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Il Profeta: Analisi Sociologica di Padre Pio e della sua Opera
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E-book322 pagine

Il Profeta: Analisi Sociologica di Padre Pio e della sua Opera

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Info su questo ebook

Il Profeta rappresenta un testo fondamentale per lo studio dei movimenti nati da un leader carismatico. Padre Pio ha rappresentato per milioni di fedeli un punto di riferimento che è andato ben oltre la sua figura sacerdotale. Padre, in un mondo senza padri, è stato capace di rivoluzionare un intero sistema sociale in una zona depressa del Sud Italia, creando uno dei più importanti centri di ricerca medica in Europa. La figura del profeta è stata d’ispirazione per decine di migliaia di seguaci, che si sono organizzati nei Gruppi di Padre Pio che attualmente costituiscono uno dei più importanti network spirituali del mondo, un fenomeno di rilievo assoluto, che conta migliaia di formazioni censite ufficialmente in 60 nazioni, più un numero rilevante di gruppi informali. Il materiale del testo, organizzato in articoli scientifici, è stato oggetto di numerosi riconoscimenti, il più importante dei quali a Denver (2012) nel corso del Convegno dell’American Sociological Association for the Study of Religion.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mag 2022
ISBN9788899555528
Il Profeta: Analisi Sociologica di Padre Pio e della sua Opera

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    Anteprima del libro

    Il Profeta - Mario Salisci

    Presentazione

    di Luisa Ribolzi*

    Questo volume costituisce lo sviluppo e l’elaborazione di una tesi di dottorato in sociologia, discussa con brillante esito sotto la mia – riluttante – supervisione. Perché questa precisazione personale? Perché io, come molti, partivo dall’idea preconcetta che i Gruppi di Preghiera di Padre Pio (e, a dire il vero, tutto ciò che aveva a che fare con la figura di questo santo) si configurassero come espressione di una religiosità arcaica, forse anche superstiziosa, retaggio di una Chiesa che sta scomparendo. Mario Salisci, con discrezione pari alla decisione, ha proseguito sulla strada che aveva scelto, e il suo lavoro di ricerca articolato e metodologicamente ineccepibile ha dimostrato, non solo a me, che mi sbagliavo, e che sono invece un fenomeno attuale, diffuso e in espansione.

    La preghiera, così come questi gruppi (quasi 2300 e oltre 900 all’estero) la intendono, non è il tentativo dei semplici e dei deboli di controllare una realtà dura e difficile, né il modo dei primitivi o degli incolti di rapportarsi con fenomeni che sfuggono al loro controllo: in particolare, la preghiera cristiana, come la definisce il cardinale Newman, è insieme un dovere e un privilegio nel rapporto personale con Dio: La preghiera, la lode, il ringraziamento, la contemplazione sono lo speciale privilegio e il dovere del cristiano. Non è nemmeno una attività che attiene esclusivamente alla sfera individuale, del privato, ma si configura come un gesto eminentemente sociale e relazionale. I Gruppi di Preghiera di Padre Pio sono un modo di trasformare il mondo attraverso la relazione con il divino mediata dalla figura carismatica di Padre Pio, e generano opere sociali ben visibili, come mostra la storia di Casa Sollievo della Sofferenza, di cui l’autore tratteggia sia l’alta e visionaria intuizione che l’ha originata, sia il percorso di ricerca scientifica ed umana, anzi forse tanto più eccellente scientificamente quanto più motivata dall’amore all’uomo sofferente.

    I gruppi, analizzati con una attività di ricerca sul campo durata più di un anno ed estesa successivamente anche ad alcune realtà europee ed extraeuropee – anche se l’analisi socio etnografica è centrata sui gruppi liguri e in particolare sulle storie e le caratteristiche dei Capigruppo – mostrano un’altra interessante caratteristica, che condividono con la maggior parte dei movimenti che popolano la Chiesa del ventesimo e ventunesimo secolo: nascono da una chiamata personale, da un incontro talvolta cercato, ma spesso non programmato, esprimibile nel Chi, io? di Matteo nel bellissimo quadro del Caravaggio. Dall’incontro personale, che i protagonisti non esitano a definire come vocazione, trova origine la capacità di attrazione di altri uomini e donne, donne soprattutto, che si incontrano e si consolidano nell’esperienza della preghiera, e lì trovano la forza per modificare il loro ambiente, parrocchia o quartiere che sia, spesso prevenuto e scettico quando non ostile. Le storie di vita dei Capigruppo, con molti elementi in comune ma altrettanti diversificati, costituiscono una testimonianza ricchissima della spiritualità e della forza attrattiva del Padre.

    Se la chiamata personale è sorgente e spunto per la nascita e la vita dei gruppi, qui sta, nota l’autore nelle sue conclusioni, anche una possibile causa di debolezza: la generazione dei chiamati direttamente dal Padre invecchia, diviene sempre meno direttamente presente (Padre Pio è morto nel 1968, quarantacinque anni fa) e il carisma trasmesso dal Fondatore impallidisce, e perde di mordente se non viene rivissuto. Un po’ paradossalmente, i gruppi che entrano in crisi sono i più antichi e localizzati (in Italia e nel Sud, ma non solo e nemmeno prevalentemente), mentre i gruppi giovani nati dopo la morte del Padre e da persone che sono venute solo indirettamente in contatto con lui, non solo sembrano tenere ma continuano a mostrare un’ottima capacità di diffusione. Tutta la parte della ricerca dedicata alla descrizione dei gruppi, e ai rapporti con la Chiesa istituzionale, che a volte replicano le difficoltà incontrate in vita da Padre Pio, presenta una massa di dati che non può essere ignorata dagli studiosi del fenomeno religioso.

    Da ultimo, vorrei sottolineare un elemento poco comune nella sociologia della religione attuale, e cioè l’analisi sociologica del carisma di Padre Pio in termini di figura paterna: padre e profeta, profeta ma soprattutto padre, espressione di un principio di autorità sbiadito nella società contemporanea che lo ha rifiutato in nome di una pretesa affermazione di libertà, e che ora sembra impantanata nella palude di un percorso privo di guida. Non a caso, nota Salisci, anche oggi che è santo, viene molto più spesso chiamato padre Pio, e non san Pio. Nella semplicità in qualche misura astorica della sua guida, che ripropone, questa sì, archetipi della società umana, è possibile trovare indicazioni per la realizzazione personale come per l’apertura al sociale, soprattutto nella dimensione così attuale della povertà e della sofferenza.

    Un lavoro riuscito, dunque, almeno nella capacità che ha avuto di convincermi non solo dell’importanza dei Gruppi di Preghiera nella vita della Chiesa, ma più generalmente dell’importanza di studiare e teorizzare con un approccio sociologico i temi di sociologia della religione.

    ___________

    *   Vicepresidente dell’ANVUR, già ordinario di Sociologia dell’Educazione.

    Premessa

    La prima idea di una ricerca sui Gruppi di preghiera di Padre Pio è nata in me dall’incontro casuale, in una chiesetta delle Cinque Terre, con un grande gruppo di persone che, in una sera qualsiasi, pregavano e meditavano con un’intensità che mi colpì molto, anche per il contrasto con l’ambiente vacanziero e disimpegnato. Questa idea si è andata concretizzando nel tempo, prima come tesi di dottorato e poi con nuovi approfondimenti sia in Europa che negli Stati Uniti, per sfociare in questo libro, che riporta gli esiti di un’analisi dell’Associazione dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, della sua evoluzione e delle dinamiche e le opere che la caratterizzano, contestualizzata nel quadro complessivo delle pratiche religiose all’inizio del Ventunesimo secolo.

    Il sistema dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio è il più grande sistema di Gruppi di Preghiera al mondo e una delle più importanti associazioni dell’universo cattolico. Considerati nel loro insieme, i Gruppi di Padre Pio costituiscono un network spirituale con quasi 3200 formazioni ufficiali (e almeno altrettante informali) in 60 nazioni del mondo, con un trend di crescita costante all’estero e numerosissime opere realizzate, a partire da Casa Sollievo della Sofferenza, uno dei più importanti centri di ricerca medica d’Europa e tra i più importanti policlinici d’Italia.

    La letteratura sociologica nell’ambito della religione è molto vasta e anche in Italia si è occupata di un numero consistente di forme sociali della religiosità, ma nessuno ha finora studiato i Gruppi di Preghiera, tantomeno quelli originati da Padre Pio, sbrigativamente liquidati come fenomeno marginale, nonostante le sue dimensioni e benché sia in grado di generare un consistente impatto sociale e culturale. Questa mancanza di punti di riferimento ha reso complessa la progettazione teorica della mia ricerca: a ciò si aggiungano le difficoltà pratiche di realizzazione, per accostare sia la struttura, sia i singoli gruppi. Come in un percorso ad ostacoli, ho dovuto ottenere delle autorizzazioni ufficiali, cosa che in una struttura gerarchica e protettiva come quella della Chiesa Cattolica non è mai facile, partendo dal vertice dell’Associazione per ottenere a cascata tutti gli altri «via libera».

    La ricerca ha richiesto sia tecniche quantitative (la lettura di una imponente massa di documenti e l’analisi dei dati raccolti dal Centro Internazionale dei Gruppi di Preghiera) che qualitative¹. Il disegno della ricerca è rimasto destrutturato, aperto, emergente nel corso della ricerca stessa. Ne è emerso un quadro assai più vasto e articolato non solo dell’opinione comune, ma di quanto io stesso pensassi: una realtà che, nonostante la varietà dei luoghi e delle situazioni osservate, resta tuttavia ancorata ad una base molto solida che trova nel rapporto con la trascendenza il suo significato più profondo. A partire da questo assunto ho costruito il processo d’interpretazione.

    Nella prima parte del lavoro analizzo la figura di Padre Pio, attraverso due prospettive: la prima si propone di inserire la sua vicenda storica nel contesto socio-culturale di riferimento; la seconda ricostruisce invece l’immagine che i leader dei Gruppi di Preghiera hanno del loro fondatore. Si tratta di una realtà complessa, dagli articolati risvolti simbolici, in cui occupa un posto di rilievo l’opera più importante realizzata da Padre Pio e dai Gruppi di Preghiera: l’Istituto di ricerca e cure mediche Casa Sollievo della Sofferenza. In quel contesto, cerco anche di mostrare l’esito sociale ed economico che la presenza di Padre Pio ha prodotto a San Giovanni Rotondo.

    Nella seconda parte del libro (terzo e quarto capitolo) analizzo lo sviluppo storico dei Gruppi di Preghiera, la loro diffusione, la loro struttura e le problematiche che stanno incontrando dopo una fase di espansione spettacolare. Al caso italiano, segue l’analisi dei Gruppi di Preghiera nel resto del mondo, con approfondimenti dedicati alle aree più importanti della loro Associazione.

    Nell’ultima parte del lavoro prendo infine in considerazione la composizione dei Gruppi di Preghiera, le loro attività, i rapporti con la Chiesa Cattolica, la frequenza della preghiera e i suoi effetti, il significato che i leader dei Gruppi le danno e il rapporto che intrattengono con la trascendenza.

    ___________

    ¹   Per la strutturazione della ricerca rimando alla Nota metodologica.

    Introduzione

    1. Il posto della trascendenza nel discorso sociologico

    Relazione. Questo è il centro che caratterizza il sistema dei Gruppi di Preghiera: relazione tra pari, relazione con un santo considerato profeta, relazione con la trascendenza. È la chiave concettuale che mi ha permesso di interpretare il fenomeno dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, di comprenderne le dinamiche in profondità, andando oltre le congetture di natura deterministica. Nell’analisi di un fenomeno religioso e spirituale, il concetto di relazione chiama in gioco ovviamente la dimensione super-naturale, presentandola attraverso l’esperienza che i protagonisti affermano di vivere, e che si caratterizza nel concetto di chiamata personale. L’esperienza diffusa di chi ha deciso d’impegnarsi nella formazione di Gruppi di Preghiera è quella di una vocazione; l’esito visibile della chiamata, quella che Weber definì beruf, è la costruzione del Gruppo.

    La mia ipotesi iniziale partiva da alcune considerazioni di ordine generale sulla società, percepita come rischiosa e foriera d’incertezze, a cui gli uomini e le donne rispondevano attraverso un’azione di ricerca: ricerca di punti di riferimento solidi, magari eterni e immutabili. Pensavo che il Gruppo, in altre parole, potesse essere letto come una forma di controllo dell’angoscia, analogamente – tanto per fare un esempio – al crescente investimento che nella nostra società gli individui compiono sul proprio corpo, considerato appunto da molti come ricerca di soluzione all’angoscia proveniente dal contesto sociale². D’altro canto, il fiorire dei più disparati gruppi di spiritualità nei paesi tardo-industriali mi confermava nella mia opinione che esistesse un bisogno irrisolto generato dall’esperienza di una realtà ostile. Mi sembrava verosimile che, alla percezione di una struttura sociale non più scontata, e in presenza di un’anomia relazionale e valoriale, alcune persone reagissero rifugiandosi nella dimensione religiosa o spirituale, scelta resa più probabile dalla presenza di una diffusa crisi economica. Sebbene gran parte della sociologia abbia individuato proprio nelle condizioni d’incertezza e impotenza uno dei fattori del risveglio dell’istinto religioso, ritengo invece possibile un’altra ipotesi, affascinante e azzardata, e che fa riferimento ad un possibile cambiamento di stato, un passaggio di paradigma che potrebbe essere epocale: dal materiale all’immateriale, dal razionalismo al misticismo. Il risveglio spirituale è piuttosto evidente, a fronte della preannunciata avanzata della secolarizzazione, sia in Occidente che nel resto del mondo, e lavori come la Rivoluzione silenziosa di Inglehart [1983] hanno anticipato in qualche modo questa interpretazione.

    Man mano che la ricerca sui Gruppi di Preghiera si approfondiva, l’idea di una religiosità da incertezza sociale, per così dire, si dimostrava assai poco solida in riferimento a questa specifica realtà: dalle testimonianze emerge come al centro di questo movimento non ci sia l’ansia, ma il rapporto con la trascendenza, che va a confermare uno dei trend più importanti e inaspettati della nostra società: «la voglia di sacro» [Garelli 2011, 14]. Naturalmente, nessuna realtà sociale può essere spiegata da un unico fattore: elementi come l’insicurezza percepita, il decadimento dei punti di riferimento relazionali, la progressiva erosione dell’autorevolezza delle istituzioni sono presenti anche nell’origine dei Gruppi di Preghiera, ma non ne costituiscono il tratto distintivo.

    I Gruppi di Padre Pio più che una reazione allo stato d’insicurezza sociale o l’espressione di una religiosità devozionale, rappresentano un aspetto assai poco indagato dall’analisi sociologica: essi derivano dalla convinzione di una vocazione e si configurano come una risposta a quella che si ritiene una benevolenza divina: di fatto, sono degli ex-voto viventi. Questo caso non si adatta al tradizionale paradigma della secolarizzazione e supera le possibilità esplicative di una visione economicistica del fenomeno religioso.

    La teoria della secolarizzazione afferma che al crescere del livello educativo e dello sviluppo tecnologico di una società diminuisca, di pari passo, il ruolo pubblico della religione. Questa asserzione si è dimostrata sostanzialmente inesatta: un caso eclatante è rappresentato dagli Stati Uniti, dove il fenomeno religioso sta vivendo un vero e proprio risveglio. Houtman e Aupers sono radicali quando affermano «che il declino della partecipazione ai riti proposto dalle chiese istituzionali cristiane si accompagni ad un mutamento verso una visione razionalista-calcolatrice è da considerarsi, senza mezzi termini, un mito» [2006, 53].

    Forse aveva ragione Peter Berger quando affermava che «l’idea secondo la quale viviamo in un mondo secolarizzato è falsa. Il mondo di oggi, con qualche eccezione […] è altrettanto furiosamente religioso di quanto non lo sia stato in passato; e in certi ambienti addirittura di più. Ciò significa che tutta una serie di lavori, catalogati come teorie della secolarizzazione sono essenzialmente errati» [Berger 2001, 15]. Un concetto interessante come secolarizzazione, «usato spesso come arma di offesa più che come criterio analitico, è divenuto sia inefficace che assolutamente inverificabile in fase predittiva» [Abruzzese 2009, 2].

    La scarsa predittività delle teorie della secolarizzazione ha portato all’elaborazione di nuovi e originali sistemi interpretativi, il più noto dei quali è quello della teoria della scelta razionale applicata ai fenomeni religiosi. La formulazione di modelli economici per interpretare i comportamenti religiosi trova origine in un corpo crescente di riscontri empirici che mettono in crisi le tradizionali visioni scientifiche della religione: i ricercatori hanno iniziato a muoversi verso questo nuovo paradigma che delinea ipotesi particolari come quella del rapporto costi-benefici nella scelta religiosa e una possibile dinamica economicistica che viene definita come equilibrio dei mercati religiosi [Warner 1993; Young1997]. Ricerche del genere stanno diventando sempre più comuni e la sperimentazione di questi modelli è stata applicata a diversi tipi di società: da quella medievale in cui la Chiesa Cattolica era monopolista al contemporaneo mercato aperto e competitivo che caratterizza l’America [Ekelund et al.1996; Iannaccone1991].

    La teoria della scelta razionale segna, di fatto, il superamento della secolarizzazione e rappresenta un avanzamento nella stessa analisi sociologica, per due ragioni: perché presuppone che categorie euristiche tipicamente economiche possano essere applicate ai fenomeni delle credenze (e questo diviene un implicito riconoscimento della dimensione razionale del fenomeno religioso); in secondo luogo perché, dopo anni di miti sulla sparizione del sacro, si approccia alla realtà in modo meno ideologico e contribuisce significativamente alla comprensione del fattore religioso nelle società moderne. In realtà, la teoria della scelta razionale applicata ai fenomeni religiosi, peraltro originale e molto interessante, resta parziale³. La svolta di Rodney Stark, forse il più importante esponente di quella corrente, lo testimonia. Nei suoi ultimi lavori Stark [2006; 2008], per spiegare il radicamento del fenomeno religioso nelle società umane, va oltre il paradigma economicistico e tenta una ricerca sull’origine delle religioni, intese come i prodotti di una rivelazione del trascendente: si riapre così uno spazio in cui il fattore religioso e sacrale viene considerato elemento dinamico e autonomo.

    La realtà dei Gruppi di Preghiera ha confermato che il fenomeno religioso pone dei problemi che vanno al di là del rapporto tra costi e benefici: se si applicasse questa logica, la maggior parte dei comportamenti e di atteggiamenti religiosi dovrebbe essere considerata irrazionale, in palese contraddizione con l’esperienza.

    Nel tentare una lettura aggiornata della religiosità, sarebbe forse il caso di recuperare gli insegnamenti della fenomenologia. Il bisogno di trascendente, infatti, si configura come innato e autonomo rispetto al sociale e rappresenta un fattore dinamico che contribuisce al rinnovamento delle strutture sociali stesse. Come vedremo nel corso di questo lavoro, il sistema dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio pone il suo centro in una dimensione strettamente religiosa – la relazione con la trascendenza – e da quella relazione fa derivare una serie di realizzazioni sociali (ad esempio l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza) e di modelli di pensiero forse inattuali, ma non per questo irragionevoli (cfr. cap. 5 e 6).

    Attraverso la negazione dello statuto di razionalità all’universo religioso [Aldridge 2005], la sociologia ha perso di vista le componenti normative della dimensione metafisica e trascendentale, così come le procedure che sono in grado di sviluppare. In questo modo l’intero universo del credere diviene una gigantesca blackbox: le modalità attraverso cui il credere modifica i rapporti sociali, dettando scale di priorità e fissando l’agenda di vita dei credenti, rimane uno sfondo grigio, impenetrabile alla ricerca sociologica.

    Alcuni autori hanno postulato la possibilità di una realtà trascendente attiva e presente nella vita di ognuno. Per Peter Berger questo «comporterà, soprattutto, il recupero da parte nostra di una percezione della realtà che non sia predefinita … Aprendoci ai segni della trascendenza noi riscopriamo le vere proporzioni della nostra esistenza» [1969, 157]. La vita quotidiana, infatti, può essere sottoposta ad eventi tali da mettere in discussione la routine che fonda la normalità; una catastrofe naturale, una guerra, una malattia, la perdita repentina di una posizione sociale, un lutto, hanno il potere di infrangere il velo della «realtà normale» e la finzione s’infrange in mille pezzi: « … nelle vite normalissime esistono momenti in cui la realtà scontata si squarcia improvvisamente, offrendo la vista di una realtà diversa e sconosciuta» [1994, 125].

    L’arte, che ha potere profetico e visionario, ha prodotto la più nota descrizione di questo fenomeno, che si trova nel film-capolavoro Matrix: il mondo del protagonista, Neo, sembra trasformarsi radicalmente e improvvisamente dopo un periodo di distacco dal quotidiano; in quel momento egli prende coscienza del carattere artificioso del reale e del fatto che la stessa realtà è costruita e si esperisce a diversi livelli. Matrix è la metafora perfetta di una realtà a più strati, determinati dai gradi di consapevolezza degli individui. La consapevolezza del Doppelbödigkeit⁴ cui erano interessati i fratelli Wackoski … (ma anche Dante, o Proust, perché no?), è quella realtà ordinaria che è stratificata in più piani. Appare auto-evidente, sicura e salda, ma in realtà non è nulla di tutto ciò. Esiste un’altra realtà, molto più potente, con vari punti di accesso. Una volta che questi punti sono stati intravisti, la vita non può più essere la stessa: «L’intuizione di una realtà al di là del mondo empirico non è un atto di fede. È, per l’esattezza, un’esperienza di realtà definita come qualcosa che esiste indipendentemente dai nostri desideri; la realtà si auto convalida» [Berger 1994, 129].

    Questo genere di consapevolezza emerge solitamente nei punti di rottura, ma può realizzarsi anche in situazioni meno straordinarie, nella banalità di un evento quotidiano: è un cambiamento di stato che interessa la coscienza. Questi eventi hanno la capacità di mettere in dubbio la struttura della vita normale, anche se per qualche istante solamente: le rotture della realtà dischiudono o almeno sottintendono una possibilità trascendente al di là di essa.

    Grazie a queste aperture diviene di nuovo possibile un discorso sociologico aperto e libero dal determinismo razionalista. Quando Stark scrive in vario modo sul «ritorno di Dio» nella storia fa esattamente questo: riafferma una realtà trascendente in grado d’informare la realtà storica. Anche Donati postula l’esistenza di una matrice teologica capace di generare le società: esse altro non sarebbero che configurazioni storiche che, a partire da una peculiare idea di Dio, si sono sviluppate, informando tutto il sistema dei rapporti sociali, il concetto di autorità, la cultura conoscitiva.

    In questa prospettiva il carattere del sociale è dato dalla coppia immanenza/trascendenza, intesa come relazione e non come opposizione o dialettica: «La relazione immanenza/trascendenza è unica tra tutte le distinzioni possibili perché non solamente richiede sempre di eccedersi, ma consiste di questa eccedenza» [Donati 2010, 36]. La relazione immanenza/trascendenza è quella che fonda il codice-guida che permette il riconoscimento simbolico dell’alterità come parte indispensabile di un processo interpretativo della realtà, in primo luogo di quella sociale: «è il dono che crea la relazione perché è il dono, non l’atto di potenza, che è operatore di socialità e socievolezza» [ivi, 38]. In prospettiva sociologica, e della sociologia delle religioni in particolare, la tesi di Donati si pone come una possibilità interpretativa per certi versi rivoluzionaria: «La mia tesi è che, in ambito sociologico… la religiosità sia stata sinora prevalentemente

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