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Sintetizzatori virtuali: Teoria e tecnica
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Sintetizzatori virtuali: Teoria e tecnica
E-book918 pagine4 ore

Sintetizzatori virtuali: Teoria e tecnica

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Info su questo ebook

Il sintetizzatore è uno strumento chiave nella definizione del nostro paesaggio sonoro: trova infatti larghissimo impiego nella produzione, nella composizione multimediale e nelle performance. La crescente disponibilità di implementazioni software, sia a livello modulare sia come programmi dedicati, ha appianato la soglia d’accesso a questi strumenti, rendendo al contempo più complesso districarsi fra le numerose funzionalità e opzioni offerte.

Di fatto, tanto nelle costruzioni hardware quanto negli sviluppi virtuali, i principi di funzionamento di un sintetizzatore sono gli stessi. Questo volume si propone dunque di incrociare le competenze maturate nei due ambiti per sviluppare un approccio logico e organico, che permetta infine al lettore di procedere autonomamente alla creazione dei propri suoni.

Al suo interno:
  • i parametri del suono elettronico e i componenti fondamentali di un sintetizzatore
  • un’approfondita rassegna dei sintetizzatori più utilizzati, in ordine di complessità crescente
  • l’analisi delle diverse architetture e interfacce grafiche
  • la spiegazione di ciascuna funzionalità, parametro e opzione disponibile
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2022
ISBN9788863953633
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    Anteprima del libro

    Sintetizzatori virtuali - Enrico Cosimi

    1

    Premessa

    Un sintetizzatore è un sintetizzatore. Tanto nelle costruzioni hardware del secolo scorso, quanto nelle più recenti implementazioni virtuali, i concetti di funzionamento che sono dietro al sintetizzatore sono sempre gli stessi e, fatta salva una percentuale di eccezioni tutto sommato superabile, si ripresentano con sorprendente regolarità agli occhi e alla mente del musicista.

    Per questo motivo, è facile incrociare determinate competenze maturate in punta di mouse di fronte ad uno schermo con la pratica (verrebbe da dire, meccanica) accumulata ruotando manopole e schiacciando interruttori; come dire che, una volta imparato a guidare un’automobile, volante, acceleratore, freno e frizione funzioneranno sempre allo stesso modo quale che sia la ditta costruttrice del veicolo. Certo: ci sono le automobili con il cambio automatico, e ci sono i sintetizzatori che implementano tecniche di sintesi meno diffuse, ma – nella maggior parte dei casi – il percorso logico da seguire è sempre lo stesso. Per fortuna.

    Nelle righe che seguono, cercheremo di presentare con un minimo di sequenza logica le competenze indispensabili per lavorare al meglio con i sintetizzatori virtuali – quali che essi siano – identificando i punti chiave del loro funzionamento e individuando, caso per caso, le peculiarità di utilizzo più adatta all’impiego nella produzione, nella composizione multimediale e nella performance.

    Buona lettura.

    1.1 Fare i conti con la teoria e con la pratica: il bagaglio del passato

    Inevitabilmente, quando si parla di suono elettronico, si devono fare i conti con le caratteristiche di valutazione che permettono al musicista di apprezzarne – o descriverne preventivamente – le qualità.

    Nel percorso evolutivo che culmina con la Musica elettronica dello scorso secolo, è facile identificare alcuni punti di riferimento che possono tornare utili per afferrare le caratteristiche del suono elettronico. Ci limiteremo ad elencarle, invitando il lettore ad approfondire quanto ritenuto necessario:

    Hermann von Helmholtz¹, nella sua opera La teoria delle sensazioni tonali come base fisiologica della teoria musicale² riconosce nella presenza variabile degli armonici e nell’articolazione dell’attacco due delle più importanti chiavi di identificazione e/o valutazione del suono. Inoltre, concretizza i concetti di Transiente d’attacco, Periodo di staticità, Transiente d’estinzione applicati alle valutazioni qualitative/quantitative sull’ampiezza del suono. È la prima impostazione scientifica dell’andamento d’inviluppo applicabile al suono elettronico.

    John Cage³ elenca gli attributi di valutazione per il suono elettronico: intonazione percepita, timbro come contenuto armonico, ampiezza come volume, andamento e durata come pronuncia, articolazione e inviluppo. In maniera pressoché inevitabile, i cinque concetti rimangono ancora oggi ossatura portante di qualsiasi procedimento tecnico e culturale applicato alle strutture di sintesi del suono.

    Karlheinz Stockhausen⁴, ancora a proposito della Tape Music, ma più in generale riferendosi alla pratica dell’ancor giovane Musica elettronica, si riferisce all’attività del compositore come una ricerca portata fino all’interno della struttura molecolare del suono; il compositore [elettronico] deve progettare – cioè comporre – tanto il timbro della singola nota quanto l’organizzazione di tutti gli eventi sonori.

    Vladimir Ussachevsky⁵, con la realizzazione pratica di Robert Moog, definisce gli standard di funzionamento del circuito di articolazione denominato Envelope Generator. In questo modo, il musicista elettronico può programmare percorsi di automazione nel tempo – applicabili a qualsiasi parametro di sintesi ritenuto significativo – articolati in tempo di Attacco, tempo di Decadimento, segmento di Energia sostenuta, tempo di Rilascio.

    1.1.1 Apprezzare il suono elettronico: in base a quali criteri?

    Apprezzare per identificare e, nel passaggio successivo, identificare per realizzare. Il contatto tra compositore, performer e struttura tecnica disponibile passa attraverso il duplice percorso dall’idea alla realizzazione e dalla realizzazione alla messa in pratica. Per questo motivo, dopo aver tributato un doveroso ringraziamento a John Cage, rinfreschiamo i parametri di valutazione più evidenti.

    > Intonazione – Pitch

    Definire l’intonazione di un suono, cioè la tessitura grave, media o acuta, permette di mettere a fuoco preventivamente il tipo di costruzione timbrica applicabile al ruolo richiesto. Se il musicista ha bisogno di un supporto, di un bordone, di un basso su cui appoggiare – in maniera più o meno salda, statica o ritmicamente articolata – la propria costruzione armonica, si rivolgerà ovviamente verso le tessiture più basse concesse dalla regolazione di intonazione, pitch, frequency. Quale che sia la struttura utilizzata, sarà possibile avere a che fare con regolazioni espresse per valori assoluti (lettura in Hertz) o per indicazione di ottava, semitono e centesimo di tono (con richiami più o meno evidenti all’antica tradizione organaria dei piedaggi) o, in determinate tecniche di sintesi, per rapporti di frequenza (espressione quindi di raddoppio, quadruplicazione o altro tipo di intervallo frequenziale espresso ignorando i valori assoluti di frequenza, ma apprezzando – appunto – solo i rapporti creati, ad esempio, tra un oscillatore modulante ed un secondo oscillatore portante).

    > Timbro – Contenuto armonico – Timbre

    A parità d’intonazione, una nota potrà risultare penetrante perché ricca di armoniche (in grado quindi di farsi strada all’interno del mixaggio più intricato) o inesorabilmente sorda e priva di interesse (perché dotata di scarsa energia sulle armoniche superiori). Allo stesso modo, un timbro costruito sbilanciando il rapporto energetico in favore delle armoniche più acute può risultare di difficile contestualizzazione timbrica e, in alcuni casi, essere percepito come sgradevole o troppo artificioso. La capacità di influenzare l’energia disponibile per le diverse armoniche – attraverso i filtri della Sintesi sottrattiva o attraverso meccanismi additivi, di Sintesi per modulazione o di trattamento variato – è uno dei punti più significativi nel procedimento della programmazione timbrica.

    > Ampiezza – Volume – Gain

    Nella pratica esecutiva della Musica classica, buona parte dell’espressività conferita al fraseggio è strettamente collegata alle variazioni di ampiezza, cioè di volume con cui le singole note sono emesse; in misura sottile – e variabile da strumento a strumento – la modulazione dinamica è connessa con la modulazione del timbro (basterebbe pensare al comportamento della staffa di espressione nell’organo Hammond o al parametro di Accent nella Roland TB-303 Bassline). L’ampiezza, cioè il volume, di un segnale ne definisce l’importanza all’interno di un mixaggio e, quindi, la sua veicolabilità in maniera più o meno semplificata. Come è ovvio, la sottile (e meno sottile) interazione tra frequenza, timbro e volume definisce la gestibilità del suono.

    > Articolazione – Durata – Envelope

    Una nota di timpano è diversa da una nota di organo a canne. A prescindere da intonazione e contenuto armonico, la differenza più macroscopica è legata alle variazioni di articolazione e durata – o, in termini sintetici – alle variazioni di inviluppo. L’alternanza variabile di immediatezza e letargia applicabile ai transienti d’attacco ed estinzione, la presenza e qualità del segmento di staticità rendono i suoni percussivi, statici, progressivi nell’apertura, impalpabili, ritmici, eccetera. Ovvio quindi che poter controllare l’articolazione delle note permette la massima versatilità nella produzione timbrica.

    Il compito principale del musicista che voglia cimentarsi con lo strumento elettronico è proprio questo: saper concretizzare in maniera veloce e fedele la propria idea timbrica in un risultato sono ottenuto attraverso regolazioni corrette della struttura disponibile, sia essa hardware o software.

    1.2 Sintetizzatore: identificazione dei punti chiave

    Il funzionamento di uno strumento musicale, quale che sia la sua natura, è scomponibile in una serie di comportamenti generici quasi inevitabili per identificazione e approfondimento:

    Sorgenti sonore, ovvero di quelle parti della struttura che sono dedicata alla generazione del segnale audio nudo e crudo, successivamente modificato e controllato attraverso l’espressività del musicista; le corde del pianoforte, la membrana di un timpano, gli oscillatori (o il generatore di rumore) di un sintetizzatore appartengono a questa categoria indispensabile.

    Modificatori di segnale, tutti i circuiti che – in un modo o nell’altro – alterano il comportamento (in frequenza, ampiezza, contenuto armonico e fase) delle sorgenti sonore. Appartengono a questa imponente categorie, tutti i circuiti di filtraggio, amplificazione, somma/miscelazione, modulazione d’ampiezza bilanciata e sbilanciata, trattamento, eccetera.

    Sorgenti di controllo, rientrano in questa categoria tutte le strutture che generano comportamenti applicabili ai parametri ritenuti significativi nella struttura di sintesi; in questo modo, la tastiera musicale permette di controllare l’intonazione degli oscillatori e l’articolazione degli inviluppi; ma gli inviluppi (comportamento transiente) e gli oscillatori a bassa frequenza (comportamento ciclico) possono essere utilizzati per gestire il funzionamento del parametro selezionato come destinazione. In una normale struttura di sintesi analogica (virtuale o reale), le sorgenti di modulazione possono comprendere la tastiera, gli inviluppi, gli oscillatori a bassa frequenza (nativi o oscillatori audio degradati), i sequencer, eccetera.

    Modificatori di controllo, il normale comportamento di una sorgente di controllo (la tastiera, ad esempio) può essere alterato in modo più o meno drastico inserendo, tra sorgente e destinazione di controllo un modificatore di controllo: un portamento/glide sulla tensione di tastiera, o un quantizzatore sulle tensioni generate da un sequencer o, ancora, un sequential switch che permetta di gestire in maniera diversa dal solito le tensioni generate dallo step sequencer.

    2

    Un virtual synth semplice:

    N.I. Monark

    Per muovere i primi passi all’interno del mondo virtuale, è meglio scegliere un sintetizzatore che non presenti eccessive difficoltà di struttura e di utilizzo; da questo punto di vista, Monark prodotto da Native Instruments¹ è un eccellente palestra per fare allenamento².

    Il virtual synth riproduce (con eccellente fedeltà) prestazioni e caratteristiche timbriche dello storico Minimoog Model D, iconico sintetizzatore analogico sul quale non è necessario spendere troppe parole: realizzato in Core Level, e progettato per lavorare a 96 kHz, quasi al massimo della definizione prevista per il potente linguaggio Reaktor, offre prestazioni filologicamente monofoniche, con sottili aggiornamenti affiancati alla struttura di base e garantisce una ricostruzione timbrica allo stato dell’arte.

    Come è facile immaginare, la pratica d’uso dello strumento virtuale presuppone la familiarità – anche se di base – con diverse procedure tipiche dell’ambiente Mac/PC che si è scelto; da questo punto di vista, si danno per scontate le conoscenze di concetti come DAW, programma host, comportamento plug-in contrapposto a comportamento stand-alone, così come si considerano risolti in altra sede eventuali problemi di configurazione audio, ottimizzazione dei driver, gestione delle interfacce audio, eccetera.

    2.1 Le competenze necessarie per lavorare con un virtual synth come Monark/Reaktor

    A prescindere dai problemi di configurazione e ottimizzazione audio, qualsiasi virtual synth deve essere padroneggiato nelle sue caratteristiche relative a:

    gestione bidirezionale (lettura e salvataggio) delle patches, siano esse identificate come snapshot, program o altro tipo di termine che identifica la programmazione timbrica compiuta dall’utente all’interno della struttura data;

    sintonizzazione su un preciso numero di canale MIDI o, in alternativa – a seconda della struttura ospite – istanza del programma in una traccia adeguata a ricevere dati MIDI e Audio;

    definizione – se disponibile – della polifonia necessaria espressa per numero di voci simultaneamente generate e loro (eventuale) organizzazione in logica di assegnazione;

    identificazione della piramide gerarchica suono singolo/patch – insieme poli timbrico/multipatch, se disponibile.

    Da questo punto di vista, Monark semplifica in maniera relativa le cose, perché è concepito per lavorare esclusivamente in monofonia (niente accordi) e in mono timbricità – a meno di non prevedere istanze multiple parallele, sempre che la struttura ospite sia sufficientemente performante.

    La gestione delle patches/snapshot è possibile secondo le consuete procedure Native Instruments, se utilizzato come stand-alone, o facendo ricorso alle procedure contestualizzate a seconda dei programmi in cui è ospitato come plug-in.

    Nel primo caso, si può lavorare con il menu raggiungibile dalla toolbar superiore, identificata con il numero [2] nell’immagine qui sopra³ sfruttando il comportamento a tendina; in alternativa, dopo aver cliccato sul tasto con la lente d’ingrandimento [1], si può sfruttare la sidebar laterale per lavorare con i banchi/cartella [3] e le singole patch/snapshot [4] raggiungibili.

    Nel secondo caso, il plug-in istanziato lavorerà rispettando le procedure di save/load preset previste all’interno dell’applicazione ospite.

    Anche a proposito di organizzazione gerarchica, è possibile sgrossare significativamente la quantità di conoscenze necessarie, visto il taglio di queste note e l’approccio performativo/produttivo che il musicista deve rispettare nei confronti del virtual analog.

    Reaktor, che è il linguaggio di programmazione con cui è sviluppato Monark, prevede un livello di gestione elevato, denominato Ensemble; una Ensemble è ciò che in altri programmi potrebbe chiamarsi progetto, struttura… in pratica, l’insieme di tutto quello che il musicista ritiene necessario per una produzione musicale sviluppata all’interno del programma.

    Una Ensemble può contenere diverse unità dipendenti o indipendenti tra loro (sequencer più sintetizzatore, mixer, effetti, qualsiasi cosa); ciascuno di questi oggetti, sviluppato individualmente all’interno del programma, è un Instrument; abitualmente, il musicista è portato a considerare instrument la struttura di sintesi: dentro Reaktor, il termine può essere riferito indifferentemente al sintetizzatore come al processore di riverbero, come al mixer che li collega, come al lettore di file audio. Ogni oggetto che viene ospitato in una Ensemble è – di fatto – un Instrument a sua volta programmato e realizzato assemblando insieme Macro e Moduli di Primary Level. Andiamo per ordine.

    Una Macro – il termine non dovrebbe mettere paura ai musicisti elettronici – altro non è che una cartella contenente, al suo interno moduli e programmazioni precedentemente realizzate; con la macro, si velocizza la procedura di gestione, ad esempio programmando un oscillatore, chiudendolo in una macro e caricando tre volte la stessa macro per avere altrettanti oscillatori indipendenti timbricamente.

    Nella Macro, trovano posto altre macro (se necessario), ma sono presenti principalmente i moduli di Primary Level, cioè le strutture fornite – in libreria – con Reaktor per progettare ciò che si ritiene necessario: un oscillatore, un sommatore matematico, un generatore di noise, un filtro multimodo, sono tutti esempi di moduli "di livello primario⁴" combinabili tra loro per raggiungere il risultato desiderato. In alcuni casi, le funzioni normalmente raggiungibili su un modulo di sintetizzatore analogico saranno disponibili con un solo modulo Primary Level; molto più frequentemente, sarà necessario assemblare diversi moduli (ad esempio, un potenziometro per il controllo della frequenza, agganciato al modulo di oscillatore vero e proprio) fino a raggiungere il risultato desiderato.

    Dalla Versione 5 in poi, grazie agli sforzi di Vadim Zavalishin⁵, il programma si è aperto su un livello ancora più basso e dettagliato, definito Core Level, con il quale è possibile assemblare istruzioni semplici – sempre graficizzate – per la costruzione di funzioni precedentemente non raggiungibili con il Primary Level. In questo modo, anche se non è possibile disassemblare un modulo Primary per modificarne il comportamento, si può partire dal basso per costruire qualcosa che – finalmente – possa soddisfare le esigenze del musicista più pignolo.

    Monark è una Ensemble che contiene un singolo Instrument, ottenuto assemblando insieme Macro e Core Level Modules fino a sagomare in maniera assai lusinghiera il comportamento timbrico del vecchio Minimoog Model D. Proprio la flessibilità – e la complessità – del Core Level hanno permesso una (ri)progettazione particolarmente dettagliata, con tutte le idiosincrasie tipicamente analogiche dell’apparecchio originale.

    2.2 Doppia visualizzazione

    Come tutte le Ensemble di Reaktor, anche Monark sfrutta la possibilità della doppia visualizzazione Panel A e Panel B; in questo modo, è possibile ospitare sulla schermata principale (A) i parametri di sintesi indispensabili e nella schermata secondaria (B) le funzioni che risultano d’impiego meno frequente o – come in questo caso – influenzano globalmente il comportamento della Ensemble. Nella toolbar, è possibile passare da una visualizzazione all’altra senza troppi problemi.

    Nell’immagine precedente, che riproduce il Panel A, sono visibili – da sinistra verso destra – i blocchi relativi a:

    Control; con tutte le funzioni relative all’intonazione generale dell’apparecchio, la gestione del Glide/Portamento, il flusso di Modulation (moltiplicato per la posizione della Mod Wheel e prodotto miscelando le sorgenti Noise e Osc 3);

    Oscillators; il banco dei tre oscillatori audio 1, 2 e 3; il terzo oscillatore può lavorare come sorgente di modulazione ciclica-LFO;

    Mixer; per il bilanciamento delle cinque sorgenti sonore (tre oscillatori, noise, percorso di feedback configurabile) prima di raggiungere il filtro;

    Filter & Amp; il filtro risonante, con inviluppo dedicato, l’inviluppo di amplificazione e articolazione.

    L’immagine qui sopra riproduce il Panel B, in una delle sue tre possibili configurazioni di Setting recuperabile a discrezione dell’utente; il musicista può decidere di fare a meno di questi settaggi, o può ricorrere a tre possibili corredi di regolazioni, che saranno applicate tout court al funzionamento dell’intero strumento, cioè influenzeranno tutte le memorizzazioni di snapshot successivamente selezionate.

    Nel Panel B è possibile raggiungere:

    Keyboard; per la personalizzazione della logica di tastiera e di portamento, con comportamenti che – se necessario – possono discostarsi anche significativamente da quelli dell’apparecchio originale;

    Pitch Bend; per definire range e funzione di curvatura del pitch bend applicato sull’intonazione nominale;

    Mod Wheel; per personalizzare le curve e i margini operativi della Modulation Wheel applicata al controllo di frequenza degli oscillatori e del filtro;

    Oscillators; per definire i tracking, cioè la linearità o la deviazione dalla linearità sui parametri ritenuti significativi nella simulazione del comportamento analogico degli oscillatori;

    Filter/Global; comportamento di filtraggio filologico o più moderno, gestione del Leakage di segnale sulla chiusura del Mixer e Drift per la tenuta generale.

    2.3 Struttura

    Dal punto di vista della complessità circuitale – e, conseguentemente, della difficoltà d’utilizzo – Monark non crea problemi all’utente che abbia un minimo di pratica.

    La sua struttura, riprodotta nell’immagine qui sopra, può essere scomposta in due blocchi principali relativi a percorso audio e percorso di modulazione:

    Percorso audio; il segnale prodotto dai tre oscillatori 1, 2, 3, più quello prodotto dal generatore di rumore, è processato nel filtro risonante e, successivamente, collegato all’amplificatore. Prima di raggiungere l’uscita, l’audio è intercettato e rimandato indietro nel mixer, per creare un percorso di feedback che permette comportamenti timbricamente instabili⁶.

    Percorso di modulazione transiente; i due generatori d’inviluppo – rispettivamente dedicati al filtro e all’amplificatore – permettono l’articolazione timbrica e d’ampiezza del segnale sintetizzato; le loro regolazioni richiedono un breve apprendistato, vista la configurazione concentrata tipica del Minimoog, che riunisce Decay Time e Release Time sotto controllo di un unico regolatore di pannello.

    Percorso di modulazione ciclica e randomica; in aggiunta ai due generatori d’inviluppo, è possibile utilizzare i segnali prodotti dall’Oscillatore 3 e dal Noise Generator ruotandoli al controllo di frequenza di oscillatori e del filtro. In questo modo, in base alla velocità e alla forma d’onda scelte nell’Oscillatore 3, è possibile ottenere una vasta gamma di modulazioni di frequenza audio/sub audio, oppure – usando il Noise Generator – di comportamenti randomici. In tutti e due i casi, l’ampiezza di modulazione è regolata/scalata con la Modulation Wheel.

    2.4 Punti chiave

    Il problema inizia ora: cosa fare con un sintetizzatore come Monark? O, meglio ancora: come utilizzarlo in maniera consapevole per raggiungere risultati interessanti? Cerchiamo di correlare problemi e punti chiave del circuito.

    2.4.1 Contenuto armonico di base: scelta della forma d’onda

    All’interno della Sintesi sottrattiva, la scelta di una determinata forma d’onda assume particolare importanza, proprio perché significa dotare la struttura di un patrimonio armonico di partenza che sarà poi modulabile per sottrazione attraverso l’impiego dei filtri; ovviamente, se il filtro non trova materiale su cui lavorare, fornirà ben poca soddisfazione al musicista.

    Ecco perché essere consapevoli del contenuto armonico e delle sue implicazioni è un punto importante nel percorso di avvicinamento a qualsiasi struttura di sintesi virtuale.

    Gli oscillatori di Monark forniscono:

    Onda Triangolare; composta da sole armoniche dispari, alternativamente in fase e in antifase, con decadimento energetico esponenziale (la terza armonica ha energia pari a 1/9 della fondamentale, la quinta armonica ha energia pari a 1/25 della fondamentale, eccetera), offre un timbro relativamente chiuso, assimilabile – con molta buona volontà – a quello dei flauti dolci; poco adatto alla sottrazione energica da parte di un filtro, ma sicuramente più intellegibile, in un mixaggio denso, di quello tutto fondamentale prodotto dall’onda sinusoide. Per evidenti motivi di economia circuitale, le vecchie strutture analogiche come quella del Minimoog D, qui rimodellata, non offrivano la sinusoide pure in quanto facilmente raggiungibile attraverso auto oscillazione del filtro passa basso. L’onda triangolare disponibile nei tre oscillatori di Monark può servire tanto per bassi poco invasivi, magari sequenziati e costruiti per pattern ritmici, quanto per suoni a spiccata vocazione melodica che non debbano combattere all’interno di mixaggi troppo densi.

    Onda Rampa ascendente; contiene tutte le armoniche, pari e dispari, in coerenza di fase e in decadimento energetico lineare (la seconda armonica ha energia pari a 1/2 della fondamentale, la terza armonica ha energia pari a 1/3 della fondamentale, la quarta armonica ha energia pari a 1/4 della fondamentale, eccetera); al confronto diretto con l’onda Triangolare, risulta molto più energica, penetrante, ad alto volume anche se non si interviene sul livello. La maggior presenza di armoniche acute – unita all’estrema semplicità di generazione nel circuito analogico – l’hanno candidata, per tutti i decenni precedenti, a suono elettronico per eccellenza, il timbro con cui si realizzano senza troppa fatica tutti i i suoni più diffusi nella pratica di programmazione e produzione quotidiana. Una sequenza o un fraseggio affidati a un’onda Rampa avranno ampie probabilità di emergere anche all’interno del mixaggio più affollato… con tutti gli effetti collaterali che ne possono derivare.

    Onda Dente di sega discendente; presente solo nel terzo oscillatore, è un’onda simmetricamente simile alla precedente, ma con diverso profilo (dovuto al contenuto armonico alternativamente in fase e in anti fase), non ha variazioni timbriche significative, ma offre un percorso dinamico naturalmente percussivo che trova ampio utilizzo nelle procedure di modulazione. Non a caso, tanto nel vecchio Model D quanto nel nuovo Monark, la sua presenza è limitata al solo Oscillatore 3, predisposto tanto alla generazione sonora quanto alla gestione delle modulazioni cicliche.

    Onda Quadra; perfettamente simmetrica al 50%, l’onda quadra è ottenuta per comparazione dalla Rampa originalmente generata con il ciclo di carico e scarico del condensatore analogico; il suo contenuto armonico (solo componenti dispare, in coerenza di fase e con decadimento d’ampiezza lineare) la rende estremamente simile al registro di chalumeau del clarinetto. Il timbro è rotondo e contemporaneamente penetrante, adatto alla realizzazione di parti melodiche o ritmate da sequenze anche dense; usato con cautela, può dare voce alle classiche sonorità Acid dei decenni passati; variando il valore della soglia di comparazione si ottiene una corrispondente variazione nella simmetria tra parte alta e parte bassa del profilo grafico (e, conseguentemente, nel contenuto armonico); il comportamento di Pulse Width Modulation è retaggio delle strutture analogiche più costose e, per questo motivo, è stato eliminato offrendo nel Model D (e nel Monark) due versioni differenziate in fabbrica per profilo e simmetria⁷.

    Onda Rettangolare; disponibile in due diversi tagli di simmetria (al 30% e al 20%), fornisce timbro progressivamente più nasale e penetrante, ma energeticamente meno ricco sulla fondamentale. In questo modo, il segnale è percepibile con facilità anche nei mixaggi più densi, ma perde d’impatto sulle note basse e deve essere trattato con cautela. Dal punto di vista armonico, tutto il blocco delle onde rettangolari vede l’assenza delle armoniche la cui posizione numerica è multipla del rapporto di simmetria adottato; in questo modo, un’onda impulsiva (o rettangolare, che dir si voglia) al 30% non avrà la terza, la sesta, la nona, la dodicesima armonica, eccetera. Tutte le altre saranno presenti con significative variazioni nell’energia generata.

    Il musicista deve, con pazienza, allenarsi a riconoscere le diverse caratteristiche timbriche delle forme d’onda tanto nel loro impiego singolo, quanto nell’adozione con due o tre oscillatori la cui frequenza sia lievemente variata per battimento o, in maniera più drastica, per intervalli paralleli.

    Oltre alle forme d’onda con andamento ciclico e frequenza percepibile, occorre non sottovalutare le caratteristiche timbriche proprie dei due rumori prodotti dal circuito di generazione:

    Rumore bianco/White Noise; simile al rumore ottenibile ascoltando un ricevitore televisivo mal sintonizzato, il rumore bianco contiene (in assonanza con la luce solare) tutte le frequenze comprese tra i limiti teorici minimo e massimo della banda d’ascolto (allo stesso modo come nella luce solare bianca si presuppone esistano tutte le frequenze comprese tra infrarosso e ultravioletto). L’energia contenuta nel rumore bianco è pari per unità di banda; cioè pari tra 10 e 20 Hz e tra 1000 e 1010 Hz. All’ascolto, il rumore bianco risulta scarso sulle basse, dato il funzionamento del nostro orecchio che cade facilmente vittima del mascheramento… per risolvere questo problema, si filtra a -3dB/Oct low pass il rumore bianco producendo il rumore rosa.

    Rumore rosa/Pink Noise; bilanciato artificialmente attraverso filtraggio passa basso, contiene egual energia per ottava; in questo modo, la stessa energia presente nel range 10-10 Hz è spalmata sul range 1000-2000 Hz, con evidente minor attività percepita. In questo modo, l’ascolto del rumore rosa risulta artificialmente più soddisfacente e bilanciato su tutta la gamma di frequenze.

    Oltre alla classica sintesi imitativa, è necessario ricordare le possibilità offerte dall’uso non convenzionale della sorgente di rumore – intesa come serbatoio di valori casuali e non prevedibili, tanto nelle funzioni di Sample & Hold (negate alle strutture semplici) come quelle previste in Monark, quanto come modulatore per la frequenza di oscillatori e filtro.

    2.4.2 Identificazione del range di frequenza utile

    Come è facile immaginare, oltre a partire con il timbro giusto (cioè con la forma d’onda che meglio è adatta ai propri scopi), è utile anche sgrossare l’intonazione degli oscillatori concentrandola nel range di ottava ritenuto più utile; Monark riprende la tradizione Moog della regolazione per ottave espresse con i piedi dell’organo liturgico (dal più basso 32’ al più acuto 2’) e permette, per i soli oscillatori 2 e 3, la definizione di un intervallo parallelo.

    È facile apprezzare il perché non sia previsto nel primo oscillatore un comportamento di detune: almeno uno dei tre generatori, per le applicazioni di tipo melodico più generali, rimarrà ancorato all’intonazione nominale gestibile con la tastiera; gli altri due potranno spaziare nel range concesso di +/- 7,5 semitoni di variazione.

    Raddoppi per ottave parallele, per intervalli giusti paralleli e battimento più o meno veloce sono semplici trucchi che il mestiere del programmatore deve costantemente ricordare durante le fasi più veloci di configurazione timbrica; molto spesso – a questo proposito – si tende a sottovalutare, specie nei contesti più immediati dove non si procede molto per il sottile – alle differenze timbriche ottenibili mediante un diverso bilanciamento delle sorgenti sonore: lo stesso raddoppio d’ottava realizzato ponendo un oscillatore Saw a 16 e un secondo oscillatore Square a 2 può suonare penetrante se i volumi nel Mixer sono messi al massimo, ma può suggerire maggior seduzione se il livello del 2" è contenuto con relativa cautela. Del resto, più o meno nella maggior parte degli strumenti acustici, l’energia presente nelle armoniche acute è molto ridotta rispetto a quanto presente sulla fondamentale⁸.

    2.4.2.1 Oscillatori: personalizzazioni nel funzionamento di Monark

    Monark applica alcune licenze poetiche al design originale del Minimoog Model D.

    Per questo motivo, nella schermata Panel B, è prevista una sezione Oscillators che permette la personalizzazione di:

    Key Tracking; per definire la deviazione di tracciamento dei tre oscillatori; la struttura analogica originale non brilla – come è logico aspettarsi – per clinica linearità di funzionamento: con questo comando, si differenzia globalmente la fedeltà di ciascuna intonazione.

    Octave Detuning; come sopra, il comando permette di rendere meno perfetto il dimensionamento delle ottave (nella prima versione dell’Oscillator Board originale, un trimmer denominato Octave svolge la stessa funzione: in quel caso, per perfezionare l’intervallo; in Monark, per renderlo non troppo perfetto…).

    Oscillator Set; tre regolazioni pre definite per il key tracking: A) tutti e tre gli oscillatori tracciano non perfettamente; B) Osc 1 è perfettamente lineare, Osc 2 e 3 sono liberi; C) Osc 3 è perfettamente lineare, gli altri due sono liberi.

    Osc 3 Frequency in LO Range mode without Key Tracking; a dispetto della lunga label, la coppia di controlli permette di definire l’escursione minima e massimaper la frequenza di Osc 3 quando esso è utilizzato in modo LO e viene sganciato dal controllo di tastiera.

    2.4.3 Articolazione del suono: primo approccio con l’inviluppo dell’amplificatore

    Monark rispetta la struttura d’inviluppo contratta propria del Model D; a fronte di un comportamento assimilabile alla gestione ADSR, ovvero Attack Time, Decay Time, Sustain Level e Release Time, si è scelto di compattare la dotazione di controlli uniformando la gestione di Decay Time e Release Time in un unico potenziometro che regola le due durate. Questo, specie nell’utenza meno pratica, può creare qualche incertezza iniziale, facilmente superabile con la pratica di programmazione.

    Nella canonica struttura d’inviluppo ADSR, la sequenza degli stadi è facilmente individuabile:

    In corrispondenza del cambio di stato Nota On/Nota Off (o, se si preferisce, all’apertura del Gate On), il primo contatore del circuito (il regolatore Time 1 di originale memoria) Attack Time entra in funzione e definisce il tempo necessario per passare dal minimo al massimo livello consentito dallo strumento. Un tempo di attacco veloce permetterà di simulare andamenti transienti percussivi, tempi più rilassati saranno propri di articolazioni da arco o da ottone, tempi ancora più lunghi – o addirittura letargici – permetteranno di raggiungere effetti particolarmente progressivi.

    Una volta raggiunto il massimo livello, entra in funzione il secondo contatore (Time 2) di Decay Time che definisce il tempo necessario per passare dal massimo livello al nuovo livello di Sustain. Come è facile immaginare, se anche il Sustain Level è regolato al massimo, dal massimo al massimo ci sarà transizione non misurabile, condizione che vanificherà il funzionamento del Decay Time. Quando il Sustain Level è regolato su posizioni diverse (in modo significativo) dalla massima, regolando il Decay Time sarà possibile ottenere comportamenti percussivi, prolungati o contratti nel tempo in base alla durata del segmento stesso. A differenza del successivo comportamento di Release Time, il Decadimento agisce nella persistenza della nota: se il musicista rilascia il tasto prematuramente, interrompe il conteggio del Decay, troncandone la durata.

    Il segmento di Sustain Level è, come lascia intendere il termine level una regolazione orizzontale, cioè differisce dai due stadi precedenti di tempo in quanto virtualmente privo di definizione di durata. Se il Sustain Level è regolato al minimo il Decay Time precedentemente specificato avrà buon gioco nel riportare il livello dal massimo al minimo, con una tangibile transizione di valore; se invece il Sustain Level è in posizione intermedia, la transizione di Decay avrà apparentemente meno efficacia – a parità di durata – perché raggiungerà a mezza corsa la destinazione programmata. Occorre non dimenticare che la traiettoria d’inviluppo assume senso a destinazione cioè viene contestualizzata dal parametro di sintesi cui è applicata. Nel caso dell’Amplifier Envelope, la curva d’inviluppo definisce l’articolazione, la durata, il volume, l’andamento della nota o dell’evento sonoro. Un Sustain Level al minimo privilegia andamenti percussivi, transienti; un Sustain Level al massimo garantisce la persistenza dell’evento, ma ne appiattisce l’espressività su andamenti assimilabili a quelli dell’organo. Cosa fornisce la dimensione temporale all’andamento puramente orizzontale del livello di Sustain? La transizione tra Gate On e Gate Off o, se

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