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Il dossier segreto dei crimini Francesi. Dove tutto ebbe inizio. Le “marocchinate” Vol. I
Il dossier segreto dei crimini Francesi. Dove tutto ebbe inizio. Le “marocchinate” Vol. I
Il dossier segreto dei crimini Francesi. Dove tutto ebbe inizio. Le “marocchinate” Vol. I
E-book290 pagine3 ore

Il dossier segreto dei crimini Francesi. Dove tutto ebbe inizio. Le “marocchinate” Vol. I

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Questo volume vuole raccontare, con documenti alla mano, le “gesta eroiche” della Francia contro una nazione ferita mortalmente dalla guerra, l’Italia. Un odio antico del popolo francese contro quello italiano che sotto l’impulso della “pugnalata alla schiena” del 1940 ha generato un’ondata di nazionalismo esaltato, trasformandolo fisicamente in torture ed uccisioni contro chi era colpevole di essere italiano in terra francese.

Nel “dossier della vergogna”, una sintesi di oltre 1800 pagine della relazione che la Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano trasmise nel 1945 alla Commissione Alleata, vengono svelate le torture ai danni dei prigionieri, confermando ancor di più come i francesi si siano accaniti contro il popolo italiano tutto, militari e civili inermi, per vendicare l’attacco alla Francia del giugno del 1940.
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2020
ISBN9788831683340
Il dossier segreto dei crimini Francesi. Dove tutto ebbe inizio. Le “marocchinate” Vol. I

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    Il dossier segreto dei crimini Francesi. Dove tutto ebbe inizio. Le “marocchinate” Vol. I - Emiliano Ciotti

    al­lea­ta

    PREFAZIONE

    Fra­tel­lan­ze, so­rel­lan­ze, cu­gi­nan­ze…

    Con la scon­fit­ta nel­la Se­con­da Guer­ra Mon­dia­le l’Ita­lia ha per­so lo sta­tus di Na­zio­ne so­vra­na ed in­di­pen­den­te, dap­pri­ma in­se­ri­ta nel­la sfe­ra d’in­fluen­za sta­tu­ni­ten­se, in­fi­ne in­glo­ba­ta nell’Unio­ne Eu­ro­pea: un’Unio­ne che non è quel­la co­mu­ni­tà di Sta­ti na­zio­na­li do­ta­ta del­la nic­cia­na vo­lon­tà di po­ten­za, ma una bu­ro­cra­ti­ca or­ga­niz­za­zio­ne so­vra­na­zio­na­le ed in­ter­na­zio­na­li­sta, pri­va di ani­ma, di ci­vil­tà, di una mis­sio­ne e di un pri­ma­to.

    Per que­sti mo­ti­vi la no­stra Na­zio­ne non ha mai po­tu­to ave­re una ve­ra e pro­pria po­li­ti­ca este­ra e tut­te le vol­te che si è smar­ca­ta dal­le tu­te­le in­ter­na­zio­na­li, muo­ven­do­si nell’om­bra con ac­cor­di fan­ta­sma nel più de­le­te­rio ed umi­lian­te ste­reo­ti­po del mo­do d’agi­re de­gli Ita­lia­ni, ha sem­pre pa­ga­to pe­san­te­men­te que­sto suo at­teg­gia­men­to. Non sap­pia­mo se per aver vio­la­to la tu­te­la cui era sot­to­po­sta o per lo scan­da­lo­so mo­do con cui que­sti ac­cor­di ve­ni­va­no si­gla­ti. Ac­cor­di do­ve la di­gni­tà na­zio­na­le è sta­ta trop­pe vol­te di­men­ti­ca­ta, det­ta­ti ma­ga­ri da mi­rag­gi eco­no­mi­ci più che po­li­ti­ci. Ba­sti pen­sa­re al­le umi­lia­zio­ni su­bi­te, fin dai tem­pi di En­ri­co Mat­tei, per ar­ri­va­re a Sil­vio Ber­lu­sco­ni, da un per­so­nag­gio del ca­li­bro di Ghed­da­fi. Cer­to, la di­gni­tà na­zio­na­le co­sa è? Vuoi met­te­re i con­trat­ti sti­pu­la­ti? Quel­li sì che pe­sa­no e con­ta­no!

    Ep­pu­re, vi fu un tem­po in cui l’Ita­lia fu una Na­zio­ne so­vra­na ed in­di­pen­den­te. Tem­pi in cui la Na­zio­ne ita­lia­na, uno Sta­to gio­va­ne, sor­to qua­si per mi­ra­co­lo nel 1861, si tro­vò ad eser­ci­ta­re una sua fun­zio­ne. Una Na­zio­ne co­sì gio­va­ne e co­sì fra­gi­le, che an­co­ra non ave­va rag­giun­to una ve­ra uni­tà na­zio­na­le, do­vet­te con­fron­tar­si con real­tà ben più ra­di­ca­te e po­ten­ti di lei e ten­ta­re di rag­giun­ge­re ve­lo­ce­men­te le me­te fis­sa­te dai pro­fe­ti del Ri­sor­gi­men­to, con il cuo­re lan­cia­to ver­so il mi­to, più che ver­so la real­tà.

    Il con­te­sto mon­dia­le di al­lo­ra era do­mi­na­to da im­pe­ri po­ten­ti: la Gran Bre­ta­gna, la Ger­ma­nia, la Fran­cia, l’Au­stria, la Rus­sia, gli Ot­to­ma­ni. L’Ita­lia, ul­ti­ma ar­ri­va­ta, ven­ne vi­sta co­me una ce­ne­ren­to­la e ta­le, ov­via­men­te, sa­reb­be do­vu­ta re­sta­re. Una Na­zio­ne na­ta per for­tu­na, un’espres­sio­ne geo­gra­fi­ca che ave­va tro­va­to un’im­pro­ba­bi­le uni­tà in­tor­no al tro­no dei Sa­vo­ia. Co­sa era l’Ita­lia se non un mu­seo a cie­lo aper­to, po­po­la­ta da so­gna­to­ri, poe­ti e da ple­bi in­fe­rio­ri, in­de­gni cu­sto­di di un pas­sa­to glo­rio­so. L’Ita­lia era sta­ta per se­co­li cal­pe­sta e de­ri­sa, cam­po di bat­ta­glia di eser­ci­ti stra­nie­ri. Le gran­di Na­zio­ni se l’era­no spar­ti­ta, scom­mes­sa a da­di, scam­bia­ta co­me i pez­zi di un puzz­le, fin dai tem­pi del­la ca­du­ta dell’Im­pe­ro Ro­ma­no.

    Ma co­lo­ro che ir­ri­de­va­no gli Ita­lia­ni mal glie­ne in­col­se, co­me di­mo­strò la fa­mo­sa Di­sfi­da di Bar­let­ta del 13 Feb­bra­io 1303, svol­ta­si a S. Elia di Tra­ni, quan­do un­di­ci ca­va­lie­ri ita­lia­ni scon­fis­se­ro un­di­ci ca­va­lie­ri fran­ce­si.

    Quel­la Fran­cia che con­si­de­ra­va gli Ita­lia­ni in­fe­rio­ri e non adat­ti al no­bi­le me­stie­re del­le ar­mi e spa­dro­neg­gia­va sul­la pe­ni­so­la con la sua sup­po­nen­za.

    Ec­co, la Fran­cia. Una Na­zio­ne po­ten­te, uni­ta, che ve­de­va nel­la pe­ni­so­la so­lo un’ap­pen­di­ce del­la sua gran­dez­za. Più vol­te tro­ve­re­mo sul cam­mi­no dell’Ita­lia que­sto Sta­to. Con do­lo­ro­se con­se­guen­ze.

    Sen­za per­der­ci nel­la not­te dei tem­pi, ba­sti ri­cor­da­re la di­sce­sa di Na­po­leo­ne Bo­na­par­te, un ita­lia­no di Cor­si­ca fran­ce­siz­za­to­si, che do­po aver scon­fit­to le for­ze au­stro-sar­de, col­pì al cuo­re la Re­pub­bli­ca di Ve­ne­zia (cfr. Trat­ta­to di Cam­po­for­mio del 17 Ot­to­bre 1797).

    Scom­pa­ri­va co­sì uno dei più po­ten­ti Sta­ti ita­lia­ni. Do­po 1.100 an­ni di sto­ria ve­ni­va can­cel­la­ta una ci­vil­tà, da­ta in com­pen­so all’Au­stria per am­mor­tiz­za­re la ces­sio­ne dei Pae­si Bas­si al­la Fran­cia. Na­sce­va co­sì la que­stio­ne orien­ta­le ita­lia­na, un dram­ma epo­ca­le che per lun­ghi de­cen­ni scan­di­rà l’agen­da po­li­ti­ca dei Go­ver­ni dell’Ita­lia uni­ta, fi­no al­la tra­ge­dia del­le foi­be e del­la scom­par­sa del­la ci­vil­tà ita­lia­na nell’Adria­ti­co nord-orien­ta­le.

    Al­la fi­ne, l’in­ter­ven­to di Na­po­leo­ne in Ita­lia fu fu­ne­sto. Nes­sun ane­li­to di li­ber­tà na­zio­na­le fu ri­spet­ta­to e il tra­di­men­to di Cam­po­for­mi­do (17 Ot­to­bre 1797), con cui la Fran­cia ce­de­va agli Asbur­go il Ve­ne­to e col­pi­va a mor­te la Re­pub­bli­ca di Ve­ne­zia – ge­ne­ran­do co­sì il dram­ma­ti­co ini­zio del­la que­stio­ne orien­ta­le ita­lia­na – avreb­be do­vu­to schia­ri­re l’idee a più di qual­cu­no che ve­de­va nell’in­ter­ven­to di uno Sta­to stra­nie­ro nel­le co­se d’Ita­lia un fat­to po­si­ti­vo. Ri­cor­dò in un suo di­scor­so Gio­suè Car­duc­ci:

    «Or la sto­ria mi por­te­reb­be a ram­men­ta­re le tan­te Re­pub­bli­che ita­lo-gal­le che la Ri­vo­lu­zio­ne fran­ce­se spar­se in Ita­lia. Re­pub­bli­che che se da una par­te dan­no idea del­lo en­tu­sia­smo e del fer­mo ani­mo con cui gli Ita­lia­ni vo­glio­no li­ber­tà, ci scon­for­ta­no dall’al­tro mo­stran­do­ci le in­fa­mi ar­ti e le in­vi­die di una Na­zio­ne [la Fran­cia] che ci do­vreb­be es­ser so­rel­la e che vien sem­pre a ri­ba­dir­ci ca­te­ne e me­scer­si ve­le­no nel­la taz­za del­la li­ber­t໹.

    Na­po­leo­ne ap­par­te­ne­va or­mai al pas­sa­to quan­do co­min­ciò la pre­di­ca­zio­ne dei pri­mi pro­fe­ti del Ri­sor­gi­men­to e la Fran­cia, cer­ta­men­te, non era vi­sta co­me un osta­co­lo per il sor­ge­re del­la Na­zio­ne ita­lia­na, ma an­zi co­me un esem­pio, Pa­tria del­la li­ber­tà e del­le isti­tu­zio­ni re­pub­bli­ca­ne.

    Il ve­ro ne­mi­co ven­ne in­di­vi­dua­to nell’Au­stria, che oc­cu­pa­va gran par­te dell’Ita­lia a Nord del Po. Ma an­che in que­sto pe­rio­do la Fran­cia fe­ce il suo me­stie­re. An­co­ra una vol­ta fu un Bo­na­par­te a di­strug­ge­re i so­gni e le spe­ran­ze de­gli Ita­lia­ni: suo il Cor­po di spe­di­zio­ne che pie­gò la Re­pub­bli­ca Ro­ma­na il 2 Lu­glio 1849.

    Dal san­gue di quei mil­le ca­du­ti, sor­se­ro leg­gen­de e mi­ti, co­me quel­la di un gio­va­ne uc­ci­so dal­le ar­mi fran­ce­si, il suo no­me era Gof­fre­do Ma­me­li. Con lui, nel cie­lo de­gli eroi, il Col. Lu­cia­no Ma­na­ra, Emi­lio Mo­ro­si­ni, il Cap. En­ri­co Dan­do­lo... I più pu­ri fi­gli d’Ita­lia ca­du­ti com­bat­ten­do con­tro i Fran­ce­si…

    La po­li­ti­ca in­tra­pre­sa da Na­po­leo­ne III per so­ste­ne­re le ri­ven­di­ca­zio­ni na­zio­na­li dei po­po­li sog­get­ti agli al­tri im­pe­ri al fi­ne di sgre­to­lar­ne la po­ten­za, por­tò ine­vi­ta­bil­men­te ad un’al­lean­za con il Re­gno di Sar­de­gna, lo Sta­to ita­lia­no che più si po­ne­va in an­ta­go­ni­smo con l’Au­stria.

    Ma nei pro­get­ti dei Fran­ce­si non v’era cer­ta­men­te il mi­rag­gio del­la crea­zio­ne di una Ita­lia uni­ta, ma l’in­ten­zio­ne di su­ben­tra­re all’Im­pe­ro au­stria­co nel do­mi­nio di un’Ita­lia di­vi­sa.

    Ed an­co­ra una vol­ta, le ar­mi fran­ce­si fe­ce­ro scor­re­re san­gue ita­lia­no. È la sto­ria di Fe­li­ce Or­si­ni, un re­pub­bli­ca­no ro­ma­gno­lo che nel Gen­na­io 1858 vol­le ven­di­ca­re la pu­gna­la­ta mor­ta­le in­fer­ta al­la Re­pub­bli­ca Ro­ma­na lan­cian­do con­tro Na­po­leo­ne III del­le bom­be, pro­vo­can­do pe­rò una stra­ge. L’at­ten­ta­to fal­lì e l’Or­si­ni fu con­dan­na­to a mor­te.

    Pa­ra­dos­sal­men­te fu pro­prio l’at­ten­ta­to di Or­si­ni che per­mi­se un ac­cor­do sar­do-fran­ce­se in fun­zio­ne an­ti­au­stria­ca, nel qua­le, pe­rò, non era pre­vi­sta un’Ita­lia uni­ta, ma una Ita­lia tri­par­ti­ta con il Nord an­nes­so al Re­gno di Sar­de­gna, uno Sta­to cen­tra­le in­di­pen­den­te e il Me­ri­dio­ne la­scia­to ai Bor­bo­ne.

    Aven­do le spal­le co­per­te, Ca­vour fe­ce di tut­to per pro­vo­ca­re un con­flit­to con l’Au­stria e fu la Se­con­da Guer­ra di In­di­pen­den­za. Do­po le im­por­tan­ti vit­to­rie di Sol­fe­ri­no e San Mar­ti­no, per le uni­tà sar­do-fran­ce­si si aprì la stra­da per Mi­la­no.

    Era fat­to, il gran­de so­gno di uni­re tut­ta l’Ita­lia Set­ten­trio­na­le sot­to un’uni­ca ban­die­ra sem­bra­va co­sì rea­liz­zar­si. Ma an­che que­sta vol­ta la Fran­cia man­cò. L’opi­nio­ne pub­bli­ca fran­ce­se co­strin­se Na­po­leo­ne III a de­fi­lar­si e a fir­ma­re un Ar­mi­sti­zio. Con que­sto l’Au­stria ce­de­va ai Fran­ce­si la Lom­bar­dia, che es­si avreb­be­ro poi ri­gi­ra­to al Re­gno di Sar­de­gna. Con lo stes­so trat­ta­to si si­lu­ra­va­no i pa­trio­ti che era­no in­sor­ti a Fi­ren­ze, Mo­de­na, Par­ma e nel­le Le­ga­zio­ni pon­ti­fi­cie di Bo­lo­gna e del­le Ro­ma­gne.

    Tut­ta­via, que­st’ul­ti­mo ac­cor­do non fu di fa­ci­le at­tua­zio­ne, in quan­to gli in­sor­ti pro­cla­ma­ro­no su­bi­to l’an­nes­sio­ne all’Ita­lia. Ciò per­mi­se a Ca­vour di mer­can­teg­gia­re con Na­po­leo­ne III e, per far di­ge­ri­re que­st’ul­ti­me an­nes­sio­ni, non esi­tò a ce­de­re ai Fran­ce­si la Sa­vo­ia e il Niz­zar­do, la Pa­tria di Giu­sep­pe Ga­ri­bal­di!

    In que­ste ter­re ini­ziò su­bi­to una fran­ce­siz­za­zio­ne for­za­ta che por­tò, in spe­cie nel Niz­zar­do, al­la can­cel­la­zio­ne in­te­gra­le del­la cul­tu­ra ita­lia­na…

    Niz­za, cit­tà na­ta­le di Ga­ri­bal­di, era sta­ta sven­du­ta dal Re­gno di Sar­de­gna al­la Fran­cia il 24 Mar­zo 1860 e, do­po un ple­bi­sci­to for­za­to nei ri­sul­ta­ti, an­nes­sa all’Im­pe­ro di Na­po­leo­ne III. Ini­ziò, quin­di, una pro­gres­si­va dei­ta­lia­niz­za­zio­ne dell’an­ti­ca Con­tea che por­tò, nel gi­ro di po­chi de­cen­ni, al­la scom­par­sa di ogni ri­fe­ri­men­to al­la ori­gi­na­ria cul­tu­ra. Fu­ro­no chiu­si i gior­na­li ita­lia­ni e fran­ce­siz­za­ti per­si­no i co­gno­mi dei re­si­den­ti. Il Niz­zar­do fu ce­du­to, in­sie­me al­la Sa­vo­ia – la ter­ra di na­sci­ta del­la di­na­stia di Vit­to­rio Ema­nue­le II! - in vir­tù di vi­li ac­cor­di di­plo­ma­ti­ci che pre­ve­de­va­no il so­ste­gno del­la Fran­cia al­la crea­zio­ne di un Re­gno uni­ta­rio nell’Ita­lia set­ten­trio­na­le. No­no­stan­te la bef­fa dell’Ar­mi­sti­zio di Vil­la­fran­ca (11 Lu­glio 1859), con cui Na­po­leo­ne III po­ne­va fi­ne im­prov­vi­sa­men­te al con­flit­to con l’Im­pe­ro asbur­gi­co e, di con­se­guen­za, im­po­ne­va il fer­mo an­che al Re­gno di Sar­de­gna, la Fran­cia re­cla­mò su­bi­to il suo com­pen­so. Ca­vour pen­sò che il sa­cri­fi­cio fos­se sop­por­ta­bi­le: per gli Ita­lia­ni del­la re­gio­ne ini­ziò l’esi­lio... Scris­se Oria­ni:

    "I ri­vo­lu­zio­na­ri re­cla­ma­va­no con­tro il vin­to Mi­ni­stro [Ca­vour] col­la no­bil­tà del­la lo­ro fe­de uni­ta­ria e de­mo­cra­ti­ca: es­si non ave­va­no cre­du­to in Na­po­leo­ne III, il car­ne­fi­ce di Ro­ma, l’uo­mo del 2 Di­cem­bre, ed ave­va­no avu­to ra­gio­ne. Ave­va­no sem­pre pro­cla­ma­to che la for­mu­la mo­nar­chi­ca tra­di­reb­be l’Ita­lia, e il fat­to da­va lo­ro fin trop­pa ra­gio­ne, giac­ché il Pie­mon­te stes­so ve­ni­va di­mi­nui­to. La Lom­bar­dia non va­le­va Niz­za e Sa­vo­ia e il vas­sal­lag­gio fran­ce­se".

    An­che in Cor­si­ca vi era sta­ta una for­za­ta fran­ce­siz­za­zio­ne a di­sca­pi­to del­la cul­tu­ra ita­lia­na. Ope­ra in­tra­pre­sa quan­do, nel 1768, que­st’iso­la era sta­ta sven­du­ta al­la Fran­cia dal­la Re­pub­bli­ca di Ge­no­va. Da al­lo­ra era sta­ta in­glo­ba­ta nel­lo Sta­to fran­ce­se co­me ba­se stra­te­gi­ca per il con­trol­lo del­la pe­ni­so­la ita­lia­na e del Me­di­ter­ra­neo².

    Que­sta so­rel­la che si fa­ce­va ben pa­ga­re le sue pre­sta­zio­ni, in­dus­se Ca­vour a cer­ca­re al­lean­ze più con­cre­te:

    Fu pro­prio con i pri­mi due Go­ver­ni del li­be­ra­le fi­lo-in­gle­se Ca­vour (1852-1859) che i rap­por­ti tra il Re­gno di Sar­de­gna e la Gran Bre­ta­gna si fe­ce­ro sem­pre più stret­ti. Pri­mo chia­ro sin­to­mo di que­sta nuo­va in­te­sa fu l’in­ter­ru­zio­ne dei rap­por­ti fi­nan­zia­ri pri­vi­le­gia­ti che, fi­no ad al­lo­ra, il Pie­mon­te ave­va avu­to con la Fran­cia.³.

    An­che la ge­ne­ro­sa Spe­di­zio­ne dei Mil­le fu at­ten­ta­men­te os­ser­va­ta da Na­po­leo­ne III e Ca­vour po­té in­ter­ve­ni­re a so­ste­gno di Ga­ri­bal­di so­lo do­po l’as­sen­so fran­ce­se che gli vie­ta­va, co­mun­que, di agi­re con­tro il La­zio pa­pa­le.

    Fu con l’as­sen­so di Na­po­leo­ne III che ven­ne fon­da­to il Re­gno d’Ita­lia. Una Na­zio­ne non an­co­ra uni­ta, con le Ve­ne­zie e il Ve­ne­to sal­da­men­te in ma­no dell’Au­stria­co e il La­zio pa­pa­le sot­to pro­te­zio­ne fran­ce­se. E quan­do Ga­ri­bal­di ten­tò una spe­di­zio­ne con­tro lo Sta­to Pon­ti­fi­cio tro­vò la stra­da sbar­ra­ta dal­le ar­mi di Vit­to­rio Ema­nue­le II, che non vo­le­va as­so­lu­ta­men­te ini­mi­car­si il pre­po­ten­te vi­ci­no d’Ol­tral­pe (cfr. lo scon­tro sull’Aspro­mon­te del 29 Ago­sto 1862).

    I Fran­ce­si non fu­ro­no cer­ta­men­te sod­di­sfat­ti dall’aver spin­to gli Ita­lia­ni a spa­rar­si fra di lo­ro: im­po­se­ro al Re­gno di Sar­de­gna il ri­co­no­sci­men­to dell’in­tan­gi­bi­li­tà dei con­fi­ni pon­ti­fi­ci e il tra­sfe­ri­men­to del­la Ca­pi­ta­le da To­ri­no a Fi­ren­ze, co­me ga­ran­zia del­la ri­nun­cia a Ro­ma.

    Fu so­lo gra­zie ad un’al­lean­za con la Ger­ma­nia di Bi­smark - che al­lo­ra sor­ge­va nel­lo sce­na­rio geo­po­li­ti­co eu­ro­peo co­me no­stra na­tu­ra­le al­lea­ta - che l’Ita­lia po­té sca­te­na­re la sua Ter­za Guer­ra di In­di­pen­den­za con­tro l’Im­pe­ro au­stria­co. Ma la vit­to­ria del­le ar­mi te­de­sche fu of­fu­sca­ta dal­le do­lo­ro­se scon­fit­te ita­lia­ne di Lis­sa e Cu­sto­za, co­sa che co­strin­se Vit­to­rio Ema­nue­le II ad ac­cet­ta­re so­lo l’an­nes­sio­ne del Ve­ne­to, con­ge­lan­do la li­be­ra­zio­ne del­le Ve­ne­zie fi­no al 1918.

    Ri­ma­ne­va in­so­lu­ta la que­stio­ne del La­zio pa­pa­le sot­to pro­te­zio­ne fran­ce­se, cui il Re­gno d’Ita­lia ave­va for­mal­men­te ri­nun­cia­to. Non la pen­sa­va co­sì Ga­ri­bal­di che, nell’Au­tun­no 1867, ten­tò nuo­va­men­te un at­tac­co.

    Que­sta vol­ta non tro­vò le ar­mi fran­ce­siz­za­te di Vit­to­rio Ema­nue­le II a sbar­rar­gli la stra­da ma, co­me nel 1849, di­ret­ta­men­te quel­le di Na­po­leo­ne III. E fu la do­lo­ro­sa scon­fit­ta di Men­ta­na del 3 No­vem­bre 1867.

    Fu so­lo nel Set­tem­bre 1870, do­po la trau­ma­ti­ca scon­fit­ta fran­ce­se nel­la Bat­ta­glia di Se­dan per mez­zo del­le ar­mi Ger­ma­ni­che e il con­se­guen­te crol­lo del Se­con­do Im­pe­ro Fran­ce­se, che Vit­to­rio Ema­nue­le II con­si­de­rò nul­li gli ac­cor­di sot­to­scrit­ti e de­ci­se di at­tac­ca­re Ro­ma. Il 20 Set­tem­bre 1870 i Ber­sa­glie­ri sfon­da­va­no a Por­ta Pia.

    Ora che, be­ne o ma­le, la pe­ni­so­la era sta­ta uni­fi­ca­ta, gli Ita­lia­ni po­te­va­no co­min­cia­re a guar­da­re ol­tre, al Me­di­ter­ra­neo, all’Afri­ca Set­ten­trio­na­le, in spe­cie al­la Tu­ni­sia do­ve vi­ve­va una nu­me­ro­sa e fio­ren­te co­mu­ni­tà ita­lia­na. Ma an­co­ra una vol­ta la Fran­cia in­ter­ven­ne con un’ar­ro­gan­za e una pre­po­ten­za uni­ca ne­gli an­na­li di­plo­ma­ti­ci.

    Nel 1881, igno­ran­do i chia­ri in­te­res­si ita­lia­ni nel­la re­gio­ne, pro­ce­de­va all’oc­cu­pa­zio­ne dell’in­te­ra Tu­ni­sia. Fu il co­sid­det­to Schiaf­fo di Tu­ni­si:

    Tu­ni­si chia­ve del Me­di­ter­ra­neo, la Ci­re­nai­ca, la Tri­po­li­ta­nia, fu­ro­no le ter­re che Maz­zi­ni in­di­cò per l’in­va­sio­ne co­lo­niz­za­tri­ce ita­lia­na, ter­re do­ve gar­ri­ro­no al ven­to i ves­sil­li di Ro­ma, quan­do il Mar Me­di­ter­ra­neo era Ma­re No­stro. In­du­gia­re ol­tre nell’azio­ne, avreb­be espo­sto que­ste zo­ne agli in­te­res­si al­trui, fran­ce­si in pri­mis. E co­sì fu: nel Mag­gio 1881, la Fran­cia, an­ti­ci­pan­do qual­sia­si ipo­te­ti­ca azio­ne ita­lia­na, oc­cu­pò Tu­ni­si e la fe­ce pro­pria. Le ri­mo­stran­ze ita­lia­ne fu­ro­no for­ti e non so­lo per­ché in Tu­ni­sia vi la­vo­ra­va­no 25.000 Ita­lia­ni, con­tro i so­li 300 Fran­ce­si... An­co­ra una vol­ta, le ar­mi de­mo­cra­ti­che e mas­so­ni­che d’Ol­tral­pe si po­ne­va­no con­tro le aspi­ra­zio­ni del­la Na­zio­ne ita­lia­na: co­sì a Ro­ma nel 1849 e nel 1867, co­sì a Tu­ni­si nel 1881. An­che tra gli uo­mi­ni del­la Si­ni­stra, che da sem­pre ve­de­va­no nel­la Re­pub­bli­ca di Fran­cia un sim­bo­lo di li­ber­tà e di pro­gres­so, vi fu­ro­no mol­ti ri­pen­sa­men­ti, con lo stes­so Ga­ri­bal­di – mas­so­ne ed esti­ma­to­re del­le li­ber­tà fran­ce­si – che avreb­be da­to ben vo­len­tie­ri la pa­ro­la al can­no­ne... L’oc­cu­pa­zio­ne del­la Tu­ni­sia e le for­ti­fi­ca­zio­ni di Bi­ser­ta co­sti­tui­ro­no per i de­cen­ni a se­gui­re una pi­sto­la [fran­ce­se] pun­ta­ta al pet­to dell’Ita­lia. Una se­con­da pi­sto­la, se si pen­sa al pos­ses­so fran­ce­se del­la Cor­si­ca... L’Ita­lia era sta­ta ac­cer­chia­ta⁴.

    So­lo a que­sto pun­to i Go­ver­ni ita­lia­ni de­ci­se­ro di rea­gi­re e ini­zia­ro­no a guar­da­re all’uni­ca Na­zio­ne che po­te­va ga­ran­ti­re un’al­lean­za sen­za com­pra­ven­di­te, com­pro­mes­si al ri­bas­so e tu­te­le li­mi­tan­ti la so­vra­ni­tà: la Ger­ma­nia. Ma guar­da­re al­la Ger­ma­nia vo­le­va di­re scen­de­re a pat­ti con il de­cen­na­le ne­mi­co: l’Au­stria-Un­ghe­ria. Da­van­ti al­la pre­po­ten­za fran­ce­se, pe­rò, non si in­du­giò ul­te­rior­men­te: nac­que co­sì la Tri­pli­ce Al­lean­za (1882).

    Cri­spi fu il pri­mo a de­nun­cia­re pub­bli­ca­men­te l’in­ge­ren­za del­la Fran­cia ne­gli af­fa­ri d’Ita­lia, pro­vo­can­do scan­da­lo nel­la Si­ni­stra de­mo­cra­ti­co-gia­co­bi­na ita­lia­na ac­ce­ca­ta dal­la pro­pria ideo­lo­gia, e si pre­pa­rò a una guer­ra con­tro l’in­va­den­te e sup­po­nen­te so­rel­la la­ti­na. Sua una pro­po­sta al­la Ger­ma­nia, ri­sa­len­te all’Ot­to­bre 1887, di un im­pe­gno con­giun­to tra i due Sta­ti per una guer­ra con­tro la Fran­cia. L’Ita­lia avreb­be at­tac­ca­to sul­le Al­pi oc­ci­den­ta­li e con­tri­bui­to al­lo sfor­zo ger­ma­ni­co in­vian­do sul Re­no sei Cor­pi d’Ar­ma­ta e tre Di­vi­sio­ni di Ca­val­le­ria. Bi­smarck ac­cet­tò. Cu­rio­so, ma em­ble­ma­ti­co, è che que­sta stra­te­gia sa­rà ri­pro­po­sta dall’Ita­lia al­la Ger­ma­nia al­cu­ni de­cen­ni do­po, nel 1940, du­ran­te la Se­con­da Guer­ra Mon­dia­le...

    A ben ve­de­re, era sta­to il tra­co­tan­te at­teg­gia­men­to osti­le del­la Fran­cia a spin­ge­re l’Ita­lia nel­le brac­cia de­gli Asbur­go. La se­co­la­re in­vi­dia fran­ce­se nei con­fron­ti de­gli Ita­lia­ni, che si era espres­sa in un’ope­ra di de­ni­gra­zio­ne si­ste­ma­ti­ca di tut­to ciò che era ita­lia­no e in of­fe­sa con­ti­nua del po­po­lo del­la pe­ni­so­la, si era tra­sfor­ma­ta in un’ope­ra di sa­bo­tag­gio con­ti­nuo del­le le­git­ti­me aspi­ra­zio­ni de­gli Ita­lia­ni quan­do que­sti ten­ta­va­no di sor­ge­re co­me Na­zio­ne:

    Da Car­lo VIII a Na­po­leo­ne III, ogni uo­mo di Sta­to fran­ce­se ave­va so­gna­ta la gran­de ora del suo Pae­se e l’ave­va cer­ca­ta a dan­no dei Pae­si vi­ci­ni. E sul­la stra­da del­la gran­dez­za fran­ce­se l’Ita­lia, ra­gio­na­va Cri­spi, era da sem­pre un osta­co­lo da eli­mi­na­re, un con­cor­ren­te da sot­to­met­te­re.

    La Fran­cia non po­te­va tol­le­ra­re il sor­ge­re di uno Sta­to con­cor­ren­te nel ba­ci­no me­di­ter­ra­neo, tan­to più se que­sto era lo Sta­to dei pez­zen­ti ita­lia­ni. Se gli Asbur­go oc­cu­pa­va­no de iu­re et de fac­to i ter­ri­to­ri orien­ta­li dell’Ita­lia, non me­no la Fran­cia aspi­ra­va a eser­ci­ta­re un’ope­ra di tu­te­la sul­la pe­ni­so­la, un’ope­ra più sub­do­la, poi­ché ma­sche­ra­ta e ac­cet­ta­ta da non po­chi Ita­lia­ni, in spe­cie quel­li del­la Si­ni­stra, che ve­de­va­no nel­la so­rel­la la­ti­na la re­gi­na del­la li­ber­tà e de­gli im­mor­ta­li prin­ci­pi. La co­sti­tu­zio­ne del Re­gno d’Ita­lia fu uno smac­co che la di­plo­ma­zia fran­ce­se cer­cò di com­bat­te­re con ogni mez­zo. Nel cor­so dei de­cen­ni, la sub­do­la osti­li­tà del­la Fran­cia si ma­ni­fe­stò chia­ra­men­te du­ran­te ogni ten­ta­ti­vo di espan­sio­ne po­li­ti­co-eco­no­mi­co-mi­li­ta­re ita­lia­na. Nel 1849, era sta­ta la Fran­cia a far fal­li­re la ri­vo­lu­zio­ne si­ci­lia­na e a de­cre­ta­re la mor­te del­la Re­pub­bli­ca Ro­ma­na; nel 1859, a Vil­la­fran­ca, era sta­ta sem­pre la so­rel­la la­ti­na a de­cre­ta­re la fi­ne del­la Se­con­da Guer­ra di In­di­pen­den­za; nel de­cen­nio 1860-1870, la Fran­cia ave­va eser­ci­ta­to una tu­te­la po­li­ti­ca sul Re­gno d’Ita­lia. Nel 1862 e nel 1867, Cor­pi di spe­di­zio­ne fran­ce­si era­no in­ter­ve­nu­ti nel­la pe­ni­so­la spa­ran­do sui pa­trio­ti ita­lia­ni, im­po­nen­do il si­len­zio al Go­ver­no sa­bau­do. E co­sì fu ne­gli an­ni se­guen­ti. Le ten­sio­ni tra Ita­lia e Fran­cia as­sun­se­ro li­vel­li dram­ma­ti­ci do­po che, il 18 Ago­sto 1893, a Ai­gues-Mor­tes, una

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