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Arco della vita. Cambiamenti a 360°
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E-book170 pagine2 ore

Arco della vita. Cambiamenti a 360°

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Info su questo ebook

Il romanzo di Pietro Natalini è il racconto di una vita che si snoda tra eventi storici e personali. Così, la narrazione della giovinezza, degli studi, della carriera e della vita privata dell’autore è accompagnata dagli avvenimenti che hanno marcato gli ultimi decenni di storia del nostro Paese. Grazie alla precisione con cui sono riportate le date e raccontati gli eventi, senza dimenticare mai l’analisi delle conseguenze più rilevanti, ci troviamo davanti a un quadro privato e pubblico completo e di grande interesse per chi volesse conoscere più a fondo la vita di un uomo ma anche addentrarsi nella vita storica dell’Italia.

Natalini Pietro è nato il 14 luglio 1933 a Civitanova Marche. Dopo aver ottenuto il diploma di Liceo scientifico, si è laureato in Farmacia nel 1956 all’Università di Camerino, diventando uno dei più giovani laureati dell’epoca. Dopo un anno trascorso nella farmacia di suo padre, ha iniziato l’attività di informatore medico scientifico, lavorando prima nella ditta Angelini e poi per la ditta Roche. 
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9788830675414
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    Anteprima del libro

    Arco della vita. Cambiamenti a 360° - Pietro Natalini

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    Pietro Natalini

    ARCO DELLA VITA

    CAMBIAMENTI A 360°

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6909-3

    I edizione novembre 2022

    Finito di stampare nel mese di novembre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    ARCO DELLA VITA

    CAMBIAMENTI A 360°

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prefazione

    Il titolo del libro è quanto di più reale ed espressivo ci possa essere per fotografare la vita trascorsa. Potevo abbellire e ornare con della retorica i fatti vissuti ma non ho voluto alterare di una virgola quanto la vita mi ha posto davanti. Potrà sembrare un racconto scarno, privo talvolta di vivacità ma, penso che il quadro storico che ne emerge sia ben chiaro in tutti i suoi contenuti, con luci ed ombre che l’hanno caratterizzata.

    C’è un capitolo dedicato alle novità farmaceutiche portate nel mio lavoro che ho avuto l’onore di presentare alla classe medica da parte della Roche: Hanno aperto nuove strade nel curare i malati. Potrà sembrare pesante o noioso, ma quello che volevo descrivere l’ho fatto nel modo più semplice e chiaro. Le vecchie generazioni, quelle che sono finite con i miei genitori, passavano la loro vita senza che nulla mutasse nell’ambito quotidiano. La civiltà ottocentesca industriale aveva apportato mutamenti profondi nel lavoro ma in famiglia tutto era rimasto tale e quale.

    Per me invece tutto è completamente cambiato, si può dire appunto di un rovesciamento a 360°: è cambiato il modo di condurre la famiglia, il quadro politico in modo drastico, la mia città, la società i cui principi erano sacri ed oggi totalmente soggetti al nuovo Dio non più in cielo ma in terra: il denaro. Basti pensare che fino alla fine della seconda guerra mondiale l’uomo era praticamente vissuto e cresciuto con la civiltà del cavallo e dopo 25 anni lo abbiamo trovato sulla luna. Tutto ha subito un’accelerazione estrema: oggi una generazione di 20enni non ha nulla più da spartire con quella dei 15enni.

    Oggi la malattia più diffusa è la depressione, una volta quasi inesistente, perché sin da bambini ci si abituava ad affrontare ogni situazione anche la più difficile perché il dialogo con genitori e amici era di grande aiuto.

    Oggi è tutto più facile perché ci sono mille modi per rendere il cammino tranquillo ma soprattutto non si parla quasi più perché il telefonino è divenuto il genitore, il fratello, l’amico, il consigliere, anche se è un oggetto inanimato.

    Non si pensa che tutto questo ti schiavizza e ti mette alla mercé di chi dispone del tuo destino.

    CAPITOLO I

    Civitanova com’era

    Sono nato nel 1933 in una città che allora contava 6.000 abitanti, il cui comune era diviso dalla città alta da amministrazioni comunali diverse.

    Aveva sul mare un piccolo molo di attracco per le tartane, piccole motonavi da trasporto, che portavano dalla allora Jugoslavia, attraverso l’Adriatico, il legname prodotto in questa nazione perché a Porto Civitanova vi erano tre grossi commercianti di questo materiale: scaricato dalle tartane veniva portato nei magazzini con grossi carri trainati da cavalli.

    Mio padre, Benso, nel 1932 aveva comprato una delle due farmacie presenti in città.

    Il centro, sviluppato verticalmente da nord a sud, iniziava dalla foce del torrente Asola a settentrione e finiva alla foce del fiume Chienti a sud.

    Questo centro ha una particolarità che lo rende unico in tutta la costiera adriatica: sulla riva del mare, soprattutto a sud, circola sempre un’aria fresca proveniente da terra. Il fiume, nel corso delle ere, ha creato un’ampia valle portando, con il suo percorso quasi rettilineo, l’aria dai monti sibillini, posti ad una cinquantina di chilometri, sino alla riva del mare.

    Inoltre, mentre tutti gli altri fiumi adriatici hanno un percorso sinuoso, e le vallate scavate si chiudono soprattutto in prossimità del mare spesso, qui l’apertura addirittura si allarga.

    L’aria, che circola sempre, si nota spesso nel primo pomeriggio: se ci si è addormentati su di una sdraia sotto l’ombrellone senza essersi coperti con qualcosa, si rischia di risvegliarsi con un bel raffreddore.

    Inoltre prima della seconda guerra mondiale c’era un’altra peculiarità che la rendeva ancora più unica: partendo dalla massicciata della ferrovia fino al corso Garibaldi, l’Istituto Stella Maris faceva da confine, arrivando al viale Vittorio Veneto, arrivando poi al mare, si ergeva una meravigliosa pineta che si univa con l’intricata boscaglia del fiume. Questa prerogativa, l’aria montana più quella della pineta, rendeva l’aria salubre al punto che le mamme dei paesi anche lontani, addirittura da Roma o dall’Umbria, portavano i loro figli affetti da tubercolosi iniziale o da tosse convulsa o asinina a respirare quest’aria in riva al fiume o al mare perché risultava una meravigliosa cura. Tutto ciò portava tra l’altro vantaggi per gli alberghi o chi affittava case.

    Tornerò più avanti sull’argomento per spiegare com’è finita la pineta.

    La città era divisa in due parti non solo fisicamente ma anche mentalmente. Al centro c’è un enorme piazza chiusa ad est dal mare e ad ovest dal palazzo Cesarini Sforza costruito alla fine del ‘700 ed oggi sede comunale. A sud della piazza sorgeva il quartiere della borghesia, ancor oggi è così; è infatti abitata da impiegati comunali, postali, artigiani, negozianti e operai della ditta Cecchetti, della quale parlerò più avanti; e vi si trovavano tutte le forze dell’ordine: carabinieri, polizia, finanza e capitaneria di porto.

    Sul viale Vittorio Veneto, c’erano poi a destra e sinistra una serie di ville dei Signori del luogo ed infine le costruzioni del regime: la casa del Balilla, costruita su disegno dell’architetto Adalberto Libera, che rappresenta un sommergibile con tutte le sue strutture (ce ne sono solo altre due in Italia), e la casa del fascio, dove il sabato si riuniva il direttivo del partito per discutere ed approvare quanto avvenuto in settimana.

    Perciò i cittadini del quartiere erano abituati ad un certo tenore di vita: stipendi certi e orari di lavoro stabiliti, ed erano quindi vestiti in modo normale ed educati nei loro comportamenti.

    A nord della piazza, parallelo alla ferrovia, sorgeva il corso, allora strada statale numero 16: enorme per quel tempo, con ben 10 metri di larghezza. Vi si trovavano i negozi più eleganti: scarpe, vestiti, alimentari di un certo livello, una pasticceria, due librerie ed altri negozi compresa la farmacia di mio padre. Noi abitavamo lì sopra, in una casa puro stile Liberty. Ad est dietro le case nel corso sorgeva il quartiere marinaro: vie strette, vicoli, fogne a cielo aperto, cinque fontanelle perché l’acqua corrente in casa era un lusso riservato a pochi, casette spesso con il solo pianoterra talvolta con un piccolo orto dietro che serviva per coltivare qualcosa, con un albero solitamente di fichi e tenere gli attrezzi per la pesca: reti da rammendare, vele, remi e timoni di riserva.

    Una vita particolarmente diversa dal solito con un orario tutto suo. D’inverno ci si alzava alle 6 del mattino, d’estate alle 4: dopo una frugale colazione e preparativi vari, tra cui il pranzo per l’uomo che andava in mare, dopo circa una mezz’oretta tutta la famiglia si avviava alla spiaggia.

    Lì si trovava la lancetta: barca lunga circa 4 metri e larga un metro e mezzo costruita con un legno resistente all’acqua marina, il larice opino, e naturalmente calafatata cioè con la chiglia coperta di

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