Il sospiro di Medusa
Di Morena Oro
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Nell’epoca in cui si rincorre la bellezza artificiosa elevando a status l’immagine effimera si se stessi, l’unica maniera di affrontare il mostro che alberga in noi o che percepiamo negli altri e avere la salvezza è aggirarlo alle spalle, coglierlo nel sonno e decollarlo, cancellandone il volto, negare perciò quella identità che risiede nei tratti somatici che lo scorrere del tempo acuisce, svilisce, rende sempre più marcati e caratteriali. Tagliare la testa di Medusa vuol dire quindi rendere sopportabile il mostruoso, il diverso, esponendo solamente il suo simulacro, la sua icona, il suo trofeo. Così facendo saremo protetti dalla morte, dal sesso femminile che potrebbe risucchiare tutto. La chirurgia plastica portata al parossismo, tenta di fare questo, cancellare lo scorrere del tempo, impedirne il dominio sul nostro volto e intervenire per apportare quelle correzioni artificiose che finiscono per creare distorti prototipi di bellezza, icone grottesche di un’epoca desolante che per combattere i propri mostri ne crea di nuovi. Ogni epoca, di fatti, ha i propri mostri da distruggere, da decapitare, da affrontare evitando di guardarli negli occhi per non sentirne il peso e la storia.
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Anteprima del libro
Il sospiro di Medusa - Morena Oro
Cover
Resilienza
Non un angelo
ma un drago
Hai posto sapientemente
accanto alla mia culla.
Sempre l’alito focoso
del suo respiro,
la brace rossa
del suo sguardo,
ha fatto del mio cuore
il suo roccioso eremo,
il picco delle vertigini
dei suoi voli repentini
e roteanti,
la grotta cava
che esala incensi sacri.
Sempre il suo vivere nascosto
nei miei battiti ha acceso
lingue e fiamme dalla verità
fragile del mio buio primigenio
per innalzarlo alla definitiva Luce
che non ha nulla da dichiarare,
a nessuno,
per farsi riconoscere.
I poeti son comete
Cercate forse voi quella educata poesia,
così sognante, che chiede
quasi il permesso di esser letta?
Quella poesia ben studiata, azzimata,
che sta bene un po’ con tutto?
Io amo invece il poeta empio,
trasandato, ignaro delle metriche
se non quelle fra le vene e la propria mano,
che maledice quel che scrive
perché è un flusso che lo dissangua
e assillato dal bacio rapace
dei versi che lo lasciano spossato,
indolenzito fin dentro al suo midollo,
la poesia infine la maledice.
Cerco un poeta che la poesia
se la pulisca di dosso
con vergatura impetuosa,
che la scagli lontano in
meteore sfreccianti, bagliori rapidi
che trapassino l’aria facendola
sibilare tra lo stupore.
La poesia... io la voglio
che piombi giù dal cielo
cieca e arroventata
come la cometa di Majakovskij.
La voglio così, esplosione
che non distrugge,
paralizzante orizzonte di tutti gli eventi.
Quel che rimane
Spengo la candela
con un soffio.
L’odore di cera
quel che rimane.
Come una svogliata
malinconia,
nella stanza, in volute
si spande e il sonno
par dileguarsi
da questo corpo
che macina giorni
e fatica come fosse
fatto di fil di ferro.
Ti forgio come un’arma,
compagno, amico, salvatore.
A te mi affido,
la tua muscolatura
sottomette le prove della vita,
le ossa ammortizzano
ogni stanchezza.
Non ci possiamo fermare.
Quel che ci è dato, amato mio,
è un divieto di sosta, nessuna brezza.
Inerzia
Su… su… su
Fra lune… stelle…
Chimere…
Distratte comete e
collerici dèi
Su… su…
Al cielo imploriamo
pietosi come pidocchi
vani come sputi.
Avevo voglia di dormire.
E ho dormito.
Avevo voglia di mangiare.
E ho mangiato.
Che altro?
Chi… chi… chi altri?
Quel che non passa
Tu sai che c’è quello che non passa,
che il tempo è un difetto degli altri,
le grandi finestre dell’anima
sono spalancate sui grandi spazi fissi
che non tramontano mai.
Sempre nuove albe, continue rinascite,
laboriose metamorfosi che trasmutano
quello che non passa in cieca esultanza.
Tu, divenuto mio gene, mia particella,
mio elicoidale filamento,
non esisti,
non sei