La guerra italo-turca e le sue conseguenze
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La guerra italo-turca (nota in italiano anche come guerra di Libia, impresa di Libia o campagna di Libia e in turco come Trablusgarp Savaşı, ossia Guerra di Tripolitania) fu combattuta dal Regno d'Italia contro l'Impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica.
Le ambizioni coloniali spinsero l'Italia a impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934, assieme al Fezzan, avrebbero costituito la Libia dapprima come colonia italiana e in seguito come Stato indipendente. Durante il conflitto fu occupato anche il Dodecaneso nel Mar Egeo; quest'ultimo avrebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine della guerra, ma rimase sotto amministrazione provvisoria da parte dell'Italia fino a quando, con la firma del trattato di Losanna nel 1923, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione e riconobbe ufficialmente la sovranità italiana sui territori perduti nel conflitto.
Traduzione di Mario Mariani.
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Anteprima del libro
La guerra italo-turca e le sue conseguenze - Adolf Sommerfeld
Le origini della guerra
Allorchè l’Italia presentò alla Turchia l’ultimatum decisivo, concedendo 24 ore di tempo per la risposta, l’opinione pubblica in Germania era immersa in un sonno profondo.
E mentre gli italiani avevan già la squadra sotto vapore e armavano e mobilizzavano un rilevante corpo di spedizione l’opinione pubblica in Germania si stropicciò gli occhi sonnacchiosi e, sorpresi un po’ dallo strepito di guerra, noi esclamammo imbarazzati: Ma!.... non si tratta che d’una mossa diplomatica; l’Italia scherza! E d’un tratto avemmo la guerra, una vera guerra con blocchi, bombardamenti e con la perdita di vite umane che s’accompagna di per solito a simili casi……..
Il peggio si era che uno stato della triplice, un membro cioè della tanto lodata istituzione pel mantenimento della pace europea, aveva all’improvviso cominciata la guerra contro un’altra potenza europea e allora, d’un tratto, l’opinione pubblica tedesca si svegliò dal letargo e aperse contro l’AMICO DELLA PACE fattosi apostata un altro bombardamento, ma di rimproveri, questo, di sospetti e d’insulti d’ogni genere i quali oltrepassarono spesso la misura d’una ragionevole discussione e tramutarono addirittura l’alleato in «pirata».
Come si spiega questa avversione? Una avversione nient’affatto divisa dal governo tedesco e che deve tanto più meravigliare in quanto che l’opinione pubblica in Germania si mischia raramente nelle faccende degli altri stati e lascia anzi al ministero degli esteri una esagerata libertà di iniziativa. E questa volta invece si permetteva un parere proprio e per di più dettato da una irritazione impulsiva!
Gli é che l’opinione pubblica in Germania aveva dormito troppo a lungo e il grido di guerra degli italiani le sembrava lo sfogo, mal mascherato, di un attaccabrighe. Ma se la nostra «pubblica opinione» si fosse svegliata tre anni prima ogni uomo del popolo, dal redattore capo del gran giornale proletario fino al più semplice manovale, avrebbe saputo che la guerra dell’Italia contro la Turchia non era affatto una guerra di rapina, ma era indubbiamente giustificabile e giusta.
Se anche noi tedeschi abbiamo innumerevoli difetti politici e non politici e non siam veduti di buon occhio all’estero, una cosa però nessuno ha mai osato porre in discussione: il nostro amore della giustizia.
E noi, proprio noi, dovremmo a un tratto, perdere anche questo po’ di buon nome che c’é rimasto e falsare la storia solo perchè l’opinione pubblica aveva dormito?!
Abbandoniamo dunque alla svelta la strada per la quale ci eravamo smarriti, tratti in errore e traendo gli altri in errore, e seguiamo i dati fattivi della storia contemporanea che ci insegnerà colla sua ferrea suasione che l’Italia, dopo aver pazientato in modo sovrumano per anni e anni doveva finalmente accingersi a castigare i turchi e, per giusta punizione, appropriarsi di una loro provincia dove gli italiani da decenni erano tormentati e martirizzati con crudeltà turca, cioè veramente orientale.
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Benchè noi non possiamo riconoscere negli italiani dell’oggi i discendenti diretti degli antichi romani – troppo diversi sono i caratteri e troppo diverse le razze – purtuttavia non si può mettere in dubbio che gli italiani da lungo tempo di fronte alla manchevole, assai problematica civilizzazione degli israeliti e degli arabi, avevan portato a Tripoli usi e costumi europei e di questo fatto é viva testimonianza la diffusione della lingua italiana laggiù.
Al tempo dei Karamanli, quando i turchi si impadronirono della Tripolitania con un atto di pirateria, gli italiani avevan già, accosto agli israeliti, stabilitivisi da antica data, il commercio in mano, e la città di Tripoli era allora, prima dell’era turca, tra le poche animate e fiorenti città marinare e commerciali del Nord Africa.
La storia moderna di Tripoli é poco conosciuta perchè i turchi del vecchio regime non amavano di «scriver storie» tanto meno poi per quei fatti pei quali era meglio tacere e tra questi va compreso anche l’insidiosa e brutale soppraffazione della Tripolitania.
Il ricordo però di questo atto di pirateria é stato tramandato ai posteri per un caso singolare.
Un maltese, di nome Giacomo, che viveva a Tripoli come barcaiolo quarant’anni fa, aveva l’abitudine di tattuarsi le braccia e il petto colle date degli avvenimenti interessanti della storia di Tripoli; e se uno dei suoi contemporanei vivesse ancora ricorderebbe certamente come Giacomo si scalfì sulla pelle la data della presa di Tripoli.
La dinastia dei Karamanli tenne Tripoli fino all’anno 1834, anno in cui nacquero dissidi tra i membri della famiglia, si formarono partiti e si venne a lotte civili le cui conseguenze furon l’assedio di Tripoli, la devastazione del paese, l’incendio dei villaggi, la diffusione della peste bubbonica che, a quanto si dice, fu introdotta a Tripoli a mezzo di una balla di coperte infette segretamente importate e vendute nel Bazar.
In seguito a tale deplorevole situazione comparve dinnanzi a Tripoli una piccola flotta turca comandata da Tair Pascià e l’ammiraglio turco ebbe la gentilezza di invitare a bordo Jussuf Karamanli, invito a cui il troppo fiducioso signore di Tripoli ebbe la dabbennaggine d’aderire. –
Jussuf Karamanli Pascià non toccò mai più il suolo tripolino, le navi turche lo rapirono trasportandolo a Costantinopoli, dove secondo il famoso sistema del vecchio regime scomparve senza lasciar traccia. –