Pierre Boulez, il compositore. Ascoltare e comprendere la musica seriale
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Pierre Boulez, il compositore. Ascoltare e comprendere la musica seriale - Mario Campanino
Mario Campanino
Pierre Boulez, il compositore
Ascoltare e comprendere la musica seriale
STREETLIB
PIERRE BOULEZ, IL COMPOSITORE. Ascoltare e comprendere la musica seriale
STREETLIB
© Mario Campanino, 6 gennaio 2015
ISBN: 9788892537361
In copertina: Immagine di Pierre Boulez, proprietà dell'autore.
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Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Indice dei contenuti
Premessa
Capitolo 1. L'apprendistato
Capitolo 2. Verso la sistematizzazione
Capitolo 3. La serialità integrale
Capitolo 4. La riconsiderazione del sistema
Capitolo 5. Al di là delle regole
Capitolo 6. I limiti della terra fertile
Capitolo 7. Il caso e la forma
Capitolo 8. Verso una nuova serialità
Capitolo 9. Questioni di analisi
Capitolo 10. Visioni del passato
Capitolo 11. Ritorno al tema
Capitolo 12. L'antica querelle
Conclusione. Mario Campanino intervista Pierre Boulez
Bibliografia
Pierre Boulez, il compositore
Premessa
Questo lavoro raccoglie alcuni dei risultati della mia ricerca sulla musica seriale e sulla poetica di Pierre Boulez, condotta principalmente nel decennio tra il 1991 e il 2000. Alcuni di questi scritti sono stati già pubblicati nel corso degli scorsi anni, e qualcuno tra essi è oggi praticamente introvabile.[1] Li ripropongo qui, unificati e riveduti, come possibile conlusione di una riflessione che pure mi ha visto impegnato nel periodo iniziale della mia attività di ricerca, poi sviluppatasi in direzioni diverse.
Una poetica nasce quando nasce l’attitudine al fare. Essa è esattamente lo specchio, la giustificazione teorica dell’atto creativo e fornisce all’artista quella momentanea sicurezza senza la quale non potrebbe operare. Questo lavoro consiste in un’analisi della poetica di Boulez con riferimento a due aspetti che, nel loro vario interrelarsi, ne hanno fortemente influenzato il cammino: l’adozione del principio seriale integrale e il tentativo di creare, a partire da esso, un nuovo linguaggio musicale.
Gli scritti di poetica di Boulez, pubblicati dalla fine degli anni quaranta sino ad oggi, costituiscono il materiale su cui si esercita quest’indagine. Il nostro principale strumento d’osservazione, invece, è rappresentato dall’approccio alla musica seriale definito da Nicolas Ruwet in un articolo del 1959, Contraddizioni del linguaggio seriale.[2] Il riferimento a queste riflessioni del linguista belga, basate sui criteri della linguistica strutturale e della fonologia, mi è parso utile per due motivi: perché in esse è riconsiderato uno dei problemi fondamentali del meccanismo di serializzazione integrale — problema strutturale, ma con evidenti ripercussioni sul piano fenomenico — e perché la loro impostazione metodologica e critica le rende particolarmente efficaci come catena di smontaggio
del nostro oggetto di studio. Secondo Ruwet la più evidente contraddizione della musica seriale è che essa, «assai complessa in via di principio, nel progetto del compositore, appare semplicista all’ascolto.»[3] L’incongruenza sarebbe nel rapporto tra la complessità del livello tecnico‑progettuale, definito nel corso delle riflessioni che precedono e accompagnano la nascita dell’opera, e l’aspetto indifferenziato dell’evento sonoro quale si presenta alla percezione. La musica seriale, afferma Ruwet, «fallisce nella creazione d’un discorso autonomo. Tutto accade spesso come se essa ricadesse nello stadio indifferenziato della pura natura, come se essa rinunziasse a creare un linguaggio, una storia.»[4]
Ho scelto di proposito questi passi in cui compaiono i termini discorso e linguaggio. Ruwet, infatti, precisa più sotto che il problema dei musicisti seriali è innanzi tutto un problema di linguaggio, essendo stata la loro ricerca orientata all’ideazione di un sistema capace di sostituire quello tonale. Ma essi avrebbero mancato quest’obiettivo per non aver «tenuto conto delle condizioni che determinano la possibilità di ogni linguaggio».[5]
Quale sarebbe stato, dunque, il loro errore? Per introdurre l’argomento Ruwet prende spunto da alcuni passi, tratti dai Fondamenti di fonologia di Trubeckoj, in cui si precisa che una lingua è precisamente un «sistema di sistemi» in cui «le varie parti [sistemi grammaticale, semantico, ecc.] si sostengono fra loro, si completano, sono relative le une alle altre.»[6] Per analogia, afferma Ruwet, anche il linguaggio musicale andrebbe considerato un sistema di sistemi, e così quello seriale. Ma nel caso della serialità integrale vi sarebbe un problema da rilevare:
Che cosa significa esattamente questa generalizzazione del principio seriale?
Essa significa che si concepiscono i rapporti fra i diversi sistemi parziali semplicemente sotto la forma del parallelismo, vale a dire sotto la forma più primitiva che ci sia. Si comprende che uno stesso principio semplice è in opera in ogni sistema parziale preso separatamente. Infatti, normalmente, in un sistema musicale, come in un sistema linguistico o un sistema di parentela, i differenti sotto‑sistemi sono in rapporti molto più complessi, rapporti di implicazione mutua, di complementarità, di compensazione, ecc.[7]
In questo passo Ruwet fa riferimento a due livelli strutturali differenti. Da una parte vi sarebbero i principi in opera in ciascuno dei vari sottosistemi; dall’altra il Principio che organizza tra loro questi sottosistemi. Se il principio che regola ciascun sottosistema nella musica seriale (delle altezze, delle durate, delle dinamiche, dei timbri, dei modi d’attacco) è lo stesso per ogni parametro, la serie, ad un livello strutturale superiore si produrrebbe una condizione di assoluto parallelismo di strutture. Questa situazione non corrisponderebbe a quella di altri sistemi linguistici studiati.[8] La situazione della musica seriale, dunque, viene così ridisegnata:
L’aver concepito questi rapporti — almeno teoricamente, ma anche in molte opere reali — sotto questo unico modo del parallelismo, ha avuto conseguenze gravi: la serie tende a creare una certa uniformità; è del resto la sua ragion d’essere, essa era stata introdotta per mantenere una certa uniformità nel linguaggio musicale, minacciato di caos dopo la caduta del sistema di relazioni tonali.
Ma anche questa uniformità, sul piano del sistema delle altezze, implicava la introduzione di principi affatto diversi sugli altri piani se si voleva costituire un linguaggio diversificato. […]
Al contrario, generalizzare il principio seriale valeva generalizzare l’uniformità.[9]
Questa la relazione tra il carattere semplicistico, monotono, indifferenziato che la musica seriale rivela all’atto dell’ascolto e il parallelismo di strutture verificatosi per aver generalizzato la serie. La generalizzazione stessa sarebbe stata «un’altra maniera di perder di vista le mutue implicazioni dei diversi sistemi»[10], arrivando così a nuove contraddizioni. Nei Klavierstücke I-IV di Stockhausen, ad esempio, Ruwet individua una profonda incompatibilità tra i parametri delle durate e quello delle altezze. I bruschi cambiamenti di registro, afferma, produrrebbero «una specie di lacerazione incessante, che ha la sua propria forza ritmica e che tende a contrastare la percezione di quelle sottili differenze di durata».[11] Non si dovrebbe credere tanto superficialmente, in definitiva, che le varie sottostrutture parametriche siano sempre reciprocamente compatibili.
Ancora ai Klavierstücke Ruwet fa riferimento nello spostare le proprie osservazioni sul terreno della fonologia, ma non senza prima specificare, in nota: «Si tratta di un esempio estremo. Ricordo che certe opere recenti, di Boulez e di Stockhausen, sfuggono alle critiche che sono qui mosse.»[12] Confrontandola dunque con alcune nozioni fondamentali della fonologia, Ruwet arriva a dimostrare che anche da questo punto di vista certa musica seriale non tiene conto, nelle relazioni tra nota e nota, delle leggi generali che presiedono al funzionamento di un linguaggio:
Il risultato di tutto ciò è che, a partire dal momento in cui le relazioni volute non sono percepite, si cade nel dominio dell’indifferenziato. Si è nel regno del «più o meno». Le relazioni che sono ancora percettibili sono veramente troppo massicce, troppo sommarie, per contribuire a costruire un sistema di rapporti differenziati.[13]
Queste osservazioni, che convergono anch’esse sul problema dell’indifferenziazione del continuum sonoro, portano Ruwet a concludere che «le […] possibilità strutturali [del sistema seriale] sono limitate, e che esse sono forse già state esaurite da Webern, e in talune opere eccezionali, quale il MarteausansMaître.»[14]
Tali argomenti,[15] mi sembra, possono far nascere alcune domande. Innanzi tutto: la loro impostazione è corretta? Quali sono le caratteristiche delle opere che Ruwet a più riprese individua come esenti dalle critiche mosse? E ancora, riferendoci allo studio di poetica che stiamo per cominciare: Boulez ha avvertito le contraddizioni rilevate da Ruwet? e in che direzione ha percorso la propria strada seriale? In definitiva: Boulez è poi giunto alla costituzione di un linguaggio seriale privo di contraddizioni sia dal punto di vista sistemico che da quello fenomenico? A questi e ad altri interrogativi si cercherà di rispondere in questo lavoro.
È utile precisare, a questo punto, che realizzando uno studio di poetica in cui non sono analizzati brani di partitura non ho inteso distaccare la riflessione dall’opera o addirittura considerarla più importante di quest’ultima: ho dato, là dove mi sembrava opportuno, alcuni ragguagli sui metodi compositivi (che sono d’altronde parte sostanziale di una poetica — di un fare — musicale) e sul carattere esteriore (il risultato sonoro) di alcune opere-segnale di Boulez. Ritengo che osservare gli sviluppi di una poetica nel tempo equivalga a scriverne una storia che è precisamente l’immagine riflessa della produzione artistica.
Allo stesso modo, non si troverà in queste pagine una grande abbondanza di notizie sulla vita di Boulez. Esistono già molti lavori di taglio biografico su di lui, come esistono parecchie analisi delle sue opere. Di questi lavori do accurate indicazioni nella bibliografia posta in coda al volume. Quel che dirò delle opere sarà sempre agganciato alle dichiarazioni di poetica esaminate, e i contenuti riferimenti biografici serviranno solo a disegnare una cornice minima della storia del compositore.[16]
Spero infine che questo lavoro, pur nei limiti del campo d’osservazione prescelto e nella consapevolezza della temporaneità che caratterizza qualsiasi risultato della ricerca, non appaia come ripiegato su se stesso. Credo, infatti, che gli sviluppi della poetica bouleziana non rappresentino solo la chiave di lettura della produzione di Boulez, ma contengano anche un’importante serie di spunti e d’idee circa la musica d’oggi e la creazione musicale in genere. Spunti su questioni basilari riguardanti i problemi della forma, del linguaggio, dei sistemi musicali e dunque dell’opera in quanto fenomeno soggetto alle caratteristiche della percezione, dell’attenzione e della memoria umane.
[1] Tra le fonti, cfr. Mario Campanino, Il martello e il maestro. Serialità e linguaggio musicale nella poetica di Pierre Boulez , Quaderni di Musica/Realtà, n. 46, LIM, Lucca 2000, 144 pp. e Pierre Boulez: Creazione e analisi musicale , «Analisi. Rivista di Teoria e Pedagogia musicale», Edizioni Ricordi, Anno V - n. 15, Settembre 1994, pp. 25-30.
[2] Nicolas Ruwet, Contradictions du langage seriel , «Revue belge de Musicologie», n. 13, 1959, pp. 83-97; poi in Langage, musique, poésie , Paris, Editions du Seuil, 1972; tr. it. Contraddizioni del linguaggio seriale , «Incontri musicali», n. 3, agosto 1959, pp. 55-69; poi in Linguaggio, Musica, Poesia , Torino, Einaudi, 1983, pp. 5-24 (da cui si cita).
[3] Ivi, p. 5.
[4] Ivi, p. 6.
[5] Ivi, pp. 7-8.
[6] Nikolaj S. Trubeckoj, Grundzüge der Phonologie , Prague, 1939; tr. it. Fondamenti di Fonologia , Torino, Einaudi, 1971, p. 7; cit. in Ruwet, Contraddizioni , op. cit., p. 12.
[7] Ruwet, Contraddizioni , op. cit., pp. 12-13.
[8] Con questo confronto Ruwet si richiama ad uno dei presupposti fondamentali dello strutturalismo, quello che prevede l’utilizzo di modelli desunti dall’osservazione di sistemi specifici per formulare leggi generali applicabili a sistemi di altra natura. Per questo si veda ad esempio Levi-Strauss: «Le ricerche strutturali non presenterebbero nessun interesse se le strutture non fossero traducibili in modelli dalle proprietà formali comparabili, indipendentemente dagli elementi che le compongono.» Cfr. Claude Levi-Strauss, Anthropologie structurale , Paris, Librairie Plon, 1958; tr. it. Antropologia strutturale , Milano, Il Saggiatore, 1966-1978 ⁷ (da cui si cita). Citazione a p. 316.
[9] Ruwet, Contraddizioni , op. cit., p. 13.
[10] Ibidem .
[11] Ivi, p. 14.
[12] Ivi, p. 19.
[13] Ivi, p. 22.
[14] Ivi, p. 24.
[15] Esiste una critica di Henri Pousseur alle Contraddizioni del linguaggio seriale apparsa in Italia proprio sullo stesso numero degli «Incontri musicali» in cui era pubblicata anche la traduzione italiana dello scritto di Ruwet. Cfr. Henri Pousseur, Forma e pratica musicale , «Incontri musicali», n. 3, agosto 1959, pp. 70-91. Un interessante commento critico di Nattiez alle Contraddizioni si trova in Jean-Jacques Nattiez, Fondements d’une sémiologie de la musique , Paris, Union Générale d’Editions, 1975, pp. 218-23. Vi sono peraltro alcuni punti di contatto tra il pensiero di Nattiez e quello di Ruwet in Jean-Jacques Nattiez, Il discorso musicale. Per una semiologia della musica , Torino, Einaudi, 1987. Nel secondo capitolo del volume Nattiez scrive: «nella musica elettroacustica si è prodotto lo stesso fenomeno, mutatis mutandis , che nella musica seriale accademica: la ricerca forsennata di suoni mai uditi raggiunge l’utopia bouleziana di una musica integralmente non ripetitiva; entrambe sono sfociate in una indifferenziazione monotona.» (p. 30) E ancora: «l’avvento di un nuovo sistema totale non ha avuto luogo. Ciò che la serie generalizzata guadagnava dalla radicale cancellazione delle ultime tracce di arcaismo, lo perdeva a livello di organizzazione globale. Elaborare i quattro parametri secondo un unico principio non era sufficiente per conferire al nuovo sistema un’unità. Mancava una funzionalità fondamentale.» (p. 172)
[16] Le notizie biografiche fornite nel corso di questo lavoro sono tratte, se non altrimenti specificato, da Dominique Jameux, Pierre Boulez , Paris, Editions Fayard/Fondation SACEM, 1984, 478 pp.
Capitolo 1
L'apprendistato
L’inizio dell’esperienza seriale, nella storia artistica di Boulez, risale ai mesi compresi tra la fine del 1950 e la prima metà del 1951. All'età di venticinque anni[1] il giovane di Montbrison aveva già composto numerose opere, tra cui Notations e le prime due Sonates per piano, la Sonatine per flauto e pianoforte, la prima versione del Livre pour quatuor e quelle di Le Visage Nuptial e Le Soleil des Eaux su testi di René Char.
Nel periodo del suo primissimo apprendistato la figura di René Leibowitz, che dal 1945 aveva fatto conoscere in Francia la