendeva conto che tale situazione, specie in un ambito professionale come quello sanitario in cui sono in gioco la salute e la vita delle persone, poteva ben presto convertirsi in una vera e propria fonte di guai.

    CAP. V

    Alberta non era una conoscenza acquisita da Adriana nel centro: lavorava da tempo immemorabile come governante e infermiera per la famiglia della ragazza. Vi era entrata inizialmente come baby-sitter quando lei e il fratello gemello erano appena nati e una volta cresciuti i bambini aveva mantenuto l'impiego nella casa, passando da tata a governante. Quando Adriana e Nico avevano deciso di candidarsi come volontari per andare ad Habanita, anche lei l'aveva fatto. I due fratelli desideravano dare una mano a migliorare le condizioni di vita della popolazione di quel luogo bellissimo ma privo di conforti. Alberta sarebbe partita con Adriana, mentre Nico le avrebbe raggiunte il mese successivo, per avere il tempo di terminare il contratto lavoro a termine in una clinica di Lisbona. Alberta era assolutamente convinta che entrambi i ragazzi avrebbero avuto bisogno di lei in un paese tanto disagiato e così lontano dal Portogallo. Anche se l'idea era quella di trascorrervi solo tre mesi temeva che i due giovani pieni di ideali, una volta confrontatisi con una realtà molto dura, si sarebbero persi d'animo nel giro di pochi giorni. Ideali e aspettative spesso collidevano con i fatti. Adriana e Nico erano cresciuti in una famiglia agiata in cui il padre era banchiere e la madre commerciante di tessuti pregiati. Non avevano la minima idea di come fosse davvero la vita in un paese del terzo mondo. Non conoscevano neppure la vera realtà dei quartieri poveri di Lisbona! Ciononostante sin da piccoli avevano sempre mostrato empatia nei confronti del prossimo necessitato, atteggiamento in genere sorprendente in due ragazzini cresciuti in una casa ove due genitori pieni di sé mostravano unicamente superbia e arroganza verso chiunque fosse socialmente inferiore a loro. La loro scelta di studiare scienze infermieristiche era stata alvo di pesanti conflitti in famiglia. I genitori avrebbero voluto che intraprendessero gli studi di economia, ma di fronte alla decisione dei figli, oramai maggiorenni e disposti a cercarsi un lavoro qualunque per mantenersi da sé e potersi pagare il corso di scienze infermieristiche, avevano ceduto. L'idea di rendersi autonomi era stata suggerita in segreto da Alberta, che sapeva, oramai conoscendoli, che i padroni di casa non avrebbero mai tollerato il vedere i figli guadagnarsi da vivere come comuni operai. Se non era scoppiata un'altra guerra familiare alla decisione di Adriana e Nico, a neanche un anno dalla laurea, di partire per Habanita, era dovuto unicamente al fatto che sul luogo i due ragazzi avrebbero parlato costantemente e dunque, praticandole al livello di lingua madre, lo spagnolo, cioè la lingua locale, e l'inglese, la lingua dell'amministrazione, considerate imprescindibili per lavorare come volontari al Centro Arcoiris. Pratica che secondo mamma e papà sarebbe stata loro utilissima nel futuro, dato che a quel punto sognavano che i figli avrebbero continuato gli studi per prendere la laurea in medicina. Dopodiché, con il loro aiuto, avrebbero aperto una rinomata clinica privata di stampo internazionale.

    Comunque avevano fatto molte rimostranze, dato che i ragazzi avrebbero dovuto rinunciare a molte comodità e sopportare svariati disagi. Loro avrebbero preferito altri mezzi attraverso i quali perfezionare le lingue straniere, ma in un momento forse di particolare stanchezza avevano smesso di reagire con la solita energia. In ogni caso avevano ritenuto una garanzia il fatto che la governante sarebbe partita con loro. Su questo non avevano avuto nulla in contrario, per pochi mesi potevano benissimo trovare una sostituta.

    Anche Alberta conosceva perfettamente entrambe le lingue richieste

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