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Città visibili
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E-book63 pagine55 minuti

Città visibili

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In questa serie di saggi l'autrice presenta alcune città, ciascuna con un oggetto o una persona che gliela ricorda. In questo modo il libro diventa una guida rapida di viaggio attraverso Praga e gli ombrelli, Parigi e i treni, Berlino e le valigie perdute, Vienna come una matrioska, Lima e i limoni, Suva e i banchetti, e una Bangkok piena di monaci buddisti in pellegrinaggio per le strade. Un libro sulla nostalgia che provocano i viaggi a distanza di tempo. Quest'opera ha vinto il Premio Dolores Castro di letteratura al femminile di Aguascalientes (Messico).

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita5 dic 2019
ISBN9781393082507
Città visibili

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    Città visibili - Carmen Avila

    Città visibili

    Carmen Ávila

    Indice

    La città e gli ombrelli

    La città, i treni e la cacca

    La città e i banchetti: mangiarsi il prossimo

    Un paese dentro una città dentro un paese

    La città di Lima e dei limoni

    Ho ancora una valigia in quella città

    Migliaia di budda camminano per la città

    - Viaggi per rivivere il tuo passato? - era a questo punto la domanda del Khan, che poteva anche essere formulata così: - Viaggi per ritrovare il tuo futuro?

    E la risposta di Marco: - L'altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.

    Da "Le città invisibili"di Italo Calvino

    La città e gli ombrelli

    Il libro Le città invisibili di Italo Calvino inizia con il seguente paragrafo, intitolato La città e la memoria:

    Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l'uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d'argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d'oro che canta ogni mattina su una torre.

    Secondo me, Calvino chiamava Diomira quella che in realtà era la Praga che io avevo conosciuto nell’estate del 2007. Le cupole delle sue chiese non sono d’argento ma comunque brillano, così come l’azzurro diamante degli occhi del Santo Bambino che si trova in una di esse. Le sue statue di bronzo non sono di tutti gli dei, ma ci si avvicinano: sono di poeti e martiri bruciati o sacrificati per la libertà. Le sue vie non sono lastricate in stagno, ma il suo bel fiume sembra portare dello stagno liquido che accarezza i ponti da cui fu gettato San Giovanni Nepomuceno. Il suo teatro non è di cristallo ma è di pietra e oro, e ci sono anche la torre e l’afono gallo dorato che canta puntualmente per marcare l’ora di un orologio antichissimo che ancora nessuno sa come sia stato costruito né come faccia a funzionare ancora.

    È incredibile come le città rimangano impresse nella mente. Irma, una mia conoscente delle Canarie, una volta mi ha detto che lei associava gli anni in cui aveva vissuto a Praga con il volto dell’uomo con cui stava in quel periodo (aveva divorziato due volte, e associava il viso dell’uno o dell’altro marito a edifici o ponti della città o a diversi anni). Il mio ricordo di quella città è legato anche a un uomo tedesco, che ho invitato a uscire e che mi ha dato buca. Il giorno dopo, mentre ero alla mensa dell’Università con Cristina, un’adorabile spagnola punk, il tipo è venuto al nostro tavolo e si è scusato con me: <>. Cristina mi ha detto <>. E sì, mi era sembrato un gesto di buona educazione da parte sua venire a scusarsi. Per cui, invece di arrabbiarmi e dimenticare la questione, mi sono interessata ancora di più a lui.

    Quando vivevo a Parigi, una volta il tedesco in questione è venuto a trovarmi. Una mia conoscente messicana, di cui non ricordo il nome, mi ha chiesto come l’avevo conosciuto. Quando le ho detto che l’ho conosciuto nella capitale della Repubblica Ceca, anche lei ha cominciato a ricordare la sua esperienza a Praga. Che nel suo caso coincideva con un giorno di pioggia, e più specificamente con gli ombrelli. Mi ha detto che, quando lei era lì e aveva iniziato a piovere, le ceche avevano cominciato a correre come se cadesse zolfo dal cielo, colpendo con le spalle e i gomiti chi incontravano per non bagnarsi, e alzando gli ombrelli come spade durante una battaglia. Lei stessa ha affermato: <<È proprio come descrive Kundera in L’insostenibile leggerezza dell’essere, le ceche diventano molto maleducate quando piove>>. La mia amica si riferiva a questo memorabile paragrafo della storia:

    Piovigginava. La gente frettolosa apriva l’ombrello sulla testa e di colpo anche sui marciapiedi ci fu ressa. Le cupole degli ombrelli si urtavano fra loro. Gli uomini erano cortesi e incrociando Tereza sollevavano in alto l’ombrello per farla passare. Le donne, invece, non si spostavano affatto. Guardavano con durezza davanti a sé e aspettavano tutte che fosse l’altra a riconoscere la propria debolezza e a farsi di lato. L’incontro degli ombrelli era una prova di forza. Tereza all’inizio si spostava, ma quando capì che la sua cortesia non veniva mai ricambiata, strinse forte il suo manico, come le altre. Urtò più volte gli ombrelli che le venivano incontro, ma nessuna disse: Mi scusi. In genere non veniva detta una parola; due o tre volte sentì un Merda!

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