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Io e Oriana
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E-book231 pagine7 ore

Io e Oriana

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Info su questo ebook

A dieci anni dalla morte di Oriana sento il dovere di raccontare un'esperienza estremamente significativa della mia vita che, da un lato, mi ha donato una straordinaria soddisfazione intellettuale e interiore, dall'altro è stata un fattore vitale per la rivisitazione delle mie scelte di fondo, culminando nell'adesione alle idee di Oriana. Ancor prima della sua morte il 15 marzo del 2006 presi atto che Oriana aveva ragione nel considerare i terroristi islamici la vera rappresentazione dell'islam e nel condannare anche i sedicenti 'musulmani moderati' che ci impongono la legittimazione dell'islam come religione e la costruzione delle moschee. Noi tutti abbiamo il dovere di dire: 'Grazie Oriana'.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2016
ISBN9788892634886
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    Anteprima del libro

    Io e Oriana - Magdi Cristiano Allam

    Oriana.

    CAPITOLO 1

    Due vite diverse sullo stesso fronte di guerra

    Io e Oriana. Un rapporto paragonabile a un amore che è esploso all’improvviso, che ha subito coinvolto intensamente la totalità del nostro essere persone sul piano intellettuale ed affettivo, che è sembrato così veritiero da concepirci un tutt’uno sul piano spirituale al punto che lei mi aveva designato come suo unico erede spirituale, scrivendomi Più ti leggo, più ci penso, più concludo che sei l’unico su cui dall’alto dei cieli o meglio dai gironi dell’inferno potrò contare. (Bada che t’infliggo una grossa responsabilità), che rapidamente è stato a un passo dall’esprimere il meglio di noi stessi, traducendosi in un’opera comune, il libro Magdi Allam intervista Oriana Fallaci, effettivamente scritto ma non pubblicato, che avrebbe potuto essere il capolavoro della nostra vita. Un rapporto che, tuttavia, in un baleno si è dissolto come un miraggio alla vista incantata del sognatore che scommette ciecamente sul proprio sesto senso, che ti lascia con l’amarezza di chi ha subìto la sconfitta interiore più pesante, che alla fine sconfina nella diffidenza e, addirittura, degenera nell’accusa.

    Ebbene, dieci anni dopo la morte di Oriana, sento il dovere di raccontare un’esperienza estremamente significativa della mia vita che, da un lato, mi ha donato una straordinaria soddisfazione intellettuale e interiore, dall’altro, pur nella dialettica e nell’incomprensione, è stata un fattore vitale per la rivisitazione delle mie scelte di fondo, culminando nell’adesione alle idee di Oriana, anche se con dei distinguo e delle precisazioni. Solo in concomitanza con la sua morte il 15 marzo 2006 presi atto che, sostanzialmente, aveva ragione Oriana nel considerare i terroristi islamici la vera rappresentazione dell’islam e nel condannare anche i sedicenti musulmani moderati che ci impongono la legittimazione dell’islam come religione e la costruzione delle moschee dentro casa nostra. Una ragione che non avrei potuto cogliere e condividere dieci anni fa per l’estrema diversità del contesto esistenziale in cui ero calato. Ma che acquisii in modo chiaro e netto con la decisione di abiurare l’islam e di convertirmi al cristianesimo nella notte della Veglia Pasquale il 22 marzo 2008, che mi portò a riconoscere che Oriana aveva principalmente e soprattutto ragione nell’indicare l’islam come la radice del Male. Quindi non tanto il terrorismo islamico dei tagliagole, quelli che sgozzano, decapitano, massacrano e si fanno esplodere, non tanto il terrorismo islamico dei taglialingue, quelli che ci impongono di sospendere l’uso della ragione e di legittimare l’islam a prescindere dai suoi contenuti, ma specificatamente l’islam, il Corano, Allah e Maometto.

    Fu Oriana a cercarmi all’inizio dell’estate del 2003 allacciando un rapporto straordinariamente intenso e positivo che si protrasse fino alla primavera del 2004, in tutto poco meno di un anno. Oriana era affascinata dal mio essere musulmano dissidente e ribelle, che condannava e combatteva il terrorismo islamico di Hamas e di Al Qaeda e, in parallelo, scopriva e denunciava la strategia di islamizzazione portata avanti dai militanti islamici legati ai Fratelli Musulmani, ai wahhabiti e ai salafiti. Leggeva ammirata le mie inchieste e le mie analisi, pubblicate prima su La Repubblica e poi sul Corriere della Sera, mi intratteneva per ore al telefono, scriveva commenti entusiastici, mi riservava una particolare attenzione, mi confidava parole affettuose. Fino a designarmi, nell’ottobre del 2003, attraverso una lettera inviatami via fax, come suo unico erede spirituale. L’apice di questo nostro eccezionale rapporto fu la scrittura di un libro in comune che avrebbe avuto come titolo Magdi Allam intervista Oriana Fallaci e sarebbe stato pubblicato dalla Rizzoli. Il libro era concluso, ma Oriana, improvvisamente ci ripensò. Una mattina, con uno sguardo insolitamente gelido, mi disse che il manoscritto del nostro libro, che stavamo revisionando, non andava affatto bene perché le mie domande erano aggressive e la punteggiatura nelle sue risposte non era stata rispettata. Mi chiese di distruggere la registrazione sulle micro-cassette e le copie cartacee su cui era stata trascritta la nostra lunga conversazione. Io lo feci per una questione di principio che concerne il mio modo di essere, e per correttezza e onestà nei suoi confronti. Si concluse così il nostro rapporto.

    Salvo uno strascico polemico che lei volle esternare ne L’Apocalisse, il suo ultimo libro pubblicato nel dicembre del 2004 dedicato in ampia parte a condannare la mia iniziativa di pubblicare il 2 settembre 2004, sul Corriere della Sera un Manifesto contro il terrorismo e per la vita, e per biasimare il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi che il 10 settembre volle ricevere al Quirinale una delegazione di sette musulmani firmatari del Manifesto.

    Inutile nascondere che Oriana mi aveva profondamente traumatizzato. Non riuscivo a credere che lei bocciasse un libro scritto faticosamente insieme, lavorando giorno e notte, per accelerare il più possibile i tempi e rispettare la scadenza dataci dalla Rizzoli, non perché io avessi trascritto in modo errato le sue risposte, snaturandole, attribuendole un significato diverso, quindi inficiando la sostanza dei contenuti del suo pensiero, ma perché la punteggiatura nelle sue risposte non era stata rispettata. E che problema c’era? La punteggiatura si sarebbe potuta correggere. Può essere invece che la vera ragione risieda nel suo disaccordo sul contenuto delle mie domande che lei giudicò aggressive? A parte il fatto che si trattava delle mie domande, che le mie domande non alteravano in alcun modo il contenuto delle sue risposte, ma è possibile che proprio lei, che aveva fatto dell’aggressività delle domande la sua principale caratteristica professionale, emergendo ovunque nel mondo come l’intervistatrice che era riuscita a mettere in difficoltà personaggi che hanno incarnato il Potere nel dopo-guerra, come il Segretario di Stato americano Henry Kissinger o la Guida suprema iraniana, l’imam Khomeini, potesse avere delle riserve sulle mie domande?

    Dentro me stesso mi sono detto che la sua motivazione non era credibile. Che sicuramente la ragione vera era un’altra. Ed effettivamente era un’altra. La ragione vera la troviamo nelle parole di Alessandro Cannavò, giornalista del Corriere della Sera, che è stato uno dei pochi ad essere al fianco di Oriana negli ultimi anni della sua vita e, soprattutto, ad essere al suo fianco durante la scrittura dei suoi ultimi libri. Nella sua prefazione a Oriana Fallaci intervista sé stessa - L’Apocalisse scrive:

    Chiaro che un’intervista a Oriana Fallaci, non potesse essere che un’autointervista. La donna che con le sue domande ha messo sotto torchio i potenti della Terra (Ho agito come un tarlo nella storia), facendo di un genere giornalistico un copyright letterario, dice a un certo punto in questo libro che le interviste le odia, non le trova giuste. Non avrebbe mai accettato un confronto di pari grado, accolto domande insidiose, non si sarebbe mai fidata della trasposizione delle sue parole e avrebbe preteso una revisione totale del testo. Dopo l’Undici Settembre, molti noti giornalisti italiani e stranieri hanno tentato un faccia a faccia con lei ma l’operazione alla fine è sempre risultata tecnicamente impossibile. A chi era stato ammesso nella sua casa, Oriana aveva comunque regalato straordinari racconti, siparietti umoristici e umorali, lezioni di professionalità. Non era, però, solo questione di egocentrismo: il pensiero della Fallaci coincide con la sua scrittura. Togliergliela, sarebbe stato sminuire e dunque offendere la sua grandezza.

    Comprendo, calandomi nel vissuto di Oriana, che lei non avrebbe mai potuto condividere la sua fama e la sua gloria con nessuno al mondo. Che lei era lei, gli altri erano gli altri, punto e basta. È vero che Oriana mi apprezzava, mi stimava, mi ammirava e mi voleva del bene. Ma era altrettanto vero che io non ero del tutto e per tutto appiattito sulle sue posizioni. Ed evidentemente questo per lei era inaccettabile.

    Cannavò spiega correttamente come sostanzialmente Oriana s’incarnasse nella propria scrittura:

    Ho avuto l’onore e il privilegio di stare accanto a Oriana in molte occasioni di lavoro legate ai suoi articoli sul Corriere della Sera (a cominciare da La Rabbia e l’Orgoglio con il quale dopo il crollo delle Torri Gemelle uscì in modo clamoroso da un silenzio decennale) e ai libri che ne seguirono per la Rizzoli. (…) Sul tavolo aveva un armamentario di almeno tre dizionari e di diversi bianchetti, utili per forgiare, limare, cesellare. Per far risplendere una prosa ricca e semplice allo stesso tempo, sempre imprevedibile, in cerca costante del ritmo e del sentimento. Che lezione impareggiabile quel non accontentarsi mai di un termine che non la soddisfaceva in pieno, quel cercare magari anche per ore un verbo più efficace, più incisivo, più cattivo; quel tornare e ritornare sulla punteggiatura (punto, punto e virgola, punto esclamativo, interrogativo, esclamativo...). Che commozione sentirla leggere poi il testo a voce alta con una cadenza metrica in modo da verificarne la musicalità: una ricerca della bellezza appartenente ad altri tempi. Ogni sera, alla fine di questo continuo, estenuante braccio di ferro con la lingua e la sintassi italiane di cui ero testimone esclusivo, mi chiedevo: quanto di un tale prezioso insegnamento riuscirò a trasferire nel mio lavoro sul quotidiano, quanto saprò trasmetterne alle nuove generazioni? L’assistere a questo processo creativo vissuto come un rito, dopo essere stato rapito come tanti lettori della mia età dai suoi libri e dai suoi reportage su L’Europeo degli anni Settanta, mi ha fatto capire che l’essenza del personaggio Fallaci da tramandare ai posteri (quell’insieme di anticonformismo, coraggio, inflessibilità etica, ma anche di atteggiamenti sprezzanti, vanità divistiche, posizioni provocatorie ed estreme, ego smisurato) è tutta lì, nella sua scrittura.

    Premesso che ho letto d’un getto i libri di Oriana, che trovo la sua scrittura piacevole e scorrevole, che prendo atto che il suo stile letterario è coinvolgente e affascinante, che condivido i contenuti che ci trasmette, devo, con altrettanta onestà, dire che la scrittura di Oriana è la subordinazione e l’assoggettamento dei fatti alla sua valutazione dei fatti. Nella sua scrittura Oriana non parte dai fatti, ma dalla sua valutazione dei fatti. I fatti menzionati sono funzionali a legittimare la sua valutazione dei fatti. Nel suo rapporto con la realtà, Oriana non descrive la realtà in modo distaccato, oggettivo, imparziale, per consentire al lettore di poterla recepire correttamente ed eventualmente poter maturare una propria valutazione anche difforme da quella di Oriana. Ciò che Oriana offre al lettore è la sua valutazione, farcita in modo strumentale dei fatti, con il sottinteso che la sua valutazione corrisponde alla verità. I fatti che lei ci propone sono assolutamente veri, ma sono porzioni di una realtà che lei non descrive nella sua integralità, così come non si cala nel vissuto degli altri rappresentando la realtà così come si presenta ai soggetti di cui ci si occupa. Nei suoi testi il protagonista assoluto è Oriana, non la realtà descritta, non i soggetti di cui si occupa. Il fine è soltanto ed esclusivamente di comunicarci come la pensa Oriana, non trasmetterci una corretta, obiettiva, integrale rappresentazione della realtà. Nei suoi testi Oriana non distingue tra se stessa e i fatti che concernono gli altri, lei ce li presenta come un tutt’uno, dove i fatti che concernono gli altri sono funzionali a corroborare la sua valutazione dei fatti, ovvero a presentare se stessa, ad affermare la superiorità se non l’esclusività del suo pensiero.

    Nella mente di Oriana non c’è spazio per una visione dialettica della vita, dove il suo pensiero si confronta con il pensiero di chi la pensa diversamente, anche nella condivisione dei medesimi valori e dell’identica prospettiva esistenziale. O si pensa esattamente come lei, di fatto assecondandola al punto da sottomettersi al suo pensiero per poter godere del suo consenso e potersi fregiare della sua amicizia, o si è automaticamente e acriticamente condannati come nemici se le proprie idee non sono totalmente e inequivocabilmente coincidenti con le sue, ma anche semplicemente per un diverbio su minuzie, sulle virgole che ci possono o non ci possono essere in una frase.

    Oriana scrive come parla, scrive come se la scrittura fosse la semplicissima e fedelissima trascrizione di ciò che lei direbbe se stesse conversando con qualcuno, per la precisione con se stessa, visto che è stata fisiologicamente auto-referenziale. Oriana non scrive per comunicare al lettore dei concetti che potrebbero essere più o meno condivisi, scrive esclusivamente per comunicare se stessa, che può essere accettata o rifiutata. Ciò che Oriana ci propone non è rivolto alla nostra mente, ma al nostro sentimento, è l’offerta di se stessa come donna indubbiamente straordinaria che o la si prende così come è, senza battere ciglio, o la si lascia per uno spontaneo sentimento di rigetto.

    Sulla scrittura effettivamente Oriana ed io abbiamo avuto due concezioni diverse perché sostanziano due diverse concezioni della vita. Nella mia Lettera aperta a Oriana Fallaci, pubblicata in Vincere la paura del 2005, sottolineavo in modo critico, e ammetto anche in modo risentito, la differenza sostanziale tra chi, come Oriana, scrive in modo decontestualizzato, isolato dalla società e senza dover render conto a nessuno, e chi, come me, scrive rapportandosi quotidianamente con persone che possono essere amiche ma anche nemiche:

    C’è una bella differenza tra l’elaborazione di un pensiero astratto che vaga dalle pagine di un giornale o di un libro all’altro – parole ammirevoli e altisonanti che si confrontano e si ritengono appagate dal riferimento a parametri logici, culturali e religiosi che appartengono alla nostra civiltà, intendo la comune civiltà dell’uomo incentrata sul rispetto del valore della sacralità della vita di tutti – e il vissuto di una persona musulmana perbene, che è costretta, volente o nolente, a confrontarsi con altre persone musulmane tutt’altro che perbene, cresciute in contesti assai diversi, portatrici di altri parametri spesso illogici, fautrici di un ideologismo che esalta la cultura della morte. (…) Un conto è prestarsi pro tempore per adempiere alla nobile missione di osservatore e commentatore dei grandi eventi che segnano il nostro tempo, anche rischiando in prima persona ma riservandosi sempre la facoltà di tirarsi fuori quando lo si ritiene opportuno, e un conto è essere dentro uno specifico contesto di conflitto religioso, politico, ideologico e terroristico senza avere la possibilità di sottrarvisi. Perché vedi, cara Oriana, io non sono un visitatore esterno, casuale, provvisorio della realtà dell’integralismo e del terrorismo islamico, bensì un protagonista impegnato, come giornalista e come uomo, a testimoniare gli orrori della cultura dell’odio e della morte, a favorire l’affermazione della comune civiltà dell’uomo anche, ma non solo, tra i popoli e le comunità musulmane. Il mio pegno non è la penna ma tutto me stesso, in gioco non c’è la carriera professionale ma la mia vita.

    Quando il 6 agosto 2004, il Corriere della Sera diretto da Stefano Folli, distribuì in edicola in allegato con il giornale il libro Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, da un lato si era già consumata la frattura tra me e Oriana, ma dall’altro non c’erano stati ancora né la pubblicazione sul Corriere della Sera del mio Manifesto contro il terrorismo e per la vita, avvenuta il 2 settembre 2004, né la visita di una delegazione di sette firmatari del Manifesto al Quirinale, ricevuti dal Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi il 10 settembre 2004. Ebbene, è un dato di fatto che L’Apocalisse, scritta da Oriana tra la seconda metà di ottobre e novembre 2004, comparsa in libreria nel dicembre 2004 in un unico volume Oriana Fallaci intervista sé stessa - L’Apocalisse, ha come tema centrale proprio la denuncia del mio Manifesto (l’insensato manifesto mi offese parecchio. Mi depresse quasi quanto l’udienza che il presidente della Repubblica elargì ai sette mussulmani-moderati incluso l’imam di Colle Val d’Elsa e il suo oltraggio al paesaggio della mia Toscana). La condanna di Oriana è talmente spietata da concepire che la delegazione dei sette musulmani moderati ricevuti da Ciampi al Quirinale corrispondesse al Mostro dell’Apocalisse dell’evangelista Giovanni (Sette come le sette teste del Mostro venuto dal mare, Poi pensai che il Mostro a sette teste e dieci corna aveva davvero vinto, stravinto, e mi sentii molto sola. Sconfitta e sola.)

    È un dato di fatto che Oriana decise di scrivere L’Apocalisse solo dopo la pubblicazione del mio Manifesto il 2 settembre, dopo l’incontro della delegazione dei firmatari del Manifesto con il Capo dello Stato Ciampi al Quirinale il 10 settembre, dopo il rientro in Italia di Simona Pari e Simona Torretta, due volontarie dell’associazione Un ponte per..., rapite in Iraq il 7 settembre e rilasciate il 28, dopo che Zapatero in Spagna varò il disegno di legge per la legalizzazione dei matrimoni omosessuali il primo ottobre, dopo che il 10 ottobre fu bocciata la candidatura di Rocco Buttiglione a Commissario europeo alla Giustizia, Libertà e Sicurezza per aver detto che come cattolico considero l’omosessualità un peccato, ma non un crimine, includendo in extremis nel libro persino l’assassinio di Theo van Gogh ad Amsterdam del 2 novembre da parte di un terrorista islamico olandese. L’Apocalisse fu pertanto scritto e continuamente aggiornato in meno di due mesi, tra ottobre e novembre come precisa la Fallaci, per consentirne la presenza in libreria a dicembre nel cofanetto natalizio della Trilogia, comprendente anche i suoi due primi capolavori e straordinari successi editoriali, La Rabbia e l’Orgoglio e La Forza della Ragione.

    Così Alessandro Cannavò, nella sua Prefazione, ricorda l’inizio della scrittura di L’Apocalisse:

    Quella mattina dell’autunno 2004 la telefonata era carica del fervore della scrittura. Rintanata nella casa di Greve in Chianti, come quando aveva partorito Un uomo, tra un bicchierino del liquore preferito alla ciliegia, la sigaretta con la cenere penzoloni che minacciava costantemente il foglio appena battuto e la tosse incalzante a ricordarle senza sosta il cancro, lei stava rivedendo l’autointervista, già apparsa in forma ridotta in estate allegata al Corriere della Sera. Mi serve un’immagine forte, una metafora, qualcosa a cui legare questa ecatombe... Un’immagine religiosa. Della nostra religione. Tra gli anni del post Undici Settembre, il 2004 era stato particolarmente

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