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Scherzo della storia tra gli eventi possibili: Tra gli eventi possibili
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E-book189 pagine2 ore

Scherzo della storia tra gli eventi possibili: Tra gli eventi possibili

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Il romanzo ripercorre in forme narrative di fantasia, ma con rigoroso rispetto dei fatti storici di riferimento, le vicende della Fisica che hanno portato alla produzione delle armi nucleari e, congiuntamente ponendola a contrasto, la politica italiana tra le due guerre.

Lo scopo è di riflettere su come avrebbero potuto mettersi le cose per l'Italia e per la stessa Europa se, anziché la follia della nostra classe dirigente dilettantesca e del manipolo di facinorosi accecati da esaltazione vacua da essa assoldati, avesse prevalso la saggezza di un pugno di uomini oculati che, invece, furono emarginati.

La storia non si fa con i "se" e con i “ma”. Tuttavia, come rilevava Guido Morselli, spesso “il paradosso sta dalla parte dell’accaduto”, mentre “la logica delle cose” avrebbe imposto proprio il non accaduto.

A sua volta, Louis Althusser ha precisato che limitare l’oggetto della storia ai fatti accaduti, confonde la conoscenza con la realtà, sostituisce il dato empirico, spesso accidentale e comunque limitato, all’idea in generale di come si produce quello che accade e della parte che vi abbiamo: così, uccidendo la riflessione, dato che senza confronti non si può capire.

Ecco perché con l’invenzione che è al centro del libro non si è mirato a deformare l’accaduto, bensì, contrapponendo la lungimiranza alla cecità che si sono mescolate alla sua attuazione, a far cogliere la parte negativa del passato che quella oscura di oggi ricalca. Ad aver suggerito il romanzo è il timore che l’incomprensione tanto della storia quanto degli eventi del presente ci porti a ripetere le insanie orribili già viste.

Tuttavia, al di là degli intenti ammonitori, giustificati o allucinatori - questo lo deciderà il lettore - un romanzo deve soprattutto divertire. E poiché l’autore si è divertito a scriverlo, chissà che qualcun altro non si diverti a leggerlo.

LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2019
ISBN9788869345654
Scherzo della storia tra gli eventi possibili: Tra gli eventi possibili
Autore

Graziano Cavallini

Studioso della formazione del pensiero (La formazione dei concetti scientifici - Aracne, 2012; La costruzione probabilistica della realtà. Dalla fisica quantistica alla psicologia della conoscenza - Aracne, 2018; La formazione umana. Dalla biologia alla psicologia mediante l'acculturazione - Bologna, CLUEB, 2001; Dentro e fuori la mente. Linguaggi, conoscenze e realtà - Aracne, 2005; Alle radici del pensiero. Come si forma la mente - Aracne, 2005; L’origine sociale delle personalità. La psicologia dell’attività da Marx a Vygotskij, Bachtin e gli sviluppi odierni - Aracne, 2005; Le strane idee della scienza. Come la pensiamo e come è - Aracne, 2016; Le amnesie della scienza - Aracne, 2016; Filosofia e scienza - Aracne, 2018; Che cos’è la realtà - Aracne, 2019; e altri saggi) Graziano Cavallini è poi passato alla narrativa quale libera riflessione ed espressione dell’esperienza professionale e umana accumulata in mezzo secolo di attività e di vita. Così ha espresso e sta esprimendo la sua percezione del disagio esistenziale collettivo, dell’elusività della cosiddetta realtà e della natura violenta fino alla follia delle società sedicenti civili. Finora ha pubblicato i romanzi E poi…? (2012) e L’infamia (2016), la raccolta di racconti Extrapiera (2017) e l’autobiografia Un pedagogista fra i fisici, tutti con Aracne. Ha nel cassetto Il clandestino e I farabutti, rispettivamente su come si forma l’intelligenza e su cosa è la politica italiana.

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    Scherzo della storia tra gli eventi possibili - Graziano Cavallini

    © Bibliotheka Edizioni

    Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma

    tel: +39 06.86390279

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, ottobre 2019

    e-Isbn 9788869345654

    Isbn 9788869345647

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,

    del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta

    dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Progetto grafico:

    Brozzolo Riccardo per Eureka3 S.r.l.

    www.eureka3.it

    Graziano Cavallini

    Studioso della formazione del pensiero (La formazione dei concetti scientifici - Aracne, 2012; La costruzione probabilistica della realtà. Dalla fisica quantistica alla psicologia della conoscenza - Aracne, 2018; La formazione umana. Dalla biologia alla psicologia mediante l’acculturazione - Bologna, CLUEB, 2001; Dentro e fuori la mente. Linguaggi, conoscenze e realtà - Aracne, 2005; Alle radici del pensiero. Come si forma la mente - Aracne, 2005; L’origine sociale delle personalità. La psicologia dell’attività da Marx a Vygotskij, Bachtin e gli sviluppi odierni - Aracne, 2005; Le strane idee della scienza. Come la pensiamo e come è - Anicia, 2013; Le amnesie della scienza - Aracne, 2016; Filosofia e scienza - Aracne, 2018; Che cos’è la realtà - Aracne, 2019; e altri saggi) Graziano Cavallini è poi passato alla narrativa quale libera riflessione ed espressione dell’esperienza professionale e umana accumulata in mezzo secolo di attività e di vita.

    Così ha espresso e sta esprimendo la sua percezione del disagio esistenziale collettivo, dell’elusività della cosiddetta realtà e della natura violenta fino alla follia delle società sedicenti civili.

    Finora ha pubblicato i romanzi E poi…? (2012) e L’infamia (2016), la raccolta di racconti Extrapiera (2017) e l’autobiografia Un pedagogista fra i fisici, tutti con Aracne.

    Ha nel cassetto Il clandestino e I farabutti, rispettivamente su come si forma l’intelligenza e su che cosa è la politica italiana.

    Come avrebbero potuto mettersi le cose per l’Italia e per l’Europa se, anziché la follia della nostra classe dirigente dilettantesca, accecata da vacua esaltazione, avesse prevalso la saggezza di un pugno di uomini oculati che, invece, furono emarginati?

    La storia prepara la scena

    Astuzia e saggezza di un pugno di uomini, e una serie imprevedibile di eventi fortunosi che si rivelarono per essi altrettanti colpi di fortuna, determinarono le vicende che mi accingo a narrare.

    Ovvio che nessuno avrebbe potuto immaginarle, e che esse siano risultate sorprendenti al punto da lasciare sbalordito mezzo mondo. Ma tant’è. Si sa che il caso ha sempre parte perfino nei processi naturali che a lungo i secoli scientifici hanno fatto credere rigidamente determinati da inviolabili leggi di natura. Figurarsi nelle decisioni e nelle vicende umane, nei loro successi e insuccessi!

    Roba da non credersi, direbbe chi per avventura leggesse il mio racconto. Eppure è tutto vero, tutto fedele a quanto accaduto, per filo e per segno, dall’A alla Z. Nel narrarlo ora, non mi sono permesso alcuna variazione benché minima; meno che mai alcun giudizio a favore o contro chicchessia. I fatti. Quello riportato è quanto avvenuto, dati puri e semplici, nudi e crudi.

    Tutto incominciò quel 15 marzo 1939 in cui le truppe tedesche entrarono in Boemia e Moravia, mettendo fine con la loro invasione alla repubblica di Cecoslovacchia.

    Erano tempi turbolenti quelli. Con i nazisti da sei anni al potere in Germania, con la guerra civile spagnola agli sgoccioli che sarebbe anche ufficialmente terminata due settimane dopo, con l’imminente occupazione teutonica della Polonia che si sarebbe consumata di lì a poco, il primo settembre successivo.

    In Spagna, l’Italia e Mussolini erano ancora al fianco della Germania e di Hitler nel sostegno a Franco che gli aveva ormai procurato la vittoria. Intanto, però, di fronte alle nuove mosse dei tedeschi, attuate praticamente senza averci mai né consultati né avvertiti, incominciava a diventare sempre più chiara la vera natura della nostra alleanza formale con essi. Formale, appunto. Solo formale, nient’altro che il proverbiale pezzo di carta che entrambi i dittatori, ciascuno in cuor suo, con il suo scaltro segreto di Pulcinella, erano pronti a stracciare, a giudicare carta straccia, giocando l’altro appena si fosse presentato il caso.

    Eh, passato il tempo in cui l’Adolfo transalpino aveva guardato con incontenibile ammirazione all’abilità politica del maestro peninsulare, al colpo di genio con il quale questi si era appropriato del governo del paese. Studiarne le mosse compiute, si era detto l’ebreo austrotedesco, analizzarne attentamente ogni minimo passo e sfumatura del comportamento tenuto, farselo amico. Ecco il programma del novello aspirante dittatore. Imitare il modello, blandire colui che aveva avuto successo, cercare di farselo compare e complice, assicurarsi con lui un alleato di ferro indispensabile a temprare la propria di scalata, a imporla al mondo, a zittire l’invisa Albione e i petulanti francesi, a mantenere intatta la conquista, a mantenersi in sella una volta saltatoci sopra.

    Anche le sanzioni della Società delle Nazioni contro l’Italia dopo che questa aveva occupato l’Etiopia, erano giunte come cacio sui maccheroni per il Führer di primo pelo ma già rivelatosi di capacità impensate. E questo solo due anni dopo la sua presa del potere. Bel pollo quel Mussolini tanto ammirato fino a poco prima: invadere un paese membro della Società delle Nazioni, scatenarsi tutti contro, adesso stretto dall’embargo, privo com’è di materie prime. Ed esserci andato di propria iniziativa a infilarsi in quelle privazioni di rifornimenti strategici, essenziali, da solo, come il più ingenuo dei pivelli. Certo che lui, l’aquila teutonica, l’aveva incoraggiato! Provasse, ora, lo sprovveduto italianucolo a farsi caso mai saltare in capo il grillo di muoversi per conto proprio, di praticare una politica indipendente.

    Voglio vederlo.

    Assediato dagli altri paesi, circondato in Europa da nazioni ostili, gli piacesse o no, eccolo costretto a stare al gioco dell’unico, potente, alleato rimastogli. Lui sì potente, sempre più potente e sempre più temuto e blandito perfino dai perfidi britannici (dio li stramaledica!). Se non volevano rogne, e grosse, quelli, dovevano anche loro venire a patti, starsene quieti. Non proprio succubi come il maestrucolo da strapazzo ormai scaduto a timido allievo che non poteva far altro che accodarsi; ma comunque mantenuti inoffensivi.

    Quanto a quel presuntuoso sacco piena d’aria come una zampogna, si riprovi ora a rigiocargli lo scherzetto di mettersi di traverso alle sue imprese inviando di nuovo le sue sgangherate truppe al Brennero. Proprio non gli era andato giù il bel colpo di testa di quell’arrogante allora temuto. Mettere a repentaglio la saldezza dell’asse portante dell’Europa, quell’unica barriera compatta dal Baltico al Mediterraneo, quello spartiacque centrale disegnato dalla natura dal quale potevano partire le espansioni a est e a ovest. Non capire, l’incauto, che solo i due imperi alleati avrebbero potuto resistere ai famelici nemici comuni, che solo operando uniti, un’anima e un corpo soli, d’acciaio, inossidabili a qualunque avversità, avrebbero potuto infischiarsene bellamente delle calunnie che li tacciavano di dittature, delle gelosie, delle invidie, dei rischi di aggressioni.

    Dittature. Questa, poi. Pensavano forse di darla a bere anche a loro due la favoletta della democrazia? Perché, chi comandava in Inghilterra o in Francia e ovunque? Forse che i governi non li facevano e disfacevano a piacimento i plutocrati? Forse che perdevano tempo ad ascoltare la gente comune, a dare retta al popolo? Il potere è potere. Ci vuole chi comanda, e chi comanda deve comandare. Tutto qui, e basta.

    Sempre più saldo in sella, sempre più conscio di starsi rifacendo dello smacco del Trentaquattro, sempre più sicuro di avere ormai mano libera per attuare i propri disegni di dominio intanto sull’Europa, in attesa di riunire sotto di sé il mondo, Hitler non aveva più nulla da temere, non aveva più freni.

    La portentosa industria tedesca stava vomitando ogni giorno giganteschi tanks; invincibili caccia della Luftwaffe, la poderosa aeronautica militare; armi stipate in sterminati capannoni e tunnel sotterranei inattaccabili. E stava mettendo a punto missili a lunga gittata di inaudita capacità offensiva, capaci di raggiungere l’Inghilterra, di distruggere Londra.

    Voleva vederli ora, i chiacchieroni sedicenti salvatori del mondo tanto sbandierato ad arte di libero. Era ormai tempo. C’era arrivato. La potenza di fuoco raggiunta, impareggiabile, incomparabile. Partenza, e via! Vediamo chi potrà fermarlo.

    Coperto a sud dal fascismo italiano, puntellato il lato ovest con l’avervi insediato il fascismo spagnolo (i francesi chi li considera? quasi come italiani), degli slavi, quegli straccioni, che cosa vuoi che ci voglia a sbarazzarsi? Intanto fingiamo di accordarci con i russi, di cedergli metà della Polonia, ci dimezzeranno il lavoro per quando è a loro che arriveremo.

    Eh, sì. Un bell’illuso il Benito italico, sognatore della nuova romanità imperiale, a continuare a bearsi dell’orgoglio di aver fatto da battistrada all’imbianchino, di esserne stato riconosciuto grande e preso da luminoso vate. Eh, ne era passata di acqua sotto i ponti in quei sei anni. Come no? Certo, dapprima il pellegrinaggio a Roma del neoprussiano baffetti alla Chaplin, la messinscena delle strade del corteo dei due duci rifatte a magniloquente sfondo della parata ricoprendo con le facciate di cartapesta i palazzi secolari lungo il percorso, le pose impettite e i discorsi roboanti dei due inarrivabili: i soliti, triti, pietosi, trionfi melodrammatici di ogni dittatura che si rispetti.

    Potere, esibizione di potere, ostentazione del potere. L’Italia imperiale, grandiosa, bellicosamente maschia, potente, romana.

    Già. Perché l’ambasciata tedesca a Roma sarà stata zitta. L’ambasciatore non avrà riferito al capo come stavano le cose, non si saranno fatte quattro matte risate in privato!

    E poi, quel posare sempre come se indossasse l’armatura di Cesare e fosse tutto preso a terrorizzare i nemici con lo scudo squadrato, quell’eterno cipiglio da Giove tonante, quel rispolverare i fasci, quell’imperioso riuniamoci a coorte, quello sguaiato stonare lo slogan dalla fascinosa allusione classica nella penna dannunziana altrettanto boriosamente vacua e, ancor più di questa, senza senso di Eia Eia Alalà!

    Sì, d’accordo, bastava poco, anche meno, per incantare la plebaglia e i sussiegosi, frustrati borghesi italici a cavallo dei due secoli, questi ultimi spasmodicamente alla ricerca di emozioni e di motivi d’orgoglio purchessia, fascisti da sempre ben prima della nascita ufficiale del fascismo. E, tuttavia, pur sempre una farsa, la solita, storica, farsa italiana. Italiani, pastasciutta e mandolino. Suonate, suonate e cantate, suonate e cantate che ora la musica ve la dirigiamo noi.

    Certamente. C’era stata il 25 luglio 1934 la marcia indietro hitleriana del primo tentativo di Anschluss, il petto gonfio di boria del nostro risuscitato Cesare che aveva ringhiato con austero cipiglio la forza irresistibile della sua ferrea volontà virilmente espressa dall’invio delle nostre truppe al Brennero. Sì, l’ex giornalista esperto in propaganda politica aveva taciuto cautamente del deterrente rappresentato dalla congiunta opposizione inglese e francese, che vuoi, non era stato opportuno farne parola. Intanto, il tentativo di putsch era fallito, e questo contava. Ancor più contava il figurone fatto dalla rinata Italia fascista, la ringiovanita grande erede della Roma fatale eletta da Dio a imperare sul mondo. Che poi quattro anni dopo, giusto ai giorni delle vicende che sono al centro del nostro racconto, tutto fosse stato buttato per aria e il colpo di mano nazista questa volta fosse andato pienamente a segno, l’Austria tranquillamente annessa e il suo presidente amico del nostro Dux assassinato: chi ci pensava più, ma quale schiaffo morale? Vuoi mettere l’importanza fondamentale dell’Asse Roma-Berlino? Il Patto d’Acciaio, quello cancellava e faceva dimenticare una tale quisquilia e ogni altra simile, storciamo la bocca fin che vogliamo ma benedette le truppe tedesche a Vienna.

    Ragione di stato. Machiavelli insegna. Siamo o non siamo la patria della cultura storica, la culla del diritto romano, la sede del rappresentante in terra di Dio con il quale abbiamo appena sancito il grande concordato, anch’esso digerito con l’acre in bocca, e tuttavia, insomma, qualche stampella ci vuole, altrimenti, addio baracca e burattini. E la fede! Che c’è di meglio perché tutti credano, obbediscano, combattano?

    Tre colpi di fortuna in uno; ma poi…

    Beh, e il 1939? Non è di quello che ci dovevi parlare?

    Sì, certo. Ma un po’ di pazienza.

    Quello fu un anno che poi si rivelò o apparve fatidico. Non è che posso buttarlo sulla carta, all’improvviso, così, senza l’adeguata preparazione. Ce ne furono di eventi preparatori, di sorprese da non credere.

    Capite? Devo prepararvi.

    Non per nulla ve l’hanno sempre raccontata in tutt’altro modo. Se continuaste a ignorare le premesse, manterreste gli occhi bendati di tutti e di sempre, ancora oggi a credere che davvero noi, noi italiani, intendo, l’Italia, abbiamo perso la Seconda guerra mondiale.

    La prima sì, in buona misura; o almeno a metà, metà persa e metà vinta, con quell’abilità e quell’attitudine straordinaria al compromesso che ci indica come eminenti speculatori (in senso tutto e unicamente intellettuale, s’intende), gli ammirati eredi del diritto romano e, quasi quasi, perché no? financo delle tavole della legge non del Campidoglio ma del monte Sinai.

    Ma la seconda di guerre mondiali, quella l’abbiamo vinta, vinta in pieno, chi tenta di farvi credere il contrario è solo un gran bugiardo! O uno che non sa le cose.

    No, non è vero niente di quello che raccontano i fraudolenti storiografi, quelli tutti dei venduti e sempre a inchinarsi a chi li foraggia. Anche loro, anzi, specialmente loro, come tutti gli opinion leader pagati per darle a bere, tesi solo a sfruttare la vostra buonafede.

    Fiduciosi sì; ma non creduloni.

    Documentarsi.

    Ed ecco i documenti papali papali.

    Le cose sono andate, così, parola dell’autore.

    Dunque.

    Fu la notte stessa del 15 marzo del 1939 che Corbino s’incontrò con Ciano.

    Chi erano? Vedete, ce n’è di gente che devo presentarvi e di fatti che dovete sapere prima che io possa entrare direttamente nella storia che conta: perché, altrimenti, come fareste a capirla?

    Bene. In linea di massima chi era Ciano lo sanno più o meno tutti o quasi, anche solo di nome, per sentito dire. Ma, insomma, è un personaggio noto.

    Come politico, figlio d’arte, con il padre che era stato deputato e sottosegretario nel primo governo Mussolini. Il conte Galeazzo Ciano, così già addentro di suo negli ambienti del potere, aveva però vinto il suo terno al lotto quando nell’aprile del 1930 era riuscito a sposare Edda Mussolini, figlia addirittura del Duce! La sua primogenita.

    Intraprendente e abile, fascinoso, saldamente collocato tra i notabili del fascismo, introdotto a corte, per tutti tali suoi chiari meriti era stato

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