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Disincontro
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E-book318 pagine4 ore

Disincontro

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Info su questo ebook

Un uomo e una donna dal passato oscuro e travagliato, si disincontrano tutti i giorni nella stazione di Roma Tiburtina diretti verso città opposte. Seduti uno di fronte all'altro, separati da due binari, immaginano come potrebbe evolversi la propria vita se solo si incontrassero. Dopo mesi di sguardi, deduzioni e intuizioni decidono contemporaneamente  di attraversare i due binari che li separano: sarà l'ennesimo disincontro?
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2018
ISBN9788829524488
Disincontro

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    Anteprima del libro

    Disincontro - Nicholas Faina

    EPILOGO

    Copertina

    IMMAGINI DELL'INSERTO: © Chiara S. / Chiara Sciacca IMMAGINE DI COPERTINA: © Chiara S. / Chiara Sciacca

    REVISORE DI TESTO: Nicholas Faina, Livia Salvetti

    Libro pubblicato a cura dell'autore

    ANNO 2018

    " A vida è arte do encontro

    embora haja tanto desencontro pela vida."

    Vinicius de Moraes

    PARTE I

    Seduto sopra una gelida panchina di una stazione di Roma, un uomo cercava di ammazzare il tempo contando quanto durava la sosta media di un treno; il rumore meccanico in lontananza scandiva un sereno tramonto estivo e tanti viaggiatori come solito, aspettavano quello delle 23 per fare ritorno a casa.

    Come per abitudine, si formavano dei gruppetti di astute menti che cercando di indovinare dove il treno si sarebbe fermato, speravano di entrare più in fretta possibile e trovare un posto seduti.

    Il bisbiglio dei commenti sulle varie giornate lavorative non riusciva a propagarsi aldilà dei binari e spesso facevano fatica a sentirsi anche da una panchina all'altra, sebbene fossero distanti pochi metri.

    Aldilà dei binari, dove per l'esattezza sorgeva il silenzio onnipotente e nonostante un treno stesse per arrivare, nessuno sembrava aspettarlo o perlomeno quel giorno, tutti i suoi passeggeri erano morti, spariti nel nulla o in netto ritardo.

    Non era stato un giorno particolarmente afoso e la capitale si mostrava adatta e pronta per un evento apocalittico come le Olimpiadi. Tutto era già allestito solo mancava un ospite di quasi tutti i paesi del mondo ma l'atmosfera misteriosa già si percepiva nell'aria, seppur tagliente a causa di una perturbazione futura.

    L'amministrazione romana era una delle più corrette che si fossero mai viste al comando negli ultimi anni e per questo a tutti i cittadini sembrava esserci qualcosa che in realtà puzzava di marcio e facilmente in tutto poteva essere connesso a quella promessa delle future Olimpiadi in attesa per il 2020.

    Mancavano ancora diversi anni e l'Italia sarebbe passata per la coppa del mondo, tuttavia nessuno si poteva immaginare che la reale originalità di quell'azzardo politico fosse coprire un forte fallimento della squadra di calcio italiana.

    Perché? Quale fosse il senso di tale trovata geniale neanche uno psicologo poteva saperlo; l'amministrazione era sincera, trasparente e si distaccava dall'idea ormai diffusa della corruzione..

    Tuttavia si era inventata la proposta alla commissione internazionale delle Olimpiadi; tutto era allestito, dal Colosseo alle terme di Diocleziano, il ghetto di Roma era stato ripulito dall'accumulo di rifiuti e tutti i cittadini romani ne erano estremamente contenti.

    L'opposizione politica non mostrava segni di grande sdegno o rivolta come era solito succedesse in questi casi estremi. Probabilmente era una strategia per colpire nel futuro prossimo, quando le carte sarebbero uscite allo scoperto e tutte le promesse distrutte dal vento della trasparenza.

    La stessa stazione Tiburtina era allestita da palloncini festoni colorati, musiche invitanti e manifesti esortativi con su scritto : Roma candidata alle prossime Olimpiadi!; seguiva l'immagine di una ragazza con un cellulare in mano intenta a scattarsi un autoscatto o per meglio globalizzante dire selfie. Dentro quell'atmosfera sigillata da una fotografia in un probabile studio professionale, la ragazza appariva felice e desiderosa che Roma vincesse quel premio.

    Ma sarà stato ciò che realmente pensava?!

    Quell'uomo seduto all'estremità della panchina più lontana dalla folla aveva appena posato gli occhi sulla foto manifesto e si chiedeva in silenzio se veramente il popolo romano fosse entusiasta di quella proposta così anonima e in qualche modo mai posta ad un referendum seppur ideologico della popolazione.

    In lontananza udì il passo lento e meccanico di un treno avvicinarsi sempre di più: i freni stridevano sul ferro secolare di una via che lo avrebbe portato a Napoli in poche ore, conosceva a memoria tutte le fermate e le tempistiche di un treno ad alta velocità; se si alzava probabilmente aveva una buona possibilità di riconoscere il macchinista che in quel momento era assonnato e percepiva da lontano scrutandolo un altro treno in arrivo e gli pareva molto strano perché da settimane quell'ora solo un treno poteva passare di lì, il suo.

    Proprio quando il treno s'arrestò il macchinista in attesa del cenno del capotreno per ripartire si accostò al finestrino e osservò il marciapiede oltre quel binario che fino a quella sera era rimasto vuoto e in-valicato; non c'era nessuno, pensò, chi avrebbe mai preso quel treno? Forse era un treno merci di passaggio, e si rasserenò.

    Il treno si avvicinò sempre di più e da lontano riconobbe la tipica locomotiva rossa della freccia rossa, così l'interesse si fece ampio.

    Tutti i suoi passeggeri si erano ormai seduti, compreso l'uomo della panchina, che scelse un posto vicino al finestrino per contemplare ancora un po' la sua panchina di desolazione e iniquità, la sua condizione di solitudine.

    Mentre però il treno in arrivo si stava accostando al binario per fermarsi, il macchinista ebbe l'ok, luce verde per partire. Rimase in attesa per la curiosità di scoprire quale fosse la destinazione di quel suo simil treno e così a pochi metri dalla locomotiva vide la scritta Napoli-Milano; quel treno operava esattamente nel percorso inverso del suo ed era così strano, pensò, che si fossero incrociati.

    Appagato ora dalla sua curiosità, mosse la leva per partire e il treno subì una lieve accelerazione incontro là dove ne stava arrivando un altro. Fu allora che il macchinista, rivolgendo lo sguardo al verso opposto della panchina in cui sedeva quell'uomo, vide una donna scendere le scale mobili con molta fretta, l'acqua alla gola e la paura di perdere appunto quel treno che aveva cambiato binario proprio quella sera.

    Il macchinista rimase folgorato dalla vista di quell'esile signorina con i capelli raccolti, dal colore scuro con una specie di sfumatura castana sulle punte: erano naturali non aveva bisogno di trucchi o magie o artefatti e anche se fosse, dopo una corsa del genere anche il rimmel più potente e resistente sarebbe colato.

    Dietro le sue spalle seguivano altre persone con la stessa aritmia nel correre verso quel binario, ma il macchinista vide solo lei scendere quelle scale con un paio di tacchi inadatti alla circostanza ma che le conferivano un tocco di assidua e tangente femminilità professionale, si intende, dal momento in cui stringeva nella mano destra una ventiquattrore nera, come quelle dei medici o avvocati ma che nulla aveva a che fare con la sua professione.

    Un istante, un battito di ciglia e la ragazza sparì, coperta dall'immagine di un treno ad alta velocità targato Trenitalia.

    Solo il macchinista ebbe un forte scossone nel cuore e forse era stato anche l'unico a notarla nel folgore della sua bellezza, mascherata seppure in superficie da un sottile velo di tristezza, inadeguatezza e speranza.

    Il treno si allontanò sempre più velocemente e l'uomo che continuava a sedere vicino al finestrino non riuscì più a distinguere quali fossero le luci dei lampioni e quali i riflessi degli stessi nel vetro pallido e freddo di una carrozza qualunque.

    Dopo circa due ore esatte entrambi i treni si approssimarono a due stazioni diverse e così opposte il cui punto medio per intenderci era quella stessa Roma che ormai dormiva notti serene sotto un cielo stellato di menzogne e false speranze condannate ad essere la base portante di un rapporto, di una società prossima al fallimento; una civiltà che continuava ad ostentare e lucrare sui più deboli anche se le minime risorse stavano giungendo all'esaurimento.

    In quel panorama tranquillo in due regioni italiane diverse tra loro e poste aldilà dei confini laziali, un uomo ed una donna scendevano l'ultimo gradino di una carrozza anonima e si accingevano a cercare nel vuoto di una panchina la speranza che gli serviva per affrontare un giorno in più.

    Non potevano vedersi, né toccarsi, immaginarsi non rientrava ancora nelle loro facoltà, ma sentivano dentro sé l'esigenza dell'altro pur non sapendo della reciproca esistenza. Un sospiro colorò la tenera ma cupa notte di un cielo stellato e quei due pur non percependo fecero il primo passo verso loro stessi: erano attenti, cauti e all'erta; il ritmo cardiaco subì una lieve accelerazione ma fu tale che l'uomo si sistemò la cravatta molto attillata e la donna, non curandosi della presenza di persone, sfilò dai piedi quei tacchi così dolorosi e malefici che poco esprimevano la sua vera identità.

    I due treni allora ripartirono all'istante allontanandosi ancora di più e verso cammini diversi.

    L'unico che quella notte fece ritorno alterato fu lo stesso macchinista, con il sapore dolce ancora negli occhi di quell'immagine tanto angelica quanto dannata. Si immaginò per un istante come sarebbe potuto avvenire il loro incontro, ma rincuorò subito il fatto che lui, a differenza dell'uomo seduto nella parte più estrema della panchina, non avrebbe più potuto avere l'opportunità di rivederla e con un battito di ciglia la rimosse dai suoi ricordi, sospirando amaramente:

    -A presto!

    " Devo svegliarmi". Forse questo pensava un uomo mentre sognando ancora già percepiva nella sua pelle il freddo e i brividi di svegliarsi quasi all'alba per andare a lavoro.

    A quell'ora, però, si svegliavano molte persone che, nonostante la dura giornata e monotona che gli si prospettava, ringraziavano il cielo per aver ancora un lavoro.

    Non era un periodo molto favorevole per l'economia italiana e per quanto fosse già verificata come tattica sbagliata, lo Stato continuava ad aumentare le tasse come se mai avesse avuto la dignità di immedesimarsi nel complesso cittadino.

    I politici sapevano solo aumentare i loro privilegi apparendo in qualche trasmissione televisiva appena sorta per usufruire del periodo storico a fini di lucro personale.

    Curiosi erano aldilà delle posizioni dei partiti, poiché mostravano la pessima apparenza nel volto ormai varcato dalla menzogna, a cui solo un neonato poteva credere. Sapevano litigare e offendersi fino a che il conduttore del programma, schierato anch'esso nonostante sperasse che apparisse il contrario, pronunciava le fatidiche tre parole che per un istante potevano placare l'ira funesta dei telespettatori incollati al televisore: Ci vediamo domani!

    Una di quelle televisioni era rimasta accesa tutta la notte per una noncuranza del possessore e a quell'ora stava trasmettendo le prime notizie ansa del giorno anch'esse negative e correlate spesso e volentieri a quanto già narrato nella sera precedente.

    Non c'era ancora la luce fuori e il sole tardava a sorgere, nonostante questo la piccola televisione riusciva ad illuminare una stanza di un monolocale situato al terzo piano. Seppur fioca e a volte interrotta dalle pubblicità, quell'intermittenza si rifletteva in piccolo bicchiere d'acqua, rimasto vuoto a metà e con ancora le bollicine del gas che si contendevano la vita nella parte più fonda dello stesso.

    Non era solo quel soffio di sabbia posto su di uno scarno tavolino color avorio; c'erano avanzi di una cena consumata senza voglia ed un quotidiano datato la settimana antecedente. Non c'era una tovaglia e le stoviglie si erano cumulate formando una bizzarra torre di materiale organico che di certo non andava di comune accordo né con un bicchiere d'acqua né con un pezzo di carta opaco e privo di utilità.

    L'uomo mosse i primi timidi passi ed inciampando tra la moltitudine di panni, perlopiù intimi, gettati a terra, si ritrovò con la faccia tra un paio di slip color arancia e un reggiseno di notevole taglia che non poteva appartenergli.

    " E questo?" Si chiese ricercando nella sua memoria un nesso logico tra il dolore allo stomaco e quel vuoto di memoria; rimase immobile e questa volta si lasciò inghiottire da quella giungla di indumenti che però non erano cannibali. Con le uniche forze morali rimaste tentò di nuovo di ricostruire lo scenario della sera passata ma superando la porta della propria camera non vide ombra di attività passata: era tutto al suo posto, persino lo zerbino all'ingresso come se neanche una mosca avesse varcato la porta di casa.

    Il sole riuscì a sorgere e in un attimo la luce della televisione fu surclassata da qualcosa di più caldo, chiaro e naturale, al punto che la situazione di quel tavolo si fece ancora più dettagliata e avvincente.

    Non c'erano solo quei pochi oggetti descritti dalla televisione, ma il sole aveva reso possibile la visione di due confezioni per la pizza e una bottiglia vuota di vino probabilmente rosso lasciata a terra da chi evidentemente ne aveva degustato il sapore.

    L'uomo si vestì in fretta e notando l'ora aumentò il ritmo delle sue mosse sino a spremere così forte le meningi per ricordarsi l'essenziale che non facilita la già assenza di acqua nel suo celebro dovuta ad una presunta ubriacatura che non ricordava, ma di cui stava soffrendo i postumi conseguenti.

    " Stupido vizio" lamentava ora contro sé come se già avesse intuito quanto era ricordo, ma in special modo come se già conoscesse la caratteristiche di un tale risveglio.

    Era quasi pronto, gli mancava il portafoglio color cuoio che aveva lasciato in qualche parte della casa di cui non ricordava, ma immaginava date le circostanze. Aprì la porta della cucina e come se il sole non fosse stato mai presente in quella stanza, sparirono dalla visuale dell'uomo il bicchiere, il giornale e la pila di stoviglie sporche; una sola cosa rimaneva illuminata quando entrò nella sua cucina e fu quella coppia di cartoni con su scritto Pizza e Vai.

    Allora tutto gli fu più chiaro e il filo logico che fino a quel momento sembrava sottendere una devastante festa a cui aveva partecipato, lo fece precipitare nell'oblio della sua condizione come lo erano gli oggetti del suo tavolino.

    Non volle neanche guardare dentro i cartoni per capire di chi fosse la seconda pizza e neanche ne aveva bisogno per quanto, nonostante il vuoto di memoria, fosse sicuro che aprendo quello scatolone avrebbe potuto rilevare tracce di pomodori pachino e ancora l'odore indistinguibile della mozzarella di bufala.

    Chinò la testa verso il pavimento come se volesse espiare qualche peccato, ma la sua redenzione non poteva avvenire sin quando lui non continuava a perseverare nello stesso errore con medesime modalità; l'iniquità di fronte a lui lo logorava profondamente poiché aveva ricevuto un'educazione molto cristiana e soprattutto perché non era un uomo cattivo o vendicativo: provava in prima persona il dolore delle sue amanti innamorate e non corrisposte, ma qualcosa di animalesco, rude e primitivo non gli permetteva di smettere quella messa in scena.

    Anche in quella circostanza riuscì a percepire la delusione profonda di quella persona che aveva mangiato una pizza al suo fianco; avrebbe voluto piangere, chinarsi dolcemente al suolo e lasciarsi andar, ma il dovere lo chiamava, di nuovo, come tutti i santi giorni e di certo non poteva mancare all'appello.

    Fu allora, quando il sole ormai picchiava forte sopra le teste di tutti i pendolari che l'uomo dimenticò il rancore appena provato e mise da parte tutta la questione religiosa per affrontare un nuovo giorno, una nuova sfida una nuova nuotata disperata verso la boa più vicina che non rappresentava la salvezza definitiva, bensì una nuova boccata d'aria, più o meno salutare.

    Gettate via molte speranze in una vita migliore, si diresse in tutta fretta alla stazione centrale e per il breve tratto un leggera musica che andava in onda dalla radio gli concesse l'illusione di un sogno, dove tutti erano privi di malizia e pregiudizi, un luogo in cui non doveva preoccuparsi di chi e come si portava a letto, un mondo più libero e primitivo, una realtà che in fondo non avrebbe potuto ospitare l'uomo moderno, l'uomo attuale, l'uomo occidentale.

    Il treno era sempre quello da anni, molto pulito, spazioso e silenzioso; l'uomo poteva tranquillamente saziarsi delle parole non dette, ma espresse da tutti i passeggeri e perdersi nel paesaggio che scorreva a 100 km/h.

    In un'ora di viaggio tutto poteva succedere, dall'incontro rivelatore alla morte, ma in quella tratta verso Roma sembrava che lo stesso tempo si attenuasse e i passeggeri ne cogliessero il vantaggio fino a destinazione.

    L'uomo no.

    Non riusciva mai a dormire o rilassare le palpebre, aveva bisogno sempre di uno stimolo quale leggere, scrivere o parlare o perlopiù il semplice riflettere. Tuttavia nessuno di così interessante si era mai seduto al suo fianco o di fronte anzi tutte le persone che condividevano quel tratto di ferrovia con lui erano così banali e scontate che l'uomo riusciva immediatamente a denotare le origini e l'impiego. Gli restava quindi un'unica cosa: riflettere.

    A volte però anche quello gli rimaneva difficile: perdersi in un paesaggio in corsa è facile ma richiede una profonda immersione, una quasi immedesimazione come se si stesse correndo alla stessa velocità del treno. Se invece ci riusciva, la riflessione ricadeva sempre negli stessi pensieri che gli riempivano la testa: sapeva che era l'unico in potere di cambiare le sue condizioni, il suo destino ma era così difficile immaginarsene uno diverso che si arrendeva a quello status quo rassegnato a sé stesso

    Non esattamente. L'uomo aveva semplicemente perso la fede in concetti aulici e spesso platonici come il vero amore e la sincerità delle persone, al punto che trattava quasi tutti con una sufficienza e arroganza non dettata dal suo carattere, bensì dalla ormai visione distorta e puramente materiale che aveva delle cose; era in altre parole uno scettico della speranza, tuttavia credeva fermamente in Dio.

    Ossimoro? A suo parere no, le due cose erano distinte e la fede non poteva confondersi con la crudeltà della vita; se proprio si doveva, la sua visione era che l'accettare Dio nella propria vita era l'unica speranza per ambire ad una condizione di vita comunque sofferta, migliore.

    Quel giorno però non ebbe la fortuna di riflettere, tanto meno quella di incontrare persone interessanti, seguì semplicemente il binario affianco a quello in cui il suo treno correva e nell'illusione di vederlo muoversi pose a dimora l'area celebrale sgombrandola da ogni cosa la potesse occupare.

    Il vuoto, l'assenza di pathos.

    L'uomo non sentiva nulla, né caldo, né freddo, non provava gioia felicità o dolore, ma un sentimento che l'annullava tutti, ma che aveva un valore ben distinto e duraturo, l'oblio del limbo.

    Quel giorno più di tutti l'uomo si sentì un semplice pedone che si muoveva in tutte le direzioni nella scacchiera che è poi la stessa vita: nessuno aveva un senso intrinseco oltre a quello della presenza fisica, potevano muoversi in senso opposto o diverso da quello dell'uomo ma in fondo come pedoni potevano fare solo quello: muoversi.

    Così le sue mosse erano scendere, camminare, entrare nella metro linea b scendere in prossimità di Eur Fermi dirigersi alla fermata di una navetta e alla fine raggiungere la sua postazione in un ufficio nel secondo piano. Team analisi costi.

    Il ritorno? Tutta quella serie di mosse, spostamenti al contrario e poi di nuovo nel verso descritto; tutto ciò finché per qualsiasi causa possibile il pedone non veniva mangiato o, nella peggiore delle ipotesi, in caso il giocatore perdesse per via di uno scatto matto.

    La giornata lavorativa dell'uomo non si spinse, quindi, oltre ciò che già si aspettava; né una brezza né il principio di un'afa tutto come da protocollo.

    La giornata volgeva quindi al termine, l'uomo si sbrigò per raggiungere il prima possibile la stazione Tiburtina tanto sapeva quanta gente avrebbe aspettato quello delle 23.

    La sua panchina era ancora vuota e lo stava aspettando come se l'unico degno di potersi sedere così lontano fosse quell'omo banale vestito come un white-collar qualunque ma che non lavorava a Wall street.

    Si adagiò felice nella fredda panchina di marmo che non aveva lo schienale ma forniva la possibilità di sdraiarvisi sopra. Non si curò di nessuno come sempre faceva e annegò il suo sguardo verso l'orizzonte laddove si respirava l'aria di Roma, città eterna; una panchina vuota rifletteva la sua e tanto si sentì quel vuoto seduto davanti a sé che per un istante si vide scomparire e i suoi occhi, appesantiti dalla giornata di lavoro si socchiusero fino ad incombere in un sonno profondo che non poteva permettersi.

    Una fioca luce illuminava la piccola porzione dello sguardo ancora acceso e quasi gli sembrò di notare delle gambe femminili avvicinarsi a quella panchina; era stato un attimo, un folgore e in fondo non poteva averne la certezza assoluta, erano un mix di colori sfocati che in teoria poteva provenire dalla sua fantasia e rendere quell'idea ancora più insensata, la voglia di scoprire però era molta, chi si sottendeva nel suo sguardo confuso? Una donna o una semplice panchina? Forse entrambe?

    L'idea di poterci trovare qualcuno avrebbe dato un senso ai suoi giorni, alle sue contemplazioni verso il vuoto e alla stessa panchina che da sola era così rigida e gelida!

    Allora decise, senza farsi troppi scrupoli e di colpo spalancò gli occhi lasciando entrare i più svariati colori presenti di fronte a lui: un'infinità di tonalità ma non quelle di una donna dalle gambe eleganti; al suo posto il grigio, il nero e qualche sprazzo di bianco qui e là.

    Il suo treno era arrivato e gli aveva impedito di vedere aldilà dello stesso e verificare cosa realmente i suoi occhi avevano visto.

    Ebbe una grande idea, improvvisa: il finestrino.

    Si precipitò verso l'ingresso dell'ultima carrozza e non gli servì correre più del dovuto, si trovava di fronte la sua panchina, così senza far scendere i passeggeri in arrivo si catapultò verso l'ingresso della sezione sedili, ma la sua foga fu tanta che cadde per terra senza prevederlo.

    Però, mentre il suo corpo si accasciava esile e privo di forza a causa di una giornata di lavoro, volse lo sguardo verso il finestrino quasi come lo stesso rappresentasse un'ancora di salvezza e si lanciò anima e corpo alla definizione di una fotogramma sfocato e privo di un colore unitario: la panchina di colore quasi grigio si era fusa con la banchina dove poggiava e a poco poteva servire una giusta interpretazione. L'uomo aveva definito i colori di un poster che però vedeva tutti i giorni ed era quindi collegato alla memoria statica piuttosto che a quella dovuta dalla breve dinamicità; risolse quindi cercando la verità poco più in là della panchina, tra la linea gialla della banchina e le scale mobili.

    C'erano più volti in quel fotogramma e tutti riconducibili ad una diversa etnia mondiale. Escluse gli afro e tutti coloro con la pelle scura perché ciò che credeva aver visto pochi minuti prima ovvero un paio di gambe, erano di color bianco opaco, forse a causa delle calze. Tuttavia tra i pochi volti rimasti che ricordava due erano maschi e il resto, tre o forse quattro bambine in età puerile.

    Perse le speranze e si accusò di essere il solito sognatore illuso dai suoi sogni. Rilassò muscoli e quasi volle affogare nello stretto pavimento che seprava le file dispari da quelle pari.

    I passeggeri che videro quel corpo cadere maldestro si precipitarono ad aiutarlo con il massimo della cordialità, fu allora notando uno scialle di una signora che nel piegarsi in suo aiuto lo aveva fatto scivolare in terra, che l'uomo ricordò un'altra figura nel flashback.

    Nel ricordo appariva piegata, le gambe erano le stesse della visione precedente ed anche l'effetto calza sembrava coincidere, non vedeva il volto, cosa principale che avrebbe ricordato nei giorni seguenti, ma era quasi impossibile verificarlo: i capelli lunghi, color castano scuro le cadevano ondulati, forse ricci, sulle spalle e il caso aveva permesso che la donna indossasse uno scialle colorato come quello che l'uomo aveva appena visto cadere al suolo. Era verde con piccole sfumature gialle e le immagini di pappagalli voltanti quasi come fosse una cartolina del Brasile in formato tessuto sottile, seta.

    Non potevano esserci altri dettagli utili per l'uomo ma una certezza assoluta che quella visione era vera, un notevole passo verso la propria redenzione, contro il suo stesso giudizio.

    L'uomo allora si alzò di scatto desideroso come mai di incrociare lo sguardo di quella presunta donna immaginaria che si aleggiava nella sua mente; i passeggeri ancor preoccupati per le sue condizione cercarono di trattenerlo a terra ma la sua forza fu tale da impedirlo, era in piedi.

    Lanciò improvvisamente il suo sguardo verso il finestrino e nel momento stesso in cui riuscì a mettere a fuoco distinguendo i vari colori, un treno identico a quello dove sedeva, ma diretto nella parte opposta, ostacolò la sua vista definitivamente, facendolo cadere in uno stato di profonda rabbia.

    Era il destino a impedirlo?

    Poteva essere solo un caso?

    Chi era quella figura femminile?

    L'uomo

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