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Bhagavad Gita: Tradotta e curata da Yogi Ramacharaka
Bhagavad Gita: Tradotta e curata da Yogi Ramacharaka
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E-book113 pagine2 ore

Bhagavad Gita: Tradotta e curata da Yogi Ramacharaka

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Info su questo ebook

La Bhagavad Gita - "Canto del Beato" - compresa nella grande epopea indù del Mahabarata è uno dei testi più sacri e per molti aspetti affascinante della storia        dell’umanità.
 
Il Poema sacro riporta l'insegnamento di Sri Krishna.
La grande guerra descritta dalla Bhagavad Gita avvenne circa 1.000 anni prima di Cristo.
 
 
Nella Bhagavad viene spiegata la legge del "karma yoga": ossia, lo yoga dell'azione. Ogni singolo verso della Bhagavad Gita ci apre grandi visuali spirituali. Le verità insegnate nella Gita sono le verità essenziali di ogni grande insegnamento di ogni grande maestro. Capire la Gita è capire l’esistenza.
 
Come il fuoco che arde riduce in cenere ciò che lo
alimenta, o Arjuna, così il fuoco della saggezza riduce in cenere tutte le opere. Non si conosce su questa terra mezzo di purificazione che non sia pari alla saggezza. Colui che avrà raggiunto lo yoga, troverà questa verità, con l’andar del tempo, nel suo proprio Sé, come qualcosa che gli appartiene
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2018
ISBN9788869373459
Bhagavad Gita: Tradotta e curata da Yogi Ramacharaka
Autore

Yogi Ramacharaka

Yogi Ramacharaka is a pseudonym of William Walker Atkinson (1862 – 1932), who was a noted occultist and pioneer of the New Thought Movement. He wrote extensively throughout his lifetime, often using various pseudonyms. He is widely credited with writing The Kybalion and was the founder of the Yogi Publication Society.

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    Anteprima del libro

    Bhagavad Gita - Yogi Ramacharaka

    conclusione

    ​Il Canto del Divino

    Bhagavadgītā, Canto del Divino o Canto dell'Adorabile o il Meraviglioso canto del Divino è quella parte dall'importante contenuto religioso, del grande poema epico Mahābhārata .

    La Bhagavadgītā ha valore di testo sacro, ed è divenuto nella storia tra i testi più prestigiosi, diffusi e amati tra i fedeli dell' Induismo.

    L'unicità di questo testo, rispetto ad altri coevi, consiste anche nel fatto che qui non viene data un'astratta descrizione del Bhagavat, qui inteso come il dio Krishna, la Persona Suprema che si rivela, ma questa figura divina è un personaggio protagonista che parla in prima persona, offrendo all'uditore la sua darśana (dottrina) completa.

    Esistono dunque due versioni della Bhagavad- gītā giunte a noi: la prima, la più diffusa in tutta l'India, è detta vulgata e si compone di complessivi settecento versi, ed è quella già commentata da Sankara nell'VIII secolo d.C.; la seconda, detta kaśmīra, è leggermente più lunga, comprendendo complessive trecento varianti minori, ed è quella commentata da Ramakantha (VII-VIII secolo) e, successiva- mente da Abhinavagupta (X-XI secolo). Le differenze tra le due recensioni non manifestano, tuttavia, diversità dottrinali.

    Antonio Rigopoulos osserva come si possa ipotizzare che già a partire dall'XI secolo la versione detta vulgata si sia affermata come canonica.

    Dal punto di vista filologico sono state individuate tre stratificazioni temporali all'interno di questa opera: la prima, di contenuto epico, è la più antica; la seconda che riporta insegnamenti propri delle dottrine del Samkhya-Yoga(canti 2-5); la terza è la stratificazione teista legata al culto di Krishna (canti 7-11), la quale trova, nel canto 12, un vero e proprio inno alla bhakti.

    L'episodio narrato nel testo si colloca nel momento in cui il virtuoso guerriero Arjuna - uno dei fratelli Pandava, figlio del dio Indra, prototipo dell'eroe - è in procinto di dare inizio alla battaglia di Kuruksetra , che durerà 18 giorni, durante la quale si troverà a dover combattere e quindi uccidere i membri della sua stessa famiglia, parenti, mentori e amici, facenti tuttavia parte della fazione dei malvagi Kaurava , usurpatori del trono di Hastināpura .

    Di fronte a questa prospettiva drammatica, Arjuna si lascia prendere dallo sconforto, rifiutandosi di combattere.

    A questo punto il suo auriga Krishna, principe del clan degli Yādava ma in realtà avatāra di Visnu qui inteso come divinità suprema, si avvia ad impartirgli degli insegnamenti, dal profondo contenuto religioso, per dissiparne i dubbi e lo sconforto imponendogli di rispettare i suoi doveri di ksatra, quindi di combattere e uccidere, senza farsi coinvolgere da quelle stesse azioni (karman).

    Per convincere Arjuna della bontà dei propri suggerimenti Krishna espone una vera e propria rivelazione religiosa finendo per manifestarsi come l'Essere supremo.

    INTRODUZIONE

    L'azione della Bhagavad Gita si svolge nel bas­sopiano dell'India, situato tra i fiumi Jumna e Sarsuti, che vengono chiamati attualmente Kurnul e Jhid. Questa regione prende il nome di « Pianura dei Kuru ». I fatti si svolgono tra due fazioni ne­miche, una chiamata « Kuru », l’altra « Pandu ». Entrambe avevano un antenato comune, il cui no­me era appunto Kuru.

    La Bhagavad Gita è solo un episodio di tutta l'epopea indù del Mahabharata, che narra la guer­ra tra due sette o fazioni, di una grande tribù o famiglia, che discendono appunto dall'avo, di cui abbiamo già parlato. Regnare su Hastinapura era desiderio di entrambe. E principalmente per que­sto motivo scoppiò la guerra. Hastinapura, secondo alcuni studiosi, sarebbe la moderna Delhi.

    Abbia­mo già detto che la tribù si chiamava, in modo generico, « Kuru » e questo nome veniva adottato dal ramo più anziano della tribù stessa. Mentre il ramo cadetto prendeva il nome di Pandu, che era il padre dei cinque capi, comandanti l’esercito del­la loro fazione.

    Il capostipite, o Kuru, era vissuto molte gene­razioni prima del periodo in cui scoppiò la lotta tra le due rivali. Abbiamo già visto che tutto il po­polo Kuru discendeva da un unico ceppo.

    Sappiamo dalla tradizione, che questo popolo abitava probabilmente una zona dell'Hima- laya.

    In seguito discese nella parte nord-occidentale della penisola indiana e fu capostipite di una razza chia­mata in seguito «Arya», che significa «superiore», perché voleva distinguersi dai popoli di cui aveva conquistato e occupato le terre.

    Prima della grande lotta tra i due partiti rivali, troviamo la descrizione dei fatti principali che die­dero origine alla guerra stessa.

    Il re Vichitravirya regnava sulla capitale, cioè su Hastinapura (forse l’attuale Delhi). Questo re prese in moglie due sorelle ma, poco dopo il se­condo matrimonio, morì: non lasciò nessun ere­de. Aveva però un fratellastro di nome Vyasa, che amava e rispettava moltissimo il re morto e che, secondo l’usanza degli antichi popoli orientali, spo­sò le vedove del fratello. Da questo matrimonio nacquero due figli: Dhritarastra e Pandu.

    Dhritaràstra era il primogenito. Da lui nacque­ro cento figli, il maggiore dei quali fu chiamato Duryodhana.

    Pandu, il fratello minore, ebbe invece cinque fi­gli, che divennero tutti grandi guerrieri ed erano conosciuti come i «cinque principi Pandu».

    Quando Dhritarastra diventò cieco, rimase so­lo formalmente. Il potere, di fatto, passò al suo primogenito Duryodhana, che riuscì a far esiliare i suoi cugini, i cinque principi Pandu.

    I cinque principi viaggiarono, vissero numero­se avventure e superarono varie prove. In seguito, ritornarono nella loro patria con molti amici, ri­scossero molte simpatie, tanto da poter reclutare un forte esercito, che i re dei paesi limitrofi rin­forzarono inviando loro guerrieri.

    Questo esercito iniziò, sulla pianura dei Ruru, una lotta contro il ramo più anziano della famiglia costituito da tutti i simpatizzanti di Dhritarastra; posti però sotto il comando di Duryodhana, figlio di quest’ultimo, dato che il padre era cieco.

    L'esercito di Dhritarastra, che rappresentava il ramo più anziano della famiglia, si oppose all’in­vasione dell’esercito dei cinque principi Pandu. Sot­to il comando di Duryodhana, il partito Kuru si schiera contro l'esercito dei Pandu, che veniva co­mandato appunto dai cinque principi Pandu. Tut­tavia, entrambi gli eserciti avevano due comandan­ti in capo. Bhishma, che era il più anziano fra i capi dei Kuru, guidava nella battaglia il loro eser­cito, mentre il famoso guerreiro Bhima comanda­va l'esercito dei Pandu.

    Uno dei cinque principi Pandu, chiamato Arju- na è uno dei protagonisti di questa lotta. Arjuna partecipò alla battaglia con i suoi fratelli. Krishna, incarnazione dello Spirito Supremo, era rimasto colpito dalla forza d'animo e dal coraggio, con cui Arjuna aveva affrontato l'esilio. Per questo e per ricompensarlo per la sua forza e nobiltà di carat­tere, Krishna diventò suo amico e lo accompagnò in questa battaglia, sul suo carro da guerra.

    Bhisma, capo dei Kuru, suona la sua grande conchiglia di guerra per dare inizio alla battaglia. Tutto l'esercito accompagna questo suono, dando fiato alle conchiglie e ai corni. Anche Arjuna e tut­to l’esercito dei cinque principi Pandu, risponde suonando con forza.

    Subito la battaglia incomincia, vengono lancia­te frecce e i due eserciti dimostrano tutto il loro valore e coraggio. Arjuna domanda a Krishna di guidare il suo carro in un punto da cui sia possibile osservare contemporanea- mente i due eserciti in lotta.

    Ma vedendo tanti parenti e amici affrontarsi con violenza, Arjuna si sente travolgere dall'orro­re. Dalla sua posizone può scorgere, sia in un eser­cito che nell'altro, persone a lui care pronte a mo­rire. Questa guerra fratricida lo fa inorridire. Al­lora getta le sue armi e decide di morire senza di­fendersi, perché non vuole, difendendosi, causare la morte di quei suoi parenti e amici, che combat­tono nell'esercito a lui avverso.

    Allora Krishna gli parla con sottili argomenta­zioni filosofiche. Questo discorso è il nucleo del­l'episodio della Bhagavad Gita. Krishna gli dimo­stra che non può sostenere la sua posizione e Arju­na si piega a rappresentare la sua parte in questa lotta drammatica. La battaglia termina con la scon­fitta dei Kuru. Arjuna e i Pandu hanno vinto.

    A questo punto, vediamo il vecchio re cieco Dhritarastra domandare al suo fedele Sanjaya cosa sta accadendo nel campo: i due interlocutori si tro­vano in un luogo isolato, lontano dal campo della battaglia. Sanjaya racconta al re quanto si va svol­gendo sul campo, ed il suo racconto costituisce il poema. L'interesse del poema è tutto nel discorso che Krishna rivolge ad Arjuna e di conseguenza la battaglia è semplicemente lo spunto da cui muove l'argomentazione del dio.

    ​CANTO PRIMO la tristezza di Arjuna

    Dhritarastra, re dei Kuru, così disse: « O Sa- njaya, che fecero i miei e quelli di Pandu quando, desiderosi di combattere, insieme si radunarono nel sacro campo dei Kuru? ». E Sanjaya: « Duryodhana, tuo figlio, vedendo l'esercito dei Pandu schie­rato, si appressò al suo maestro Drona, figlio di Bharadvaja,

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