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Conoscere e contrastare il jihadismo: Le chiavi interpretative, le ideologie, le dottrine, le strategie, i pensatori
Conoscere e contrastare il jihadismo: Le chiavi interpretative, le ideologie, le dottrine, le strategie, i pensatori
Conoscere e contrastare il jihadismo: Le chiavi interpretative, le ideologie, le dottrine, le strategie, i pensatori
E-book1.420 pagine14 ore

Conoscere e contrastare il jihadismo: Le chiavi interpretative, le ideologie, le dottrine, le strategie, i pensatori

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Negli ultimi anni è stata prodotta una vasta letteratura sull’estremismo islamico e sulle minacce associate quali terrorismo di matrice islamica, Foreign Fighters, radicalizzazione. Questo testo ha invece lo scopo di studiare il vero “motore primo” di tali fenomeni: l’ideologia e le strategie jihadiste. Solo così è possibile pervenire al più ampio understanding del Jihadismo e delle organizzazioni che ha espresso negli anni (al-Qai’da, ISIS, Boko Haram, Al-Shabaab etc.). Si propone quindi un percorso che si articola su: chiavi interpretative sui concetti di base, spesso confusi, quali Jihad, Califfato, Stato Islamico, Fratelli Musulmani; geopolitica e demografia dell’Islam; biografie, pensiero e opere dei principali ideologi dell’Islam radicale, fra cui Ibn Taymiyya, Sayyid Qutb, il mâitre-à-penser del jihadismo, Abdullah ‘Azzam, il vero ideologo di al-Qai’da, Abu Mus’ab al-Suri , l’ “Architetto del Jihad globale”. Il testo si conclude con cenni sulla Counter-ideology e sulle possibili evoluzioni del jihadismo che autorevoli fonti prevedono durerà ancora per “decenni”.
LinguaItaliano
Data di uscita3 set 2020
ISBN9788893782081
Conoscere e contrastare il jihadismo: Le chiavi interpretative, le ideologie, le dottrine, le strategie, i pensatori

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    Anteprima del libro

    Conoscere e contrastare il jihadismo - Giuseppe Santomartino

    storia.

    PROLOGO

    Negli ultimi anni si è andata consolidando una sterminata letteratura su temi quali il fondamentalismo islamico, l’islamismo radicale, l’estremismo islamico, il jihadismo, il terrorismo di matrice islamica, ma la maggior parte di queste trattazioni, specie a livello mediatico ma spesso anche a livello specialistico, istituzionale o di centri di ricerca, si limita in realtà a trattare, seppure brillantemente, le manifestazioni esterne (epifenomeni) più evidenti ed estreme (attentati, proclami di minaccia, Foreign Fighters, video violenti etc. ) associate a tali fenomeni. Poche sono le trattazioni che analizzano a fondo il pensiero, le ideologie, le dottrine che, seppure con varie distorsioni interpretative, costituiscono il vero motore primo dell’estremismo islamico e dei suoi fenomeni devianti (jihadismo e sue derive terroristiche).

    Scopo di quest’opera non è proporre un’ennesima trattazione del terrorismo islamico, ma avviare un percorso di conoscenza delle ideologie, del pensiero, delle strategie alla base o correlate a tali fenomeni devianti nella convinzione che ciò costituisca l’unica valida premessa per ogni iniziativa di analisi, di confronto, di difesa e contrasto a tali fenomeni devianti.

    Fra le varie e complesse strategie di contrasto al jihadismo e al terrorismo di matrice islamica la "Counter-ideology va infatti assumendo un rilievo sempre maggiore ed è destinata probabilmente ad assumere un ruolo centrale proprio perché è l’unica forma di lotta che può incidere in modo diretto sul motore primo dei fenomeni devianti e quindi sulla credibilità di fondo del fenomeno medesimo. Appare tuttavia ovvio che per sviluppare una credibile Counter-ideology" occorra innanzitutto conoscere l’ideologia da contrastare e le distorsioni che essa ha subito a opera delle interpretazioni operate dal jihadismo e dal terrorismo.

    In tale quadro con la presente opera si propone nella Parte Prima un propedeutico approccio ai necessari strumenti analitici e interpretativi, quindi: un sintetico quadro storico con punto di situazione sul fenomeno jihadista; un esame delle principali criticità epistemologiche e analitiche, ciò nella convinzione che solo una preliminare chiara consapevolezza di tali criticità può poi consentire di intraprendere un proficuo percorso di conoscenza; una panoramica, necessariamente sintetica avendo qui valenza propedeutica, sia di alcuni concetti o strumenti analitici di cui si fa spesso un uso confuso ovvero improprio (Jihad, Salafismo, Califfato, Stato Islamico, Medio-Oriente, Orientalismo) sia del quadro geopolitico, geostrategico e demografico del mondo islamico; una panoramica, anch’essa necessariamente sintetica, dell’evoluzione del pensiero islamico-radicale dalle origini al XX secolo.

    La parte principale, Parte Seconda, dell’opera è poi dedicata all’analisi delle biografie, delle opere, del pensiero e delle influenze dei principali "strategists" e teorici contemporanei riferibili al pensiero islamico-radicale, del jihadismo e dell’estremismo islamico quali Sayyid Qutb (universalmente riconosciuto quale ‘maître-à penser’ dell’Islam Radicale), Abu Bakr Naji (probabile ‘nom de guerre’ dell’autore di un’opera fondamentale per il jihadismo contemporaneo), Abdullah ’Azzam (definito quale "The Father of Jihad" e considerato quale vero ideologo di al-Qa‘ida), Abu Mus’ab al-Suri (definito "The Architect of Global Jihad"), Taqi al-Nabhani (fondatore dell’Hizb ut-Tahrir – Partito della Liberazione e uno dei primi teorici istituzionali del concetto di Stato Islamico). Tutti personaggi poco conosciuti al grande pubblico ma che hanno fornito, seppure con diversi livelli e spessori di responsabilità e influenza ideologica, che saranno qui analizzati: un contributo fondamentale all’ideologia e alle strategie che hanno poi ispirato, spesso con strumentalizzazioni e forzature interpretative, le organizzazioni islamico-radicali e jihadiste.

    Basti dire che non appare azzardato affermare che senza l’incontro avvenuto negli anni Ottanta fra Osama bin Laden (leader carismatico, organizzativo ma che ha fornito un limitato contributo ideologico al jihadismo e all’estremismo islamico) e Abdullah ‘Azzam forse non avremmo mai avuto né al-Qa‘ida né la strage dell’11 settembre.

    Insieme alle conclusioni, si propone infine una panoramica delle varie possibili linee evolutive del fenomeno sulla base delle più autorevoli analisi prodotte recentemente in materia e l’individuazione di alcuni profili di una possibile strategia di "Counter-ideology".

    Quest’opera è stata concepita, non senza un pizzico di presunzione e forse anche di temerarietà, a beneficio soprattutto di un pubblico specialistico (in scienze politiche, geopolitica, geostrategia, relazioni internazionali, politica internazionale, terrorismo internazionale, Islam radicale, jihadismo, Intelligence e sicurezza) ma anche di un pubblico non specialistico che semplicemente sia desideroso di ampliare la propria conoscenza e le chiavi interpretative verso quei fenomeni che, forse con un po' di diffusa approssimazione, chiamiamo jihadismo e terrorismo islamico e che appaiono ormai ineluttabilmente destinati a perdurare per i primi decenni di questo secolo.

    ALCUNI PENSIERI DELL’AUTORE

    Le mie letture sono quasi esclusivamente (e colpevolmente) limitate alla saggistica in campo geopolitico e islamologico, provo quindi sempre un comprensibile imbarazzo quando mi regalano libri al di fuori di tali campi. Leggo poi sempre con molto interesse le note introduttive dell’autore, trovo spesso in queste note delle chiavi di lettura illuminanti per capire l’opera e per capire l’intimo rapporto fra l’autore e la materia che ha trattato. E provo una profonda delusione quando capita, devo dire raramente, di aprire dei libri che non hanno alcuna nota introduttiva dell’autore. Non nascondo quindi che, dopo aver scritto alcune centinaia di pagine sul jihadismo, trovo particolarmente difficile scrivere ora qui qualche mia nota introduttiva. Non amo molto le metafore, ma per una volta cedo a esse presentando questo libro quale l’intersezione fra il mio percorso di vita e gli eventi che hanno maggiormente caratterizzato l’inizio di questo XXI secolo.

    Nel libro infatti si coniugano, spero proficuamente per il lettore:

    il mio percorso di vita caratterizzato, al di là della vita privata, da un lato dalla professione militare specie quale Ufficiale di Stato Maggiore, con esperienze professionali e diplomatico-militari sia in Medio Oriente sia presso Alti Comandi Militari di rilievo internazionale e caratterizzato dall'altro lato dal mio interesse per il Mondo Islamico, che mi ha portato a conseguire una strana laurea in Scienze Politiche a indirizzo islamico presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli e successivamente a seguire con passione le significative evoluzioni dell’Islam Politico e Radicale;

    Alcuni dei più rilevanti eventi e fenomeni che hanno caratterizzato (e probabilmente continueranno a caratterizzare) questo XXI secolo e in particolare il cosiddetto jihadismo e il cosiddetto terrorismo di matrice islamica (i motivi che mi portano a usare il termine cosiddetto costituiscono uno dei temi fondamentali del libro e saranno, spero, più chiari dopo la lettura dello stesso), fenomeni che, come si vedrà, presentano valenze che vanno ben oltre il semplice profilo terroristico o militare per investire l’ambito geopolitico globale.

    La spinta principale che mi ha portato a scrivere questo libro nasce dalla constatazione, di cui si tratterà, delle significative criticità epistemologiche e analitiche che la Comunità Internazionale, e in particolare l’Occidente, evidenzia già solo nella conoscenza di questi fenomeni e conseguentemente nel loro contrasto, poiché, ricordando il più antico teorico dell’Arte Militare Sun Tzu, non è possibile contrastare qualcosa che non si conosce.

    La mia spinta personale verso la redazione di quest’opera è stata poi, devo dire purtroppo, rafforzata e confortata da alcune frasi in cui mi sono imbattuto nel vasto lavoro preparatorio: la prima di William McCants, uno dei massimi esperti di jihadismo, che nel concludere la prefazione all’edizione 2016 del suo importante volume "The ISIS Apocalypse scrive I look forward to the day that I can write about the Islamic State in the past tense alone; la seconda di B. Challeney che in una recente analisi di Foreign Policy del 2019 scrive The Global War On Terrorism has failed. Targeting terrorists and their networks brings only temporary success, but the long term strategy needs to focus on discrediting ideologies that attract attackers; l’ultima, ma per certi aspetti la più importante, è quella scolpita nel Rapporto Finale della Commissione USA dell’11 settembre in cui si legge Il nemico non è semplicemente il «terrorismo»… Il nemico non è l’Islam… ma una perversione dell’Islam. Il nemico va ben oltre al-Qaeda per includere il movimento ideologico radicale".

    La stesura di quest’opera è stata possibile grazie anche ai suggerimenti e al supporto morale, culturale e materiale di varie persone fra cui voglio ricordare il Professor Claudio Lo Jacono (Direttore dell’Istituto per l’Oriente di Roma che mi onora della sua amicizia), il Professor Roberto Tottoli (docente di Islamistica presso l’Università Orientale di Napoli), il mio editore Dottor Andrea Tralli che ha accolto con entusiasmo e forse con un pizzico di temerarietà la mia proposta editoriale, la Dottoressa Alessandra D’Amico e i miei figli Giancarlo e Vera che mi hanno fornito preziosi consigli e aiuto. Un ringraziamento particolare va al Professor Massimo Campanini, uno dei massimi esperti in materia, già docente di materie orientalistiche in varie Università e autore di numerosi volumi sulla storia dei paesi musulmani e il pensiero islamico. Il rischio di una banalizzazione dell’Islamismo, che affligge questa materia sia a livello mediatico che pubblicistico e più volte enunciato dal Professor Campanini, è stato uno degli elementi guida nel percorso di elaborazione di quest’opera, ma non so quanto io sia stato poi capace di evitarlo.

    PREFAZIONE

    Credo che il nucleo fondamentale – e condivisibile – della proposta interpretativa di Giuseppe Santomartino del fenomeno dell’islam politico o radicale (eviterei del tutto il termine fondamentalismo, cui pure l’autore qualche volta indulge; e anche jihadismo risulta per me insoddisfacente perché il jihad non è solo militare, anzi…) consista nella diade ideologia/contro-ideologia. Il radicalismo-jihadismo è di fatto un fenomeno multivalente che, rileva Santomartino, è resiliente, pericoloso e, a suo modo, fascinoso (si pensi ai foreign fighters) proprio perché propone una ideologia cui, secondo l’autore, bisognerebbe contrapporre una contro-ideologia.

    Già da molti anni, da parte mia, ho sottolineato i rischi impliciti nella banalizzazione dell’islamismo. Il primo caso eclatante è stato quello della rivoluzione islamica iraniana di Ruhollah Khomeini, che non è stata affatto, come pretendono i suoi detrattori, un ritorno al Medioevo, bensì un processo di modernizzazione teorica e istituzionale molto accentuato, che andava controcorrente rispetto allo sciismo tradizionale. Analogamente, le dottrine di Sayyid Qutb o di ‘Abdallah ‘Azzam, maîtres à penser del jihadismo, studiate con ampiezza nel libro, non erano affatto trascurabili farneticazioni di estremisti fuori dal tempo, ma precise, sia pur molto aggressive, risposte a sfide della contemporaneità.

    Non ultimo pregio del libro di Santomartino è, dunque, di porsi interrogativi teorici e anche terminologici. Terrorismo, per esempio, è un vocabolo supremamente ambiguo. I mass-media e i politicanti pretendono di spacciare il terrorismo come un’ideologia, un progetto, una visione del mondo: peculiarmente islamica, si intende. A partire dal vuoto e fumoso slogan di George W. Bush jr. e dei suoi neo-cons war on terror. Il terrorismo invece è solo e semplicemente una tecnica di combattimento. Far la guerra al terrorismo sarebbe come volere, in battaglia, far la guerra ai cannoni e non a chi li costruisce e li manovra. Una stoltezza (o una sciente manipolazione per condizionare l’opinione pubblica?).

    Il radicalismo islamico ha motivazioni storiche e ideologiche ben chiare. A mo’ di esemplificazione richiamo l’attenzione sulle tesi di tre noti politologi francesi. François Burgat ha ritenuto il radicalismo la risposta a un disorientamento e a un’alienazione concettuale e storica del mondo (arabo) islamico che vi ha cercato una nuova grammatica di senso, un nuovo linguaggio espressivo – la voce del Sud. Olivier Roy ha prima sostenuto, negli anni Novanta, che l’islam politico era nato morto, un rigurgito fallimentare in partenza, per poi vedere nell’attuale jihadismo l’espressione contestuale del nichilismo auto-distruttivo contemporaneo. Gilles Kepel ha invece imputato la radicalizzazione a sviluppi endogeni della teologia islamica. Tre tesi intriganti, ma che prese da sole catturano solo una parte del problema. Da parte mia enfatizzerei in particolare e con più forza la contemporaneità del fenomeno radicale, in reazione agli imperialismi vecchi e nuovi dell’Occidente e alla crisi socio-economica delle classi medio-basse dei paesi arabo-islamici, depauperate e deluse. Il concetto di Stato islamico (dawla islamiyya), sbandierato dall’ISIS (ma non da al-Qaeda), non esisteva, proprio non esisteva nel pensiero politico dell’islam classico dove piuttosto prevalevano quelli di imamato e sultanato. Identificare nel califfato uno Stato islamico è il prodotto di un ri-orientamento ideologico che ha sviluppato elementi teologici tradizionali nel quadro di una ricerca di intelligibilità del perché della crisi (davvero irreversibile?) dell’islam nel mondo contemporaneo. Così si mettono a frutto le angolature parziali di Burgat, Roy e Kepel, non dimenticando i fattori strutturali e sovra-strutturali del divenire storico. E pluralizzando il presunto e fallace monolitismo dell’islam.

    Il libro di Santomartino aiuterà almeno, spero, a sprovincializzare un dibattito che troppo spesso in Italia rimane – anche per colpa di certi settori dell’accademia non islamologica – sul piano della sterile propaganda polemica, xenofoba e tendenziosa, o dell’approssimazione culturale, storiografica e interpretativa. In Italia, dall’11 settembre in poi, dopo aver letto un paio di manuali e perlopiù senza la minima conoscenza della lingua araba, chiunque si ritiene autorizzato a pontificare su che cosa sia l’islam, a pretendere di giudicarlo, di additarne le malefatte. Senza tener conto che i primi a compiere malefatte antidemocratiche e contrarie ai diritti umani siamo stati e continuiamo a essere noi occidentali, grandi predicatori di pace e di buoni sentimenti, ma pervicaci seminatori di ingiustizie e prevaricazioni. In Italia, inoltre, spesso si finge di ignorare che l’islam, oltre alle malefatte, ha prodotto quindici secoli di pensiero e di scienza, di letteratura e spiritualità, di arte e di filosofia.

    Il fatto che Santomartino sia un militare di carriera si evince facilmente dal libro, ma è una professionalità che consente all’autore una visione che i professionisti della politica non hanno, o più probabilmente scelgono di non avere. Si prenda il caso libico. La comunità internazionale ha sostenuto a lungo al-Sarraj, ma al-Sarraj era solo uno e verosimilmente il meno autorevole degli attori del caos libico. Al-Sarraj era il fantoccio dietro cui si è mascherata l’ingerenza euro-occidentale (italo-francese per essere più diretti) nell’ormai disgregato paese nordafricano. E gli osservatori del mondo arabo-islamico lo hanno capito perfettamente e hanno agito di conseguenza, come dimostrano le interessante manovre contrapposte di Arabia Saudita, Egitto e Turchia.

    Se il radicalismo jihadista è un’ideologia, quale sarebbe la contro-ideologia da opporvi? Il lettore vedrà da sé la proposta di Santomartino, che non sta a me giudicare nel merito. Nel metodo, è una proposta elaborata e consapevole, condivisibile su molti punti. Io credo in ogni caso che le categorie del pensiero politico, del sistema economico selvaggiamente liberalista (non liberale, che non è più esistito dalla seconda guerra mondiale in poi), delle strategie di (dis)equilibrio e di intervento nel mondo globalizzato (le guerre umanitarie) - un mondo in disfacimento nella sua stessa globalizzazione - vadano, tutte, profondamente ripensate. La democrazia rappresentativa così come applicata oggi non funziona più, deve essere ri-teorizzata e adattata ai nuovi contesti; gli egoismi sovranisti e populisti, e gli appetiti neo-coloniali, vanno neutralizzati; l’ordine internazionale va equilibrato a favore del Sud del mondo e non delle vecchie potenze, di qua e di là dell’Atlantico o degli Urali, in cerca di nuovi sogni egemonici o di perduta grandezza. L’antica saggezza degli specchi per i principi dell’islam (da Nizam al-Mulk ad al-Ghazali a Ibn Khaldun) ci insegna ancora che il mondo e gli Stati non possono reggersi senza giustizia. Le guerre e la violenza sono il frutto avvelenato dell’ingiustizia. Non è la pace a favorire la giustizia, ma esattamente il contrario: la realizzazione della giustizia promuoverà la pace.

    MASSIMO CAMPANINI

    (già delle università di Napoli l’Orientale e Trento)

    PARTE PRIMA - INTRODUZIONE ED ELEMENTI PROPEDEUTICI

    INTRODUZIONE

    BREVE PREMESSA STORICA

    Il fenomeno del cosiddetto jihadismo (termine carico di criticità definitorie di cui si cercherà di fornire una più articolata definizione nei prossimi capitoli) alla fine del XX secolo presentava vari indicatori che potevano ragionevolmente indurre a prevederne un sostanziale declino sul piano politico, strategico e operativo. Gilles Kepel, uno dei massimi studiosi dell’Islam contemporaneo, nella sua opera "Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico" nel 2000 produsse una profonda ed eccellente analisi al riguardo individuando le varie carenze e criticità del fenomeno.

    Purtroppo poi, per una serie di eventi e circostanze la cui trattazione esula dallo scopo di quest’opera, l’inizio del XXI secolo è stato caratterizzato, spesso drammaticamente, da una crescita di tale fenomeno e, in generale, delle varie espressioni dell’estremismo islamico in particolare nelle devianze jihadiste e terroristiche. Le manifestazioni più significative e drammatiche di tali fenomeni devianti in questo secolo sono state da un lato al-Qa‘ida, in particolare con la strage dell’11 settembre, ma dall’altro lato la nascita e crescita di varie altre organizzazioni jihadiste quali Boko-Haram in Nigeria, ash-Shabaab in Somalia, di vari gruppi jihadisti in Siria e Asia Centrale, ma soprattutto dell' Islamic State – IS, organizzazione più nota al grande pubblico col vecchio nome di Islamic State in Iraq and Sham -Levant da cui l’acronimo ISIS-ISIL (acronimo arabo Da’ish) adottato fino alla proclamazione del Califfato nel giugno 2014 in coincidenza col cambio di denominazione da ISIS - ISIL - Da’ish a Islamic State -IS abolendo quindi la limitazione geografica (Iraq and Sham-Levant) presente nella precedente denominazione; cambio nome, come si vedrà, dalle valenze e implicazioni tutt’altro che formali. La proclamazione del Califfato e abolizione della limitazione geografica con conseguente cambio nome del 2014 da ISIS-ISIl- Da’ish in IS è stato un evento assolutamente cruciale e forse sottostimato dall’attenzione dei media, delle istituzioni e anche di molti centri e istituti di geopolitica, di relazioni internazionali e di antiterrorismo, esso in realtà ha costituito un salto di qualità ‘epocale’ nel fenomeno jihadista mondiale. Da quel momento infatti l’obiettivo politico-strategico dell’IS (che qui per chiarezza e in considerazione della persistenza dell’uso del vecchio acronimo, ISIS, sarà chiamato IS ex ISIS) è la costituzione di uno Stato Islamico sotto un Califfato Universale che quindi, nella visione jihadista, non è da considerare limitato, come desumibile dalla precedente denominazione, all’Iraq e Sham-Levante (e quindi al Medio Oriente) ma esteso almeno nominalmente, e per fortuna non di fatto, all’intero Ecumene Islamico (v. infra cap. I e II) e, secondo una interpretazione ancora più estrema ma non priva di fondamento, al mondo intero. Non a caso la moneta da 5 dinari coniata dall'ISIS nel 2014 riporta l'intero globo terracqueo.

    Moneta da 5 dinari in oro coniata dall’ISIS nel 2014

    È da aggiungere inoltre che il principale riferimento istituzionale califfale dell’IS ex ISIS non è, come spesso si pensa, tanto orientato agli esempi più noti quali il Califfato Abbaside di Baghdad o al più recente Califfato Ottomano, esauritisi rispettivamente nel 1258 e 1924, ma ai Primi Quattro Califfi dell’Islam del VII secolo dopo la morte di Maometto detti ‘Califfi Ben Guidati’ (khilafat al-rashiduun) e ciò in linea con l’utopia retrospettiva, di ispirazione prevalentemente salafita, che caratterizza il jihadismo. Non a caso il Califfo (che molti definiscono autoproclamato) al-Baghdadi dell’IS ex ISIS assunse l’alias Abu Bakr che è il nome del primo Califfo Ben Guidato dopo la morte di Maometto e considerato nella tradizione islamica il miglior Califfo della storia. Da rilevare poi che l’IS ex ISIS ha condotto e rivendicato azioni al di fuori del Medio Oriente a partire proprio dalla data della proclamazione del Califfato e, sempre da quella data, si è avuta una progressiva crescita di affiliazioni tramite bay’a (atto di riconoscimento dell’autorità di un Califfo e quindi di affiliazione al Califfato) di singoli individui (cui è riferibile il concetto di singoli soggetti radicalizzati) ovvero di vari gruppi jihadisti con la conseguente nascita di varie wilayat (province) affiliate all’IS ex ISIS che in questi ultimi anni si sono diffuse dall’Africa Occidentale, al Medio Oriente, all’Asia centrale, all’Indonesia e al Sud Est Asiatico.

    Fra gli ultimi più drammatici eventi rivendicati dall’IS ex ISIS è purtroppo da annoverare la tragica strage in Sri Lanka dell’aprile 2019, il più sanguinoso attentato dopo l’11 settembre e condotto poche settimane dopo che autorevoli fonti internazionali avevano più volte annunciato la sconfitta dell’IS ex ISIS, e l’attentato contro militari italiani in Iraq del novembre 2019 a pochi giorni dall’eliminazione di al-Baghdadi avvenuta nel nord della Siria e una serie ormai inarrestabile di attentati nel Sahel.

    Questi ultimi elementi (crescenti diffusione della metastasi di gruppi- wilayat-province affiliate all’IS ex ISIS ovvero ad al-Qa’ida e persistenza di attentati anche gravissimi quali quello nello Sri Lanka) e gli esiti delle più recenti analisi geopolitiche confermano l’esigenza di rivedere le categorie analitiche con cui l’Occidente affronta tali fenomeni. Appare ormai ineludibile allargare gli approcci analitici dai classici parametri conflittuologici (quali percentuali di territorio controllate, disponibilità di militanti, armi, mezzi e finanziamenti che hanno fra l’altro portato negli ultimi anni ad affrettate e discutibili dichiarazioni di sconfitta dell’IS ex ISIS) alla valutazione delle ideologie e quindi del loro, seppure spesso distorto ma pur sempre pericoloso, potenziale politologico-rivoluzionario e del loro forte fascino identitario, mobilitante e purtroppo orientato a una violenza spesso indiscriminata e contraria, come si vedrà, agli stessi principi classici dell’Islam.

    Parallelamente alle drammatiche evoluzioni del jihadismo, l’inizio del XXI secolo ha fatto poi registrare altre importanti, e spesso tragiche, evoluzioni nel Mondo islamico che in qualche modo, e in varia misura, si sono intrecciate col fenomeno jihadista, fra le quali: l’invasione dell’Iraq del 2003 che ha avuto conseguenze disastrose per la stabilità dell’intero Medio Oriente provocando ‘a catena’ una situazione di diffusa e forse ormai endemica conflittualità nell’area la quale non risulta aver mai sofferto di così estesa e intensa instabilità nella sua pur non certo tranquilla storia; l’invasione dell’Iraq del 2003 ha poi indirettamente portato alla nascita dell’Islamic State in Iraq (ISI) diventato poi ISIS - ISIL - Da’ish e ora, come già detto dal 2014, Islamic State - IS ex ISIS; le cosiddette ‘Primavere Arabe’; i tragici eventi in Egitto legati alla caduta di Mubarak e la vittoria elettorale del partito legato ai Fratelli Musulmani, con la prima vera elezione democratica di un presidente in Egitto, e alla successiva presa di potere dell’attuale leadership militare egiziana; la totale e persistente destabilizzazione della Libia a seguito della caduta del leader Gaddafi; il disastroso conflitto in Siria che va avanti dal 2011 e che ha prodotto oltre trecentomila morti e, nel 2019, la penetrazione turca nel territorio curdo-siriano del Rojava; l’enorme aumento del numero di profughi e displaced nel mondo (circa 70 milioni nel 2018 con un aumento del 100% negli ultimi 20 anni)¹ e che ha drammaticamente interessato in larga misura i paesi musulmani (v. infra cap. II) raggiungendo picchi numerici mai registrati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale; il conflitto nello Yemen che sta assumendo, fra l’altro, le connotazioni di una delle più drammatiche crisi umanitarie del secolo; l’ulteriore allontanamento delle già precarie prospettive di soluzione del conflitto israelo-palestinese; la crisi USA-Israele e Iran; l’aggravarsi della crisi del Kashmir; la drammatica situazione della minoranza musulmana in Cina; la crescita dei gruppi jihadisti nel Sahel, in Asia Centrale, Sub continente indiano, Sud-est asiatico fino alle Filippine; l’eliminazione di Qasim Sulayman, capo dei Pasdaran iraniani, a opera degli USA nel gennaio 2020 che ha infiammato ulteriormente il quadro conflittuale mediorientale e il drammatico confronto USA-Iran.

    La saldatura in termini geopolitici, ideologico-rivoluzionari e conflittuologici della crescita del jihadismo e del ‘continuum’, appena sopra accennato, di crisi e di instabilità che ormai investe quasi tutto il Mondo Islamico (v. anche infra cap. II) con poche e precarie eccezioni (es. Marocco e Oman) è probabilmente già in atto da qualche anno ma non ha forse ancora prodotto le drammatiche deflagrazioni che, almeno in potenza, tale saldatura potrebbe esprimere.

    La Comunità Internazionale ha sinora reagito al fenomeno del jihadismo e delle altre derive islamico-radicali con varie forme che per lo più hanno gravitato intorno alla filosofia del Global War On Terrorism (GWOT) che si è espressa in una risposta prevalentemente militare e repressiva verso il fenomeno jihadista nella sua globalità. È tuttavia da riconoscere che non sono mancate iniziative e sforzi di cooperazione internazionale e Post Conflicts ovvero State Building avviate spesso anche con ingenti investimenti di risorse finanziarie e umane; tali iniziative sono però rimaste, per una serie di motivi, per lo più all’ombra o correlate all’iniziativa militare. Si può in definitiva affermare che la Comunità Internazionale, in particolare l’Occidente, abbia affrontato il jihadismo gravitando prevalentemente e prioritariamente sulle espressioni militari del jihadismo medesimo e in particolare sul suo epifenomeno o sintomo, seppure gravissimo, denominato ‘terrorismo di matrice islamica’. Questo tipo di risposta della Comunità Internazionale ha in qualche modo alimentato il rischio di confondere anche sul piano epistemologico e analitico il fenomeno (estremismo islamico - Islam radicale e loro basi ideologiche) con gli epifenomeni devianti da esso generati (jihadismo e terrorismo di matrice islamica).

    I costi associati a diciotto anni di GWOT e spese a essa correlate (Post Conflicts State Building e altre spese in aggiunta a quelle puramente militari), sono difficilmente quantificabili e i dati variano nelle varie fonti, ma gli orientamenti prevalenti parlano di sei trilioni di $ (in USA il trilione corrisponde a mille miliardi) solo per gli USA al 2019 ², a tale cifra vanno aggiunti i costi sostenuti da tutti gli altri (oltre cinquanta) paesi, fra cui l’Italia, che hanno partecipato alle varie coalizioni impegnate nella GWOT dal 2001 a oggi.

    Tale costo, sia pure limitatamente all’aspetto finanziario, può essere meglio percepito se espresso con due termini di confronto, esso è infatti oltre dieci milioni di volte superiore al costo generalmente stimato (500. 000 $) per la organizzazione e condotta dell’attentato dell’11 settembre ed è superiore al doppio del PIL annuale di un paese quale l’Italia, ciò escludendo i costi umani e di distruzioni subite a livello mondiale.

    Ma qual è oggi, alla fine del primo ventennio del XXI secolo, la situazione sia in riferimento al fenomeno (ideologia riferibile all’estremismo islamico) che agli epifenomeni devianti (jihadismo e terrorismo di matrice islamica)? Dopo ben diciotto anni di GWOT (e successive denominazioni) si devono purtroppo registrare varie autorevoli analisi e oggettive evidenze, che sarebbe un errore limitare solo ai termini statistici di attentati compiuti o rivendicati, che confermano la persistenza della minaccia portata dal ‘Global Jihadism’ e in particolare delle sue espressione più attuali quali i gruppi jihadisti legati ad al-Qa’ida, allo Stato Islamico – IS ex ISIS, Boko Haram, altre organizzazioni e loro affiliazioni. L’aspetto più rilevante e preoccupante dell’evoluzione del jihadismo in questi ultimi anni è costituito dalle evoluzioni fatte registrare dall’IS ex ISIS, il quale a fronte di varie sconfitte sul piano tattico-militare e di notevoli perdite territoriali in Siria e Iraq, ha fatto registrare, come già detto, dal 2015 una notevole espansione di gruppi a esso affiliati (concetti sopra citati di bay’a e Wilayat – province affiliate) in un’area vastissima che comprende l’Africa Occidentale, l’Africa Settentrionale, il Medio Oriente, l’Asia Centrale (in particolare con l’Islamic State in Khorasan in Afghanistan che ha contribuito a rendere ancora più complicata la situazione in quel paese), il subcontinente indiano, l’Indonesia, le Filippine e altre aree del Sud Est Asiatico. Per un quadro completo dell’estensione geografica interessata dalla presenza dei vari gruppi jihadisti e delle relative affiliazioni, sia all IS ex ISIS che ad al-Qa’ida, vedasi mappa qui riportata:

    Fonte: Worldwide Threat Assesment della US Intelligence Community January 2019

    Alcuni passaggi delle più autorevoli fonti di analisi a livello internazionale aiuteranno ad avere una percezione più aggiornata e corretta del fenomeno:

    da un Rapporto al Congresso USA sull’Islamic State di settembre 2018 "This has led to assess that there is ‘no correlation’ between the islamic State’s loss of territory and the level of the threat the group poses to the West³; lo stesso Report poi elenca e descrive ben nove Wilayat (province affiliate all’IS ex ISIS) dall’Africa Occidentale al Sud Est Asia;

    documento ONU del luglio 2018 "UN describe the Islamic State as ‘reverting’ from a proto-State structure to a covert network(…) the collective discipline of the Islamic State group is intact";

    esiti del Munich Security Forum del 2018, sede di uno dei più importanti momenti annuali di valutazione della sicurezza globale, in cui si legge che "One thing participants unanimously agree upon is that the fight against jihadism is far from over";

    il Global Terrorism Index (uno dei principali riferimenti di analisi del fenomeno a livello mondiale, v. infra cap. II) 2018 che rileva che fra i primi dieci paesi al mondo per indice terroristico (un parametro che misura l’impatto del terrorismo in ciascun paese) ben otto sono paesi musulmani e i due rimanenti sono l’India (secondo paese al mondo per numero di musulmani) e le Filippine (ove esiste una significativa minoranza musulmana e una attiva presenza dell’IS ex ISIS); circa l’IS ex ISIS, pur usando ancora l’acronimo ISIL, si legge "ISIL ha perso la maggior parte del proprio territorio e fonti di guadagno in Siria e Iraq. Comunque i gruppi a esso affiliati in altre regioni stanno diventando sempre più attivi… Nel Maghreb e Sahel c’è una ripresa di attività terroristiche negli ultimi due anni in particolare da parte di al-Qa’ida"

    Anche l’impatto sul fenomeno jihadista della recentissima eliminazione del Califfo e leader dell’IS ex ISIS Abu Bakr al-Baghdadi (novembre 2019) è stata valutata con estrema cautela dai principali analisti e ciò in analogia con precedenti eliminazioni di importanti capi jihadisti. Va ricordato come dopo l’eliminazione di al-Zarqawi in Iraq l’allora ISI si sviluppò nel giro di qualche anno nell’ISIS e dopo l’eliminazione di bin Laden al-Qa’ida abbia poi trovato nuova linfa con l’attuale leader Aymon al-Zawahiri.

    Volendo riferirsi ad analisi di più lungo periodo soccorre un autorevole studio del Governo Britannico volto a identificare i Global Strategic Trends a livello mondiale fino al 2045, in esso, riguardo al fondamentalismo islamico, si legge "Islamic Fundamentalism will almost certainly continue to fuel terrorist networks out to 2045."

    A tale quadro va aggiunto il fenomeno dei cosiddetti individui radicalizzati nei paesi occidentali, individui che in qualche modo e con diversi livelli di intensità, hanno subìto il fascino identitario e mobilitante delle ideologie della propaganda jihadista anche se non necessariamente legato alla volontà di intraprendere azioni terroristiche o comunque di violenza. La questione, spesso dibattuta, delle evidenze o delle formalità di affiliazione di tali individui alle organizzazioni jihadiste ha una relativa rilevanza poiché una delle strategie da queste adottate prevede, come si vedrà nella Seconda Parte, proprio l’esclusione di qualsiasi formale o tangibile legame organizzativo fra i singoli individui o cellule di individui radicalizzati e le organizzazioni medesime (principio del ‘la tanzim’ ovvero del’‘everyman jihad’ o, come impropriamente riferito dai media, dei lupi solitari). La stima di individui cosiddetti radicalizzati, anche se non necessariamente collegabili ad attività terroristiche, in Europa è ovviamente difficile anche perché è impossibile inventariare i personali convincimenti di un individuo, ma le varie fonti parlano di un ordine di grandezza non inferiore alle varie migliaia. Una fonte aperta mediatica nel 2017 parlava di oltre 18. 000 soggetti sospettati di radicalizzazione islamista solo in Francia⁷.

    Infine da una recentissima pubblicazione di un’analisi di Fondapol, think tank francese⁸, sugli attentati riferibili all’estremismo islamico nel mondo nel periodo 1979- 2019 si evince che questi attentati:

    sono aumentati in termini assoluti da 2190 (nel periodo 1979 al 2000) a ben 23. 315 (nel periodo 2013 -2019), e in termini relativi rispetto alla globalità di attentati terroristici a livello mondiale dal 3,5% (nel periodo 1979 – 2000) al 63,4% (nel periodo 2013 -2019);

    hanno causato un numero di vittime nei 41 anni esaminati pari a 167. 000 ma di cui il 73% (122. 000) solo nel periodo 2013 – 2019;

    hanno sinora investito in larghissima percentuale i paesi musulmani in cui si è registrato l’89,1% degli attentati e il 91,2% delle vittime, i paesi più colpiti sono stati Afghanistan, Iraq, Somalia, Nigeria e Pakistan.

    È quindi evidente che il fenomeno delle manifestazioni terroristiche riferibili all’estremismo islamico non solo non è stato debellato ma è in evidente crescita, non solo numerica, dal 2013 e investe in larghissima misura soprattutto i paesi musulmani.

    Altre conferme dell’attualità e del livello di minaccia rappresentato dal jihadismo e dalle devianze terroristiche a esso riferibili e portate dalle principali note organizzazioni (IS - ex ISIS, al Qa’ida, Boko Haram etc. ) possono essere agevolmente riscontrate in altre autorevoli fonti di analisi che saranno riprese nei capitoli successivi e nel capitolo finale.

    In particolare l’ultimo Report dell’Institute of Economy and Peace di Sydney (V. infra cap. II) evidenzia nel periodo 2008 – 2019 un significativo peggioramento degli indicatori di pace e stabilità sia a livello globale (3,7%) sia in particolare per i 25 paesi storicamente meno stabili al mondo, in gran parte paesi musulmani o con significative minoranze musulmane (Afghanistan, Siria, Libia, Yemen etc) con un peggioramento di ben l’11, 8%.

    Da tale premessa appare evidente come gli sforzi sinora condotti dalla Comunità Internazionale per confrontarsi, difendersi e in particolare contrastare l’estremismo islamico e le sue devianze jihadiste e terroriste siano stati non pienamente adeguati e comunque non capaci di annichilire il fenomeno. Non rientra negli scopi di quest’opera investigare le cause di tale inadeguatezza, ma è evidente che una delle maggiori carenze risiede nell’essersi affidati troppo alla risposta militare e repressiva e aver forse trascurato uno dei principi fondamentali dell’arte della guerra che consiste nel conseguire una preliminare profonda conoscenza degli elementi di forza della minaccia e quindi del nemico (Sun Tzu, L’Arte della guerra). Ora, nel caso del jihadismo tali principali elementi di forza non risiedono negli aspetti organizzativi, tecnico-militari, finanziari né nelle disponibilità più o meno elevate di armamenti né delle estensioni di controllo di territori (tutti elementi questi certamente importanti ma forse ipervalutati in molte anche autorevoli analisi) ma risiedono proprio nell’ideologia. Tale valutazione risulta peraltro chiaramente espressa anche nel Rapporto Finale della Commissione USA dell’11 settembre (v. infra paragrafo successivo e Cap. IX). Non vi è dubbio che l’ideologia alla base del fenomeno jihadista, in particolare come declinata dall’IS ex ISIS nelle sue interpretazioni anche distorte di Stato Islamico e di Califfato, rivesta un forte potere identitario, mobilitante e di richiamo rivoluzionario che da solo spiega non solo i fenomeni di affiliazione ‘worldwide’, e quindi i vari Wilayat sopra citate, ma anche i diffusi fenomeni di ‘radicalizzazione’ fra migliaia di giovani musulmani anche in Occidente e il fenomeno dei cosiddetti Foreign Fighters. Sull’importanza dell’ideologia nell’estremismo islamico e nelle sue devianze si ritornerà in varie parti che seguiranno e in particolare nell’ultimo capitolo.

    È quindi ormai assolutamente necessario che nel contrasto al jihadismo, in aggiunta e quale necessario completamento dei vari approcci cognitivi, analitici e statistici gravitanti, spesso in maniera prevalente se non esclusiva, sugli epifenomeni violenti da esso generati (attentati, Foreign Fighters, individui radicalizzati, proclami e minacce veicolate via web o con altri strumenti mediatici, eventi violenti), si prenda finalmente coscienza dell’esigenza di avviare anche seri percorsi di conoscenza delle basi ideologiche e dottrinali, vero ‘motore primo’ dell’estremismo islamico e degli epifenomeni devianti (jihadismo, terrorismo di matrice islamica) a esso associati.

    SCOPO DELL’OPERA

    "Il nemico non è semplicemente il «terrorismo»… Il nemico non è l’Islam… ma una perversione dell’Islam. Il nemico va ben oltre al-Qaeda per includere il movimento ideologico radicale." (Dal Rapporto Finale della Commissione USA sulla strage dell’11 settembre – Executive Summary)¹⁰

    "Il nostro nemico non è il terrorismo, ma l’ideologia radicale di al-Qaeda. Lo scopo della nostra guerra deve essere la sconfitta di questa ideologia… se non ci riusciamo, tutti gli sforzi contro il terrorismo falliranno"¹¹

    "Ideology is the centre of gravity of a violent Islamist terrorist network"¹²

    Se conosci il nemico e conosci te stesso non devi temere l’esito anche di cento battaglie. Se conosci te stesso ma non conosci il nemico, per ogni tua vittoria dovrai poi subire una sconfitta. Se non conosci né te stesso né il nemico soccomberai in ogni battaglia (Sun Tzu – L’arte della guerra – VI secolo A. C.)

    Le autorevoli citazioni appena riportate, insieme a quanto detto nelle pagine precedenti, costituiscono la più robusta motivazione dello scopo della presente opera: fornire chiavi interpretative e analizzare e far conoscere l ‘ideologia, anche se spesso distorta, all’origine dell’estremismo islamico e delle sue devianze jihadiste e terroristiche.

    Le devianze dell’estremismo islamico costituite dal jihadismo e dal terrorismo di matrice islamica (o jihadista o islamista o come l’analista del momento intende definirlo) possono essere considerate solo quali sintomi, strumenti, manifestazioni esterne o, come già detto, epifenomeni, per quanto gravissimi, di una malattia di fondo, di un fenomeno di fondo costituito dalla distorsione dell’ideologia politica islamico-radicale ovvero, più in generale, dell’estremismo islamico.

    Il Rapporto Finale della Commissione USA sulla strage dell’11 settembre, documento già sopra citato di quasi 600 pagine pubblicato nel 2004, costituisce senza dubbio uno dei riferimenti più autorevoli da cui partire per ogni analisi della minaccia portata dall’estremismo islamico, in esso si legge, oltre a quanto già sopra detto,

    La minaccia catastrofica in questo momento storico è più specifica. È la minaccia costituita dal terrorismo islamista – specialmente dalla rete di al-Qaeda, i suoi affiliati e la sua ideologia… Bin Laden e altri leaders terroristi si basano su una lunga tradizione di estrema intolleranza dentro una corrente dell’Islam (una tradizione minoritaria), che va almeno da Ibn Taymiyya, attraverso i fondatori del Wahabismo, i Fratelli Musulmani a Sayyid Qutb. Questa corrente è motivata dalla religione e non distingue la politica dalla religione distorcendo entrambe.

    Il nostro nemico ha duplice profilo: al-Qaeda…; e un movimento ideologico radicale nel mondo islamico, solo in parte ispirato da al-Qaeda, che ha alimentato gruppi terroristi e violenza in tutto il globo. Il primo nemico [al-Qaeda] è indebolito ma continua a rappresentare una minaccia [ricordiamo che il Rapporto viene pubblicato nel 2004]. Il secondo [il movimento ideologico]si sta consolidando e minaccerà gli Americani e gli interessi americani per un lungo periodo dopo che Bin Laden e il suo seguito saranno uccisi o catturati. Pertanto la nostra strategia dovrà avere due direzioni: smantellare la rete di al-Qaeda e prevalere nel più lungo periodo sull’ideologia che fa di base al terrorismo islamista. L’Islam non è il nemico. L’Islam non è sinonimo di terrore¹³

    Il Rapporto continua e quando tratta le proposte per le possibili strategie da adottare si legge che esse richiedono un processo che probabilmente dovrà essere misurato in decenni non in anni e che dovrà essere qualcosa di più che una guerra al terrorismo e nel lungo periodo dovrà investire tutte le componenti del potere nazionale (diplomazia, intelligence, azioni coperte, imposizione delle legalità, aiuti internazionali e sicurezza interna). Si dovrà quindi adottare, insieme a una strategia preventiva di tipo militare, una strategia di natura politica che dovrà investire l’intero mondo musulmano in tutte le proprie componenti.

    A quindici anni dalla sua pubblicazione si può purtroppo affermare che molti delle indicazioni emerse da tale Rapporto forse non sono ancora state ben recepite, e alcune decisamente poco implementate.

    In riferimento a tale Rapporto, in uno studio del 2004 del Nixon Center¹⁴ si sottolinea l’importanza dell’enfasi posta sull’ideologia piuttosto che sulle varie tattiche terroristiche, e si legge

    Il terrorismo di per sé è solo uno strumento; occorre guardare all’obiettivo politico per cui esso è utilizzato… il terrorismo è solo la punta di un iceberg… la violenza è solo uno degli strumenti usati dagli Islamisti radicali nell’ampia "war of ideas" contro l’Occidente… per avere successo dobbiamo capire le radici di questa ideologia…

    Lo scopo di quest’opera quindi non è trattare il terrorismo di matrice islamica (o terrorismo jihadista), tema peraltro abbondantemente trattato negli ultimi anni dalla pubblicistica italiana e ancor di più internazionale, ma contribuire ad arricchire un quadro di conoscenza quanto più possibile ampio delle basi ideologiche, dottrinali e strategiche di quel complesso di fenomeni che comunemente vengono ricompresi, non senza approssimazione, sotto il termine estremismo islamico ovvero Islam Radicale e di cui il jihadismo e il cosiddetto terrorismo di matrice islamica (o terrorismo jihadista) costituiscono, come già detto, le derive più drammatiche e attuali.

    Va detto subito, a premessa di tutta la presente opera, che, come si dimostrerà in vari passaggi, pretendere di formulare chiare, nette e universalmente valide definizioni sui termini appena citati (jihadismo, Islam Radicale, estremismo islamico, fondamentalismo islamico, islamismo, terrorismo islamico) è esercizio pressoché impossibile e per certi aspetti di discutibile utilità, mentre appare molto più utile e proficuo andare, al di là di etichette generalizzanti, direttamente ai contenuti più oggettivi costitutivi di tali concetti e fenomeni. La medesima difficoltà si rileva nei vari tentativi di etichettare alcuni autori (definibili quali gli "strategists ovvero i teorici di tali fenomeni) con termini generalizzanti e o che associno il pensiero di questi rigidamente ad alcuni dei fenomeni sopra citati (es. il luogo comune tanto diffuso quanto discutibile che vuole Sayyid Qutb, di cui si tratterà nel capitolo IV, quale filosofo del terrorismo islamico…").

    In questa materia voler attribuire discutibili etichette o patenti di appartenenza a questo o quel filone o scuola di pensiero o singolo teorico può portare a individuare false unità di pensiero e quindi distorsioni epistemologiche, qui si cercherà invece di accompagnare il lettore in un percorso che tocchi quanto più possibile gli elementi oggettivi e originali del pensiero dei vari autori e teorici, anche con frequenti e diffusi riferimenti ai testi originali e ad autorevoli pareri e valutazioni sui medesimi, e lasciare quindi al lettore ogni ulteriore valutazione ma su basi quanto più possibile informate. Va quindi detto che i livelli e gli spessori di responsabilità ideologica dei vari teorici che saranno trattati nella Parte Seconda nei confronti del jihadismo, e più in generale dell’estremismo islamico, andranno considerati con estrema cautela: tali attribuzioni di responsabilità ideologica sono infatti oggetto di valutazioni anche molto diverse da parte dei vari analisti e commentatori. Va infine ricordato che molto spesso le basi ideologiche da essi poste, specie negli scritti meno recenti, sono poi state distorte dai gruppi jihadisti negli ultimi decenni.

    L’importanza dello scopo della presente opera si basa anche sulla considerazione che la maggior parte delle analisi, studi, pubblicazioni oggi disponibili relativi a tali fenomeni si limitano per lo più, come già detto, alla trattazione degli epifenomeni (manifestazioni indotte, derivate, secondarie) generati dai fenomeni in parola e in particolare delle loro manifestazioni più eclatanti e di immediata evidenza per il grande pubblico (attentati terroristici, proclami, Foreign Fighters, fenomeni di radicalizzazione e soggetti cosiddetti radicalizzati, eventi violenti, video con contenuti di violenza). Sono invece pochi, specie in lingua italiana, gli studi e le pubblicazioni sull’ideologia, le dottrine e le strategie costitutive di tali fenomeni e ancor meno quelli basati su analisi sistematiche del pensiero originale dei principali teorici e ‘strategists’ di tali fenomeni.

    Muhammad Haniff Hassan, membro del Rajarathnam School of International Studies in Singapore, nell’Introduzione alla sua fondamentale opera su Abdullah ‘Azzam "The Father of Jihad" (di cui si tratterà diffusamente nel cap. VI) dedica un intero paragrafo all’importanza dell’ideologia e quindi della counter-ideology¹⁵

    L’ideologia del terrorismo jihadista è stata centrale in due direzioni. In primo luogo ha fornito una chiara visione e un ventaglio di obiettivi per l’esistenza del jihadismo. In secondo luogo l’ideologia ha legittimato atti di terrorismo ed è diventato un mezzo per guadagnare simpatie e supporto per la loro continua lotta. La centralità dell’ideologia jihadista in questi gruppi ha portato molti alla conclusione che la chiave per sconfiggerlo [il jihadismo] è la formulazione di una ‘counter-ideology’.

    Stephen Biddle ha affermato che il vero nemico nella guerra contro il terrorismo è l’ideologia radicale di al-Qa‘ida

    Haniff conclude sottolineando la necessità e l’importanza di raccogliere e analizzare le opere prodotte dai principali ideologi del jihadismo ed evidenzia al riguardo la scarsità degli studi sinora condotti in tale campo.

    Altro autorevole riferimento all’importanza dello studio delle ideologie viene da Bruce Hoffman, autore di "Inside Terrorism" e docente alla Georgetown University’s School of Foreign Service che già dopo i primi anni di War On Terrorism criticava l’approccio finalizzato alla prevalente eliminazione dei capi o delle figure chiave delle organizzazioni terroristiche e affermava

    Uno dei problemi della metrica kill-or-capture è che spesso essa porta a escludere la possibilità di avere una più profonda, ricca comprensione [understanding] del movimento [jihadista], le sue origini e la mentalità dei nostri avversari. Sfumature che sono assolutamente critiche. I nostri avversari sono fermamente legati all’ideologia che informa e alimenta la loro lotta, e, nel non prestare attenzione a ciò, rischiamo di non conoscere il nostro nemico. ¹⁶

    Analoga conclusione si può dedurre da altre autorevoli fonti che saranno citate nel corso della presente opera.

    Ricorrendo a una metafora medica, lo scopo che ci si propone è cercare di analizzare le cause, le caratteristiche di fondo, l’eziologia ideologica della patologia in esame (il cosiddetto jihadismo e terrorismo di matrice islamica) piuttosto che fermarsi alla trattazione dei sintomi (attentati, elementi radicalizzati, Foreign Fighters) seppure gravi ed eclatanti, che tale patologia genera. Ciò anche nella consapevolezza che, sempre per rimanere nella metafora medica, solo una completa individuazione delle origini di una patologia e una sua profonda conoscenza può costituire valida premessa per ogni credibile approccio terapeutico, di contrasto e prevenzione.

    Il tema che ci si propone di affrontare è quindi complesso, su certi elementi non privo di contraddizioni ovvero di visioni e valutazioni diverse nelle varie fonti, qui non si pretenderà di fornire valutazioni finali ed esaustive sul pensiero dei singoli teorici esaminati e sulla loro influenza sul jihadismo ma piuttosto, come già detto, di fornire un ampio approccio ai principali testi dei vari teorici e ‘strategists’ e parallelamente proporre un adeguato panorama di valutazioni espresse dai vari commentatori e analisti.

    ASPETTI LINGUISTICI

    La particolarità e l’attualità della materia e delle versioni dei testi da analizzare hanno inevitabilmente condizionato, in maniera forse anche un po’ irrituale, le scelte di carattere linguistico, si è pertanto scelto di:

    - adottare preferibilmente termini in lingua italiana, ma spesso si è reso necessario usare ovvero evidenziare anche i corrispondenti termini in lingua inglese e ciò per vari motivi pratici: la materia è trattata in buona parte su fonti in lingua inglese; il tema trattato ha valenze assolutamente transnazionali e conseguentemente molti termini sono universalmente adottati in tale lingua negli ambienti specialistici; in questa lingua sono stati creati una serie di neologismi successivamente adottati, più che tradotti, nelle altre lingue (es. lo stesso termine jihadism);

    - confermare per i termini più specifici e fondamentali (es. jihad, bay’a, ijtihad) l’uso dei termini originali in lingua araba traslitterati in alfabeto latino; per agevolare il lettore l’opera è stata corredata di un glossario;

    - riferirsi prioritariamente, per le citazioni nelle analisi dei testi originali che saranno condotte nella Seconda Parte, ai testi disponibili in lingua inglese sia per la pressoché totale indisponibilità di testi degli autori esaminati in lingua italiana sia per l’ovvia impraticabilità di riferirsi ai testi originali in lingua araba; per agevolare la lettura da parte di lettori di madrelingua italiana, ove non diversamente indicato, molte citazioni testuali saranno rese per lo più con una traduzione di cortesia dell’Autore in lingua italiana ma con la citazione della fonte; in alcuni casi, laddove utile per una migliore comprensione critica, tuttavia si citeranno anche i termini in lingua araba opportunamente traslitterati; occorre avvertire il lettore che la qualità delle versioni disponibili in lingua inglese dei testi che si esamineranno è talvolta alquanto modesta; occorre poi ricordare che ci muoviamo per lo più in un ambito in cui i diritti d’autore non esistono e che per alcune delle opere citate non esistono riferimenti bibliografici certi e completi seppure non vi sia alcun dubbio circa l’esistenza delle opere medesime;

    - in particolare per i testi esaminati nella Parte Seconda e in Appendice saranno forniti alcuni fra i più significativi brani citando la fonte e con traduzione di cortesia in lingua italiana dell’Autore e ove necessario la pagina del testo originale della fonte citata; in parentesi quadre saranno inseriti eventuali commenti dell’Autore volti ad agevolare la comprensione dei brani originali;

    - circa l’uso dei termini in lingua araba, essendo quest’opera concepita per un pubblico non circoscritto a esperti islamologi o arabisti, si adotterà una traslitterazione semplificata dei termini arabi in alfabeto latino evitando le vocali lunghe, le consonanti enfatiche e i segni diacritici, al riguardo va ricordata l’estrema variabilità nelle traslitterazioni in alfabeto latino di molti dei termini trattati (un esempio per tutti, il termine al-Qa‘ida viene spesso traslitterato indifferentemente anche in al-Qaeda, al-Qaida, al-Qaidah) per cui alcuni termini potranno essere resi con diverse traslitterazioni ove necessario per fedeltà ai testi originali; per agevolare il lettore si ricorrerà prioritariamente alla trascrizione di parole traslitterate nella forma già entrata diffusamente nell’uso (es. Maghreb invece del più corretto Maghrib); il nome Muhammad verrà reso in italiano quale Maometto solo limitatamente ai riferimenti al profeta, negli altri casi rimarrà Muhammad;

    - le traduzioni di cortesia in lingua italiana qui fornite non sono state sottoposte a preventiva revisione degli autori dei testi nelle lingue originali; eventuali errori o imprecisioni sono quindi da addebitare esclusivamente all’autore del presente volume.

    Va poi evidenziato che lo stile narrativo di molti dei testi originali analizzati, come si nota frequentemente nei testi prodotti in arabo su temi islamico-radicali, è per lo più prolisso, ridondante, spesso ripetitivo e non sempre segue una sequenza espositiva molto lineare.

    Ogni trattazione di aspetti concettuali relativi al mondo islamico deve evidenziare preliminarmente l’importanza del trilitterismo. Ogni termine in lingua araba, così come in altre lingue semitiche, deriva da una radice trilittera consonantica comune anche ad altri termini, tutti i termini derivanti da una medesima radice trilittera (che è peraltro la chiave d’ingresso nei vocabolari di lingua araba) hanno una reciproca contiguità concettuale e semantica (es. dalla radice trilittera k,t,b, derivano vari termini aventi attinenza con lo scrivere, quindi kitab-libro, maktab-ufficio, maktub-testo scritto, tutti termini che contengono quindi al loro interno la radice trilittera k,t,b). Spesso si citerà quindi la radice trilittera di alcuni termini arabi per agevolarne la comprensione del significato.

    Le date saranno per lo più indicate secondo il calendario occidentale (era cristiana) evitando, tranne pochi casi, di inserire anche le corrispondenti date dell’era dell’Egira in genere usate nel mondo musulmano.

    Si farà uso di un neologismo: l’aggettivo conflittuologico da conflittuologia (termine che non risulta nei dizionari della lingua italiana, seppure esisteva una rivista Conflittologia che trattava lo studio dei conflitti) perché appare l’aggettivo più idoneo a indicare alcuni contesti, oggetti e attività che saranno qui trattati. Si confida in una benevola comprensione dei puristi della lingua, del resto in un mondo in cui si affermano (purtroppo) sempre più frequentemente forme di conflitti ibridi, asimmetrici, condizionati dall’informazione (Information Warfare) o dallo strumento informatico (Cyber-Warfare), etichettabili in termini generazionali (Fourth or Fifth Generation Warfare – 4th or 5th GW) forse occorre anche ampliare il relativo patrimonio terminologico.

    CRITICITÀ EPISTEMOLOGICHE

    Occorre evidenziare preliminarmente in generale l’esistenza di una complessa criticità epistemologica¹⁷ verso tale materia, talvolta sottovalutata o semplicemente ignorata, che si evidenzia in tre profili principali che si intrecciano. La consapevolezza di tale criticità appare indispensabile a premessa di qualsiasi credibile percorso di conoscenza sull’estremismo islamico.

    Il primo profilo di criticità epistemologica riguarda il linguaggio ed è quindi di natura prevalentemente terminologica, definitoria, semantica ed ermeneutica.

    L’importanza di tale criticità viene significativamente individuata nella ‘Presentazione’ di Paolo Branca del ‘Vocabolario dell’Islam’ di Sourdel e Thomine: Una pesante eredità di fraintendimenti e di conflitti grava sui rapporti fra mondo islamico e Occidente. A cominciare dalle parole, attraverso le quali essi [fraintendimenti e conflitti] persistono e si perpetuano nel tempo, in forme spesso insidiose. ¹⁸

    I fenomeni in esame risentono infatti di una vera inflazione terminologica, panoplia (e quindi inevitabile confusione) di termini, che si intreccia con una spiccata polisemia di molti di tali termini generando spesso un vero caos terminologico, definitorio, semantico e, in definitiva, ermeneutico. Tale caos appare comune a diverse lingue anche perché molti termini in parola vengono replicati (più che tradotti) in varie lingue una volta inventati (es. il termine in inglese jihadism frutto di un recente neologismo tanto fortunato quanto discutibile fra il termine arabo jihad e il suffisso inglese -ism); tale inflazione terminologica negli anni è andata configurandosi in una vera ‘nebulosa’ di termini in cui troviamo (si citano prevalentemente i termini in lingua italiana ma la medesima osservazione vale per i corrispondenti termini in altre lingue occidentali): Islam radicale, fondamentalismo islamico, integralismo islamico, islamismo, radicalizzazione, estremismo islamico, jihadismo, violent religiuos extremism, jihadismo-salafita, terrorismo di matrice islamica, terrorismo jihadista e altri. A tale panoplia di termini purtroppo non corrisponde un’articolata chiarezza definitoria e di significato, anzi spesso a un medesimo termine vengono comunemente attribuiti significati diversi (esempio il termine islamista, esso sia in italiano che in altre lingue, in inglese islamist, ha da sempre indicato studiosi del mondo islamico ma negli ultimi anni viene usato in prevalenza per indicare individui aderenti all’estremismo islamico e cioè con significato totalmente diverso) ovvero solo parzialmente

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