Italian Sword&Sorcery: La via italiana all'heroic fantasy
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Info su questo ebook
Lo studio muove dall’analisi degli elementi costitutivi dello sword and sorcery, dalla disamina dei principali personaggi di heroic fantasy del Maestro di Cross Plains (Conan il Cimmero, Kull di Valusia, Solomon Kane, Bran Mak Morn e James Allison), da una ricognizione nei cicli dell’immaginario nero di Clark Ashton Smith (Hyperborea, Poseidonis, Averoigne e Zothique) e di Thongor di Lemuria di Lin Carter, dalla critica mordace al fenomeno commerciale del grimdark fantasy lanciato da George R.R. Martin e da Joe Abercrombie, per concludere con la presentazione della nuova fantasia eroica mediterranea e dei suoi alfieri.
Il volume contiene anche i saggi di Adriano Monti Buzzetti, Gianfranco de Turris, Mario Polia e Paolo Paron.
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Anteprima del libro
Italian Sword&Sorcery - Francesco La Manno
DISTRUTTORE
FRANCESCO LA MANNO
ITALIAN
SWORD & SORCERY
La via italiana
all’heroic fantasy
A cura di Annarita Guarnieri
Introduzione di Adriano Monti Buzzetti
Con i saggi di Gianfranco de Turris,
Paolo Paron e Mario Polia
Copyright
ISBN: 978-88-943230-6-1
Valusia n.1
Curatrice: Annarita Guarnieri
Illustrazione: Andrea Piparo
Progetto grafico e impaginazione: Mala Spina
Prima edizione dicembre 2018
Copyright (Edizione) ©2018 Italian Sword&Sorcery Books
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali. Nessuna parte di questo ebook può essere riprodotta e diffusa con sistemi elettronici, meccanici o di altro tipo senza l’autorizzazione scritta dell’autore.
Questo libro è un’opera di fantasia. La sua pubblicazione non lede i diritti di terzi. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.
Associazione Culturale Italian Sword&Sorcery
Via Lanza, 40
15033 – Casale Monferrato (AL)
C.F. 91033550061
Cell. 3384480217
https://hyperborea.live/negozio/
Email: francescolamanno@hotmail.it
NOTA DELLA CURATRICE
ANNARITA GUARNIERI
Si dice che la storia tenda a ripetersi, e nel mio piccolo devo dire che è vero.
Trentasei anni fa, proprio di questi tempi, cominciavo la mia carriera come traduttrice e curatrice per La Frontiera Edizioni e adesso mi è stato chiesto di indossare di nuovo tale veste da Francesco La Manno per questo suo volume.
Me ne sono sentita onorata perché conosco Francesco da alcuni anni ed è una persona che stimo moltissimo, sia per l’estrema professionalità che impronta la sua attività editoriale – cosa rara in quest’epoca di editori improvvisati – sia per il suo talento di saggista e per il bagaglio culturale e il certosino lavoro di ricerca che sono alla base di ogni suo scritto. Per quanto già ne sapessi in materia, ho imparato molto leggendo i suoi saggi.
Se a questo si aggiunge la mia passione per il fantasy in generale e per l’heroic fantasy in particolare, appare chiaro che curare ed editare quest’opera è stato per me un grande piacere, oltre che un onore.
Nella mia lunga – ahimè, evitiamo di contare gli anni – carriera ho lavorato con molti editori e professionisti del settore e Francesco, oltre a essere un caro amico, rientra di sicuro in entrambe le vesti in quel gotha dei pochissimi con cui collaborare è stata un’avventura entusiasmante.
Grazie, Francesco.
INTRODUZIONE
ADRIANO MONTI BUZZETTI
Ammettiamo per un momento che avesse ragione Jacques Bergier, e che il Fantastico - quasi fosse un distillato o una sorta di trasmutazione alchemica - promani dalla nostra stessa percezione del reale, purificata però dalle molte scorie che ne offuscano la visione profonda: i pregiudizi della più prosaica esperienza sensoriale, un certo vieto positivismo à la carte ed anche le miopie di un rigido scientismo d’accatto più spesso subito che effettivamente compreso dalle masse tuttologhe del nuovo millennio telematico. Realtà aumentata
, dunque: non nell’accezione tecnologica e digitale che oggi si dà a tale termine, ma in una prospettiva ideale e, perché no?, spirituale, in cui il dato letterario venga sublimato per aprire la percezione umana a più vasti orizzonti della vita e dell’esperienza. Ciò vale in modo particolare per ciò che Italo Calvino definiva il fantastico visionario
, ed ancor più specificamente per la fantasia eroica, erede diretta di quell’ancestrale impulso a decorare con parole e canti l’ardimentosa lotta contro l’ignoto che accomuna il vissuto di tutti i popoli e di tutte le culture, da Omero ai poemi Itihāsa dell’antica India passando per l’epica carolingia ed arturiana e quella cinese del re-scimmia Sun Wukong, e più lontano ancora, fino a perdersi nell’ordito di un titanico ed inestricabile arazzo mitopoietico. Volendo prendere per buono l’assunto dello scrittore francese, appare subito evidente come il ricchissimo e praticamente unico (quantomeno nella capacità di coniugare tante suggestioni diverse nell’armonica eterogeneità di un medesimo crogiuolo identitario) sostrato etnico-culturale, leggendario, storico ed antropologico dell’Italia reale
si candidi da sempre come una delle più pregiate materie prime disponibili in natura per compiere questa complessa ed intrigante operazione. La nostra nazione è a tutti gli effetti il trampolino ottimale dal quale, parafrasando il lessico kierkegaardiano, si può spiccare il salto
per superare la distanza tra il mondo come è, era o sarà
e il mondo come dovrebbe essere per ambientarvi un buon racconto
, secondo la nota e sempre gustosa semplificazione dell’heroic fantasy coniata da Lyon Sprague de Camp. Da questo punto di vista, per le indagini della cosiddetta narrativa di genere, il Belpaese rappresenta una miniera pressoché inesauribile ed ancora relativamente poco sfruttata, in grado di controbilanciare con la ricchezza e forza evocativa della sua tradizione una modalità di racconto finora a trazione prevalentemente nordica quanto a richiami ed atmosfere. Candidata d’elezione al compito di plasmare creativamente questa pregiata materia prima è - o dovrebbe essere - anzitutto la variegata platea degli autori nostrani, potenzialmente in grado di interpretare al meglio, con una sensibilità che potremmo quasi azzardarci a definire genetica
- la vivente geografia dell’immaginario che innerva da nord a sud la nostra penisola, senza svilirla con le descrizioni piatte e slavate che troppo spesso hanno definito le incursioni di tanti scrittori contemporanei d’Oltreoceano nel parlare di cose italiche. Al netto di quell’isolata concessione all’esterofilia che per esigenze di marketing ne caratterizza il nome, l’Associazione Culturale Italian Sword & Sorcery prende le mosse proprio da queste considerazioni di fondo per proporre una via italiana
con cui definire il rilancio di un nuovo epos fantastico per il 21.mo secolo. Una visione letteraria vocata a dare nuovi stimoli ad interpreti vecchi e nuovi del sense of wonder, ricomponendo a piacere con l’ineffabile collante dell’exploit ultramondano le tessere di un immenso mosaico di eventi, luoghi, personaggi e leggende che va dalla classicità greco-romana al Rinascimento ed oltre. Il tutto utilizzando come scenario e come sorgente d’ispirazione il bacino del Mediterraneo e in modo specifico l’Italia: luoghi della mente e del cuore, capaci di accendere la fantasia almeno quanto il portato folclorico e leggendario dell’Europa settentrionale. Non è del resto un mistero che la narrativa codificata dal mondo anglosassone come speculative fiction vanti nel nostro Paese tradizioni millenarie e soprattutto legioni di nobilissimi precursori. L’elenco è sterminato e va da giganti letterari del calibro di Ovidio, Virgilio, Dante, Ariosto e Tasso fino ad autori dalla notorietà più circoscritta, i cui lavori rivelano tuttavia livelli crescenti di consapevolezza dell’ingrediente fantastico e della sua dirompente sapidità. Tra queste piccole gemme misconosciute vale la pena citare a titolo di esempio alcune storie dell’Hypnerotomachia Poliphili attribuito all’umanista Francesco Colonna ed il seicentesco Cunto de li Cunti di Giovan Battista Basile, apprezzato e tradotto da Benedetto Croce ma soprattutto riconosciuto anche all’estero come uno dei grandi precursori della letteratura fiabesca europea. Molto dopo di loro arrivarono le penne girovaghe del Grand Tour, legioni di letterati europei che come Andersen e Walpole metabolizzarono le magie visibili e invisibili dello Stivale, e che proprio sulle fondamenta di quell’hortus deliciarum che così generosamente si concedeva al loro talento di narratori seppero costruire un modo rinnovato di descrivere l’Altrove immanente dentro e fuori di noi.
Tutto questo è il passato. Nell’immemore palude del nostro eterno presente
, schiacciato su stereotipi ideologici che ripetono come un mantra la necessità di archiviare ad ogni costo l’esecrato concetto del limen - quel Confine un tempo sacro ai Romani, che ha separato popoli e territori ma anche contribuito a definire, tipicizzandole, la meravigliosa varietà delle culture - opponendo ad esso le stanche liturgie di un globalismo amorfo e sterile, recuperare la propria specificità ed usarla come veliero per solcare le interminate e rocambolesche declinazioni del concetto di saga è come un balsamo per l’anima. Il saggio di Francesco La Manno ci aiuta a ricordare come tali percorsi non si collochino nel solco di futili escapismi o fanciullesche divagazioni. Al contrario, essi reclamano una volta per tutte una statura letteraria adulta
, forti ormai di una robusta ossatura critica che li promuove epigoni a pieno diritto di un patrimonio simbolico ed archetipico così radicato nella nostra coscienza collettiva da perdersi nella notte di tempi, nell’esperienza ancestrale e quasi sciamanica di quelle prime comunità umane che inventavano mondi nell’informe oscurità oltre il perimetro dei propri falò.
Va da sé che pensando all’immane divario con i colossi editoriali anglofoni, o alla presa che oggi hanno sul pubblico nuove forme anodine di narrazione pseudofantastica dilavata in turbamenti adolescenziali, orge di sangue o insulse melasse sentimental-erotiche, su un piano meramente commerciale la tenzone potrà apparire votata ad una sconfitta senza rimedio, almeno nel breve periodo. In questa prospettiva i tentativi di riconfigurare a dimensione nostrana le grammatiche del Fantastico potranno dunque apparire a taluni spiriti magni
inutili, velleitari e persino donchisciotteschi. Valga per costoro il suggerimento che arriva non da un imbrattacarte ma da un uomo di scienza, tale Albert Einstein: Chi dice che una cosa è impossibile, non dovrebbe disturbare chi la sta facendo
.
PER UNA FANTASIA EROICA ITALIANA
GIANFRANCO DE TURRIS
Sin da quando la fantasia eroica
(heroic fantasy, L. Sprague de Camp) o spada e stregoneria
o magia
(sword and sorcery, Fritz Leiber) venne tradotta non saltuariamente in Italia, ho sempre sostenuto una tesi. Occorre però prima fare un passo indietro di almeno dieci anni considerando che i primi a parlare di questo filone fummo io e Sebastiano Fusco quando, approfittando di una collaborazione alla enciclopedia Arcana in due volumi pubblicata dalla Sugar di Massimo Pini, approfittammo per redigere una breve storia di questo neologismo, Fantasia eroica appunto, di cui in Italia non si sapeva nulla, che affiancammo alla voci Tolkien (tradotto parzialmente solo due anni prima), Lovecraft e molte altre che offrivano così ai lettori non troppo esperti un panorama quasi completo e quasi inedito di una materia che stava cercando di affermarsi nel nostro Paese. Il volumone – è bene ricordarlo - uscì mezzo secolo fa, nel 1969, e la proposta di collaborare alla iniziativa nacque probabilmente intorno al 1967 quando andai a Miano nella sede della Sugar forse per parlare delle loro pessime edizioni di Lovecraft (Le montagne della follia, 1966, e La casa delle streghe, 1967).
Dunque, alla fine degli anni Settanta – inizio anni Ottanta del XX secolo, il genere fantastico si era ormai affiancato a quello propriamente fantascientifico fino ad allora dominante, non solo per il successo strepitoso de Il Signore degli Anelli (Rusconi, 1970) e de Lo Hobbit (Adelphi, 1973), ma soprattutto con due collane popolari della Nord, la casa editrice creata dal compianto Gianfranco Viviani che diffuse la science fiction in libreria: prima e in parte con Arcano (1971-1973, 9 volumi, curata da Riccardo Valla e Renato Prinzhofer), poi con la Fantacollana (1973-2008, 208 volumi, curata inizialmente da Valla-Prinzhoer, quindi da Sandro Pergameno e infine da Alex Voglino sino al 2002, quando cominciò a declinare fino alla acquisizione della Nord da parte della Longanesi), che imposero definitivamente il genere e influenzarono anche altri editori, facendo conoscere così con regolarità scrittori fra loro assai diversi ma tutti inseribili in questo genere letterario: da Howard a Moorcock, ai citati de Camp e Leiber e innumerevoli altri, soprattutto gli autori che potremmo definire post-tolkieniani.
Nel 1980 si aggiunse a sollecitare il lettore/narratore italiano anche il Premio Tolkien, promosso dall’editore Solfanelli dal 1980 al 1992, che si rivolgeva al fantastico in genere, indipendentemente dall’autorevole nome cui era dedicato, e che come risultato ebbe due serie di antologie, Le Ali della Fantasia per i racconti (1981-1988, 7 volumi), Immaginaria per i romanzi brevi (1986-1988, 2 volumi) e altre collaterali con storie scelte tra le centinaia giunte al concorso, non scelte fra i dieci finalisti, ma sostanzialmente buone e pubblicabili (ad esempio una antologia, credo la prima in Italia, di scrittrici fantasy: L’altra faccia della luna, 1986).
La tesi che sostenevo in articoli e nelle introduzioni a queste raccolte era allo stesso tempo semplicissima e provocatoria per quei tempi condizionati dalla narrativa di lingua inglese, in sostanza l’unica pubblicata da noi (e infatti a una convention di fantascienza, svoltasi a Courmayeur, venni accusato di… nazionalismo
!). Non si vedeva il motivo per cui gli autori italiani che volevano scrivere di fantasia eroica dovessero ambientare quasi obbligatoriamente le loro trame in paesi esotici, del passato, del futuro o di un tempo immaginario, in luoghi inventati o anche reali di tutti i tipi, ispirandosi soprattutto a Tolkien e Howard, eccetto che in Italia. Il nostro Paese, scrivevo in quel periodo, non ha nulla da invidiare a nessuno: i suoi miti, le sue leggende, il suo folclore, le sue favole sono tali da costituire delle meravigliose fonti d’ispirazione per gli autori di heroic fantasy. Non solo, ma anche la storia, quella vera, lo è, basta andare a scegliere momenti e personaggi adatti. Non si capiva perché, ad esempio, l’Italia barbarico-medievale è stata fonte d’ispirazione degli autori inglesi del Settecento e dell’Ottocento, che hanno in tal modo inventato
il romanzo gotico
fantasticando su luoghi e su personaggi addirittura in Puglia e in Sicilia, e non lo poteva essere per i giovani autori italiani di fine Novecento.
In più sollecitavo anche un’originalità stilistica che non imitasse per pigrizia o assuefazione il modo di scrivere dei più famosi nomi d’importazione. E, per dimostrare che tutto ciò era possibile, cominciai a pubblicare racconti italiani di questo tipo inizialmente come conclusione delle antologie tradotte per la collana Enciclopedia della Fantascienza edita da Fanucci: in particolare in Heroic Fantasy (1979), che riuniva due volumi curati da Lin Carter, aggiunsi una appendice intitolata Italian SAGA che riprendeva il nome dell’associazione americana degli scrittori specializzati nel genere, che cercava di rintracciare i precursori
italiani e che riuniva per la prima volta storie di questo tipo di Cersosimo, De Pascalis, Pandolfi e Zuddas, chiudendo con un fondamentale saggio di Alex Voglino, Le radici della fantasia eroica. Trascorsi un paio d’anni, in Maghi e guerrieri (1981), che riuniva ancora due antologie di Lin Carter, in un’altra appendice intitolata Nuove saghe italiane riunii storie di Bologna, Petruccioli, Pizzorno, Prosperi e il saggio Temi e strutture della fantasia eroica di Giorgio Giorgi.
Probabilmente da qui è iniziato tutto…
Poco dopo misi su un’antologia di romanzi brevi che chiesi appositamente a sei autori italiani, già sperimentati o esordienti: Cersosimo, Voglino, Zuddas, De Pascalis, Morganti e Pizzorno. Sei modi diversi di affrontare quella narrativa. Apparve alla fine divisa in due volumi: Le spade di Ausonia e I guerrieri di Ausonia (Akropolis, 1982): un titolo a metà di stile americano e a metà di stile italico, ma che forse fu la prima che metteva in campo una heroic fantasy all’italiana
. Stiamo parlando di 40, 38 e 37 anni fa, quando avevo appena concluso malamente la mia decennale e positiva collaborazione con Fanucci e cercavo altre strade che non mi ponessero ostacoli formali e interpretativi come era purtroppo improvvisamente avvenuto, per motivi per nulla chiari, con l’editore romano consigliato, ritenni allora e ritengo ancora oggi, da personaggi interessati a prendere il mio posto ancorché tanto presuntuosi quanto incompetenti. Onore quindi a quei sei (dieci) iniziatori di una heroic fantasy tutta nostra che con la loro immaginazione affrontarono una terra (ancora parzialmente) ignota.
A forza di insistere si sono ottenuti buoni, anzi ottimi, risultati: tanto per fare un nome tra i primi, Gianluigi Zuddas con il ciclo delle Amazzoni ambientato in un Mediterraneo mitico, sviluppato in vari romanzi (ora riediti da Solfanelli), il primo dei quali, Amazon, uscì nel 1978 sul mensile Galassia, pur avendolo letto e apprezzato personalmente anni prima, ma che non potei pubblicare non volendo Fanucci opere italiane nelle collane che gli curavamo (saltò anche un volume di racconti di Riccardo Leveghi, nonostante fosse stato annunciato…).
Poi il nostro fantastico è quasi totalmente caduto nell’oblio per la crisi dell’editoria di genere tra gli anni Novanta e Duemila. O meglio: la crisi del genere fantastico e fantascientifico, perché nel giallo, nello spionistico, nel noir, nel thriller gli autori italiani hanno proliferato e dilagato, attirando, data la concreta possibilità di essere pubblicati, anche validi autori di fantasy e science fiction che, per così dire riciclandosi, si sono comunque fatti valere (penso a Prosperi, De Pascalis, Verde e Passaro). Inoltre, la mancanza di riviste tradizionali, assenti da molto tempo dalle edicole, non ha contribuito alla sua sopravvivenza, e le rarissime eccezioni esistenti hanno lasciato poco spazio ai nostri scrittori, a parte Robot e Dimensione Cosmica (che però in edicola non vanno) che una certa attenzione la possiedono. Certo, c’è la Rete, ma per me non è qualificante soprattutto perché non effettua una vera selezione. Essendo pura anarchia, tutti pubblicano o auto-pubblicano tutto.
In questa situazione poco allegra però qualcosa di nuovo cerca di riemergere, dato che la passione per il fantastico, per la heroic fantasy continua, fosse solo a livello individuale, e magari anche in antologie collettanee e tematiche, si riescono a identificare autori nuovi con qualità di idee e di stile, soprattutto il secondo – lo dico da sempre, anche se qualcuno potrà non essere d’accordo – è quello che serve come solida base di partenza. Scrivere una trama rutilante ma sciatta lo sanno fare tutti.
FRANCESCO LA MANNO
ITALIAN
SWORD & SORCERY
La via italiana
all’heroic fantasy
1
L’OBIETTIVO DI ITALIAN SWORD&SORCERY
Coloro che ci seguono sono a conoscenza del fatto che ormai da anni ci occupiamo di diffondere lo sword and sorcery¹ mediante interviste, saggi, recensioni, articoli, racconti e romanzi. Hyperborea², il nostro sito web viene aggiornato quotidianamente e vede la partecipazione di importanti studiosi e scrittori non solo italiani ma anche stranieri come Howard Andrew Jones e Seth Lindberg.
L’obiettivo che si siamo prefissi è quello di proseguire il movimento letterario nato quasi un secolo or sono dalla penna di Robert E. Howard³, antesignano dello sword and sorcery e ideatore di personaggi immortali come Conan il Cimmero, Kull di Valusia, Solomon Kane e James Allison, e da quella di Clark Ashton Smith⁴, Henry Kuttner, C.L. Moore e Norvell W. Page, che ebbero grande successo sulle riviste pulp dell’epoca come Weird Tales e Unknown Worlds.
Occorre considerare che dopo la Seconda Guerra Mondiale c’è stata una battuta d’arresto a causa della chiusura di quelle riviste, ma tra gli anni ’60 e ’80 l’heroic fantasy è tornato in auge in America soprattutto grazie allo Swordsmen and Sorcerers’ Guild of America (SAGA), un’associazione di scrittori fondata da Lin Carter, Lyon Sprague de Camp e John Jakes, i quali volevano riportare alla luce questo genere letterario; dal 1973 al 1981, sono state infatti pubblicate cinque antologie con la Ballantine Adult Fantasy.
Altre importanti raccolte di sword and sorcery sono state pubblicate tra il 1977 e il 1979 da Andrew J. Offutt con il titolo di Swords Against Darkness (Zebra Books) e hanno visto partecipare autori del calibro di Poul Anderson, David Drake, Ramsey Campbell, Andre Norton e Manly Wade Wellman.
In questo periodo storico sono state pubblicate opere fondamentali come la saga di Kane⁵, di Karl Edward Wagner; il ciclo di Elric di Melniboné⁶, di Michael Moorcock; le Cronache di Ambra⁷ di Roger Zelazny e le storie di Imaro, di Charles Saunders (ancora inedite in Italia).
Dagli anni ’80 in avanti, lo sword and sorcery ha nuovamente perso terreno, dato che il pubblico ha cominciato a prediligere l’high fantasy. Nonostante ciò, alcuni scrittori hanno continuato a pubblicare libri di questo genere, ottenendo un grande successo. Tra essi spiccano David Gemmell con la saga dei Drenai⁸, delle Sipstrassi⁹, dei Rigante¹⁰ e quella sulla guerra di Troia¹¹; Harry Turtledove con i cicli di Videssos¹² e Glenn Cook con The Black Company (mai tradotta in italiano).
Volgendo lo sguardo al nostro Paese, dobbiamo rilevare che vi è stato un movimento analogo a quello americano, che ha raggiunto l’interesse del pubblico per la qualità delle opere prodotte ed è riuscito anche a suscitare l’interesse dei critici d’oltreoceano. Si tratta dell’Italian SAGA, la cui prima apparizione risale al 1979, con la pubblicazione per Fanucci di Heroic Fantasy¹³, un’antologia di racconti di sword and sorcery curata da Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco in cui, accanto agli autori americani più famosi, apparivano le storie di Adalberto Cersosimo, Luigi de Pascalis, Massimo Pandolfi e Gianluigi Zuddas. A esse ne sono seguite altre che hanno visto la partecipazione tra gli scrittori di Franco Forte, Donato Altomare, Mariangela Cerrino, Enzo Conti, Adalberto Cersosimo, Tullio Bologna, Adolfo Morganti e tra i saggisti Giuseppe Lippi, Domenico Cammarota e Alex Voglino.
Questo movimento è andato scemando negli anni e oggi purtroppo le pubblicazioni di sword and sorcery latitano. Tra i pochi autori che continuano a scrivere libri di questo genere vi sono Andrzej Sapkowski con la sua saga di The Witcher¹⁴, Howard Andrew Jones con The Chronicles of Sword and Sand (inedito in Italia) e Ahmed Saladin con Il Trono della Luna Crescente¹⁵. Mentre l’opera di divulgazione viene svolta da siti e blog come Black Gate¹⁶.
A ben vedere, sul mercato odierno dominano altri sottogeneri del fantasy come l’urban fantasy, lo young adult, il paranormal romance, l’high fantasy e, ultimamente, il grimdark fantasy. Attraendo il pubblico adulto, quest’ultimo è andato a sostituire lo sword and sorcery, senza tuttavia esserne all’altezza. Peraltro, non si può inoltre non evidenziare che spesso molteplici romanzi pubblicati sotto l’etichetta di fantasy storico in realtà non hanno alcun elemento fantastico e sono destinati solo a essere una mera operazione commerciale.
Ora, tenendo presente quanto dianzi affermato, la situazione non è rosea. Tuttavia crediamo fortemente che lo sword and sorcery non sia morto e che meriti maggiore attenzione da