Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Marina, ti racconto
Marina, ti racconto
Marina, ti racconto
E-book321 pagine4 ore

Marina, ti racconto

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Dicono che l'amore non ha confini e, se è vero, allora ti raggiungerò ovunque, perché, in verità, ti ho già raggiunto."

In questa frase c'è tutta la filosofia che permea il romanzo "Marina, ti racconto", di Maurizio Bonaldo, una testimonianza di vita e d'amore che l'autore scrive come regalo per i diciott'anni di Marina, figlia adottiva tanto amata e desiderata. L'amore può affrontare qualsiasi difficoltà della vita e dà la forza e la determinazione per giungere alla gioia piena.

L'amore, quindi, in tutte le sue sfaccettature, è il tema ricorrente del libro, assieme a frammenti di vita quotidiana, icastiche descrizioni della natura, precisi ricordi dell'adolescenza e delle persone amate, ansia di raggiungere un sogno a lungo vagheggiato.

Ed è proprio attraverso la descrizione di un mondo tratteggiato con realismo e concretezza, apparentemente semplice ma ricco di appartenenza, familiarità e sentimenti profondi, che l'autore offre alla figlia quasi una lente attraverso cui osservare il mondo e la sua realtà pulsante e vissuta intimamente.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mar 2019
ISBN9788831608848
Marina, ti racconto

Correlato a Marina, ti racconto

Ebook correlati

Biografia e autofiction per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Marina, ti racconto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Marina, ti racconto - Maurizio Bonaldo

    633/1941.

    INTRODUZIONE

    Maurizio ha diciotto anni quando conosce Antonella, di un anno più giovane e da poco emigrata dal sud d’Italia a Verona con la numerosa e particolare famiglia. La diversità di cultura tra nord e sud, pur opponendo degli ostacoli, non riuscirà a rompere quel forte legame d’amore che attraverso un ventennio si consoliderà e li porterà ad adottare la figlia Marina. Questo fortissimo legame sentimentale, che Maurizio e Antonella instaurano fin dal primo incontro, passa indenne attraverso gli anni difficili della scuola, della maturità, del servizio militare e delle prime esperienze lavorative. Le emozioni provate con le prime esperienze sessuali e la convinzione di essersi donata alla persona giusta, daranno a lei la forza per superare qualsiasi ostacolo, a cominciare dall’ottusità del padre e dalle paure di rimanere precocemente madre. Le difficoltà trovano la loro massima espressione quando la tanto desiderata maternità e l’altrettanto desiderata paternità dovranno superare le avversità poste come degli invalicabili ostacoli dal fato, travestito da genetica. I viaggi della speranza all’ospedale Sant'Orsola-Malpighidi di Bologna, specializzato nelle patologie legate alla fertilità, i tentativi d’inseminazione, le proposte d’inseminazione eterologa, scartate con convinzione, porteranno Maurizio e Antonella a prendere la decisione della vita: l’adozione. Questo costerà loro un grande impegno economico e una grande forza per superare le lungaggini burocratiche. Ma non ci sono solo difficoltà e ostacoli a condire la vita della coppia; arrivano anche le soddisfazioni per i successi sportivi dell’anno dello scudetto vinto dall’Hellas Verona, la gioia per i grandi viaggi, specialmente quello straordinario vissuto nel 1994 nell’est del Canada, viaggiando da soli. La soddisfazione più grande arriva dal viaggio in Russia nel dicembre del 1995, assieme ad altre due coppie con gli stessi problemi di fertilità, dove Maurizio ed Antonella partiranno in due e torneranno in tre. A Rostov Sul Don conosceranno la loro figlia adottiva, Marina, di undici mesi, e in quel mese di permanenza in quella fredda terra prenderà forma un diario che sarà la testimonianza di questo lungo viaggio della speranza durato per ben tre anni.

    Marina, ti Racconto è tutto questo, è un romanzo autobiografico, una dolce testimonianza della storia della sua famiglia, che lo scrittore vuole lasciare in eredità alla figlia adottiva Marina, affinché ne conservi per sempre un ricordo indelebile.

    A Marishka

    Marinochka

    Marina

    Da un padre e una madre

    che tanto l’hanno desiderata

    … per non dimenticare

    A Marcello

    Il ricordo di te vivrà per

    sempre nei nostri cuori,

    più forte di qualsiasi abbraccio,

    più importante di qualsiasi parola.

    Anche la vita più insipida, più scialba e più insignificante per chi la vive rappresenta comunque una straordinaria avventura.

    Mauri

    PREFAZIONE

    Dicono che l’amore non ha confini e, se è vero, allora ti raggiungerò ovunque, perché, in verità, ti ho già raggiunto.

    In questa frase c’è tutta la filosofia che permea il romanzo Marina, ti racconto, di Maurizio Bonaldo, una testimonianza di vita e d’amore che l’autore scrive come regalo per i diciott’anni di Marina, figlia adottiva tanto amata e desiderata. L’amore può affrontare qualsiasi difficoltà della vita e dà la forza e la determinazione per giungere alla gioia piena.

    L’amore, quindi, in tutte le sue sfaccettature, è il tema ricorrente del libro, assieme a frammenti di vita quotidiana, icastiche descrizioni della natura, precisi ricordi dell’adolescenza e delle persone amate, ansia di raggiungere un sogno a lungo vagheggiato.

    Ed è proprio attraverso la descrizione di un mondo tratteggiato con realismo e concretezza, apparentemente semplice ma ricco di appartenenza, familiarità e sentimenti profondi, che l’autore offre alla figlia quasi una lente attraverso cui osservare il mondo e la sua realtà pulsante e vissuta intimamente.

    Quando la vita non ci sospinge più nelle chine affannose delle incombenze quotidiane, quando il ritmo rallenta e si può sostare per osservare il mondo intorno a noi e quello interiore, allora è il momento in cui più prepotenti ed esplicite premono le necessità dell’anima. E allora arriva l’istante giusto per un colloquio con l’anima, che restituisce un senso all’esistenza e al correre degli anni trascorsi. È il momento dei consuntivi, ma anche della soddisfazione per quanto fatto, per quanto vissuto e per tutto quello che la vita ha dato. E allora si riavvolgono i giri delle lancette e si fa di nuovo scorrere il film della vita trascorsa, guardandolo attraverso la lente del ricordo. Le beate stagioni di mezzo appartengono all'anima, si suol dire; e proprio dell’anima si occupa questo libro, non con astrazioni introspettive e precostituite, ma quasi con un lirismo a metà fra sfogo e scavo interiore, quello che Pavese definiva: sfogo interiore.

    È certamente impossibile separare la vita vissuta da quella sognata. Perciò il ricordo resta l’unico mezzo di confronto valido, l’unico presupposto irrinunciabile per giudicare la realtà.

    Ovviamente ricordare non vuol dire solo non dimenticare, vuol dire anche ancorare il ricordo a qualche azione concreta.

    Ed è ciò che fa Bonaldo con questo libro. La scrittura è, d’altronde, lo strumento d’elezione per penetrare nelle profondità dell’anima. Da sempre è servita per riflettere attraverso la trasfigurazione fantastica delle parole che evocano immagini. Da sempre è il mezzo più diretto, più vero e più intimo per scandagliare la propria interiorità e riflettere su di sé.

    Ed è proprio quel che si percepisce in questi frammenti di pensieri, strappati ai quotidiani affanni ricorrenti.

    Ogni pagina è quasi un racconto o il fotogramma di un momento, spiragli importanti per affrontare l’universo umano dell’autore, che rimarrà sempre centrale nelle storie raccontate, che non risultano però mai pedanti, perché sono sempre pervase da sorniona ironia, da un non prendersi troppo sul serio, da un sorriso schivo e un po’ monello, che rende anche le pagine più struggenti lievi e garbate.

    L’impostazione, sempre ironica, antiretorica e antieroica, è semplice e diretta. Ogni momento è pervaso da un’attenzione, volutamente dimessa, rivolta alla quotidianità. Una quotidianità insistente, che sembra intridere l’animo dell’autore, ammorbidendo e addolcendo anche dispiaceri. Una realtà privata, venata a volte di una sottile malinconia, ma soprattutto della consapevolezza dell’importanza dell’amore vero dato e ricevuto. Il tempo della giovinezza ricorre insistente, in modo affettuoso. Si vede tutta la vita in filigrana, i dolori, le gioie, ma anche la capacità di vivere l’esistenza senza drammi e senza forzature: accettandola anche quando non va come dovrebbe. Ne emerge un quieto senso di abbandono, screziato da sprazzi di entusiasmo anche quando scivola rapido nel ricordo.

    La vita famigliare è trattata con semplicità affettuosa e spesso ironica. La celebrazione del quotidiano non impedisce all’autore di esprimere confessioni autobiografiche, che mascherano un sereno sentimento dell’ineluttabilità degli accadimenti della vita

    Spesso le pagine del libro sono una carrellata di tasselli del passato, che si presentano alla mente e al cuore dello scrittore in modo vivo, commosso, in cui si sente il desiderio e l’esigenza di riportare alla ribalta dell’esistenza alcuni personaggi amati e ammirati, nell’eterno fluire del tempo che spesso travolge e disperde.

    L’aspetto del tempo, con tutto il suo carico di valori, è indubbiamente uno degli elementi fondamentali del libro, diventa voce sicura ed efficace, armoniosa, ricca di sonorità, articolata in frasi di pacata e distesa misura, che si dilata e si sviluppa sui tre piani possibili: il presente dell’incontro, il passato dell’autobiografia, il futuro, convergente verso un punto luminoso, la speranza. Il tempo del passato e quello del presente si annodano inestricabilmente in un susseguirsi di evocazioni fatte di ripensamenti e di gioia, come quando il ricordo di ciò che è stato bello riaffiora all’improvviso e si palesa come una possibilità del tutto inevasa, fino ad allora imprevista e forse imprevedibile. E perciò, quando ciò avviene, molti avvenimenti del passato vengono raccontati con tempi verbali del presente. A scandire il tempo sono rituali quotidiani, scene di vita vissuta, semplici oggetti immortalati nella loro materia inanimata. Eppure queste scene di vita non sono solo semplice quotidianità, sono anche altro, sono molto di più: alludono e sottintendono i veri valori della vita, richiamano quasi rituali arcaici, facendo risaltare ancora di più l’impalpabilità dei sogni, l’indefinitezza delle visioni. È la vita che irrompe nella poesia.

    I sentimenti e le emozioni sono scolpiti tutti e attraversati da stati d'animo di diversa intensità, dove l'alternarsi della gioia, della felicità, dell'inquietudine dell’attesa, della paura, dei sogni colorano il proprio vivere e sentire.

    La natura ci pare riflessa quasi in uno specchio, dall’intimo e nell’intimo, sorgente da dentro proprio nel momento in cui viene contemplata per essere restituita alla pagina.

    Luoghi noti rivivono e rifioriscono in parole fatte di realtà e di sogni; si rinnovano nell'immaginazione e si trasformano in luoghi sempre presenti, sempre inconfondibilmente felici, posti, in cui disseminare frantumi di ricordi e di realtà odierna. A prevalere è sempre un atteggiamento di gioia e di positività esuberante, che porta l’autore nella condizione di affrontare con coraggio anche le situazioni difficili della vita, per la fiducia che le attese saranno soddisfatte e saranno piene e complete.

    Leggendo il libro di Bonaldo, sembra di sfogliare un registro di pensosità sulla vita, sul finalismo dell’essere, condito con il sale di una filosofia efficace nel sostanziare e raccordare suggestioni arcane con altre notoriamente manifeste, dai dubbi alla ricerca di verità incontestabili, da un razionale approccio a meditazioni esistenziali a realtà più concrete, senza ombra di spaccature diaframmatiche tra visibile e invisibile, transeunte e perpetuo, finito e infinito, in cui si potrebbe evidenziare una certa abilità nell’unificare il battito meccanico del tempo cronologico con la categoria del tempo metafisico.

    Una sintonia che va oltre la profondità dell’investigarsi su problematiche esistenziali.

    Le pulsioni del sentimento e della ragione, coesistendo osmoticamente, si integrano ed armonizzano nella significazione esistenziale, che si dipana come esperienza di un vissuto reale.

    Capita, a volte, di perdersi in un sogno e sperare che sia quello giusto. E le pagine, che compongono questo libro, infatti, inciampano nei sogni, nei ricordi e s'impreziosiscono di slanci, di sensazioni, di relazioni fondate e fondanti la persona, alla ricerca di mete soddisfacenti: immagini e pensieri che corrono veloci, sensazioni e ricordi, che, riemergendo da un passato non troppo remoto, pervadono i pensieri dello scrittore, proprio come in un sogno ad occhi aperti. Ecco, allora, che i pensieri vagano, passando dai pensieri dedicati a persone importanti alle riflessioni sul senso della vita, con giochi di luci e ombre, con l'attenzione dedicata a dettagli, che riescono a rendere accattivante anche una fiammella, una goccia d'acqua, un piatto di spaghetti...

    La narrazione procede quasi a scatti, a volte cambia bruscamente, lasciando spazio a suggestivi silenzi o frantumandosi in una moltitudine di piccoli episodi, veloci pennellate, brandelli d’immagini, che potrebbero sembrare non funzionali alla narrazione, ma che, in realtà, sono indispensabili alla descrizione della storia e al delineamento delle caratteristiche dell’io narrante, che è l’autore stesso. Domina la poetica del frammento, con repentini cambi di prospettiva e inattesi accostamenti di primi piani e campi lunghi, dettagli e panoramiche, come in un montaggio cinematografico.

    Intessuto in egual misura di realtà e immaginazione, quello di Bonaldo è uno spazio quasi lirico, vissuto in prima persona e descritto mediante la lente dell’autobiografia e dell’esperienza individuale.

    Nondimeno in questo libro compare anche la storia, mai raccontata in maniera diretta, ma filtrata attraverso il punto di vista dell’autore o di altri personaggi, che d’un tratto prendono la parola per rievocare situazioni, immagini, cicatrici del passato (come la caduta del muro di Berlino). Più che Storia è un’eco distante di Storia. È un racconto incompleto, un resoconto volutamente frammentario, perché, come afferma lo stesso protagonista, lui è solo una parte di questa storia.

    Nella descrizione della Russia Bonaldo ci restituisce tutta la complessità e l’incanto di un mondo apparentemente semplice, ma sfuggente, quasi ambiguo: un mondo dal fascino arcano, presentato attraverso la sua materica esteriorità, i colori della natura, i problemi e la prosa della vita quotidiana.

    Scalfendone la superficie, scavando sotto le apparenze, l’autore riesce a mostrarci i suoi infiniti misteri…

    Questo romanzo lascia cogliere molte aperture di un autobiografismo sentito quasi come lettura della memoria e come esplorazione dell’anima che scopre o cerca di scoprire se stessa e ripercorre sentieri, in cui riemergono in superficie chiare visioni del passato, assieme a sorrisi, passioni, intense emozioni: un insieme di sentimenti, quasi voci, visioni, stratificate nella memoria, che recuperano vita proiettandosi fuori dal proprio spazio e dal proprio tempo, parlano del passato come presente, attraverso la trasposizione in un altrove raffigurato nella sua a-temporalità, e invitano all’interrogazione sul senso dell’umanità, della storia, della vita. La memoria ha un ruolo aggregante di immagini e sensazioni, con uno sfondo non solo contingente, bensì cosmico.

    Uno degli elementi più ricorrenti del romanzo è la necessità di identificarsi in un mondo sempre più effimero, è la ricerca di rassicurarsi in istantanee omologazioni, che dà origine a un altro bisogno: quello della presenza. La non-presenza è esserci senza rimanere, percorrere senza lasciare tracce, comunicare senza influenzare.

    Il messaggio più alto e originale di questo libro è che la gioia nasce dal raggiungere l’unità, dal non frammentarsi, ma anche dal voler sopravvivere, adattandosi alla Vita e al Mondo, che ci costringono a dare valore alle cose, persino al nostro stesso dolore, comprendendo e crescendo, anche in uno spazio (buio), ma di un buio necessario.

    Si tratta non di un sapere, ma di un credere e di un immaginare (di un leopardiano fingersi, in fondo), che affascina, in quella sospensione-interruzione del senso, di un’uscita dal sapere, una ricercata inconsapevolezza, che ha la sua origine nella particolare, sofferta coscienza dell’oscuro e del mistero, in una singolare prospettiva emotiva e mentale, che rinvia a una sapienza di tipo gnomico.

    Quel che ne deriva è una forma di saggezza naturale, quella saggezza propria di chi ha percorso i luoghi del dubbio e del perturbante e ancora ne conserva la particolare luce, stupefatta e stregata.

    C’è uno spirito particolare, infatti, quasi un folletto geniale, che anima il romanzo e il suo tono; qualcosa di decisivo e insieme sfuggente, segreto e imprevedibile, ma sempre gioioso.

    Quel che conta, alla fine, è potere e volere apprezzare quel che resta di qualcosa che è passato per vivere nel presente e continuare a sperare nel futuro. .. Ma è anche volerlo fare apprezzare agli altri attraverso un racconto sincero –quasi un diario-; e soprattutto a Marina, a cui racconta…

    Emilia Fragomeni

    1 - L’AMORE TI COGLIE DI SORPRESA

    Percorrere la vita è un po’ come percorrere una salita, bisogna pedalare metro dopo metro. Un bell’impegno. Dopo la salita, però, si intravede la discesa; allora pedalare diventa più semplice.

    Mi chiamo Maurizio, per gli amici Mauri, ho diciotto anni, un metro e ottantuno, ottanta chili di solidi muscoli, capelli castani, occhi marroni… insomma un bel ragazzone con tanta voglia di vivere. Da piccolo ho fatto il chierichetto e ho pure cantato nel coro della chiesa, ma poi sono rinsavito e sono tornato sulla strada, la mia scuola, la scuola migliore del mondo. Vivo appena dentro le mura di Verona, che tutti chiamano la piccola Roma, nel quartiere di Veronetta, con i genitori e con mio fratello Eligio, che tra non molto metterà l’anello al dito e se ne andrà da casa, lasciando finalmente la camera tutta per me. A Verona ci sono pure nato, proprio nel centro storico, al numero 25 di via San Vitale, terzo piano. Una casa di ringhiera, dove tutti si conoscevano e dove tutti si facevano i cazzi degli altri.

    Sono un veronese DOC. Verona è una città che mostra tutte le sue rughe con orgoglio, che trasuda storia da tutti i pori, reale e inventata, come quella di Giulietta e Romeo, che il geniale Shakespeare ci regalò alla fine del 1500 e che, assieme alla stagione lirica all’Arena, attira migliaia e migliaia di turisti tutto l’anno. La città è solcata dal fiume Adige, che scorre serpeggiando tra tutta questa storia che ha visto nascere, morire e rinascere per millenni.

    Frequento, con profitto, il quarto anno all’Istituto Tecnico Galileo Ferraris. Sì, lo so, essendo nato in dicembre e avendo iniziato la scuola a cinque anni, dovrei già essere al quinto anno, ma il primo anno me lo sono letteralmente giocato a biliardo, collezionando più giorni di assenza rispetto a quelli di presenza. Un po’ di merito, se così lo vogliamo chiamare, è stato anche del mio carissimo amico Claudio, che frequenta, senza profitto, il liceo artistico. Durante il primo anno, quasi ogni mattina, me lo trovavo in sella al suo motorino davanti alla mia scuola che pronunciava con un sorriso da briccone, la fatidica frase, «Non avrai mica intenzione di entrare, vero? Al big bang c’è sicuramente un biliardo libero che ci aspetta.» Io, che quando si tratta di divertirsi tra amici, sono più debole di un drogato, ipnotizzato e in crisi di astinenza, saltavo in sella senza opporre la minima resistenza. Verdetto inequivocabile. Bocciato. In compenso devo dire che la lezione è servita, da allora sono sempre stato promosso a giugno con delle pagelle di tutto rispetto e così intendo proseguire fino alla maturità. Nel contempo sono anche diventato un ottimo giocatore di biliardo.

    Ma ci sono pomeriggi che… voglia di studiare saltami addosso.

    È un periodo in cui l’amore mi deve aver abbandonato e, quando l’amore viene a mancare, una parte dell’anima se ne va. Ma, forse ispirato proprio dalle parole di quel William che regalò la storia d’amore a Verona ‘Amore corre verso amore, così come gli scolari lasciano i loro libri…’, decido di andare incontro all’amore. Chiudo i libri e, riposti penne e quaderni, decido di uscire.

    Il termometro segna meno uno. Allora mi rifugio al Bar Sport, così impropriamente chiamato perché gli avventori di sportivo hanno ben poco, a meno di non definire sport il biliardo e il gioco delle carte. Però, se può contare, moltissimi di loro hanno l’abbonamento allo stadio per vedere e tifare l’Hellas Verona. Siamo nell’Anno Domini 1976 e la legge sul divieto di fumo negli ambienti pubblici purtroppo è ancora di là da venire. Il fumo è così fitto e denso che sembra di essere nella bassa del Polesine, quando la nebbia vuol mostrarsi in tutta la sua magnificenza. Allora dopo una mezz’ora di apnea, prima di raggiungere la saturazione tossica, esco a riprendere fiato e vedo lei, disinvolta, sorridente. Un sogno. Ma chi è quello schianto di ragazza vicino al cancello della chiesa? Magra, lato A ragguardevole, lato B da urlo, capelli biondi, lunghi fino alle natiche, lisci, che fanno da cornice a un viso espressivo, un sorriso che, come quello di Medusa, ti lascia di pietra. Dove ti eri nascosta fino ad ora? Come mai non ti avevo notata prima?

    Quell’apparizione mi aveva colpito come un fulmine che scocca senza sentirne il tuono, senza che il mondo intorno a me se ne accorgesse. Globuli bianchi, globuli rossi e piastrine rotolavano su e giù nel mio plasma come perfette palle di biliardo sul liscio panno.

    «Senti, Marco, ma tu che frequenti la parrocchia, la conosci, vero? Come si chiama, dove abita?»

    Marco è un carissimo amico, ci conosciamo fin dai tempi delle scuole elementari. Capelli neri e sopracciglia folte, tratti ereditati dal papà campano. Ha un sorriso che conquista e una grandissima propensione a socializzare, forse è proprio questo che ci ha uniti. Tra me e Marco non ci sono segreti.

    «Calmati, sembra che tu abbia visto la madonna di Fatima. Sì, la conosco! Si chiama Antonella, anzi, per la verità, mi ha raccontato che si chiama Antonietta, come la sua bisnonna, ma tutti l’hanno sempre chiamata Antonella fin da piccola e lei preferisce che la chiamino così. Viene dalla Calabria e non l’hai mai vista perché è arrivata a Verona da poco. Abita qui, vicino alla chiesa.»

    «Devi assolutamente presentarmela! Non fare lo stronzo, fammela incontrare!»

    «Ok, cosa ti succede? Fatti una doccia fredda, caro mio! Ora non ho tempo, devo andare all’allenamento, magari uno di questi giorni te la presento.»

    «D’accordo, ci conto. Magari domani potremmo andare direttamente a trovarla a casa sua, così la invito per la festa di fine anno. Cosa dici, è una buona idea?»

    «Potrebbe essere una buona idea. Domani ci vediamo qui al bar verso le sei del pomeriggio e poi andiamo.»

    Ecco cosa capita, rimanendo fuori dal bar a cazzeggiare anziché stare a casa a studiare. Queste cose mica te le insegnano i libri!

    Mamma mia! Quanta voglia ho di conoscere questa Antonella.

    Ora dovevo capire se ascoltare completamente quello che mi dettava il cuore o se dare ascolto al raziocinio che mi frullava in testa.

    Trascinandomi speranzoso verso casa, alcune domande si insinuarono nella mia testa. ‘Ma una persona è veramente libera di scegliere, oppure è vittima di una scelta altrui? ‘

    Vedevo me come Adamo e Antonella come il frutto proibito e continuavo a chiedermi: ‘Ma Adamo avrà scelto di mangiare la mela oppure sarà stato il serpente a scegliere per lui? O forse sarà stato solo un disegno dell’onnipotente?’

    Una cosa era certa, domande come queste per un ateo probabilista erano fuori luogo. Così varcai il portone di casa, sgombrando la mente da inutili foschie.

    2 - HO VOLUTO CONOSCERE TUA MADRE

    Avevo sempre avuto la tendenza a non forzare gli eventi, lasciavo sempre che le situazioni capitassero per conto loro. Non ero una persona che afferrava le occasioni al volo, più che altro mi facevo catturare dalle occasioni.

    A volte lasciavo addirittura che il treno mi passasse davanti senza afferrarlo, me lo facevo scivolare via e stavo a guardare quasi compiaciuto della mia lenta debolezza.

    Questa volta sentivo che sarebbe stato diverso, questa volta su quel treno ci volevo salire, anche se fosse sfrecciato a tutta velocità!

    Giubbotto di pelle, maglione bordeaux, jeans, scarpe barrows e sorriso alla Duchenne, perfetto, non manca nulla.

    Siamo davanti al 48 di via Carducci, il portone è aperto, saliamo al secondo piano. Un doppio squillo di campanello, dopo qualche istante la porta si apre e la Venere della Calabria appare in tutto il suo splendore. Anche se non ha l’aureola, la prima impressione è paralizzante. Ne ho conosciute di ragazze, e non solo platonicamente, ma l’effetto provocato da questa apparizione è nuova, esaltante. Forse è presto per dirlo, ma dal battito accelerato e dagli ormoni in tumulto, credo di essere vittima di quello che si chiama AMORE A PRIMA VISTA.

    I capelli sono biondi, stirati e lunghi, gli occhi sembrano quelli di un cerbiatto, le labbra sono una morbida calamita per i baci, il ventre piatto, come la pianura padana, annuncia le Prealpi che si ergono marmoree e la schiena termina dove iniziano le armoniose colline delle Torricelle.

    Non è molto alta, forse un metro e sessanta o poco più, ma le cose sono tutte perfettamente in armonia e al loro posto.

    Per fortuna che mi sono fatto accompagnare da Marco e che ora spero dirà qualcosa, perché io sono letteralmente paralizzato. Che cazzo mi succede? Solitamente sono piuttosto bulletto, sicuro di me, chi è sto stronzo che si inebetisce come un pivello?

    Ma la prima mossa la fa proprio lei.

    «Ciao, Marco, ma che bella sorpresa!»

    «Ciao, Antonella, passavo di qua e sono venuto a farti un saluto, stavo andando verso casa in compagnia di Maurizio. A proposito, ti presento Maurizio, un amico storico; ci siamo conosciuti alle scuole elementari e da allora siamo rimasti amici inseparabili.»

    «Pi, pia, piacere, Maurizio.» Cosa? Balbetto anche. Ma allora sono proprio rincoglionito. Ci manca solo che inizino a sudarmi le mani, così, quando me la stringe, faccio pure una figura di merda.

    «Piacere mio, Maurizio. Ma perché non entrate, stiamo facendo le salsicce piccanti nostrane, ci sarà un po’ di disordine, ma è lo stesso.»

    «Grazie, Antonella, ma devo assolutamente tornare a casa, devo finire una ricerca per domani, altrimenti il prof. mi càzzia. Magari si può fermare Maurizio, così vi potete conoscere un po’ meglio.»

    Marco è proprio un amico, ha studiato la strategia giusta per lasciarci soli. Se sono rose, fioriranno.

    Sto rinvenendo dall’inebetimento. Faccio un bel respiro, di quelli fatti con il diaframma tutto aperto, poi collego il cervello alla bocca e magicamente parlo.

    «In effetti non ho particolari impegni.»

    Bugia, bugia, bugia. Dovrei prepararmi per il compito di elettrotecnica, ma chi se ne frega? Quando mi ricapita un’occasione così? Per il compito farò affidamento sul buon cuore del mio compagno di banco.

    «Se non sono d’intralcio, un bicchiere d’acqua lo accetto volentieri.»

    «Bene, Antonella, allora ti saluto e ci vediamo in parrocchia domani.»

    «Ciao, Marco, sì domani vengo sicuramente alla riunione giovani.»

    «Entra, Maurizio, ti accompagno in cucina.»

    Le stanze che attraversiamo per entrare in cucina sembrano il regno di un pittore naif. Le pareti sono dipinte con i più svariati colori e in alcuni casi abbellite o abbruttite, a seconda dei gusti, con dei motivi rococò.

    La cucina è abbastanza ampia, sembra di essere

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1