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Il libro tibetano dei morti
Il libro tibetano dei morti
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E-book185 pagine2 ore

Il libro tibetano dei morti

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Info su questo ebook

Questo classico della religiosità orientale, qui tradotto direttamente dall'originale e arricchito da una serie di suggestive illustrazioni, appartiene - con "Il libro egizio dei morti", con la liturgia cristiana dei defunti e con il rituale cinese del culto degli antenati - al filone di scritture arcaiche attraverso le quali l'uomo ha tentato di affrontare l'angosciante problema della morte, proponendo soluzioni che leniscano il terrore e rassicurino il vivente sul suo ignoto destino.
Nel fiorito linguaggio di questo rituale tibetano, la morte si configura in modo radicalmente diverso sia dall'idea di un'integrazione nella gloria divina, sia dal concetto di una dissoluzione totale.
Nel tempo intermedio fra la morte fisica e il destino finale, il defunto conserva un "principio cosciente" sul quale opera il monaco recitante che, mediante la lettura del testo, ingenera in quel "principio" esperienze visionarie ed evoca le immagini terrifiche degli dèi. In virtù di questo rito il defunto/vivente accede a una perfetta conoscenza liberatoria del sé e può realizzare la rinascita.
LinguaItaliano
Data di uscita24 nov 2020
ISBN9788892720923
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    Anteprima del libro

    Il libro tibetano dei morti - a cura di Chögyal Namkhai Norbu

    Bibliografia

    Prefazione

    La presente traduzione dal testo originale in lingua tibetana del Bardo Thos-grol è stata da me realizzata durante il Corso di Lingua e Letteratura Tibetana dell’Anno Accademico 1979-80, tenuto all’Istituto Universitario Orientale di Napoli.

    Ho volutamente dato al testo un taglio più divulgativo perché più adatto ad un pubblico occidentale, e non strettamente accademico, sebbene allo stesso tempo il metodo di traduzione sia rimasto assolutamente letterale.

    Questa edizione del Bar-do Thos-grol è stata redatta tenendo presenti le varie edizioni esistenti in lingua tibetana.

    Introduzione

    Il testo dell’Autoliberazione nell’Udire (tib. Bar-do’ thos-grol) fa parte di una serie di testi composti da Padmasambhava, famoso maestro dell’Uddiyāna¹, che si intitola «Profonda dottrina dell’Autoliberazione mediante il riconoscimento delle divinità pacifiche e feroci della propria mente», testo che egli stesso avrebbe nascosto nei pressi della montagna Gampodar, vicino al fiume Yang-ze, nell’viii secolo dopo Cristo.

    Questo testo, classificato come gter-ma, è stato in seguito scoperto dal gter-ston Karma gLing-pa, un praticante della scuola bKa’-brgyud, poi entrato a far parte della tradizione rNying-ma².

    I gter-ma

    La tradizione dei gter-ma è molto diffusa in Tibet, sia nelle scuole buddhiste che in quelle pre-buddhiste Bon-po; letteralmente la parola gter-ma significa «tesoro», e sta ad indicare quei testi e quegli oggetti sacri e preziosi che venivano nascosti da alcuni maestri in previsione di periodi considerati non propizi per l’insegnamento, in caso di razzie, distruzioni e così via.

    I gter-ston (lett. «gli scopritori di tesori») riuscivano a scoprirli grazie alle indicazioni rivelate loro dai sogni o dalle proprie visioni, e riportavano così alla luce, diffondendoli.

    Principalmente esistono due tipi di gter-ma, i sa-gter (tesori della terra) e i dgongs-gter (tesori della mente).

    I sa-gter sono volumi di insegnamenti o reperti sacri, quali statuette, strumenti liturgici, reliquie, pietre e metalli preziosi, che venivano ritrovati sotto terra, nelle rocce, nelle caverne, nei pilastri dei templi.

    I dgongs-gter sono invece testi di insegnamenti scritti dagli stessi maestri gter-ston in seguito alle loro visioni spontanee, e successivamente diffusi e trasmessi; i testi possono essere scritti non solo in lingua tibetana, ma anche in una lingua sconosciuta e indecifrabile, detta «lingua delle Dākinī»³, che solo i gter-stop possono interpretare.

    Durante la mia esperienza di studio in Occidente mi sono reso conto della notevole diffidenza nutrita dagli studiosi riguardo l’autenticità dei gter-ma.

    Personalmente ritengo che tra i gter-ma esistano davvero molte falsificazioni; quando ero in Tibet ho avuto però esperienze molto significative dei sa-gter e dei dgongs-gter, di cui voglio ora dare un accenno per chiarire il significato di questa tradizione ancora tanto sconosciuta in Occidente.

    Nell’estate del 1952 mi trovavo a Iha-lung, nel Tibet Orientale, presso un mio zio, un praticante molto semplice. In quel periodo egli stava dando un insegnamento di rDzogs-chen ad una ventina di discepoli. Un giorno mi chiamò e mi disse che aveva avuto in sogno l’indicazione di un gter-ma. Dopo qualche settimana mi raccontò di nuovo di aver fatto un sogno simile, questa volta molto più preciso del precedente, in cui egli scopriva un insegnamento sulla divinità tantrica Vajrapdni. Nel sogno era molto ben visibile un luogo, sito nelle vicinanze di una montagna che noi conoscevamo, dove il sole, battendo sull’entrata di una grotta, disegnava un’ombra a forma di lettera A dell’alfabeto tibetano. Feci di tutto per convincere mio zio a cercare il luogo apparso in sogno e a rendere pubblico il ritrovamento. Ma solo dopo lunghe insistenze da parte mia si decise.

    Partimmo quindi per il luogo indicato nel sogno, e una volta arrivati animo un giorno intero finché riuscimmo a trovare la grotta, ed era veramente identica alle descrizioni fatte da mio zio. Poi fissammo la data in cui agire. Nel frattempo erano giunte parecchie persone, perché di solito in Tibet questi ritrovamenti sono accompagnati da una sorta di festa popolare, si sparge la voce e la gente arriva da ogni parte in attesa dell’evento, si accampa con le tende in prossimità del luogo destinato e prende parte ai grandi cerimoniali propiziatori che precedono sempre il ritrovamento, che viene poi festeggiato con danze, canti e tornei.

    All’alba del decimo giorno del mese lunare, che è considerato molto propizio in Tibet, mio zio, dopo aver fatto una lunga invocazione ed essersi concentrato per molto tempo, prese un piccone e con tutta la sua forza lo scagliò verso la roccia.

    Il punto che il piccone aveva toccato sopra l’entrata della grotta era molto alto, e un monaco di un vicino monastero, arrampicatosi su una scala di legno costruita in tutta fretta dalla gente ivi radunata, incominciò a scavare. Disse subito che la terra in quel punto era molto friabile e dopo un po’, da sotto, si incominciò a intravedere un bagliore.

    Il monaco disse che nella roccia c’era una specie di gemma e chiese a mio zio se dovesse prenderla oppure no; mio zio rispose di non toccarla, ma di farla cadere sulla grande stoffa che una decina di persone aveva già preparato e stava sorreggendo.

    Nell’emozione generale si vide allora cadere come un grosso uovo, luminoso e scintillante, di color turchese, mentre tutta la gente accorreva e cominciava a raccogliere la terra caduta insieme alla pietra perché considerata sacra. Iniziarono quindi i festeggiamenti che si protrassero per diversi giorni.

    I gter-ma dunque possono essere sia testi di insegnamento che oggetti sacri.

    Un’altra volta, in Tibet, andai a trovare un famoso maestro della scuola bKa’-brgyud, il xvi rGyal-ba Karma-pa e in quell’occasione egli mi mostrò decine e decine di gter-ma: phur-bus, statue di Padmasambhava e statue di divinità, che erano pervenuti al suo monastero attraverso i secoli, ed erano stati donati dagli stessi ritrovatori.

    Un altro esempio significativo è costituito dal ritrovamento di uno dei più importanti testi tantrici dell’insegnamento della "Grande Perfezione» (rDzogs-chen), che è il metodo più essenziale e diretto del tantrismo tibetano, e precisamente il rNying-ma ‘i rgyud bcu-bdun, la serie dei diciassette tantra «Upadeśa», considerata il cuore dell’insegnamento della Grande Perfezione.

    L’insegnamento di questi diciassette tantra fu trasmesso da Vimalamitra, un grande maestro della tradizione rDzogs-chen, a Myang ting-’dzin bzang-po e da questi a dBas blo-gros dbang-phyug.

    Contemporaneamente Vimalamitra nascose un’altra copia del testo in un tempio che egli stesso aveva fatto erigere.

    Dopo cento anni il re gLang dar-ma⁶ distrusse tutte le strutture buddhiste, templi e monasteri, ma la devastazione non colpì la trasmissione dell’insegnamento che continuava nella famiglia di dBas di padre in figlio, molto semplicemente e senza essere legata a nessuna istituzione. Col passare del tempo, però, tra gli altri maestri sorsero dubbi circa l’autenticità del testo e dell’insegnamento che si tramandava nella famiglia di dBas poiché non esistevano altre copie con cui confrontarlo, come di solito invece avviene per gli altri tantra.

    Un giorno il monaco che fungeva da guardiano del tempio fatto erigere da Vimalamitra, sognò che dentro una colonna del tempio era nascosto un testo; dopo qualche settimana il sogno si ripeté. Chiese quindi il permesso di scavare nel posto che aveva visto in sogno e scoprì così l’altra versione del rNying-ma ‘i rgyud bcu-bdun, scritta in oro su carta nera. Le due versioni furono confrontate e si poterono notare alcune differenze. L’ultima edizione di questo testo, pubblicata di recente, è stata redatta con alcune note integrative che indicano appunto le differenze tra le due versioni.

    Anche i dgongs-gter, come i sa-gter, sono molto diffusi nella tradizione religiosa tibetana, di cui ho avuto un’esperienza molto viva quando ero con il Lama Byang-chub rdo-rje, un grande maestro della tradizione rDzogs-chen. Egli era una persona molto semplice e modesta, viveva facendo il contadino nei pressi di Gonjo nel Tibet Orientale, ma era anche molto conosciuto tra la gente del luogo per essere un bravo dottore.

    Era anche un gter-ston: quando vivevo con lui ricevetti l’insegnamento di un testo di rDzogs-chen veramente meraviglioso, il bKa’-’dus chos-kyi rgya-mtsho che vuol dire «sintesi dell’oceano dell’insegnamento», da lui stesso dettato a un suo discepolo, in seguito ad una visione.

    Il maestro Byang-chub rdo-rje sapeva leggere a stento e non sapeva scrivere, quindi io stesso mi offersi di scrivere, in caso avesse avuto qualcosa da dettare. Mi chiese allora di scrivere il secondo volume del bKa’-’dus chos-kyi igya-mtsho. Così, per giorni interi, il maestro dettava mentre riceveva i malati e le persone che quotidianamente si recavano da lui per chiedere consigli. Egli si interrompeva continuamente per parlare con la gente, e io pensavo che il testo non avrebbe avuto alcuna continuità e che la forma ne sarebbe risultata frammentaria. Tuttavia, la sera, quando leggevo quello che avevo scritto durante la giornata, rimanevo stupito nel constatare la perfezione dello stile e della forma: non mancava mai una parola e sembrava che fosse stato dettato senza alcuna interruzione, cosa che è ancora più sorprendente se si tiene conto che il maestro Byang-chub rdo-rje non sapeva scrivere.

    Questo testo è veramente un insegnamento molto essenziale di rDzogs-chen, e sono sicuro che nessuno studioso di logica, per quanto istruito, sarebbe riuscito a scriverlo.

    Gli esempi appena fatti possono essere utili per capire meglio il significato del gter-ma, categoria di insegnamenti alla quale appartiene il testo della «Grande Liberazione nell’Udire» attribuito al Maestro Padma Sambhava.

    La dottrina che riguarda lo stato del post-mortem è contenuta anche in molti tantra appartenenti alla tradizione rDzogs-chen.

    L’origine di questa trasmissione è contenuta in uno dei diciassette tantra Upadeśa del rNying-naa’ i rgyud bcu-bdun, di cui ho precedentemente narrato il ritrovamento, e precisamente nel «Tantra della Grande Segreta Unione del Sole e della Luna». (Nyi-ma dang zia-ba’ i Kha-sbyorba gsang-ba ‘ i rgyud).

    Esistono punti di contatto tra la dottrina della condizione che segue lo stato di morte della tradizione tibetana e quella della tradizione del Buddhismo Hinayāna, per esempio il «Tesoro della Conoscenza» (Abhidharmakosa) di Vasubandhu e il «Compendio della Conoscenza» (Abhidharmasamuccaya) di Asanga contengono descrizioni lunghe e dettagliate dello stato intermedio che precede la nuova rinascita. Anche la concezione relativa alla condizione che segue lo stato di morte della tradizione pre-buddhista Bon è molto simile a quella del Buddhismo Tantrico.

    La parola Bardo, di per sé, significa «stato intermedio», e indica la condizione di passaggio tra due stati; nel Tantra della Grande Segreta Unione del Sole e della Luna e nel Tantra del Suono che passa attraverso tutte le cose (Sgra thal rgyur chen po’i rgyud) si parla di quattro differenti tipi di Bar-do:

    a. il skyes-gnas bardo ( skyes, nascita; gnas, stato) o rang-bzhin bar-do ( rarlg-bzhin, natura), è lo stato che intercorre tra una nascita e una morte, è la cosiddetta vita, è il Bardo della visione karmica così come si manifesta nella vita di ogni essere vivente, e che è vissuto come un’esperienza transeunte;

    b. il ‘chi-kha ‘i bar-do ( ‘chi-kha, morte), il Bardo dei momento della morte, è l’esperienza delle visioni che si manifestano da quando cominciano

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