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Per il mio bene
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E-book131 pagine1 ora

Per il mio bene

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Info su questo ebook

VINCITORE PREMIO BANCARELLA 2021

"Non sei mai al sicuro in nessun posto”, questo ha imparato Morwenn, una bambina di cinque anni. Perché Morwenn ha paura di un mostro, un mostro che non si nasconde sotto il letto o negli armadi, ma vive con lei, controlla la sua vita. Un mostro che lei chiama “mamma”. La persona che dovrebbe esserle più vicina, che dovrebbe offrirle amore e protezione e invece sa darle solo violenza e odio. La picchia, la insulta, le fa male sia nel corpo che nell’anima. A lei e a Gwendal, suo fratello, di pochi anni più grande. Morwenn prova a fuggire, ma la società non lascia che una bambina così piccola si allontani dalla madre, e tutti sembrano voltarsi dall’altra parte davanti alle scenate, ai “conti che si faranno a casa”, ai lividi. Così, aspettando e pregando per una liberazione, Morwenn imparerà a mettere su una corazza, a rispondere male ai professori, a trovare una nuova famiglia e un primo amore in un gruppo di amici, a usare la musica per isolarsi e proteggersi. Finché, compiuti quindici anni, riuscirà finalmente a scappare di casa e a intraprendere il percorso, fatto di tentativi ed errori, che la porterà a diventare Ema Stokholma, amatissima dj e conduttrice radiofonica. Per la prima volta Ema Stokholma racconta il suo passato, il tempo in cui il suo nome era ancora Morwenn Moguerou. E lo fa scrivendo un libro che attraverso la sua esperienza individuale riesce a raggiungere sentimenti universali, a insegnare che dal dolore si può uscire, che si può sbagliare e cambiare, che il lieto fine è possibile. Perché Per il mio bene è una storia vera ma anche un romanzo indimenticabile, che riesce a raccontare il dolore e il male con una lingua immediata e diretta, con uno stile allo stesso tempo durissimo e dolce che colpisce il lettore al cuore e tocca le corde più profonde e vere dell’animo umano.
LinguaItaliano
Data di uscita12 feb 2020
ISBN9788830509603
Per il mio bene
Autore

Ema Stokholma

EMA STOKHOLMA è lo pseudonimo di Morwenn Mogerou. Nata in Francia alla fine del 1983, è scappata di casa a 15 anni per sfuggire agli abusi materni di cui è stata vittima e si è trasferita in Italia. Ha lavorato come modella e poi ha iniziato a fare la dj, diventando in poco tempo una delle più importanti e popolari dj italiane. Nel 2018 ha partecipato a Pechino Express, e ha vinto. Conduce, con Gino Castaldo, il programma Back2Back su Rai Radio Due

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    Anteprima del libro

    Per il mio bene - Ema Stokholma

    Ringrazio

    PRIMA PARTE

    Romans-sur-Isère 1983-1996

    PRIMO RICORDO BRUTTO

    E ALTRE STORIE DI UNA BAMBINA

    1

    Non si è al sicuro in nessun posto.

    Mi ricordo benissimo della prima volta in macchina, avevo quattro anni e lì non era mai successo fino ad allora, quindi pensavo che fosse un luogo protetto. Che delusione quando mi arriva il primo pugno. Aveva fermato la macchina per girarsi e darmelo forte. Siamo nella Due Cavalli rossa con tettuccio verde tutta scassata che abbiamo da sei anni, da quando sono nata io. Da quella prima volta ho sempre paura se tocca a me stare davanti, perché sappiamo tutti e tre cosa vuol dire. È il mio turno. Non c’è un motivo valido, non c’è una spiegazione, accade senza preavviso ed è sempre lo stesso scenario.

    Sono nel mirino da questa mattina. Mi sono alzata dal letto e sono corsa davanti alla stufa a gas per vestirmi. A casa fa freddissimo, il termometro a mercurio nel corridoio indica dodici gradi, non abbiamo mai avuto il riscaldamento, solo due stufe portatili. Gwendal sta preparando la colazione, quando lei entra in cucina. Risponde al nostro buongiorno ma mi squadra.

    «Hai la bocca grossa.»

    Mi giro dall’altra parte e stringo le labbra tra i denti per farle sembrare più sottili. Quando ho la bocca grossa, detta anche bocca da pompino, significa che mi sono masturbata e questo la fa impazzire più di tutto.

    Riesco a cavarmela e me ne vado a scuola, ma è solo rimandare la discussione. Quando torno mi aggredisce subito. Dice che oggi sono pazza, si vede dai miei occhi, ho le pupille dilatate. Quindi carica me e Gwendal in macchina e ci porta sulla riva del fiume. C’è una strada molto bella che si chiama Le Chemin des Boeufs, due chilometri di prato verde che in estate è pieno di margherite, e ogni tanto la gente ci viene a fare footing. Ora è autunno e il prato è ricoperto di fango e foglie marroni e rosse, nessuno che corre. Abbiamo appena cominciato.

    Siamo arrivati, ferma la macchina e parte il processo; le accuse sono gravi ma sono le solite, follia, pensieri impuri, masturbazione. Farà di tutto per curarmi, a costo di uccidermi di botte. Sono colpevole senza possibilità di appello.

    Mio fratello spinge il mio sedile con il ginocchio. Sento due leggeri colpi nella schiena, è un nostro codice segreto per dire all’altro: tieni duro. Non può che assistere in silenzio al racconto dei miei desideri sessuali secondo mia madre. Voglio farmi gli uomini ma sono un’imprudente! Non so che un pene grosso che entra dentro una bambina piccola come me la apre in due, è questo che voglio? È proprio questo che mi eccita? Mi abbassa i leggings di lana grigi e le mutande. Mette il dito sul mio sesso e dice che è troppo piccola, che faccio schifo, e aggiunge sorridendo che sono proprio una piccola puttanella.

    «Ti piace eh?!»

    Non so di cosa parla. Provo a negare, a difendermi, ma non resisto molto e crollo sotto le botte. Mi tira i capelli e mi sbatte la testa contro il finestrino e il cruscotto. Non riesco a piangere, allora dice che non ho sentimenti, sono autistica e ninfomane. Mia madre ha le mani pesanti. Sono larghe e piatte. Quando stringe il pugno sembra che tiene un sasso dentro.

    Ammetto tutto, sono colpevole, solo così mi lascerà in pace. Come sempre, dopo la mia confessione, finisce l’aggressione fisica. Quella verbale no, ma è già qualcosa. Dice che ora però devo calmarmi. So già cosa mi farà fare, succede anche a mio fratello.

    «Scendi! E stai attenta a quello che desideri perché dietro agli alberi ci sono dei pedofili.»

    La tecnica per calmarmi consiste nel farmi correre avanti e indietro su questa strada, mentre lei mi segue con la macchina. Finché non decide che basta. Un po’ come nel video di Karma Police che mi farà ridere molti anni dopo. Io odio correre, odio il sesso, odio la macchina, odio mia madre.

    2

    Io la vedo enorme. Un mostro ciccione. Ha i capelli lisci e scuri e la pelle bianca. Non l’ho mai trovata bella, anche se devo dire che non è neanche brutta. Il fatto che sia un po’ grassa però mi dà molto fastidio, perché io sono uno stecchino a confronto e lei mi odia anche per questo. Si veste sempre con camicie di seta larghe blu o viola comprate al mercatino e avrà al massimo due paia di jeans. D’estate si spinge fino a indossare delle lunghe gonne plissé colorate ma è raro. Ai piedi Birkenstock tutto l’anno, ha dei piedi claustrofobici. Non ha mai voluto indossare scarpe chiuse. Ha i peli sull’alluce.

    La sua birra preferita è la Heineken e ogni giorno dobbiamo prenderle un pacco da sei. La domenica invece beve vino rosso e perde completamente la ragione nel fondo della prima bottiglia. La domenica è sempre un giorno complicato, perché lei non lavora e non c’è scuola, non c’è la casa di quartiere con le sue attività dove mi posso rifugiare, non ci sono gli amichetti per giocare per strada, spesso non c’è Gwendal, che esce con la bicicletta e resta fuori ore e ore. Quando va bene c’è il silenzio in casa a pranzo, MacGyver e poi il tenente Colombo alle 16 e il quaderno degli esercizi. Ma non va quasi mai bene.

    È di domenica che mi parla per la prima volta della sua famiglia. Gwendal si è alzato da tavola per andare in camera, mi ha lasciata sola con il mostro. La cucina è il posto della casa che più detesto, è lì che passo i momenti peggiori. Non riesco a mangiare, è più forte di me, mi si stringe lo stomaco appena vedo il tavolo di legno dipinto di verde apparecchiato per tre. Ma non posso alzarmi finché non finisco il piatto, ore infinite passate davanti a una sbobba viscosa di riso mal cotto al latte. Non ci riesco, non va giù, mastico per lunghissimi minuti e ci provo davvero. Volano schiaffi e sculacciate e io vomito. Se si allontana per andare in bagno o in un’altra stanza faccio delle pallette di cibo che nascondo sotto la cassapanca, nel tovagliolo o dovunque capita. Ma neanche con questo metodo riesco a svuotare il piatto e guardo le ore passare sull’orologio tondo che sta di fronte a me. Che strazio.

    Oggi a pranzo ha bevuto una bottiglia e mezza e comincia a raccontarmi del nonno, suo padre. Ho quasi sette anni e non l’ho mai visto come non ho mai visto il resto della famiglia, e di lui non so niente. Mi dice che era violento con lei, per questo è scappata di casa a diciotto anni e non ha più voluto vederlo. Comunque ora ha deciso di parlarne, da ubriaca. A me non me ne frega niente. Chi cazzo lo conosce. Fingo interesse perché non voglio farla arrabbiare, ma il suo discorso non regge. Mi accusa di non avere rapporti con lui e dice che è colpa mia se non lo conosco, che è un peccato che io sia venuta su così egoista da non volere neanche una famiglia. Ma io non so chi sia né dove potrei trovarlo. Decide che devo scrivergli una lettera, gliela manderemo e poi si vedrà. Si alza e va in camera per la pennichella. Sono le 14.

    Caro nonno, non ci conosci ma noi siamo la tua famiglia. A noi farebbe piacere incontrarti e magari passare la Pasqua o il Natale insieme qualche volta. Ci manchi, aspettiamo una tua risposta.

    Non è vero che mi manca ma ci sta bene nella lettera, ci disegno anche un fiorellino perché mi vengono bene.

    Salgo lentamente i quattro scalini di legno che dalla cucina portano alla camera del mostro senza farli scricchiolare; non voglio svegliarla. In casa come sempre regna il silenzio. Lascio il foglio scritto con il pennarello rosso sul comodino accanto al suo letto, sono quasi sicura che sarà contenta perché ho fatto esattamente quello che mi ha detto lei. Sono soddisfatta.

    Due ore dopo si alza. Vede la lettera e va su tutte le furie. Come posso essere così ingrata da voler conoscere l’uomo che le ha fatto del male? Perché le è capitata una figlia stronza come me? Non esiste persona peggiore al mondo, voglio solo ferirla. Sono peggio di suo padre, peggio del mio, sono un mostro che gode a vederla soffrire. Quel pomeriggio mi picchierà talmente tanto che penso che mi ucciderà. Giorni dopo le faranno ancora male le mani per colpa mia.

    3

    Abitiamo nel Sud-Est della Francia, a Romans-sur-Isère, al secondo piano di una piccola palazzina che ne ha solo tre. Siamo venuti a vivere qui quando avevo tre anni. Prima stavamo in una casa popolare a un centinaio di passi di distanza, ma siamo dovuti andare via perché mia madre aveva litigato con la vicina di sopra, una donna marocchina che per vendetta ci tirava cartacce e spazzatura dalla finestra e a volte ci sputava anche.

    Casa nostra è messa male ma è bellissima. Le due porte-finestre che danno sulla piazzetta riempiono di sole il salone. Il primo e il terzo piano sono disabitati. Al primo per un anno c’è stata una mamma con sua figlia e un jack russell, ma poi sono spariti e siamo rimasti di nuovo soli. Il terzo è un sottotetto buio e polveroso composto da tre stanze che affacciano sul cortile interno. Ci è proibito giocarci perché

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