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E-book317 pagine4 ore

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Daro Rameca è uno dei rari angler professionisti al mondo. E' conteso, a suon di dollari, dagli armatori delle più prestigiose barche da pesca in altura, per competere e portarle alla vittoria nei principali tornei di Big Game, la pesca ai grandi Marlin.

Un circuito di gare multimilionarie, dove la concorrenza è spietata e le prede sono elusive e indomabili. Non mancano invidie e irregolarità fra i concorrenti, disposti a tutto per un posto sul podio.

Unico a porsi fuori dal coro, per la sua inattaccabile correttezza, è Daro. Le sole armi con cui combatte sono le sue capacità tecniche e il suo naturale istinto.

L'amore per il mare lo porta a voler rilasciare liberi tutti i Marlin, dopo averli domati. Purtroppo non sempre è possibile, molti tornei esigono il sacrificio delle prede.

Daro si batte per cambiare le cose, come esempio per la tutela del mare e dei suoi abitanti.

Nel tentativo affronterà molti colpi di scena e ritroverà i valori per lui più importanti: amicizia e amore, di cui non ha mai potuto godere appieno, per la sua vita errabonda, alla ricerca del pesce più grosso, che gli faccia vincere il torneo più prestigioso.
LinguaItaliano
Data di uscita28 set 2020
ISBN9788831695053
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    Anteprima del libro

    Angler - Claudio Camera Roda

    Maiorca

    Capitolo 1

    Era ancora buio. Procedeva a piccoli passi lungo l'instabile passerella. L'oscurità e la precarietà del passaggio suggerivano istintivamente a Daro Rameca di procedere con attenzione, ma alla svelta, nel salire sul Mastiff, il Merritt 43, ormeggiato al dock K. Già in passato gli era capitato di scivolare e cadere nelle inquinate e fredde acque di un porto, anche se al Cabo San Lucas Port le acque non si potevano di certo definire putride o sporche. Non sarebbe stato piacevole perdere la piacevole sensazione di tepore, che ancora conservava dalle lenzuola del letto della n. 16 al Finisterra, più vicina come dimensioni ad una suite, piuttosto che ad una matrimoniale.

    Da sempre, quando veniva a Cabo, dormiva al Finisterra, anche se sicuramente non era né il più lussuoso, né il più vicino all'imbarco. Alcuni più mondani, offrivano un lusso certamente superiore e un'animazione ben più coinvolgente. Così come altri non costringevano a chiamare un taxi per raggiungere gli imbarchi. Ma nessuno godeva di una posizione, paragonabile a quella del Sandos Finisterra Los Cabos, da cui si poteva mirare sia l'Oceano, che il mare di Cortez. Per contro la spiaggia dell'hotel era soggetta all'onda oceanica, che non rendeva possibile la balneazione e costringeva a bagnarsi solo nelle pur bellissime e curate piscine. La sua pionieristica realizzazione contribuì in modo molto significativo alla nascita e crescita del turismo nel piccolo villaggio di pescatori di Cabo San Lucas. Seguì un'espansione esponenziale, che portò presto a fondere tutti i piccolissimi centri abitati in un unico grande agglomerato esteso a macchia d'olio denominato Los Cabos. Lo sviluppo non rispettò alcun schema urbanistico logico e gli stili delle costruzioni, tutte malate di elefantismo, furono i più fantasiosi e disparati. Ispanici in prevalenza, ma anche mediterranei, moderni, fino a toccare richiami all'antica Grecia e all'Egitto dei faraoni. Il risultato assomigliava ad un enorme parco divertimenti per Americani, imbottito di campi da golf, campi da tennis, piscine. La pacchianeria era la regola alla quale non si sottraevano nemmeno la maggior parte di hotel e condominii, tutti in competizione per gigantismo e appariscenza. Il nucleo originale di Cabo San Lucas rimase comunque il cuore pulsante, grazie anche alla sua incantevole marina, ineguagliata nei dintorni per dimensioni e bellezza. Non da meno contribuì al suo successo la posizione privilegiata, sulla punta che separa il mare di Cortez dal Pacifico. Un recentissimo ammodernamento aveva posto rimedio all'origine vetusta dell'albergo, in particolare nelle camere e soprattutto nei bagni. Ma non era quello il motivo che lo riportava immancabilmente allo stesso Hotel, bensì altri due. Il primo era l'impagabile bellezza della vista, che si godeva dal terrazzo e dalle finestre delle camere, con panorama sull'Oceano. Poteva addormentarsi con le finestre aperte per far entrare il respiro delle onde oceaniche sulla spiaggia, che lo accompagnavano, in breve, dentro un riposo tranquillo e ricco di sogni. Al risveglio all'alba, quando non era costretto ad uscire ancora prima, a buio, capitava a volte di scorgere, direttamente dal giaciglio, le balene schienare e soffiare lontane, verso l'orizzonte sul mare. Era un segno propizio e lo spirito ne era rinfrancato nell'affrontare la nuova giornata. La seconda ragione era la presenza della camera n. 16, dove aveva dormito la prima volta a Cabo, quando non era ancora un angler professionista, da partecipante ad una delle prime edizioni del Rolex IGFA World Championship. Nella vita di tutti i giorni non era superstizioso, ma per quanto riguardava la pesca lo era in maniera ossessiva. La vittoria a sorpresa era sicuramente dovuta a tutta una serie di combinazioni, anche fortuite, fra le quali al primo posto era da porre certamente l'aver dormito nella propizia camera n. 16. Da allora ad ogni edizione del Bisbee's l'aveva fermata un anno per l'altro. Non voleva correre il rischio di trovarla in mano a qualche turista o, peggio ancora, ad un altro angler.

    Quella mattina non aveva ancora fatto colazione. A quell'ora tutti i bar o caffè erano ancora chiusi, compreso quello dell'Hotel. Rimanevano ancora aperti dalla sera prima solo i locali notturni, nei quali non veniva comunque offerto alcunché di nemmeno lontanamente commestibile. Lungo il breve tragitto in taxi aveva visto rientrare verso gli alberghi, ad alba ormai prossima, nutriti gruppi di giovani e non, il cui passo barcollante tradiva l'abuso di alcol. Tutte le notti si ripeteva la migrazione da un locale all'altro di un gran numero di vacanzieri, che aveva fatto della sbronza, una vera specialità del luogo. Rhum, Whiskey, Caipirinha, Margaritas, Tequila con fantasiose varianti come Tequila Bum Bum o gelatina di Tequila, si mischiavano nello stomaco passando dal Cabo Wabo, al Giggling Marlin, al El Squid Roe, al Melià. La vicinanza dei locali, tutti raggiungibili a piedi nel raggio di poche centinaia di metri era un grande vantaggio sia per gli avventori, che non dovevano mettersi alla guida o prendere un taxi, sia per la pigra polizia locale, che non era costretta ad un extra lavoro ad effettuare arresti per guida in stato di ebrezza. Come mise piede nel pozzetto del Merritt, Charles, uno dei due mate, gli si avvicinò. - Dormito bene? Ecco quello che ti serve adesso. - e gli porse una fetta di crostata di frutta e un fumante espresso, frutto di una sapiente cerimonia con la moka caricata con l'aromatica miscela Barocco di Quarta caffè. Il caffè e la moka lo seguivano dall'Italia, accompagnandolo in tutte le parti del mondo in cui si spostasse per le gare. Da tempo aveva provveduto ad istruire Charles, di cui aveva spesso imposto l'ingaggio, su come usare la moka per ricordargli come era fatto un vero espresso italiano. Anche quella mattina il risultato era più che soddisfacente. Il profumo del caffè e della crostata lo appagarono come null'altro avrebbe potuto in quel momento. Si sedette sulla sedia di combattimento e gustò lentamente la colazione, rinfrancandosi sia nel fisico che nello spirito. Era l'inizio della terza e ultima giornata del Bisbee's Black an Blue e le cose nei primi due giorni non erano andate bene, anzi non erano andate per niente. La tensione gli attorcigliava le budella. Era una sensazione che immancabilmente provava tutte le mattine di un torneo anche di scarsa rilevanza. Ma quella mattina era ben più fastidiosa del solito, per l'importanza della gara, per il risultato che tardava ad arrivare, ancora fermo a zero catture e per la discussione che aveva avuto la sera prima con Henry. La pur ottima colazione sciolse il nodo allo stomaco solo in minima parte.

    Capitolo 2

    Il Bisbee's Black and Blue era semplicemente e di gran lunga la gara di pesca di altura più prestigiosa e ricca esistente. Tutti gli anni, nella seconda metà di Ottobre, i miglior ottanta equipaggi del mondo si confrontavano nelle acque del Cabo, alla ricerca e cattura del Big Mama, il marlin più grosso. Daro era uno dei pochissimi angler professionisti al mondo, potevano essere più delle dita di una mano, ma sicuramente meno di quelle di due mani. Pochi armatori erano disposti a pagare qualcuno per fare un lavoro che era ritenuto più un divertimento e nella maggior parte dei casi il ruolo veniva ricoperto dall'armatore stesso. Daro aveva dato sempre mostra di capacità talmente straordinarie e i risultati ottenuti in moltissime competizioni erano tali che tutti gli armatori, che volevano garantirsi un'alta possibilità di successo, erano disposti a sborsare grosse cifre pur di ingaggiarlo. I suoi meriti lo mettevano nella condizione di spuntare il miglior cachet sulle barche più prestigiose. L'armatore del Mastiff, Henry Bytler, un texano facoltoso per la sua attività nel campo petrolifero, lo aveva contattato un anno prima, proprio durante l'edizione passata del Bisbee's. L'offerta per strapparlo all'equipaggio di La Via Del Rhum, con cui Daro era molto affiatato e con cui aveva partecipato alle ultime tre edizioni, si poteva definire semplicemente assurda. Sicuramente il fatto che avesse già vinto, unico al mondo, due Bisbee's, lo avrebbe trasformato nella punta di diamante mancante al team di Henry. Inoltre a Bytler non importava di intascare un eventuale ingente premio. Preferiva destinarlo ad invogliare Daro ad accettare l'ingaggio. I soldi non erano né la sua mira, né ne aveva bisogno e si poteva permettere di proporgli un'offerta fuori da ogni logica economica. La trattativa era stata surreale. Henry lo invitò a formulare una sua richiesta. Al che, Daro, riluttante ad abbandonare l'imbarco su La Via Del Rhum, si era inventato un improbabile venticinque per cento sull'eventuale montepremi, più tutte le spese e trentamila dollari assicurati. Dall'altro armatore, per cui stava lavorando, ne percepiva circa la metà. Sicuro di una risposta sdegnata, che gli avrebbe messo la coscienza a posto nei confronti del resto del suo attuale equipaggio, rimase esterrefatto alla concisa risposta di Bytler: Bene, ti do il doppio!. Discorso chiuso, sessantamila dollari garantiti e la carota del cinquanta per cento sull'eventuale premio acquisito, toglievano ogni dubbio e tacitavano la coscienza. A fine gara comunicò con riluttanza agli ormai ex amici di La Via Del Rhum che l'anno seguente si sarebbe imbarcato sul Mastiff. Nel definire gli accordi, era riuscito a imporre anche l'ingaggio di Charles Garves, il mate con cui aveva già un affiatamento pluridecennale. Viceversa per la scelta dello skipper fu Bytler a spuntarla. Daro avrebbe voluto Peter Craw, con cui aveva già ben lavorato in passato e di cui nutriva una sincera ammirazione. Henry fu irremovibile. Impose la presenza di un suo stipendiato, il francese Aubert Dupois. Quello poteva essere un problema. Daro lo aveva già avuto come skipper in un paio di gare a Blu Marlin, che si erano tenute sul continente africano e il loro rapporto non era mai stato idilliaco. Dopo un paio di giorni, lo aveva soprannominato, a sua insaputa, il piccolo Napoleone, per la sua statura e per la sua smania di comandare. Ciononostante, buoni risultati erano arrivati. Dopo che Daro, finito l'ingaggio, era sbarcato, non lo aveva più visto e non aveva avuto successivi rapporti con lui.

    Di conseguenza Aubert non era riuscito mai più a raggiungere alcun risultato, segno evidente delle sue limitate capacità. Da un paio di anni si era adattato al ruolo di skipper stipendiato a posto fisso sul Mastiff. Si limitava a scarrozzare il suo ricchissimo proprietario al largo del golfo del Texas, per divertirsi a tracannare birra e pescare per caso qualche bella lampuga. Era sufficiente a far felice Bytler, che si poteva pavoneggiare con gli sprovveduti e mezzi sbronzi ospiti, che aveva a bordo. Niente adrenalina, quella che il dimenarsi di un maestoso Marlin all'altro capo del filo sa elargire, specie durante un importante torneo internazionale.

    Oltre al favoloso ingaggio proposto, Daro si era lasciato convincere ad accettare poiché avrebbe potuto mettere piede sul Mastiff, uno dei pochi Merritt 43 piedi costruiti, tutti considerati nell'ambiente dei pescatori sportivi, barche leggendarie se non addirittura mistiche. Il 43 piedi Merritt ha stabilito più record di pesca del tonno, più record di Marlin giganti e vinto più tornei di qualsiasi altra barca nella storia. Il che è abbastanza notevole, considerato che ne sono stati costruiti solo dodici nei lontani anni settanta. Il più grande Blu Marlin mai catturato con canna e mulinello in entrambi gli oceani, Pacifico e Atlantico, così come il più pesante Blu Marlin mai catturato da una donna, sono record stabiliti dal Merritt 43. Detiene pure il record per il tonno più gigantesco mai catturato, un record che dura dal 1969. E nessuna barca ha mai vinto tanti tornei di tonno a Cat Cay quanto il Merritt da 43 piedi. Il cantiere li costruì usando il sistema cold molded, un metodo artigianale, usando strati di compensato marino di essenze pregiate, gelosamente tenute segrete, che andavano a fasciare un intelaiatura di ordinate sempre in legno. L'intera struttura veniva prima fissata provvisoriamente con autofilettanti o con punti metallici, poi completamente incapsulata all'esterno e all'interno con stuoie in vetro ad orditura biassiale annegate in resine epossidiche bicomponenti di qualità superiore. Il risultato era una struttura composita, molto più leggera e resistente della sola vetroresina. Nessuno sa esattamente perché questo modello, sia così efficace nell'attirare pesci giganti in traina. Tutti i pescatori d'altura favoleggiano sui pregiati legni della struttura, che entrano in risonanza con lo sbattere delle onde sullo scafo e con il pulsare dei grossi motori diesel. I dodici esemplari realizzati sono ancora tutti in attività e quando raramente uno si rende disponibile sul mercato dell'usato, per quanto sia in condizioni penose o da ristrutturare integralmente, spunta sempre, in dollari, cifre a sei zeri. Mastiff non era solamente uno dei dodici, ma era il primo costruito presso Merritt Boatyard. Nacque con il nome originale di No Problem, realizzato specificatamente per il mitico Jo Jo Del Guercio, che non si stancò, fino alla sua morte nel 1978, di stabilire record su record sui tonni giganti, Blu Marlin e di conquistare tornei, lungo tutti i Caraibi e le coste atlantiche statunitensi. Dopo la sua morte, passò sotto la guida del famoso capitano Ron Hamlin, che pescò nel tratto di mare al largo di Caracas, continuando a stabilire nuovi record, in particolare il primo Blu Marlin sopra le 1000 lb. catturato in acque venezuelane. Nel 2012 fu acquistato da Henry Bytler, che lo fece ristrutturare in maniera conservativa, riportandolo all'originale bellezza e funzionalità, cambiandogli però il nome in Mastiff, la feroce razza di giganteschi cani da guardia inglesi. Il leone sta al gatto, come il Mastiff sta al cane, è la definizione data dal famoso cinologo inglese Sydenham Edwards. Questo era l'unico aspetto che preoccupava Daro. Tutti i pescatori, i marinai e gli armatori, ma evidentemente non i ricchi e rozzi petrolieri texani, sapevano e temevano, che il cambiare il nome ad una barca, portasse sfortuna, se non perfino scatenasse su di essa una maledizione. Si racconta, come da leggenda tramandata dall'antica Grecia, che tutte le barche siano segnate in un registro, di cui il sommo Poseidone, il dio del mare, ne sia il proprietario. Il Registro delle Profondità, questo è il suo nome, viene quotidianamente controllato da Poseidone, indicandogli posizione e luogo di tutte quelle registrate. Cambiare nome significa tentare l'inganno con il Dio del mare rovesciandosi addosso la sua collera. Non sarà stata la maledizione, fatto sta che nelle prime due giornate del torneo, non avevano visto né tanto meno avuto la visita di un solo Marlin. Avevano avvistato solamente alcune mangianze di tonni pinna gialla e alcuni marlin striati. Niente che potesse interessarlo, i premi per il rilascio dei marlin striati erano irrisori confrontati con quelli per la cattura dei grossi Blu Marlin o Neri. Non a caso la competizione si chiamava Bisbee's Black and Blue. Ancora più basso era il premio per la cattura di tonni pinna gialla e lampughe, che venivano snobbati dalla quasi totalità dei concorrenti. Alla vista degli striati Aubert cominciava immancabilmente a urlare di sostituire le canne e le esche per provare a catturarli. Daro, negli accordi con Henry, era riuscito ad imporre il proprio potere decisionale sul come gestire la pesca e non ne voleva sapere di perdere tempo nel provare la cattura degli striati. Voleva puntare solo e unicamente sui grossi Blu Marlin o Neri. Di solito all'interno dell'equipaggio la decisione sui metodi di pesca e sulle zone da battere è riservata allo skipper, cioè Aubert. Il risentimento e la rabbia di Aubert, erano perciò cresciuti ogni volta che Daro si era rifiutato di seguire le sue indicazioni, imponendo le proprie scelte. Henry non era mai a bordo, soprattutto perché gli orari mattutini di partenza non erano compatibili con i suoi bioritmi, regolati dalle nottate in bianco nei locali a bere e divertirsi. Fresco di brunch si presentava, però, tutti i giorni alle tre circa del pomeriggio al dock P, per assistere al rientro delle imbarcazioni, allo sbarco delle catture e alla pesa delle prede. Non gli importava assolutamente di partecipare alle battute di pesca. Quello che contava era solamente un buon risultato, meglio ancora la vittoria, per poterlo sbandierare con l'esibizione delle foto della premiazione allo Yacht Club di Corpus Christi Texas, dove gli altri soci si sarebbero rosi dall'invidia. Soffriva per come lo guardavano. Tutti snob, che lo giudicavano solo un rozzo arricchito proprietario di un Merritt leggendario. La pesca del Marlin era tenuta in gran considerazione da parte dei soci, anche più della vela. La maggior parte delle barche nella darsena del club erano sportfisherman, molte artigianali e del valore di svariati milioni di dollari ciascuna. Sentiva che questa volta aveva sicuramente fatto tutte le mosse giuste. Aveva la barca più adatta e più invidiata. Aveva Daro, l'angler migliore al mondo, e Charles, il mate con una vasta esperienza ottenuta nell'aiutare i migliori pescatori nella cattura di centinaia di giganteschi Marlin in tutti i mari del mondo. Completavano l'equipaggio lo skipper Aubert e il giovane mate in seconda David, presenze fisse sulla barca e al suo servizio già da due anni. Non avevano il palmares degli altri due membri dell'equipaggio, ma ne aveva imposto la loro presenza perché non voleva affidarsi ad un intero team di persone che conosceva solo per fama, anche se a bordo il loro compito primario era mixare e servire ottimi cocktail agli ospiti, piuttosto che impegnarsi a fondo nella pesca. Aubert poi era un artista nel preparagli e prepararsi dei Bloody Mary ineguagliabili. Si fidava di loro e, senza un vero perché, anche della loro abilità alieutica. In realtà li aveva visti all'opera solo con tonni, kingfish e lampughe, al massimo di una ventina di chili di stazza, che non si potevano certo definire dei grandi combattenti per specie e per dimensioni. Del resto sapeva, ma solo per sentito dire non avendone mai incontrato uno, che i Marlin di centinaia di chili, erano solo dei gran corridori. Sfilano filo dai mulinelli a grande velocità con salti e altre facezie, ma non sono dei grandi lottatori ed, una volta assecondati nelle prime fughe, si arrendono presto e tutto fila liscio. Pertanto Aubert e David, anche se meno esperti, sarebbero stati sicuramente in grado di portare a termine il loro onesto compito.

    Mentre ne aspettava il rientro al dock, Henry sapeva già che il Mastiff aveva bucato anche la seconda giornata. Aubert lo aveva chiamato al cellulare con l'Iridium satellitare e dalla voce gli era sembrato più in uno stato di agitazione che di delusione. Chissà cosa era successo a bordo? Ci erano già stati attriti fra Aubert e Daro e quello poteva essere il motivo dell'alterazione dello skipper. Henry invece era solo molto frustrato, all'inizio pensava che tutto sarebbe stato ben più facile. Era abituato ad ottenere tutto quello che desiderava. Bastava spendere e ci si poteva cavare qualsiasi sfizio o capriccio, anzi se si spendeva qualcosa in più del dovuto lo si poteva avere ancora più facilmente e rapidamente. Era proprio quello che aveva fatto e non si capacitava di trovarsi, alla vigilia dell'ultima giornata del torneo, con solo un pugno di mosche in mano.

    I due mate non avevano ancora finito di legare le cime dell'ormeggio alla banchina, che Aubert era balzato a terra, non senza aver rischiato per la fretta e le gambe corte di inciamparsi e finire in acqua. Corse, salendo due gradini alla volta, verso Henry seduto all'Oyster Bar, intento a testare tutta la vasta gamma di superalcolici offerti, e lo aggredì ad alta voce:

    − Quello – urlò, puntando il dito verso Daro, che ancora non era sceso dalla barca. – preferisce contraddirmi e umiliarmi, piuttosto che cercare di prendere pesci! -

    − Okay, stai calmo e parla più piano. Non vedi che ho delle ospiti? - lo riprese, Henry, inclinando il capo lateralmente ad indicare le due senorite in costume intero, sedute al suo tavolo e prese in prestito dall'hospitality della manifestazione.

    − E' tutto il giorno che mi dice: Cerca le fregate, cerca le fregate.. Ho passato tutte le otto ore a guidare e scrutare cielo e mare dall'alto del tuna tower. Ho avvistato ben quattro mangianze di tonni, due rodei di marlin striati, e altri quattro isolati, che se ne stavano in superficie con la pinna dorsale e caudale fuori dall'acqua. Tutte le volte che giravo la barca per avvicinarmi, lui se ne accorgeva e mi diceva di virare da un'altra parte, perché non aveva intenzione nemmeno di provare a prenderli. -

    − Va bene, Va bene. Ma di fregate, niente? -

    − Ne avrò viste tre o quattro, ma erano lontane, volavano alte e non picchiavano, cosa ci andavo a fare? -

    − Ma l'hai avvertito, che c'erano? -

    − No. Ti ho già detto che erano alte, non picchiavano e poi erano lontane e si spostavano lentamente. Ci sarebbe voluto più di mezzora per raggiungerle. Ci trovavamo in una zona dove c'era del movimento, avevo avvistato delle mangianze sicure di tonni ben più vicine. -

    − Ma dovevi dirglielo delle fregate. E' lui che deve prendere le decisioni. -

    − Appunto. E' proprio per questo che non abbiamo ancora preso niente. Io dico che se c'è pesce dobbiamo almeno provare a catturarli, anche se non sono Blu Marlin o Neri. Tutti possono portare premi. Lui invece vuole solo i Big Mama. Lo so anch'io, che basterebbe uno di quelli, per portarsi a casa un premio milionario, ma se non ci sono, bisogna accontentarsi di quello che troviamo e dei premi minori. La verità è che è troppo pigro per darsi da fare nel cambiare l'attrezzatura quando vediamo i tonni, le lampughe o i marlin striati. Tanto un bel gruzzoletto lui lo porta a casa comunque. Ritirare tutte e cinque le canne pesanti con le grosse esche artificiali, i teaser e poi filare quelle più leggere con l'esca naturale richiede tempo e impegno. Poi bisogna tornare di nuovo all'assetto di pesca precedente. E' più comodo restarsene seduto sulla sedia di combattimento, a guardare nella scia della barca ad aspettare, senza far niente. -

    − Ma il lavoro di ritirare le canne e filare le esche in acqua dovrebbero farlo Charles e David, i due mate. Daro dovrebbe solo dare l'indicazione di come e quando farlo. -

    − Figurati! Quello non si fida di nessuno. Anche se non lo dice si capisce che si ritiene l'unico capace di fare le cose per bene. L'unica operazione che concede al solo Charles è di recuperare le canne, neanche tutte perché un paio le gestisce comunque lui. Quando poi deve calare le esche artificiali in acqua, le controlla una ad una, ispeziona se l'amo è appuntito, se i gonnellini sono ben pettinati, se l'occhiello dell'amo è posizionato appena dentro le strisce di vinile, se l'armatura dell'amo è rigida, ma non troppo, se il moschettone è perfettamente serrato, se la girella frulla bene. L'affilatura degli ami poi è una sua mania. Ogni tre o quattro ore recupera l'artificiale e perde anche dieci minuti a lavorarlo, prima con la lima d'acciaio dolce, poi con la pietra dura e non basta. Ripassa la punta appena preparata con un pennarello per preservarla dalla ruggine. Non ti dico quando deve collocare le esche in acqua. Dieci minuti buoni per trovare la posizione, secondo lui, più corretta. Allunga la lenza di dieci, quindici centimetri, poi di nuovo e poi l'accorcia di cinque centimetri, poi alza e abbassa più volte la pinzetta di sgancio sui divergenti. Fra una mossa e l'altra, sale due o tre gradini della scala che portano al tuna tower, per controllare, da più in alto, se la posizione dell'artificiale lo soddisfa in pieno. E tutto questo si ripete anche ogni volta che muta il vento o faccio una virata, perché secondo lui, per come arrivano le onde o il vento, il movimento delle esche cambia e occorre perfezionarne nuovamente la posizione in acqua per farle lavorare come si deve. Tutto un balletto che mi fa venire il mal di mare solo a guardarlo. Di marlin, anche grossi, ne ho presi parecchi anch'io, ma tutto questo cerimoniale non l'ho mai fatto. Basta calare in acqua quattro o cinque artificiali. Tanto se incroci un marlin, che ha voglia di mangiare, attacca l'esca, tutto quello che fai in più è solo scena e non serve a niente.-

    − Ok! Ok! Adesso gli parlo. Cercherò di convincerlo ad ascoltarti di più, vado alla barca e sento cosa ha da dirmi.-

    Aubert era pieno di rabbia e astio. Oltre al suo onore oltraggiato, c'era la questione economica, che non riusciva a mandare giù. Il giorno in cui Daro era arrivato a Corpus Christi per la firma del contratto, era riuscito a scoprirne l'ingaggio, sbirciando nelle carte lasciate da Henry sul tavolo della dinette della barca. Sessantamila dollari garantiti più il cinquanta per cento dei premi e la copertura di tutte le spese. Era inaudito. Soprattutto alla luce di quanto Henry avrebbe riconosciuto a lui, solo il dieci per cento dei premi più naturalmente le spese. Prima di sapere quanto prendeva Daro, gli era comunque sembrato un buon accordo, ma ora,

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