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SK - Assassini Seriali: Un saggio-inchiesta di Liana Fadda
SK - Assassini Seriali: Un saggio-inchiesta di Liana Fadda
SK - Assassini Seriali: Un saggio-inchiesta di Liana Fadda
E-book355 pagine24 ore

SK - Assassini Seriali: Un saggio-inchiesta di Liana Fadda

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Info su questo ebook

Cosa vedono che noi non vediamo, cosa sentono nell’antro buio della loro mente i serial killer, quando la lama infligge nelle carni il supplizio e l’orrore? Forse il richiamo di una notte che non è mai trascorsa, dove vita e morte, umanità e bestialità, piacere e dolore stanno ancora tutte dentro un bozzolo informe.Psicologia, sociologia e criminologia da anni dibattono alla ricerca di una spiegazione. Ma la causa ultima dei delitti seriali pare non del tutto afferrabile per la scienza. Rimanda al mistero. O a un dubbio raccapricciante, insostenibile per la nostra ragione. Che il serial killer sia un male necessario. Il mostro che assorbe l’orribile dell’umano, ogni residuo di ancestrale animalità che, da quella notte, ancora alberga nei recessi più profondi dell’uomo. Quando un essere, addormentatosi belva, si risvegliò che era uomo.
Un libro sconvolgente basato su fatti reali che racconta l’insostenibile verità sui più efferati crimini seriali.
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2014
ISBN9788868170059
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    SK - Assassini Seriali - Liana Fadda

    SK - Assassini Seriali

    Saggio Inchiesta di 

    Liana Fadda

    Prefazione a cura di

    Luca Sardella

    Editing e impaginazione:

    R. D. Hastur

    Copertina: Eclypsed Word Studio

    ISBN: 978-88-6817-005-9

    Prodotto e pubblicato da:

    etichetta di:

    CEFAC&ARTS Società Cooperativa

    Via Pezzana, 24 – 41012 CARPI (MO)

    Tel. +39 059654977 – Fax +39 059 4905902 – 059 683424

    Cod. Fisc. / Partita IVA 03447770367

    ©2008 Buca18 S.r.l., Bergamo

    ISBN 978-88-96018-16-3

    ©2014 Eclypsed Word, CEFAC&ARTS

    Tutti i diritti riservati in tutti i Paesi

    Nota di edizione: il testo contiene immagini e formattazione che potrebbe essere alterata dalle personalizzazioni del lettore. Per assicurare una perfetta esperienza di lettura, sconsigliamo di cambiare font e dimensione dei caratteri.

    Dedico questo libro

    a Ester, mia sorella.

    "Oggi vorrei che l’aria mi si posasse addosso come un peso di luce.

    Adagiato sull’erba, come in una campana di sole, riposerei immemore"

    ALFREDO PASSAVANTI

    Indice

    SK - Assassini Seriali

    PREFAZIONE di Luca Sardella

    Introduzione

    TEORIA E STORIA DEI SERIAL KILLER

    SERIAL KILLER IN SOLITARIA

    SERIAL KILLER IN COPPIA

    CONFESSIONI INEDITE DI DONATO BILANCIA

    Ringraziamenti

     PREFAZIONE di Luca Sardella

    Cosa vedono che noi non vediamo, cosa sentono nell’antro buio della mente i serial killer, quando la loro lama infligge nelle carni il supplizio e l’orrore?

    Forse il richiamo di una notte che non è mai trascorsa, dove vita e morte, umanità e bestialità, piacere e dolore stanno ancora tutte dentro un bozzolo informe. Psicologia, sociologia e criminologia da anni dibattono alla ricerca di una spiegazione.

    Ma la causa ultima dei delitti seriali pare non del tutto afferrabile per la scienza. Rimanda al mistero. Oppure a un dubbio raccapricciante, insostenibile per la nostra ragione. Che il serial killer sia un male necessario. Il mostro che assorbe l’orribile dell’umano, ogni residuo di ancestrale animalità che da quella notte ancora alberga nei recessi più profondi dell’uomo. Quando un essere, addormentatosi belva, si risvegliò che era uomo.

    Forse è molto più sottile di quanto si creda la linea posta a tracciare il confine tra l’umano e il non-umano, tra il buio degli istinti primordiali e la luce della ragione.

    Cosa spinge l’uomo civilizzato e compassionevole ad accostarsi con interesse, spesso morboso, alle gesta degli assassini seriali? Solo il bisogno di esorcizzare la morte, di vederla nella sua rappresentazione più truce, sapendo di averla beffata ancora una volta? Il bestiale che richiama l’umano, fratelli divisi solo dallo scorrere di una notte… per alcuni di loro non è mai arrivata

    l’alba dell’umanità. Eppure in apparenza sono come noi.

    Vivono e dormono alla porta accanto, ci salutano sugli autobus, nei negozi, negli uffici, eppure sono i testimoni muti dell’orribile che irrompe nel quotidiano.

    Ogni epoca ha il suo serial killer che assurge a divo della morte. Studiato, braccato, talora idolatrato, non di rado imitato da chi ne assumerà l’eredità. E dentro ogni tempo c’è un male oscuro che dorme nell’anima degli uomini. Che può svegliarsi di colpo e avvertire l’irresistibile seduzione del sangue.

     Introduzione

    Elizabeth Báthory la Contessa sanguinaria, Jack the Ripper Jack lo Squartatore, H.H. Holmes il Dottor Morte

    Ammettiamolo: i serial killer ci incuriosiscono ed esercitano su di noi, in qualche modo, un fascino oscuro. Siamo attratti dalla cronaca nera, dal sangue, dalle torture, ma soprattutto dai carnefici.

    Il male, quando avviene in casa altrui, ci sgomenta, ma ci attira anche irresistibilmente.

    È la seduzione del noir, di ciò che è aberrante, mostruoso, titanico.

    La curiosità morbosa si concentra avidamente sull’assassino, perché – inutile negarlo – chi uccide, vince: il forte è colui che infligge la morte, non chi la subisce. E della vittima, ben presto, non si ricorda più nessuno. Malgrado i serial killer incutano generalmente orrore e repulsione, succede regolarmente che ricevano lettere da parte di ammiratori, che alcune donne s’innamorino di loro, e che diventino i protagonisti di film dedicati alle loro macabre imprese.

    La morte, bisogna ammetterlo, fa spettacolo. Ma sono soprattutto gli assassini a fare audience. I grandi processi attirano folle di curiosi disposti ad attendere per ore pur di accaparrarsi un posto

    in prima fila. Esistono addirittura collezionisti di carte, fumetti e figurine ispirati alla cronaca nera. Gli appassionati più incalliti pagherebbero fior di quattrini per un macabro souvenir: una ciocca di capelli di Albert Fish, il vampiro di Brooklyn, o per un autografo di Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee.

    Allora è legittimo domandarsi: cosa c’è alla base di questa attenzione particolare alla violenza e all’omicidio?

    Secondo Vittorino Andreoli, psichiatra e criminologo, sono vari gli aspetti che vanno tenuti in considerazione:

    «Uno profondissimo, il fatto che in mezzo c’è la morte. E la morte è uno dei grandi temi di cui questa società ha una fifa tremenda. Dunque la vive spettacolarizzandola. L’accetta come morte-spettacolo. Pensiamoci. La morte ci fa una paura assoluta: dolore fisico, agonia, funerali, la bara che si chiude, l’interramento… a questa morte nessuno vuole pensare. Con i delitti-show sublimiamo la morte. La trasformiamo in spettacolo».

    Non c’è da meravigliarsi, dunque, se già nel 1895 gli abitanti di Chicago fecero la fila in strada per visitare il Museo dell’omicidio inaugurato da un lungimirante impresario di spettacoli che dedicò

    la mostra alla ricostruzione dei delitti del dottor H.H. Holmes, il primo serial killer d’America, con tanto di macabri e raccapriccianti particolari.

    Harold Schechter, studioso di true crime e di serial killer, e David Everitt, autore di Human Monster, un’enciclopedia che offre un profilo psicologico degli assassini più famosi del mondo,

    ritengono che:

    «Raccontare storie, scambiare battute o guardare film che parlano di cose tremende rappresenta anche un metodo per sopportarle».

    In questo senso, la passione per il cruento non sarebbe di per sé malsana, ma si rivelerebbe piuttosto come una pratica per esorcizzare, in qualche modo, il male.

    Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, sostiene invece che:

    «Tutti gli uomini in fondo all’anima sono assassini – poi aggiunge – Se i desideri fossero cavalli, tirerebbero i carri funebri dei nostri più cari amici e dei nostri parenti più stretti».

    L’idea dell’omicidio quindi fa parte dei desideri più reconditi dell’uomo, anche se questo non giustifica assolutamente coloro che la concretizzano.

    Vi è poi un altro aspetto che merita di essere considerato: uccidendo, gli assassini seriali esercitano il potere di vita e di morte sulle persone, potere che la coscienza collettiva nega al genere umano, che lo Stato nega all’individuo e che la Chiesa attribuisce solo a Dio.

    E poi, soprattutto, i serial killer incarnano perfettamente il mistero del male: quasi sempre sono persone apparentemente normali, eppure celano un cuore e una mente di mostri. Fanno scempio

    feroce dei loro simili o con una premeditazione accurata o con un’esplosione improvvisa, torturano e uccidono bestialmente spinti da un impulso incontenibile, seguendo spesso dei rituali tanto

    precisi quanto deliranti, come nessun altro animale può fare.

    La lucida follia è in effetti una tragica prerogativa della specie umana.

    In questo volume non ci occuperemo, naturalmente, di tutti gli assassini seriali catalogati nella storia del crimine – ben altro spazio e impegno richiederebbe un obiettivo simile – ci limiteremo invece

    a presentarne una rassegna significativa e rappresentativa dei principali moventi e comportamenti criminali.

     PARTE PRIMA

    TEORIA E STORIA DEI SERIAL KILLER

    ORIGINE E SIGNIFICATO DEL TERMINE

    Il termine serial killer (assassino seriale) non è facile da definire.

    La parola killer (dall'inglese to kill, uccidere) designa l’assassino, colui che priva un altro essere umano della sua vita. Con l’andare del tempo il termine killer ha perso il suo significato originario, assumendone uno nuovo e diverso: sicario, uomo di mafia, assassino prezzolato, ovvero colui che per professione, su mandato altrui e dietro compenso, esercita il mestiere di omicida.

    Il sicario, tuttavia, non può essere definito un serial killer.

    Ciò che li accomuna è senz’altro l’atto abominevole di cancellare l’esistenza altrui anche se il modus operandi, le pulsioni e i vissuti interiori degli assassini seriali si differenziano notevolmente

    da quelli degli assassini prezzolati.

    Il termine sicario deriva dal latino sica, che indica un pugnale appuntito e curvo usato prevalentemente dal popolo dei Traci, che gli antichi romani consideravano come dei briganti mercenari. Il sicario è l’esecutore materiale di un omicidio, tipicamente perpetrato dietro incarico di un mandante e per denaro. Può compiere più omicidi in uno stesso momento (pluriomicida) o in tempi successivi (recidivo), difficilmente però le sue vittime sono casuali, così come raramente presenta nei tratti della sua personalità il macabro binomio sesso-morte che invece costituisce una costante per il serial killer.

    L’elemento fondamentale è questo: per il sicario l’omicidio non è la fonte primaria di gratificazione sessuale.

    Secondo il criterio stabilito dall’FBI, per serial killer s’intende un soggetto che uccide più volte, persone a lui sconosciute (non meno di tre), senza apparente motivo e con crudeltà inaudita. Agisce in luoghi diversi e in tempi lunghi alternati da un periodo di raffreddamento psicologico fra gli omicidi e, spesso, lascia sul luogo del ritrovamento del cadavere una firma simbolica per marcare la propria opera delittuosa.

    La definizione di assassino seriale coniata dall’FBI è senz’altro la più accreditata, anche se, a ben vedere, è opinabile per almeno cinque buone ragioni:

    Non tutti i serial killer commettono i loro omicidi in un luogo diverso. Le oltre trenta vittime di John Wayne Gacy, il clown killer, per esempio, sono state tutte torturate e uccise nello scantinato della sua abitazione.

    Non è raro che i sicari della mala commettano più di tre omicidi separati a lunga distanza l’uno dall’altro, eppure non possono essere classificati come serial killer.

    Se un famigerato assassino seriale come Jack lo Squartatore fosse stato catturato al secondo omicidio, in quale categoria di criminali bisognerebbe collocarlo?

    Non sono rari gli assassini seriali compiuti da persone che agiscono in coppia.

    Non sempre il cosiddetto periodo di raffreddamento, il cooling off, è necessariamente un tempo lungo. Donato Bilancia il più prolifico serial killer della storia criminale italiana vanta il maggior numero di omicidi commessi nel minor tempo: 17 persone in meno di 6 mesi, tra il 1997 e il 1998.

    Come si è visto, non è semplice definire l’assassino seriale. Il National Institute of Justice, emanazione del Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti, ci ha provato ampliando la definizione precedentemente coniata dall’FBI e il risultato appare migliore:

    «Una serie di due o più omicidi, commessi come eventi separati, solitamente (ma non sempre) da un autore che agisce da solo. I delitti possono avvenire in un periodo di tempo che va da ore ad anni. Molto spesso il movente è psicologico e il comportamento del trasgressore e le prove materiali raccolte sulla scena del crimine rivelano implicazioni di natura sadico-sessuale».

    Anche Ruben De Luca ha cercato di proporre una definizione più ampia di quella coniata dall’FBI:

    «L’assassino seriale è un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni omicidiarie separate tra loro nello stesso luogo, oppure esercita un qualche tipo di influenza psicologica affinché altre persone commettano azioni omicidiarie al suo posto. Per parlare di assassino seriale, è necessario che il soggetto mostri una chiara volontà di uccidere, anche se poi gli omicidi non si compiono e le vittime sopravvivono: l’elemento centrale è la ripetitività dell’azione omicidiaria. L’intervallo che separa le azioni omicidiarie può andare da qualche ora a interi anni e le vittime coinvolte in ogni singolo episodio possono essere più di una. L’assassino seriale agisce preferibilmente da solo, ma può agire anche in coppia o come membro di un gruppo. Le motivazioni sono varie, ma c’è sempre una componente psicologica interna al soggetto che lo spinge al comportamento micidiale ripetitivo»

    R. De Luca,

    Anatomia del serial killer,

    Giuffrè, Milano, 2002

    De Luca, dunque, propone di abbassare il numero delle vittime e di portarle a un minimo di due

    due o più azioni omicidiarie

    e, come viene detto sopra nella citazione, si concentra quasi più sull’intenzione dell’assassino seriale che sull’effettiva messa in pratica dell’azione delittuosa: non ha tutti i torti… solo che, se l’intenzione resta tale e non si concretizza nella realtà, non è perseguibile per la legge.

    LE CARATTERISTICHE DEL SERIAL KILLER

    Il serial killer è generalmente un uomo di razza bianca, di 27 anni al momento del suo primo delitto e di circa 31 al momento dell’ultimo¹.

    Tendenzialmente è intelligente, con un quoziente intellettivo al di sopra della media della popolazione non criminale (s'aggira intorno ai 110), ma nonostante ciò il suo profitto scolastico è deludente, ha difficoltà a mantenere un impiego e svolge lavori saltuari o di basso livello. Nella stragrande maggioranza si tratta di un primogenito e nel 12% dei casi è stato adottato.

    È cresciuto spesso in un ambiente instabile, dove i rapporti sono tesi o problematici. Da bambino, sovente è stato abbandonato dal padre, oppure trascurato e maltrattato; spesso ha subito anche violenze sessuali. Non è raro che la sua famiglia presenti trascorsi criminali, psichiatrici e di alcolismo. Spesso è stato educato da una madre autoritaria e nel 50% dei casi, casalinga.

    Odia sia la madre che il padre. Frequentemente è stato abbandonato in un istituto e ha manifestato precoci problemi psichiatrici.

    Fin dall’adolescenza è ossessivamente interessato al sesso, manifestando una spiccata tendenza al voyeurismo, al feticismo e alla pornografia. Manifesta nella giovinezza comportamenti antisociali (abuso di alcol, droghe, furti e violenza).

    Nell’età adulta, talvolta, riesce a costruirsi una famiglia, che gli garantisca quella facciata di apparente normalità di cui si serve per non destare sospetti. Spesso le mogli dei serial killer sono completamente all’oscuro degli orrendi crimini che compiono i loro mariti, a volte, invece, ne sono complici (per approfondimenti si rimanda alla terza parte di questo volume, dedicata alle coppie assassine).

    Non avendo trovato un valido modello di riferimento nella sua famiglia d’origine, l’assassino seriale è incapace d'instaurare rapporti sociali con le persone dell’altro sesso, con conseguente sviluppo di rabbia e frustrazione che lo porta, durante l’adolescenza, alla pratica della masturbazione compulsiva o anche del bestialismo (rapporti sessuali con animali).

    Cerca le sue prede fra le persone più deboli, come bambini ed anziani e fra coloro che vivono ai margini della società: prostitute, omosessuali, clochard; le sue vittime sono, nel 65% dei casi, donne.

    Per uccidere predilige i metodi manuali, di solito accoltella, o strangola e colpisce con un oggetto, perché cerca il contatto con la vittima; non ama particolarmente disfarsi della vita altrui utilizzando le armi da fuoco. Come sottolineano Harold Schechter e David Everitt:

    «ovviamente ci sono alcune eccezioni di riguardo: Ed Gein eliminava le sue vittime con un proiettile alla nuca e, prima di cominciare a firmarsi Figlio di Sam nelle sue lettere, David Berkowitz – l’assassino seriale che terrorizzò New York alla fine degli anni Settanta – aveva un soprannome ispirato dalla sua arma preferita: il Killer della calibro 44»²

    Anche Donato Bilancia, alias il giustiziere, uccise diverse sue vittime servendosi di un’arma da fuoco.

    Note

    ¹Paolo De Pasquali, Serial killer in Italia. Un’analisi psicologica, criminologica e psichiatrico-forense, Franco Angeli, Milano, 2002. L’autore prende spunto dai dati ufficiali dell’FBI i quali si discostano leggermente da quelli relativi all’età media del primo omicidio in Italia, che risulta essere sui 30 anni, mentre l’ultimo omicidio si aggira intorno ai 34 anni d’età. 

    ² Harold Schechter e David Everitt, Serial Killer, storia, sangue, leggenda, Arcana, Roma, 2008. 

    L’INFANZIA DEL SERIAL KILLER

    Quando si dice che i primi anni di vita sono il periodo più importante per la formazione della personalità dell’individuo, si afferma qualcosa di sacrosanto. L’infanzia degli assassini seriali, infatti, si discosta notevolmente dal clima festoso del Paese dei balocchi, assomigliando semmai piuttosto a un film dell’orrore. Spesso il futuro mostro è un bambino che ha maturato fantasie perverse perché trascurato, maltrattato o persino violentato.

    Albert Fish, alias il vampiro di Brooklyn, rimasto con una madre che non era in grado di occuparsi di lui (il padre morì in giovane età), crebbe in un orfanotrofio alla mercé di un’insegnante che puniva i ragazzi disobbedienti spogliandoli nudi e picchiandoli di fronte agli altri bambini.

    La madre di Henry Lee Lucas (uno fra i serial killer più «attivi» d’America) era una prostituta alcolizzata che si vendeva ai suoi clienti di fronte al marito paraplegico, costretto ad assistere al fedifrago amplesso. Neppure Henry era dispensato dall’osservare la squallida scena, spesso vestito con gli abiti da bambina che la madre lo obbligava a indossare. In seguito lui stesso dichiarerà:

    «Vivevo come una bambina. Ero vestito come una bambina. Avevo i capelli lunghi come una bambina»

    Una volta, la madre lo picchiò violentemente perché si era tagliato i capelli in seguito alle lamentele di un insegnante. Un’altra volta, invece, lo colpì sulla testa con un bastone fratturandogli il cranio. Lui la uccise nel 1951. Quando gli domandarono come aveva potuto uccidere sua madre, rispose:«Ho odiato tutta la mia vita. Ho odiato tutti. Quando ero piccolo mi ricordo che mia madre mi vestiva da bambina. E sono rimasto così per due o tre anni. E dopo mi hanno trattato come quello che chiamo il cane di famiglia. Mi picchiavano. Mi facevano fare cose che nessuno vorrebbe mai fare»

    Edmund Kemper, il killer delle studentesse, crebbe con un padre assente dal contesto familiare, privo di autorità e con una madre alcolizzata e dispotica che riteneva il piccolo Edmund la causa di tutti i suoi problemi di salute. Per punirlo, spesso lo rinchiudeva al buio nel seminterrato della loro abitazione. Da adulto Ed prenderà la sua rivincita decapitando la madre e buttando le sue corde vocali nel tritarifiuti per poi violentarne il corpo senza testa. La fantasia della decapitazione perseguitava Ed fin dall’infanzia, quando ghigliottinava le bambole delle sorelle giocando all’esecuzione. Una volta disse alla sorella che avrebbe voluto baciare la sua maestra di seconda elementare, ma:

    «se la bacio, dovrò prima ucciderla»

    Albert De Salvo, lo strangolatore di Boston, crebbe con un padre alcolista che portava in casa le prostitute, faceva sesso di fronte ai figli e spesso e volentieri picchiava sia la moglie che i figli. Lo stesso De Salvo fu ripetutamente frustato a sangue con un tubo di piombo e poi venduto come schiavo insieme alle sue due sorelle. Una volta Albert assistette a una scena raccapricciante: il padre che spaccava tutti i denti alla madre e poi le spezzava le dita ad una ad una mentre lei si riparava sotto al lavandino della cucina.

    Andrej Chikatilo, uno degli psicopatici più mostruosi nella storia del crimine, perse il padre durante le famose purghe staliniane e crebbe con una madre pazza che raccontava a lui e a sua sorella come nell’inverno del 1930 i contadini avessero mangiato vivo il loro fratellino.

    Arthur Shawcross, soprannominato dai giornali The Ginesee River killer, uno dei più studiati serial killer d’America, ricorda di aver avuto incontri sessuali regolari, masturbandosi e facendo sesso orale con coetanei fin dall’età di 7 anni. Racconta anche di aver subìto una precoce iniziazione al sesso da parte di sua zia, che lo obbligava a praticare sesso orale su di lei.

    La famigerata madre di Edward Gein, una fanatica religiosa, convinse suo figlio che le donne fossero meri ricettacoli di peccato e provocassero

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