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Il richiamo della foresta
Il richiamo della foresta
Il richiamo della foresta
E-book123 pagine1 ora

Il richiamo della foresta

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Info su questo ebook

Il richiamo della foresta è un romanzo scritto da Jack London nel 1903. La storia racconta le vicende del cane Buck, un incrocio tra un sanbernardo e un pastore scozzese, che vive insieme al suo padrone, il giudice Miller nella Santa Clara Valley (California). Un giorno Manuel, il giardiniere, rapisce Buck e lo vende per pagare dei debiti di gioco. Buck viene spedito in Alaska e venduto ad una coppia di canadesi, François e Perrault, i quali rimangono impressionati dal fisico del cane. I due addestrano Buck come cane da slitta: questi, osservando i propri compagni, apprende velocemente le regole della muta e come sopravvivere alle fredde notti invernali.
Buck viene poi venduto ad un uomo di nome Charles, che assieme a sua moglie Mercedes e al fratello Hal, tenta di viaggiare sino a Dawson City. Questi non conoscono assolutamente nulla né di trasporti su slitta né di come sopravvivere nella landa selvaggia dell'Alaska. Nel proseguimento del viaggio si imbattono in John Thornton, un esperto della vita nella natura, che nota il terribile stato in cui sono i cani della muta a causa del maltrattamento dei padroni. Thornton avverte i tre di non attraversare il fiume ghiacciato, ma essi non intendono ascoltare i suoi avvertimenti, ordinando a Buck di proseguire. Questi, esausto, affamato e percependo il pericolo, si rifiuta di obbedire e continua a giacere sulla neve immobile, ansimando e ammiccando.
A questo punto Thornton accudisce Buck e lo riporta in piena salute, tra i due si instaura un rapporto di fedele amicizia, amore e devozione. Un giorno Buck salva la vita a Thornton quando questi cade nel fiume, quindi Thornton porta Buck con sé in viaggio alla ricerca dell'oro. Una notte però, ritornato da una breve caccia, trova il suo amato padrone e i suoi compari uccisi nel campo da un gruppo di indiani Yeehat. Nello scontro finale Buck uccide gli indiani per vendicare Thornton e, dopo aver capito che la sua vecchia vita è solo un ricordo del passato, segue il lupo nella foresta rispondendo al richiamo della vita selvaggia.
LinguaItaliano
Data di uscita2 dic 2013
ISBN9788874173136
Autore

Jack London

Jack London (1876-1916) was an American novelist and journalist. Born in San Francisco to Florence Wellman, a spiritualist, and William Chaney, an astrologer, London was raised by his mother and her husband, John London, in Oakland. An intelligent boy, Jack went on to study at the University of California, Berkeley before leaving school to join the Klondike Gold Rush. His experiences in the Klondike—hard labor, life in a hostile environment, and bouts of scurvy—both shaped his sociopolitical outlook and served as powerful material for such works as “To Build a Fire” (1902), The Call of the Wild (1903), and White Fang (1906). When he returned to Oakland, London embarked on a career as a professional writer, finding success with novels and short fiction. In 1904, London worked as a war correspondent covering the Russo-Japanese War and was arrested several times by Japanese authorities. Upon returning to California, he joined the famous Bohemian Club, befriending such members as Ambrose Bierce and John Muir. London married Charmian Kittredge in 1905, the same year he purchased the thousand-acre Beauty Ranch in Sonoma County, California. London, who suffered from numerous illnesses throughout his life, died on his ranch at the age of 40. A lifelong advocate for socialism and animal rights, London is recognized as a pioneer of science fiction and an important figure in twentieth century American literature.

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    Anteprima del libro

    Il richiamo della foresta - Jack London

    Il richiamo della foresta

    Jack London

    In copertina: Ludvig Munthe, Interno di bosco nella neve, 1870

    © 2015 REA Edizioni

    Via S. Agostino 15

    67100 L’Aquila

    www.reamultimedia.it

    redazione@reamultimedia.it

    Questo e-book è un’edizione rivista, rielaborata e corretta, basata sulla traduzione del 1930 di M. Carlesimo Pasquali. La casa editrice rimane comunque a disposizione di chiunque avesse a vantare ragioni in proposito.

    Indice

    CAPITOLO I – VERSO LA VITA PRIMITIVA

    CAPITOLO II – LA LEGGE DEL RANDELLO E DELLE ZANNE

    CAPITOLO III – DOMINA LA BESTIA PRIMORDIALE

    CAPITOLO IV – CHI HA CONQUISTATO IL COMANDO

    CAPITOLO V – LA FATICA DEL TIRO E DELLA PISTA

    CAPITOLO VI – PER L’AMORE DI UN UOMO

    CAPITOLO VII – IL ROMBANTE RICHIAMO

    CAPITOLO I – VERSO LA VITA PRIMITIVA

    Vecchie brame, nomadi impulsi,

    Scuotono l’abituale catena;

    Di nuovo dal sonno brumale

    Risvegliano la violenza ferina.

    Buck non leggeva i giornali; altrimenti sarebbe venuto a conoscere le tribolazioni che si stavano preparando, non solo per lui, ma per ogni cane di guardia, forte di muscoli e dal lungo e soffice pelo, da Puget Sound a San Diego.

    Gli uomini che brancolavano nell’oscurità artica avevano trovato un metallo giallo, e poiché le compagnie di navigazione e di trasporto avevano lanciato al mondo la notizia, migliaia d’uomini si precipitavano verso la terra del Nord. A questi uomini occorrevano cani; cani robusti, con forti muscoli atti a sostenere la fatica, e con pelliccia folta, che li proteggesse dal gelo.

    Buck viveva in una grande casa, nella ridente Valle di Santa Chiara, baciata dal sole. La chiamavano la proprietà del giudice Miller; era lontana dalla strada e mezzo nascosta fra gli alberi, attraverso i quali si poteva intravedere l’ampia e fresca veranda che correva attorno ai quattro lati della casa. Vi si accedeva per sentieri ghiaiosi, che si svolgevano fra verdi e morbide distese di prati, sotto rami intrecciati di alti pioppi. Dietro alla casa, i fabbricati dipendenti erano più grandiosi di quelli di fronte. C’erano grandi scuderie con una dozzina di servi, tra palafrenieri e mozzi; file di casette ammantate di viti, e un’ordinata e interminabile fila di rimesse; poi c’erano lunghi pergolati e verdi pascoli, e frutteti, e cespugli di bacche. C’erano anche le pompe per il pozzo artesiano e la grande vasca di cemento, dove i ragazzi del giudice Miller si tuffavano la mattina e si rinfrescavano nei caldi pomeriggi.

    E su questo grande dominio, regnava Buck. Qui egli era nato e qui aveva vissuto i quattro anni della sua esistenza. È vero che c’erano altri cani; non potevano mancare altri cani in una tenuta cosi vasta; ma questi non contavano. Essi andavano e venivano, abitavano nei popolosi canili o vivevano oscuramente nei recessi della casa, come Toots, il cagnolino giapponese dal pelo lungo, o la messicana Ysabel, senza pelo, strane creature che raramente mettevano il naso fuori della porta o posavano le zampe per terra. Dall’altra parte, c’erano i fox-terriers, una ventina almeno, che abbaiavano furiose minacce a Toots e Ysabel, i quali stavano a guardarli dalla finestra, protetti da una legione di cameriere armate di spazzole e di scope.

    Ma Buck non era nè cane da casa nè cane da canile. Tutto il reame era suo. Egli si tuffava a nuotare nella vasca o andava a caccia coi figli del giudice; scortava Molly e Alice, le figlie del giudice, nelle loro lunghe passeggiate mattutine o di verso il crepuscolo; e nelle sere invernali, si stendeva ai piedi del giudice, davanti al caminetto scoppiettante della biblioteca. Portava sul dorso i nipotini del giudice, si rotolava con loro sull’erba e vigilava sui loro passi attraverso arrischiate avventure verso la fontana, nel cortile, e anche oltre, nel parco, sparsi di cespugli di bacche.

    Fra i terriers egli passava superbamente, e ostentava d’ignorare Toots e Ysabel, poiché egli era un re, re di tutti gli esseri che strisciavano, che camminavano e che volavano, in quei possedimenti del giudice Miller, uomini e donne compresi.

    Suo padre, Elmo, un enorme San Bernardo, era stato l’inseparabile compagno del giudice, e Buck prometteva di seguire degnamente le orme paterne. Buck, però, non era altrettanto grosso; pesava soltanto centoquaranta libbre, perchè sua madre, Shep, era una cagna scozzese da pastore. Nondimeno il peso di centoquaranta libbre, cui andava aggiunta la dignità che gli conferiva una vita comoda e il rispetto universale, lo autorizzavano ad assumere un contegno regale.

    Da quattro anni, Buck conduceva l’esistenza d’un aristocratico ben pasciuto; sentiva un grande orgoglio di sè ed era anche un poco egoista; così come lo sono qualche volta i gentiluomini di campagna, a cagione della loro vita isolata e solitaria. Ma aveva evitato a se stesso di diventare un semplice e delicato cane di casa. La caccia e simili esercizi all’aperto avevano impedito al suo corpo l’accumularsi del grasso e gli avevano indurito i muscoli; per lui, come per i cani di razza che prendono il bagno freddo, l’amore dell’acqua era stato un tonico e un salutare preservativo.

    Così era il cane Buck sul cadere del 1897, quando dal Klondike giungeva il richiamo che trascinava gli uomini di tutto il mondo nella gelata terra del Nord.

    Ma Buck non leggeva i giornali, e neanche sapeva che Manuel, uno degli aiuti giardinieri, non era una conoscenza gradita.

    Manuel aveva un peccato predominante: era appassionato giocatore della lotteria cinese; ed anche, nel suo gioco, egli peccava di debolezza; era, cioè, fedele a un sistema; e questo rendeva certa e sicura la sua dannazione. Infatti, nel giuoco, per seguire un sistema, è necessario disporre di mezzi, mentre il salario d’un aiuto giardiniere è appena sufficiente, al mantenimento della moglie e di molti figlioli.

    Nella notte memorabile del tradimento di Manuel il giudice assisteva a un’adunanza della «Raisin Grower’s Association»{1} e i ragazzi erano affaccendati a organizzare un club atletico.

    Nessuno, quindi, vide Manuel e Buck andare attraverso il frutteto. Buck, dal canto suo, pensò che si trattasse di una semplice passeggiata. E, ad eccezione di un solo uomo, nessuno li vide arrivare alla piccola stazione conosciuta col nome di College Park.

    Quest’uomo parlò con Manuel, che ricevette da lui della moneta sonante.

    — Avreste anche potuto avvolgere la merce, prima di consegnarla, — disse aspramente il forestiero a Manuel; e questi avvolse una forte corda attorno al collo di Buck, sotto il collare.

    — Torcendola, potrete stringerlo quando vorrete, — disse Manuel, e lo straniero emise un grugnito affermativo.

    Buck aveva accettato la corda con tranquilla dignità. A dire il vero, era una situazione insolita, questa, ma aveva imparato a confidare negli uomini che conosceva, e a riconoscer loro una saggezza superiore alla propria.

    Quando, però, l’estremità della corda passò fra le mani dello straniero, egli ringhiò, minaccioso. Aveva espresso semplicemente il proprio dispiacere, credendo, nel suo orgoglio, che la sua protesta equivalesse a un comando. Ma, con sua sorpresa, la corda gli si strinse attorno al collo e quasi gli tolse il respiro. Preso da violenta rabbia, balzò contro l’uomo; ma questi lo incontrò a mezz’aria, afferrandolo strettamente per la gola e, con un rapido giro della mano, se lo gettò sulla schiena.

    La corda lo stringeva senza pietà, mentre il cane si dibatteva furiosamente, con la lingua che gli penzolava dalla bocca e l’ampio petto ansante.

    In vita sua, Buck non era mai stato trattato così vilmente, nè si era mai tanto arrabbiato. Ma la sua forza diminuiva, gli occhi gli si velavano, ed egli non vide nè riconobbe più nulla, quando il treno si fermò e i due uomini lo gettarono nel bagagliaio. La prima cosa che avvertì confusamente, in seguito, fu che la lingua gli doleva e che sobbalzava in una specie di vettura, spinta a gran corsa. Il fischio rauco che la locomotiva lanciò a un passaggio a livello, gli fece capire dov’era. Aveva viaggiato troppe volte col giudice per non riconoscere la sensazione speciale di un viaggio in bagagliaio. Aprì gli occhi, in cui balenò l’indomito furore di un re rapito. L’uomo gli si lanciò alla gola, ma Buck era troppo svelto; le sue mascelle si strinsero sulla mano di lui, nè rallentarono la stretta, finché non smarrì i sensi per la seconda volta.

    — Ha un attacco! — disse l’uomo nascondendo la mano lacerata all’impiegato accorso al rumore della lotta. — È malato e lo porto a San Francisco da un veterinario, che crede di poterlo guarire.

    Quanto al viaggio di quella notte, l’uomo parlò con maggiore eloquenza, per quanto concerneva se stesso, in una piccola osteria dietro un caffè, sulla spiaggia di San Francisco.

    — E a me non ne toccherà che una cinquantina, — borbottò — e non vorrei rifare la stessa cosa per mille, in contanti.

    Aveva la mano avvolta in un fazzoletto insanguinato e il calzone destro squarciato dal ginocchio alla caviglia.

    — Quanto hanno dato all’altro? — chiese l’oste.

    — Cento — fu la risposta. — Non volle un soldo di meno; così m’aiutasse!

    — In tutto, sono centocinquanta, — disse l’oste — e li vale, se io non sono uno sciocco.

    Il ladro di cani disfece la fasciatura insanguinata e osservò la mano ferita.

    — Purché non diventi idrofobo! — disse.

    — No, no, voi siete nato per la forca — rise l’oste. — Qua, datemi una mano, prima di ritirare il vostro avere.

    Avvilito, con un’insostenibile pena alla gola e alla lingua, con le forze che gli venivano meno, Buck tentò di affrontare i suoi tormentatori. Ma fu atterrato e quasi soffocato, a più riprese, finché

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